Il dramma del mese
Sempre domenica di Controcanto collettivo
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Da un passaggio testuale della canzone T’IMMAGINI, incisa da Vasco Rossi nel 1985 per il suo album musicale COSA SUCCEDE IN CITTÀ, i ragazzi del Controcanto Collettivo hanno ricavato il titolo della drammaturgia che state per leggere. Un lavoro di scrittura consuntiva d’assieme, nella fattispecie, di uno spettacolo che è valso al giovane gruppo la vittoria alle finali 2017 della rete teatrale In-Box, primeggiando su un innumerevole stuolo di altre messinscene provenienti da tutta Italia.
Del resto cattura e, battuta dopo battuta, avvolge l’intreccio polifonico tessuto con finezza acuta dal sestetto di attori – Federico Cianciaruso, Fabio De Stefano, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella ed Emanuele Pilonero – guidati dalla regia cesellatrice di Clara Sancricca (con, dietro le quinte, l’ausilio organizzativo di Gianni Parrella). Un ricamarsi di personaggi percorsi da storie che s’intarsiano vicendevolmente e, altrimenti, si legano per consonanza tematica e d’atmosfere emotive; su cui preme l’alea di un’esistenza stretta nelle incombenze lavorative d’ogni santo giorno, dalle quali essi cercano di trarre l’occorrente per vivere con un minimo di dignità.
Ma l’affaccendarsi intricato di queste figure prese pressoché in diretta dalla realtà quotidiana, a cui paiono fissate su immutabili posizioni, è piuttosto intriso di denso sognare e d’immaginazioni riottose a pensarsi irrigidite e normate per sempre dai soli obblighi, ritmi e ricatti dell’odierno totalitarismo del lavorare.
Dalla pièce scaturisce, allora, un soffio di rivolta a siffatto status quo che non è soltanto esistenziale e privato bensì, in filigrana, pure politico. Un moto di rottura, scarto e trasformativo superamento che sebbene all’apparenza paia risolversi in una serie di scacchi e disillusioni, in verità tiene ben vivo nell’aria il proprio afflato di dirompenza. Il quale, d’altronde, emana ed è reso attraverso un parlato che si accende ampiamente di scambi ed espressioni in cui l’italiano cede il passo a un sapido romanesco, mentre declina una partitura di umorose voci e accorate vicende che si estroflettono in modo acentrico e moltiplicato.
Il risultato è un denso e vivido sovrapporsi; un dinamico rigoglio di aspirazioni, pensieri e viaggi dell’anima tali da disseminarsi, perciò, con fertile espansività nei territori interiori di chi ne incontra l’irrefrenabile canto. Nel quale risuona il germoglio di perseguibili felicità che, invero, non sono fantasie e nemmeno favole: semmai direzioni, ardite vie e senz’altro tosti itinerari di liberazione e crescita.
(dp)
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Controcanto Collettivo è una compagnia teatrale dei Castelli Romani, nata nel 2010 per volontà e urgenza di una regista trentenne e di un gruppo di giovanissimi attori. Nel novembre del 2011 debutta FELICI TUTTI, un lavoro dedicato al tema dei migranti, con il quale il gruppo approda a un metodo di lavoro e di creazione collettiva della drammaturgia per stratificazione di improvvisazioni successive. Nel giugno del 2013 va in scena NO – UNA GIOSTRA SUI LIMITI DEI LIMITI IMPOSTI: opera ironica e dissacrante dedicata al concetto di divieto che, al Roma Fringe Festival del 2014, vince il premio della critica. L’ultima produzione del collettivo è SEMPRE DOMENICA, spettacolo ispirato al tema del lavoro e vincitore del premio In-Box 2017 (cfr. online “inboxproject.it”), tuttora in tournée.
Controcanto Collettivo è animato da Federico Cianciaruso, Fabio De Stefano, Riccardo Finocchio, Martina Giovanetti, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero e Clara Sancricca. Informazioni sulla sua attività e spettacoli si trovano al link “facebook.com/collettivo.controcanto”.
Nella foto da sinistra: Clara Sancricca, Andrea Mammarella, Emanuele Pilonero, Federico Cianciaruso, Martina Giovanetti, Fabio De Stefano, Riccardo Finocchio.
40 gradi di Andrea Maria Brunetti
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Quaranta sono i gradi della vodka e quaranta, sotto zero, sono i gradi a cui scende la temperatura nella provincia russa, dove due attori malandati – maltrattati da se stessi e dalla vita – stanno mettendo in scena uno spettacolo: il MACBETH di William Shakespeare.
Siamo negli anni Novanta del secolo scorso, subito dopo la Perestrojka: fallita miseramente, prima ancora che si capisse in cosa consistesse la “ricostruzione” che annunciava. I russi hanno vissuto solo la distruzione e la caduta del loro mondo, del loro pur stentato standard di vita. La ricostruzione non l’hanno mai vista, non certo in quel decennio. Ma l’aspettavano, e la aspettavano colmi di quella speranza quasi mistica, di un idealismo quasi ossessivo che è il tratto dell’anima russa.
Questo, volevo catturare.
E allora, negli anni Duemila, ho avuto modo lavorare alla messinscena di un mio testo a San Pietroburgo, dirigendo un attore di nome Sacha Ronis: alcolista, ex primattore bello e famoso, un tempo insignito della medaglia di “Attore popolare dell’Unione Sovietica” che non mancava di ricordare dopo ogni bevuta, con un guizzo di autentica dignità teatrale. La quale, in Russia, è importante: specie se attestata dal riconoscimento governativo. Durante le prove, tuttavia, Sacha mi raccontava come negli anni Novanta il teatro in cui lavorava – l’Alexandrinskij, se ben ricordo – lo pagasse con cento uova al mese. Salario proteico. Ed è da quel racconto che s’è originato il mio lavoro di creazione del dramma che state per leggere.
In seguito ho letto lo scrittore sovietico Aleksandr Valentinovič Vampilov, autore di 20 MINUTI CON UN ANGELO: testo non tradotto in Italia, ma talmente bello da colpirmi subito. Anche perché nel frattempo avevo in testa Samuel Beckett, soprattutto il suo FINALE DI PARTITA, e avevo notato che nei personaggi sovietici di Vampilov c’era qualcosa di assurdo e apocalittico esattamente come in quelli di Beckett, però con un sapore diverso: non algido, elegante e britannico bensì sporco, povero e ubriaco, alla russa. E poi c’era San Pietroburgo: il suo mondo teatrale e specialmente le persone che, giorno dopo giorno, iniziavo a capire e con le quali passavo notti estenuanti a bere, a parlare e ancora a parlare. Loro, d’altronde, sono davvero la società della conversazione: sempre bevendo, sempre in cucina, o con tè o con vodka o con entrambi. E spesso i racconti che venivano fuori sugli anni Novanta, riguardavano la criminalità che si era impadronita del vuoto rimasto in cui galleggiavano tutti.
Scrivendo quindi 40 GRADI, probabilmente la mia intenzione era quella di mettere insieme tutte queste sensazioni e scoperte che ho sopra evocato: quasi volessi fermarle in una specie di album fotografico o, comunque, fissarle in qualcosa che avrei potuto prendere e portarmi via. Perché sapevo che un giorno me ne sarei andato da quel posto: in cui bisognava stare, succhiandone il più avidamente possibile, e fuggire.
Andrea Maria Brunetti
Interpretato da Fabio Banfo, Luigi Guaineri e Roberto Testa, diretti dallo stesso autore, 40 GRADI è andato in scena per la prima volta al Teatro Libero di Milano il 5 ottobre 2017, (recensito su questo sito) per la produzione di Effetto Morgana. Una pièce con «momenti di forte tensione» – come ha scritto l’insigne slavista Fausto Malcovati su “Milano in scena” – che il drammaturgo e regista «costruisce sui suoi tre interpreti, davvero intensi, convincenti».
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Andrea Brunetti vive e lavora a Milano: città dove si è diplomato in Drammaturgia alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi e in Regia alla Scuola d’Arte e Mestieri del Teatro alla Scala. Nel 2006, ha vinto il Premio Flaiano per MALAMORE: testo messo in scena in Germania e al Teatro Lensoveta di San Pietroburgo, in Russia, laddove ne ha curato anche la regia. Nella metropoli baltica, inoltre, ha lavorato come pedagogo presso l’Accademia Nazionale di Teatro Drammatico. Tra gli spettacoli da lui scritti e diretti, lavorando in sodalizio con Fabio Banfo e Paolo Andreoni, si ricordano: NAPOLEONE; UBU ROI dalla commedia patafisica di Alfred Jarry; e FAUST dal dramma di Christopher Marlowe. Oltre a questi lavori, tuttavia, vanno menzionati quelli che ha dedicato a taluni grandi autori del Novecento come Samuel Beckett, dirigendo FINALE DI PARTITA e GIORNI FELICI; Bernard-Marie Koltès, da cui una sua messinscena di LOTTA DI NEGRO CONTRO CANI; e Albert Camus, di cui ha riscritto teatralmente il romanzo LO STRANIERO. Le sue rappresentazioni si sono tenute in molteplici teatri e festival italiani e stranieri mentre, negli anni, all’attività teatrale ha affiancato anche quella di regista pubblicitario. È autore dei romanzi NAGOTT, pubblicato presso l’editore Persico Europe di Cremona nel 1997, e L’AMORE MALE DETTO edito nel 2008 per i tipi romani del Gruppo Albatros Il Filo.
Cuori scatenati di Diego Ruiz
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Ho sempre considerato il rapporto di coppia un’inesauribile fonte di ispirazione. Le mie commedie affrontano da sempre le dinamiche e le varie fasi delle relazioni uomo-donna.
Mi piace raccontare un mondo reale, un universo tangibile: quello in cui ogni spettatore può ritrovare se stesso o che, comunque, conosce e riconosce. Per questo evito il più possibile di raccontare storie al limite, o personaggi paradossali o inverosimili.
Quando ho un’idea per una commedia, parto proprio dai personaggi che la animano individuando subito la loro umanità, le loro debolezze, i loro conflitti e il percorso che devono fare per risolverli. Dopo inizio a pensare alle caratteristiche per colorarli, per far scaturire le situazioni comiche, per rendere i ruoli interessanti ed empatici.
Non ho la presunzione di insegnare nulla o di promuovere chissà quale morale, il teatro “culturale” lo faccio fare a chi è più intelligente di me. Ho la mia più grande soddisfazione quando riesco a far ridere per due ore il pubblico e lo faccio uscire dal teatro con la sensazione di aver passato una serata spensierata: sapendo però che, quando tornano a casa, gli spettatori hanno visto uno spaccato di vita su cui ognuno di loro farà le proprie riflessioni personali.
CUORI SCATENATI è una commedia che racconta la mia generazione e le irrequietezze dei quarantacinquenni. Sono circondato da amici, miei coetanei, che sono reduci da rapporti importanti finiti da poco e con una gran paura di cominciarne altri; oppure con situazioni sentimentali appaganti e rassicuranti, ma con la smania di sentirsi liberi e la voglia di lasciarsi porte sempre aperte per fuggire in caso di attacchi di claustrofobia…
Ho scritto questa commedia conoscendo già gli attori che l’avrebbero interpretata, quindi non ho abbondato nella descrizione dei personaggi nelle didascalie. Mi sono ispirato alle loro caratteristiche fisiche e attoriali per costruire i loro ruoli, mantenendo per ciascuno i nomi effettivi di battesimo.
Chicca (Francesca) è una donna forte che, dopo il divorzio e aver cresciuto un figlio da sola, ha acquisito le sue sicurezze. Sulla soglia dei cinquant’anni non ha più il bisogno di avere un compagno fisso accanto a sé, è perfettamente autonoma e indipendente. Ora l’uomo deve essere solo fonte di divertimento che appaghi la sua femminilità.
Diego è quello che un tempo era definito “un uomo perbene”, uno di quelli che qualche anno fa era l’aspirazione rassicurante di ogni donna ma che, ai giorni d’oggi, può risultare anacronistico nella sua purezza e ingenuità. È sul punto di rifarsi una vita con una nuova compagna, ma vuole essere sicuro di non avere proprio alcun’altra possibilità di recuperare il rapporto con la madre di suo figlio. Un uomo così pulito, da essere irrecuperabilmente travolto dagli eventi.
Sergio invece è bellissimo. Uno di quelli che potrebbe approfittarsi del suo fascino per potere gestire la sua vita e le persone che lo circondano senza problemi, ma che nasconde un animo sensibile e ingenuo. È la vera vittima della commedia.
Maria è una donna semplice, ruspante, fisicamente prorompente e capace di esplosioni di grande femminilità. È gelosa, possessiva, determinata a lottare per il suo uomo; però il suo narcisismo la spinge a mettere in pericolo il proprio rapporto di coppia.
È subito evidente la contrapposizione dei caratteri femminili forti e primeggianti contro le figure maschili più sottomesse e perdenti; non per questo credo che il mondo si sia ribaltato, tuttavia è evidente che stiamo vivendo una trasformazione degli equilibri nelle nostre strutture sociali, in cui in questo momento storico l’uomo è frastornato e ancora non del tutto capace di adeguarsi alla legittima autodeterminazione delle donne.
Drammaturgicamente, d’altronde, sono convinto che affidare i ruoli più brillanti ai personaggi femminili, sia particolarmente interessante e sorprendente. I ruoli maschili, buffi nella loro inadeguatezza, ispirano tenerezza e comprensione, lanciando l’immagine di un anti-eroe a cui è impossibile non affezionarsi.
Diego Ruiz
Con un’anteprima nazionale al Teatro Rivellino, la messinscena del testo CUORI SCATENATI ha debuttato il 10 dicembre 2016 a Tuscania per la regia dell’autore stesso, a sua volta interprete con Sergio Muniz, Francesca Nunzi e Maria Lauria. Prodotta da Mentecomica e Teatro Ghione, con le scene di Mauro Paradiso, le luci di Luca Palmieri e le musiche di Stefano Magnanensi, la pièce si appresta a una nuova tournée da marzo 2018 dopo i grossi successi della stagione teatrale scorsa. Ogni informazione è al website “mentecomica.com”.
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Diego Ruiz è nato a Roma nel 1971. A vent’anni vince la borsa di studio per accedere alla Scuola di Recitazione “Mario Riva”, iniziando a lavorare subito come attore. Già da allora comincia a scrivere commedie, continuando comunque a interpretare spettacoli da testi di autori come Aldo De Benedetti, Dacia Maraini, Riccardo Reim e Mario Moretti. Con l’arrivo del nuovo millennio, arriva il successo clamoroso di ORGASMO E PREGIUDIZIO: pièce del 1999 che scrive e interpreta, diretto da Pino Ammendola e Nicola Pistoia, fiancheggiato in scena da Fiona Bettarini. Un cult tradotto in più lingue e che viene replicato per più d’un decennio, con rappresentazioni in Repubblica Ceca e Sud America. Altro suo testo che raccoglie ampi consensi fra le platee teatrali è IL MATRIMONIO PUÒ ATTENDERE del 2005, recitato assieme a Francesca Nunzi: attrice, nonché autrice e regista, con cui lavorerà più volte negli anni in una serie ulteriore di spettacoli tratti da propri copioni. Tra questi si ricordano TI AMO O QUALCOSA DEL GENERE del 2006, SE MI LASCI NON VALE del 2008, seguito da FINCHÉ MAMMA NON CI SEPARI e, nel 2011, da IL SESSO FORTE. Nel 2012, con lo scenografo Mauro Paradiso, fonda Mente Comica: agenzia di distribuzione e promozione, dedicata alla comicità e all’intrattenimento brillante e di qualità, esito di creazioni originali di spettacolo e scrittura. Ed è sotto l’astro di questa sua nuova realtà che Ruiz scrive, interpreta e mette in scena lavori quali LA STRANISSIMA COPPIA del 2013 e il recente CUORI SCATENATI. Diretto da Carlo Alighiero, infine, sarà in scena dal 26 ottobre al 19 novembre 2017 al Teatro Manzoni di Roma con BLUFF, commedia di cui è anche autore insieme a Cinzia Berni. Un’autrice con la quale aveva già scritto PARENTI STRETTI un anno addietro, da cui ne è derivata pure una trasposizione cinematografica, non prima di averne curato la messinscena sempre al Manzoni e sempre fra le risate di tanti spettatori plaudenti.
Cemento e l’eroica vendetta del letame di Donati e Nocilla
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Cosa spinge un autore milanese, Massimo Donati, e un’autrice siciliana trapiantata in Lombardia, Alessandra Nocilla, a scrivere un monologo teatrale sul tema del consumo di suolo? A voler dissotterrare con le armi del paradosso e della comicità, il groviglio di luoghi comuni, interessi e pubbliche connivenze che hanno prodotto il saccheggio del paesaggio di questi ultimi decenni?
I due autori, entrambi classe ’73, hanno due storie personali diverse, due infanzie vissute a latitudini distanti. Eppure un legame con la terra, forte e profondo, li ha accomunati e li ha spinti alla scrittura di questo testo teatrale. A guardar bene, questa matrice è comune ad un’intera popolazione, un’intera nazione che storicamente, dall’immediato dopoguerra in poi, ha via via dimenticato la sua vocazione agricola, perdendone la consapevolezza, e in parte snaturandosi.
Ed è così che quella vocazione, quella cura per la terra che “dà il frutto”, che ci nutre e che non va sprecata perché bene prezioso e “non rinnovabile”, è per gli autori un’urgenza improrogabile per il futuro del nostro Paese. Un’attenzione, da tramandare, alla poesia della “terra” e ai suoi miracoli. Miracoli di cui è testimone Tino, il personaggio di questo monologo teatrale ironico e disperato, che in un triste giorno di settembre, nel Tribunale di Bergamo, si deve difendere dall’accusa di aver distrutto, con ingenti quantitativi di letame, escavatori, ruspe e trivelle di proprietà di una società impegnata nel disboscamento di una pineta. Il processo è concluso, rimane soltanto da sentire un’ultima volta l’accusato, perché possa finalmente spiegare il suo gesto inaspettato e apparentemente assurdo.
Il monologo sorprende con la forza di informazioni poco note, frutto di un’attenta documentazione sul tema, e con il disvelamento dei motivi economici più profondi che portano a un consumo dissennato del suolo. Tuttavia non rinuncia a raccontare una storia e affida all’ironia il messaggio d’amore di Tino, l’amore per la sua terra e per il paesaggio inteso come bene comune. Il linguaggio creato per Tino, è una lingua “sporca”, carica di storpiature e neologismi, forte dei dialetti regionali del “nord” ma non univocamente identificabile, una lingua che segue insieme musicalità e significato. E si pone al servizio della concretezza e del buon senso perduto, in rispettosa contrapposizione a forme più educate, che possono sfuggire di mano e far perdere di vista ciò che veramente conta. L’essenza delle cose. Che stanno lì. Ancorate a terra e alla terra.
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Massimo Donati è nato nel 1973 a Milano. Dopo una Laurea in Fisica, alcuni anni da ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) e altre forti esperienze, ha cambiato il suo percorso personale iniziando a studiare sceneggiatura e regia presso la Scuola di Cinema, Televisione e Nuovi Media di Milano. Ha scritto e diretto film (corti e mediometraggi di finzione e documentari), spettacoli teatrali, trasmissioni radiofoniche e opere letterarie fra cui DIARIO DI SPEZIE, vincitore di un Premio Solinas nel 2006 come soggetto cinematografico per la sezione “GialloNero” e poi diventato un libro per Mondadori nel 2013, fino a essere rieditato per le edicole da “Il Sole 24 Ore”. Nel 2014 ha scritto e diretto, con Alessandro Leone, FUORISCENA: film documentario distribuito nelle sale e vincitore di numerosi premi in Italia e all’estero, fra cui un Premio Speciale ai Nastri d’Argento 2014.
Alessandra Nocilla è nata a Petralia Sottana (Palermo) il 17 giugno 1973. Laureata in Ingegneria Civile, è ricercatrice e docente presso l’Università di Brescia. Dal 2004 il suo percorso personale si è arricchito di studi legati alla scrittura creativa e all’analisi cinematografica. Per la Cineteca di Bologna ha collaborato alla cura e redazione dei cataloghi del festival “Le parole dello schermo” (2005 e 2006). Ha frequentato nel biennio 2006-2007 il Politecnico di Cinema e Nuovi Media delle Scuole Civiche di Milano, approfondendo lo studio dell’analisi e della sceneggiatura cinematografica. Ha partecipato a progetti cinematografici, teatrali e letterari.
Donati e Nocilla collaborano dal 2010. Il loro processo creativo parte dalla comune abitudine di interrogarsi sulla relazione che ciascun individuo ha e deve sentire con la società in cui vive. La loro scrittura a quattro mani è fortemente legata all’eterogeneità delle loro caratteristiche creative, ed è guidata dalla visione comune che hanno del teatro come luogo di confronto e di attivismo civile, il teatro come atto politico. E il senso politico che danno al loro gesto creativo è l’azione semplice dell’apertura di una porta, per suggerire un percorso allo spettatore, lasciando più di una via d’uscita possibile, consapevoli che soltanto una partecipazione volontaria e attiva può portare a una crescita. Il linguaggio che utilizzano è sempre alla ricerca di una «sottrazione di peso alla struttura del racconto», in una ricerca costante di meticciati linguistici. L’ironia e la leggerezza utilizzate rappresentano quindi solo un mezzo per raccontare la realtà, coinvolgono in una sorta di complicità fra autore e spettatore, implicando una profonda condivisione. Nel 2010, così, scrivono e dirigono il monologo LABEL. QUESTIONI DI ETICHETTA, sul tema della grande distribuzione organizzata del cibo, con Claudia Facchini. Lo spettacolo ha girato l’Italia contando più di 100 repliche e ha prodotto un testo pubblicato per i tipi di Altreconomia. Due anni dopo, invece, è la volta appunto di CEMENTO E L’EROICA VENDETTA DEL LETAME, di nuovo scritto e diretto da entrambi, per l’interpretazione di Giorgio Ganzerli, in cui si approfondisce il tema del consumo di suolo. Quindi nel 2015 fondano, insieme ad altri amici e attori, la compagnia Teatri Reagenti: e, con questo nuovo vestito, il testo qui presentato ritorna in scena con Carlo Ponta e per la regia di Eva Martucci. Infine, con il patrocinio delle Acli Milanesi e il sostegno di Fondazione Cariplo, nel 2017 Donati e Nocilla scrivono DEMOCRAZY. L’ALLEGRA APNEA DEL CONDOMINIO EUROPA MOON: una commedia surreale sul tema della crisi delle democrazie contemporanee e sul senso della partecipazione civica.
Per maggiori informazioni e notizie:
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