VISSI D’ARTE, VISSI PER MARIA
La vita di Maria Callas raccontata dalla
sua governante Bruna
Monologo originale di
ROBERTO D’ALESSANDRO
Tutti i diritti sono riservati.
Finito di scrivere febbraio 2001
Il pubblico attenderà nel foyer. All’ingresso della sala teatrale ci sarà un
portone con un campanello. Quando tutto il pubblico sarà arrivato, una
mascherina suonerà il campanello e ci apparirà sull’uscio una signora anziana,
vestita con delle ghette alle gambe, un lungo vestito di colore marrone, coi
capelli tinti, color mogano, raccolti dietro la nuca. Aprendo la porta, ci
sembrerà che aspettasse qualcuno, apparirà sorpresa e contenta di vedere della
gente, poi con fare cerimonioso:
Accomodatevi, prego, da questa parte. Mi fa molto piacere vedervi. Siete stati
molto carini a venire. La signora sarà davvero felice di ricevervi, è tanto
tempo che non vede amici. Se volete lasciare i cappotti, o le vostre borse,
potete dare a me, prego da questa parte.
(Dopo aver fatto lasciare eventuali oggetti, li introduce in teatro e li fa
accomodare. Si entrerà in teatro nel momento in cui su di un televisore si vedrà
la Callas cantare “Vissi d’arte” dall’edizione della Tosca con Tito Gobbi.
Finita la romanza Bruna spegnerà il televisore.)
Eccoci qui, la signora arriverà a momenti, ha avuto un contrattempo ed è in
ritardo, ma fra poco sarà qui. Nel frattempo non so, vi posso offrire un tè? Non
disturbate per niente, allora vada per il tè.
Scusate il vestito, ma per casa preferisco stare comoda, c’è sempre tanto da
fare. Da quando non sono costretta ad indossare la divisa, per casa metto sempre
questo vestito, l’ho comprato a Milano, è molto vecchio, la signora ogni volta
che me lo vede indosso mi dice sempre di buttarlo via, anche se non fa appunti,
dopotutto è più che dignitoso non vi pare?
D’altronde che ci posso fare, ci sono tanto affezionata, alla mia età si vive di
ricordi, vedete questo vestito mi ricorda Milano.
Mi piacerebbe ritornare a Milano, che bei giorni che ho trascorso lì, è a Milano
che ho preso servizio dalla signora, e da allora non l’ho più lasciata, sono
diventata la sua ombra.
Lo scrisse anche Pier Paolo Pasolini in una pagina dei suoi diari durante la
lavorazione del film Medea, scrisse:
(recitando a memoria)
“Nel fondo di una di queste vallette – sul greto del fiume –“
Eravamo in Turchia
“cammina verso di me e s’imprime nella mia retina, una piccola folla assurda. La
luce è quella dei sogni: l’ultima luce del sole a filo dell’orizzonte. La folla
che avanza è composta da Italiani e da Turchi. Davanti a tutti, ci sono degli
operai Turchi che spingono un carro. Dietro, ecco un gruppo sparso, al centro
c’è una figura femminile. Essa è coperta da un velo bianco, dietro cui
s’intravede appena il viso e la lunga capigliatura. Da sotto questo velo bianco
cadono delle grosse collane dorate che mandano un suono opaco, e penzolano sopra
una pazienza azzurra listata d’argento. Due o tre persone sono attente a tenerle
alta fin sopra il ginocchio la lunga sottana nera. Essa procede come una regina
non vista. Dietro a lei, viene un altro gruppetto del seguito: e tra questo, la
fedele, immancabile cameriera”
(indica fieramente se stessa)
“Vestita di rosso e di verde, che tiene per il guinzaglio i due magici
cagnolini.” Non potrebbe essere che così.
(Comincia a fare i preparativi per il tè, prepara tazze e vassoi.)
Una casa stupenda quella di Milano, la signora ci teneva tanto, sì, veramente
giorni felici. Ricordo ancora il primo giorno che l’ho vista. Io avevo vent’anni
allora, mia cugina Luisa lavorava come domestica a casa di alcuni signori la cui
figlia, la signorina Giovanna era amica di Madame, un giorno mia cugina viene a
trovarmi e mi dice che la signora aveva bisogno di una guardarobbiera e che la
sua padroncina aveva chiesto a lei se conosceva qualcuna, allora Luisa aveva
pensato a me, era un Martedì, Martedì 18 febbraio 1953, lo ricordo perché era il
compleanno della povera mamma. La mattina seguente bussai alla porta della
signora in Via Buonarroti, mi aprì il maggiordomo, Ferruccio, e mi fece
accomodare nel salottino a piano terra.Una bella casa. Lavorando al teatro alla
Scala aveva deciso insieme all’allora marito, il sig. Meneghini, Gianbattista
Meneghini, di acquistare una casa a Milano, anche se la loro vera casa la
costruirono sul lago di Garda, a Sirmione, una villa da sogni, una specie di
castello delle favole, l’ultima volta che ci sono stata è stato nel ‘59, andammo
via alle cinque del mattino scappando come ladri, eravamo: madame, il signor
Onassis, io e Ferruccio che guidava.
(Come se si assentasse mentalmente, una lunga pausa, poi riprende a parlare)
Vi stavo dicendo di quando vidi la prima volta la signora, allora Ferruccio mi
fece accomodare nel salottino e dopo qualche istante entrò lei, aveva un volto
dai tratti forti, spalle robuste, un gran seno, delle grosse caviglie, piazzata,
robusta, grassa va. Indossava un vestito di velluto con grossi fiori stampati,
con sopra appuntata un’enorme spilla che rappresentava un capriolo che per occhi
aveva due pietre verdi, i capelli tirati su in un enorme tupé. Insomma la
classica cantante d’Opera. Mi fece un gran sorriso e mi diede l’impressione di
una donna molto forte e nello stesso tempo, non so perché, fragile. Nel
complesso però ebbi la sensazione di trovarmi di fronte una donna felice.
Ma perché vi sto dicendo queste cose? Vi sto annoiando con i miei ricordi.
Piuttosto non capisco perché la signora ritardi così tanto, ma che stupida che
sono a preoccuparmi, se fosse successo qualcosa Ferruccio mi avrebbe avvertita.
Pensiamo al te,
(prende un recipiente con dentro lo zucchero)
Oggi fanno tutto di plastica, la signora ne va pazza, a Milano andavamo in un
negozietto che aveva le prime cose di plastica e la signora comprava molta roba
per la cucina, io non ho mai capito questa sua passione per questo materiale, è
tanto comodo il vetro e la latta, durano di più? E poi non capisco perché compra
tutta questa roba per la cucina giacché mangia pochissimo, quasi niente io dico
che deve mangiare di più, è tutta pelle e ossa. E’ bella però, bella come una
dea...certo qualche chilo in più....E pensare che quando mi assunse pesava 100
chili, beh, cento chili erano troppi, però adesso... ha perso 37 chili in un
anno, una follia. Un dimagrimento così avrebbe potuto ucciderla.
E poi ginnastica, tutti i giorni, lo studio, gli spettacoli. Vi sembra facile
che lei sui palcoscenici dia la sua perfezione tecnica, la sua bellezza, la sua
grandezza? Tutto quello che dà è frutto di sacrifici, di enorme fatica, di un
lavoro che dura 20 ore al giorno e che è cominciato molti anni fa, quando
studiava canto al conservatorio di Atene sotto la guida di Elvira De Hidalgo, la
sua prima insegnante. Madame arrivava al conservatorio alle dieci e fatta
eccezione per il breve intervallo del pasto, studiava con la De Hidalgo fino
alle otto di sera.
Era come un atleta, si compiaceva di sviluppare i muscoli della respirazione e
come gli atleti li allenava per ore ed ore.
La De Hidalgo poi le prestava i preziosissimi spartiti della Gioconda, di Norma,
che lei mandò tutte a memoria, e dovendoli restituire lo faceva in tempi
brevissimi, lo faceva sull’autobus, camminando per la strada, mentre mangiava,
mentre si vestiva. Madame imparava tutto a memoria, testo e musica, comprese
tutte le fioriture del bel canto. La sua mente era occupata solo da trilli,
gorgheggi, cadenze, glissati. La signora mi racconta che per i compagni del
conservatorio era una ossessionata, e che cominciarono ad avversarla in ogni
modo, ma Madame era ed è una perfezionista, per raggiungere la perfezione ci
vuole lavoro, impegno, tempo. La fretta è la principale nemica della perfezione,
lavoro e costanza. Le cose che si guadagnano facilmente si perdono anche
facilmente, e poi non ti regala niente nessuno. Ancora oggi Madame fa dei
sacrifici enormi, per esempio non mangia, credete che lo faccia volentieri? Come
si fa ad andare avanti con insalate scondite, verdure cotte...sempre scondite e
un pezzetto di carne quasi cruda senza né sale né olio? Ha sacrificato la sua
vita alla carriera, o meglio alla musica. Dice che bisogna servire la musica,
come la serve lei, nessuno mai lo ha fatto. Con una disciplina, una severità
prussiana, e d’altronde anche con noi, con la sua servitù si è sempre comportata
in modo severo, ma aveva ragione, ha ragione, tutto così funziona meglio e
nessuno gliene vuole per questo, anzi le si vuole ancora più bene. Ricordo che a
Milano, l’anno che mi assunse, quando stavamo nella casa di Via Buonarroti,
scrisse la REGOLA DI CASA e la distribuì alla servitù che era composta di me che
facevo la guardorobiera, un cameriere, una cuoca, il giardiniere e l’autista.
REGOLA DI CASA che vale ancora oggi, in questa casa:
(va a prendere un quadretto nel quale è incorniciata la regola)
1. Massimo rispetto l’uno per l’altro
2. Massima pulizia sempre e senza scuse della propria persona.
3. Ognuno, compreso il cameriere, laverà e stirerà i propri indumenti,
specialmente intimi.
4. Le divise saranno lavate e stirate e messe in perfetto ordine dalla
guardarobbiera. Il personale cercherà di sporcarle il meno possibile e in ogni
modo non dovrà mai presentarsi con una divisa macchiata.
5. Prima di entrare in un locale qualsiasi, bisogna bussare e chiedere permesso,
anche se è vuoto.
6. Si parlerà ai padroni col massimo rispetto e mai con animosità, soprattutto
mai a voce alta per nessuna ragione.
7. Parlando con o ai padroni, esigo esagerata cortesia e massimo riguardo per
gli amici di famiglia. Mai per nessuna ragione, si perderà la pazienza o si
chiamerà solo per nome un amico o conoscente di casa.
8. Quando i padroni chiamano, si verrà subito a rispondere e sempre vestiti
perfettamente.
9. Non si dirà mai “no” a quello che verrà chiesto e mai più chiacchiere del
sissignore.
10. I lavori saranno fatti bene in profondità e sempre in silenzio, senza scambi
di idee o pettegolezzi o commenti di qualsiasi genere.
11. Ognuno farà il proprio lavoro e chi lo trascura sarà denunciato dagli altri
ai padroni.
Potrebbero sembrare troppo severe, in realtà sono severe, ma poi madame sa farsi
voler bene e tutti le vogliamo bene, tant’è vero che in tanti anni non ha
mandato via che due domestiche, la Gina e la Angela, ma aveva ragione e tutti
noi le demmo ragione, non facevano affatto bene il loro lavoro, così ho messo in
atto il punto undici del regolamento:
11. Ognuno farà il proprio lavoro e chi lo trascura sarà denunciato dagli altri
ai padroni.
Le ha licenziate. A dirla tutta non mi stavano neanche molto simpatiche,
chiacchieravano troppo e detestavano Toy e Tea….sono i barboncini.
Oggi parlo troppo anch’io, non so cosa mi sia preso, oddio forse ho sbagliato a
dirvi la regola di casa? Ormai l’ho fatto, però vi prego quando viene la
signora, siate così cortesi da non dirle nulla, credo di non avere fatto nulla
di male ma...poi glielo dirò io, so come prenderla, bisogna trovare i momenti
giusti, è sempre così stanca, lavoro, lavoro, lavoro e null’altro. Ed io vicino
a lei, è sempre stato così, è lei che mi vuole e questo mi riempie il cuore di
felicità, sento che il mio posto è questo e non potrei stare da nessun’altra
parte. E’ stato come se una forza divina mi abbia condotto a lei. L’anno che ho
preso servizio mi occupavo solo del suo guardaroba, però da subito cominciai a
conservare tutti gli articoli di giornali che parlavano di lei, era il ‘53, nel
maggio di quell’anno interpretò la Medea di Cherubini, un ruolo difficilissimo e
lo imparò in soli otto giorni, Io la prima volta in cui la sentii cantare fu nei
panni della Medea ma non in quell’occasione, ma deve essere stato straordinaria
visto che dissero delle corbellerie enormi sul suo conto, venne quasi
identificata con il personaggio di Medea, scusate un momento
(prende degli articoli di giornale rilegati in un raccoglitore e trovato
l’articolo legge):
“la Callas-Medea sicuramente odia sua madre, come Medea sarebbe capace di
travolgere i propri figli, sopprimere i fratelli e le rivali per amore di un suo
mitico sposo, un Giasone-Successo.” Eccetera eccetera…per ambizione poi avrebbe
compiuto qualunque nefandezza, stravolto l’intero mondo…eccetera, eccetera. Così
le affibbiarono addosso questo personaggio duro, superbo, egoista, consumato
dall’ambizione e dalla sete di denaro.
Naturalmente lei non era così, non è così, ve lo giuro, e poverina,
l’avversavano mentre lei continuava a perdere peso. In dicembre di quell’anno
anche la Scala le chiese di cantare Medea, l’apparizione della signora con 37
chili in meno ingigantì la suggestione della sua interpretazione, prima era
considerata un’eccezionale interprete, ma di interpreti eccezionali ce ne sono
tanti, di Maria Callas ne nasce una ogni tremila anni.
Anche a proposito del suo dimagrimento dissero delle cose tremende, cose
ignoranti e offensive, come il fatto del verme solitario, a sentire qualcuno lo
avrebbe ingurgitato di proposito per dimagrire, beh, voglio dirvi una volta per
tutte come andarono i fatti:
Oh mio dio che paura che ho preso quel giorno, io stavo stirando, avevo preso
servizio da qualche giorno, beh, dicevo stavo stirando quando sento la signora
gridare:
“L’ho ucciso, l’ho ucciso”
Mi precipitai verso la sua camera bussai e non mi rispondeva, ribussai ancora
più spaventata e non ebbi ancora risposta, quando ebbi bussato per la terza
volta sentii chiedere:
“Chi è?”
“La guardarobbiera” - risposi - “signora ha bisogno di aiuto?”
“No, no grazie. E’ tutto a posto.”
Fu la risposta. Dopo neanche mezz’ora giunse il signor Meneghini, la signora gli
aveva telefonato chiedendogli di raggiungerla. Solo molti anni dopo mi raccontò
quello che era successo. La signora da sempre stava poco bene, perché appunto
era affetta dalla Tenia che in lei rappresentava la causa dell’essere su di
peso, sissignori mi dovete credere, in genere questo parassita determina negli
individui una perdita di peso, nel suo caso invece provocava l’effetto
contrario, un giorno per caso lo aveva espulso, da quel momento in poi il suo
proposito di dimagrire s’attuò, ma non cambiò dieta, continuò a mangiare quello
che aveva sempre mangiato, non fu nuova al sacrificio della dieta. Quando la
intervistarono, le chiesero qual’era il segreto del suo dimagrimento e lei
rispose con la verità la volontà, l’impegno. Non fu creduta. Insinuarono che
aveva bevuto un uovo di tenia in una coppa di champagne, una ditta che produceva
spaghetti fece uscire su di un giornale la foto di madame asserendo che era
dimagrita perché mangiava i loro spaghetti, ma quali spaghetti? Sono con lei da
una vita io, non l’ho vista mai mangiare un solo spaghetto. La signora fece
causa a questa ditta e la vinse.
(Si assenta mentalmente, poi come riavendosi da un discorso cominciato nella sua
mente)
….Quando andò in america per la prima volta io non andai con lei, ma ero già
passata ad essere la sua governante…
(cerca fra gli articoli e trovato quello che gli interessa)
Eccolo, “Al lyric theater di Chicago il più grande soprano del mondo.”
La prima volta che la sentii cantare fu nella Medea, alla Scala, era l’autunno
del ‘54. Un giorno tornò a casa molto contrariata da uno sbaglio fatto dalla sua
sarta di scena, diceva che non voleva più vederla, non so cosa le abbia fatto,
ma di certo una cosa grossa, se no perché mai la signora doveva arrabbiarsi così
tanto? Nel pieno del nervoso si rivolse a me e mi disse:
“tu da domani starai con me anche in teatro, non mi fido più di nessuna.” Beh!
Non ci crederete, ma penso di essermi sollevata venti centimetri da terra, Non
si fidava più di nessuno capite? Si fidava solo di me.
E così eccomi nel suo camerino mentre aspettavo,
(In sottofondo brani di Medea di Cherubini)
La sentii cantare dall’altoparlante, un sogno ad occhi aperti, quella voce
pareva giungere dal paradiso, potente, piena di emozioni, vibrante della sua
stessa anima, ma tutto questo con una leggerezza, un’apparente facilità, che non
era facile per niente me ne resi conto quando giunse in camerino, era distrutta,
completamente esausta. Eppure dopo essersi ripresa un po’, essersi risistemata,
mi fece aprire la porta del camerino, una valanga di ammiratori la sommersero di
fiori, di complimenti, di baci di manifestazioni d’affetto, d’amore. Fu allora
che mi resi veramente conto della grandezza assoluta e indiscussa della signora,
ed io ero lì per servirla, seguirla, assisterla, la mia ammirazione cominciò a
divenire amore, per me lei è tutto, è la mia vita, certo, posso ben dire di
essere vissuta e di vivere per lei da ormai 47 anni.
Oh, non che mi siano mancate le occasioni per fare diversamente, anzi, sono
stata io a non volere, nel 57 ad esempio, un ammiratore della signora, un
Callassiano, che veniva a tutte le repliche degli spettacoli, cominciò a farmi
la corte, addirittura un giorno mandò una corbeie di fiori, molto bella, al
fattorino avevano detto di portarla al teatro alla Scala, nel foyer del teatro
vista la bellezza della corbeie pensarono che era per la signora, così la
mandarono nel suo camerino senza darsi la pena di leggere il bigliettino, quando
arrivammo a teatro ed entrammo nel camerino, la signora fu subito incuriosita da
quella bellissima corbeie, così ne lesse immediatamente il bigliettino, poi si
voltò verso di me:
“vedi Bruna”, mi disse “anche tu cominci ad essere una diva”
Poi mi passò il bigliettino e aggiunse
“è per te”.
Io divenni rossa dalla vergogna, e risposi che avrei provveduto subito a far
sparire quei fiori, ma lei mi sorrise mi guardo dritta negli occhi e:
“Ma non ti permettere Bruna, perché vuoi portar via questi bei fiori, te li ha
mandati un tuo spasimante, vedrai che fra non molto si farà vivo, e che penserà
se non vedrà i fiori? Lasciali qui, e lasciati corteggiare, la vita è una sola.”
Infatti, si fece vivo, e qualche volta ci uscii pure, mi chiese addirittura di
sposarlo, si chiamava Corrado, alto, distinto, un bell’uomo... ma come facevo? E
la signora? No, no. Non mi pento di nulla, la mia vita è qui accanto a lei.
(Guarda l’orologio)
Ancora non tornano, eppure m’aveva assicurato che sarebbe rientrata presto, non
capisco.
(squilla il telefono e lei va a rispondere)
Scusate…pronto, si, si, no signore, no, la signora non è in casa, non ne ho idea
signore, certo riferirò, certo, buonasera signore.
Volete ascoltare un disco? Un disco della Signora naturalmente, Si? Bene ve ne
faccio sentire uno al quale lei è molto affezionata, questo
(prendendo in mano il disco e ponendolo sul giradischi, parte la romanza della
Carmen “Abba nera”)
E’ un’incisione del concerto che tenne il 19 Dicembre 1958 all’opera di Parigi,
uno dei più grandi concerti di tutti i tempi, fu trasmesso sulle televisioni di
tutta Europa. Pensate, c’erano fra gli altri :Charlie Caplin, Brigitte Bardot,
Emile de Rothschild, Juliette Grèco, Francois Sagan, i duchi di Windsor, Jean
Cocteau,gli ambasciatori di Stati Uniti e Russia, il comandante della Nato,
Aristotele Onassis.
Aristotele Onassis, la mattina di quel 19 Dicembre, tra i fasci di fiori che
Madame si vide recapitare, c’era un enorme mazzo di rose rosse con un
bigliettino scritto in greco che portava la firma
Aristotele Onassis
Seguì all’ora di pranzo un altro mazzo, sempre scritto in greco con la firma
Aristotele
E la sera prima che la signora si recasse all’opera un terzo mazzo, un terzo
bigliettino e questa volta la firma…
Non c’era.
La signora dopo averlo guardato a lungo esclamò
“com’è romantico.”
Nel pronunciare queste parole la voce di Madame vibrava di un’emozione
inconsueta.
Alla fine dello spettacolo una lunga processione di personaggi omaggiava la
signora e tra i primi apparve lui.
Tarchiato, capelli neri, colorito olivastro, aveva in tutto e per tutto il
fisico e l’aspetto di un contadino greco, e diciamolo francamente…brutto, eppure
nel suo smoking era così elegante, così affascinante, che guardandolo non
pensavi più al suo aspetto fisico, almeno a noi donne capita così.
Io penso che quella fu la sera che divise in due la vita di madame, aveva 34
anni, era la cantante lirica più famosa del mondo e quella sera...quella sera
aveva incontrato l’amore.
Lo rincontrò a Venezia ad una festa, io non andai, restai a Sirmione con Emma,
la governante di Sirmione, è tanto una cara donna, fa molto bene il suo lavoro e
non ha voglia di andare a teatro, lei stava a casa a Sirmione, credo che stia
ancora lì, non venne mai a Milano. Insomma per farvela breve a quella festa il
signor Onassis e sua moglie Tina, invitarono la Callas ad una crociera sul loro
yacth, il Christina.
Madame non disse subito si, ma dopo gli impegni che aveva a Londra, dove Onassis
diede un ricevimento in suo onore che fu l’evento mondano dell’anno, di quella
sera si conserva anche una fotografia, la signora abbracciata col sig. Onassis
da una parte e il sig. Meneghini il marito dall’altra, una foto profetica.
(la cerca nella raccolta di articoli e la mostra)
Eccola.
Dopo gli impegni a Londra dicevo, ci recammo a Montecarlo, dove ci imbarcammo
sul Christina.
C’erano: sir Winston Churchill, la moglie e la figlia oltre al loro canarino ad
un segretario e a due domestici con i quali non legai affatto perché erano
sinceramente antipatici, fra gli altri anche il sig. Umberto Agnelli con la
moglie. Il principe Ranieri ci salutò dal porto quando il Christina salpò.
Io non credevo ai miei occhi, il Christina era un palazzo galleggiante,
gigantesco, poi il lusso che c’era, no che non ne fossi abituata, perché stando
con la signora potete capire che non c’e mai mancato niente, ma quella nave era
un monumento alla ricchezza, balaustre di lapislazzuli, accessori d’oro
massiccio in tutti i bagni, bambole disegnate da Dior per i bambini, un dipinto
di El Greco nello studio di Onassis, un Budda tempestato di pietre preziose,
stanze da bagno rivestite di marmo e lussuosi spogliatoi per gli ospiti, nel
salone c’era il caminetto, e addirittura una piscina con la riproduzione di un
mosaico del palazzo di Cnosso a Creta.
L’equipaggio era composto di una sessantina di persone e comprendeva marinai,
domestici e due cuochi, uno Francese e uno Greco. Ho mangiato delle cose su
quella nave che non ho mangiato da nessun’altra parte, mentre Madame, continuò a
mangiare carne quasi cruda e insalata scondita. A madame avevano dato la Itaca
Suite, ed al marito una cabina adiacente, era stata madame a chiedere cabine
separate. Anche la mia cabina era grande, si trovava due porte distanti da
quella di Madame. Misi in ordine tutta la roba di Madame negli armadi che avevo
a disposizione, tanti, un ordine perfetto, in questo madame non transige, tutto
deve essere riposto in modo ordinato, preciso, catalogato con le date in cui
sono stati indossati, e con chi si trovava Madame quando ha usato, borse,
scarpe, guanti, cappelli, vestiti, gioielli eccetera eccetera. Così che tutto è
di facile reperimento, e questo ovunque ci troviamo, a casa a Parigi in un
qualsiasi albergo o anche solo a teatro, per questo io sono necessaria, anzi
indispensabile, senza di me madame non saprebbe veramente come fare.
Insomma sistemai tutto negli armadi.
Avrete capito che Madame era fortemente attratta dal sig. Onassis, e da quando
stavo al suo servizio non era mai stata tanto felice, era un vero piacere starla
ad ascoltare, vederla sorridere, era raggiante.
Onassis l’aveva cinta d’assedio, stavano sempre insieme a chiacchierare, ridere,
divertirsi. La casa galleggiante dirigeva ad Atene, ma prima che il Christina
gettasse l’ancora nel porto di Pirro apparve chiaro che gli dei dell’Olimpo
avevano ormai deciso da che parte stare.
(inizio strumentale della romanza “lucevan le stelle” da “Tosca”)
Il mare si gonfiò, il cielo si fece burrascoso, il sig. Meneghini e quasi tutti
gli ospiti si chiusero nelle cabine, lasciando madame e il sig. Onassis da soli
nel salone a contemplare i lapislazzuli del fuoco che scoppiettava nel camino,
nessuno sa ciò che accadde, ma si fecero le ore piccole. La signora quella notte
non tornò a dormire nella sua cabina.
La mattina seguente durante la colazione il sig. Battista mi chiese se Maria
s’era svegliata, gli risposi che stava ancora riposando, lui andò subito a
vedere nella Itaca suite e non la trovò, cercò su tutta la nave, la trovò al bar
col sig. Onassis, le fece una scenata furibonda. Quella sera sul ponte del
Cristina mentre si consumava l’aperitivo, guardando Madame che rideva con
Onassis il sig. Battista a mezza voce mi sussurrò:
“Sai Bruna, il Christina sarà la sua tomba”.
Le scenate si susseguirono fino alla fine della crociera fu allora che la
signora mi consegnò un bracciale da conservare, era un braccialetto d’oro con su
incise le lettere T.M.W.L. Poi, la signora mi spiegò che significava to Mary
with love, a Maria con amore.
La crociera era finita, Tornati a Milano il sig. Battista decise di andare a
Sirmione, Madame Ferruccio ed io rimanemmo a Milano, avremmo dovuto raggiungerlo
in seguito, Madame di nascosto continuò a frequentare il sig. Onassis in quel
periodo, più volte quando telefonava a casa il sig. Battista rispondevo io e gli
dicevo che la signora non c‘era mentre era di là col sig. Onassis.
A metà agosto madame decise di andare a Sirmione insieme al sig. Onassis e dire
tutto al sig. Battista. Gli telefonò prima e glielo chiese. Era il 17 agosto
1959, un Lunedì. Alcune date è difficile scordarsele. Io ero seduta avanti con
Ferruccio che guidava, dietro c’erano madame e il sig. Onassis. Avevano una
bottiglia di whisky con loro, quando partimmo era intera quando arrivammo era
vuota, madame ed il sig. Onassis erano ubriachi, il sig. Ari salutava la servitù
gridando, arrivò anche il sig. Battista. Entrammo in casa. Erano le 20.00.
La signora pretese che venisse acceso il fuoco nel camino, faceva caldo il 17
agosto, con i rami d’ulivo che ardevano l’atmosfera divenne incandescente.
Alle 21.00 si misero a tavola, madame mangiò il solito il sig. Onassis non
mangiò quasi nulla, il sig. Battista mangiò di buon appetito:
“A te, Battista, nessuna circostanza fa perdere né sonno né appetito”. Disse la
signora. Poi si alzò e fece visitare la villa al sig. Onassis. La signora mi
aveva chiesto di restarle vicina e di reggerle i due barboncini Toy e Tea,
Cominciammo il giro della villa, mi ricordo un particolare curioso, il sig.
Onassis continuava a chiamare il lago di Sirmione il lago di Ciprione, anzi
disse al sig. Battista
“Come hai potuto portare a vivere Maria vicino a questa pozzanghera di
Ciprione?”
Non so se lo facesse per disprezzo o per ignoranza, il sig. Onassis non era una
persona acculturata.
Finito di visitare la Villa ci sedemmo in giardino che era già l’una di notte,
il sig. Battista continuava a provocarli, la lite era nell’aria si sentiva come
si sente l’uragano quando sta per arrivare, a farla esplodere fu il sig.
Battista disse esplicitamente che lo stavano assassinando.
Il sig. Onassis gli rispose che era malvagio e che desiderava la loro
infelicità.
La signora scoppiò a piangere.
Il marito cominciò a chiamarla sgualdrina.
Ad un certo punto anche Onassis si mise a piangere, un pianto diabolico, era
disperato, implorava perdono ma non poteva perdere Maria:
“si sono un disgraziato, un ladro un assassino ma sono anche l’uomo più ricco
della terra, e Maria è mia, nessuno può levarmela.”
Dopo un momento di gran tensione, perché il sig. Battista minacciò di picchiare
il sig. Onassis, seguì la calma.
Il temporale si stava allontanando, il sig. Battista se n’andò a letto.
Erano le tre del mattino.
Noi restammo giù in giardino fino alle cinque, a quell’ora la Signora Andò su in
camera del marito, ne scese quasi subito. Salutai la Emma, che era la governante
di Sirmione, ci mettemmo in macchina e andammo via.
La signora era innamorata del sig. Onassis, e chi ama può capirla, sì, al sig.
Battista voleva bene, ma l’amore è un’altra cosa, l’amore è quella luce che
riesce ad illuminare solo l’oggetto amato, il resto è ombra.
E poi La signora è un mito, ed un mito non può essere sposata ad un uomo che non
conosce le lingue.
Un mito s’accompagna ad un altro mito, per quanto detestabile devo ammettere che
il sig. Onassis era l’uomo più ricco e mitico del mondo. Così cominciò una nuova
vita, che periodo felice che fu per madame, sempre col sorriso sulle labbra, un
sorriso che irradiava gioia e felicità in tutta la casa.
Purtroppo non tutto si può avere dalla vita, ad una gioia segue sempre un
dolore, è una regola che tutti conosciamo fin troppo bene, non è vero? E le
disgrazie non arrivano mai da sole, sono come i pugni dei pugili, dice sempre la
signora, se uno abbassa la guardia e prende il primo pugno poi prende anche il
secondo ed il terzo, finché va a tappeto, poi se ce la fa si rialza e
ricomincia, altrimenti…
In novembre andammo negli Stati Uniti, madame aveva due concerti, uno a kansas
City e uno a Dallas. Intanto aveva intrapreso una battaglia legale col sig.
Battista per avere il divorzio che non voleva concedergli. Cantò a Kansas City,
tornammo in Europa, ripartimmo e arrivammo a Dallas il 5 novembre che era il
giorno prima dello spettacolo. La sig. doveva cantare Lucia di Lammermor.
La mattina del sei si presentò nella suite di madame il direttore del teatro,
non è facile dire ad una primadonna che la sartoria italiana non aveva spedito
gli abiti perché qualcuno non aveva saldato un vecchio debito.
La signora dovette arrangiarsi a cantare con un costume da corista messo a
disposizione dal teatro, io passai tutto il giorno ad attaccare perle su
quell’abito.
(Scena della pazzia di Lucia di lammermoure)
Alla fine riuscì ad andare in scena, ma alla fine dello spettacolo, dietro le
quinte dove l’aspettavo per coprirla con l’accappatoio, lei mi afferrò le mani e
immerse le sue lunghe unghie nelle mie carni, era sconvolta, non era arrivata a
prendere un mi bemolle sovracuto, il pubblico chiaramente non si era accorto di
niente, lei abilmente aveva eseguito una scala discendente buttandosi poi giù,
le solite ovazioni, ma alla fine della replica stringendomi forte la mano mi
disse disperata:
“è l’inizio della fine della mia carriera”.
Poi come se la scena della pazzia non fosse ancora finita cominciò a dire ad
alta voce:
“ma cosa è successo, cosa? La nota ce l’avevo, eccome se ce l’avevo”.
Si fermo di colpo inspirò profondamente ed emise cinque mi bemolle consecutivi,
mentre tutti la guardavano ammutoliti.
Quella notte non riuscii a prendere sonno perché la signora piangeva, era amaro
sentire piangere una donna dall’apparenza così forte, era la prima volta che la
sentivo piangere.
Pianse per tutta la notte.
In quell’autunno si esaurirono gli ultimi appuntamenti che aveva contrattato il
sig. Battista, fu celebrato il processo col quale divorziava consensualmente e
Tina Onassis chiese il divorzio dal marito, sembrava che un nuovo matrimonio
s’affacciasse per la signora, il matrimonio con l’uomo più ricco della terra.
Lo so cosa state pensando, che lo faceva per i soldi, che era impossibile
innamorarsi di uno come Onassis, ma non era così, la signora non è mai stata
sprecona, proprio in quel periodo voleva comprare un televisore, credetemi è una
spesa che poteva ampiamente affrontare, anche senza l’aiuto di Onassis eppure
telefonò ad un suo amico per chiedergli di farle fare uno sconto.
Certo col sig. Onassis si entrò nel mondo delle favole, la signora era la
padrona sul Christina, e l’equipaggio prese a volerle bene.
Anche sul Christina regnava una disciplina ferrea. Tutto andava come in un
sogno, trascorse del tempo, non so dirvi quanto, un tempo irreale, sembrava non
finisse mai e a guardarlo oggi pare sia durato un battito di ciglia, un sogno, e
quel sogno lentamente si trasformò in un incubo, purtroppo però si era già
compiuto il peggio, la grande sacerdotessa della musica, adorava un uomo, e per
quell’uomo si sarebbe immolata sull’altare dell’amore. La signora non chiese mai
ad Onassis... si insomma, non gli chiese mai di sposarla, forse però avrebbe
dovuto, ma oramai...
Con tutti i soldi che aveva…Non era un grande uomo, non sapeva cosa voleva dalla
vita, cosa cercava? Non ci crederete ma detestava la lirica, andò pochissime
volte a sentir cantare madame, sì che da quando lo conobbe cantò poco, però. Poi
cominciò a trattarla male, un pomeriggio, c’erano delle persone che volevano far
girare un film a madame, ma il contratto volle curarlo il sig. Onassis, non
ricordo bene se c’era anche il sig. Zeffirelli, bah! Insomma madame ad un certo
punto espresse un’opinione, ed il sig. Onassis gli intimò di stare zitta
“Zitta, devi stare zitta, cosa vuoi capire tu di queste cose? Tu sei solo una
cantante di piano bar”
Io ho sperato che madame prendesse una bottiglia e gliela spaccasse in testa,
invece...si alzò e se n’andò in un’altra stanza.
Una cantante di piano bar...a Maria Callas...ci pensate alla bestialità che
disse?
Ahi! Quanto amaramente le costò e le costa quel sogno, solo un uccellino felice
può cantare, e madame è felice solo quando è vicino al sig. Onassis, nonostante
tutto.
Cominciò ad avere seri problemi vocali, la perdita di peso si faceva sentire a
distanza di anni, una condizione emotiva molto fragile le rendeva pressoché
impossibile cantare, non si allenava, non si esercitava, non si riguardava,
voleva vivere, vivere il suo sogno d’amore, ma quando le proposero di cantare
nell’agosto 1960 ad Epidauro, nel mitico teatro greco, il sig. Onassis
insistette per interessi suoi di prestigio e lei per fargli piacere accettò.
Avrebbe cantato “Norma”.
Il 23 Agosto il teatro era gremito fino all’inverosimile, ma un improvviso
acquazzone impedì il concerto, ventimila persone si riversarono fuori dal teatro
cercando rifugio nelle automobili, negli autobus, nelle imbarcazioni, ma il
diluvio non si placò.
Tornarono il giorno successivo. Il 24 non pioveva, madame era una corda di
violino, prima di andare in scena mi guardò e mi disse:
“prega per me Bruna” ed io pregai.
Appena Maria apparve in scena in ventimila balzarono in piedi, il fervore
artistico e patriottico confluirono in uno dei più grandi applausi che Epidauro
abbia mai sentito. Era come se tutti gli spettri della gloriosa Grecia si
fossero presentati all’appello in quel momento magico.
Il sig. Onassis era in prima fila.
Madame cominciò a cantare.
(Parte in sottofondo da Norma l’aria “Casta diva”)
Nell’arco di una vita c’è dato di vedere molte grandi cose in teatro, ma niente
è paragonabile a “Norma” cantata da Maria Callas quella sera. Aveva trasportato
se stessa e il pubblico al di là dei confini di un reame che si trovava ben
oltre la vita e l’arte d’ogni giorno.
Sotto la volta del cielo Greco trapuntato di stelle le posarono sul capo una
corona di foglie d’alloro.
Quando gli applausi, che a un certo punto erano sembrati non aver mai fine, si
rassegnarono a cessare, il silenzio sembrò pervaso non da gioia o da
esaltazione, ma da una sorta di timore reverenziale, come se ci si trovasse in
chiesa, di fronte alla divinità.
Nonostante tutte le difficoltà della voce, riuscì a compiere un miracolo.
In camerino quando arrivò il sig. Onassis madame gli si buttò al collo in
lacrime, “tu solo puoì capire quello che ho vissuto stasera”.
Vi assicuro che non so se lui capisse, ma io certamente lo capivo, signore se lo
capivo.
(Squilla il telefono che interrompe bruscamente la musica)
Chiedo scusa,
(rispondendo)
(in francese) pronto, madame non è qui...(in italiano) certo che parlo
l’italiano, dicevo che la signora non è in casa…..si dovrebbe tornare a
momenti…. Certo, quando torna riferirò….grazie, grazie”
Ultimamente madame non ha molta voglia di incontrare persone, in molti la
cercano, soprattutto vogliono farle delle interviste, ma lei è schiva, non le
va, ha troppo da fare.
Sono stanca di rispondere sempre alle stesse domande, ha voce, non ha voce…non
ha affatto voce, ma sa trattare così bene il suo respiro ed effondere con esso,
in una musicalità meravigliosa, una pura anima di donna, che quando canta non si
pensa più né al canto né alla voce.
Non vi preoccupate, sarà qui a momenti, vedrete, sarà successo qualcosa ma sarà
qui a momenti, vedrete.
Certo madame ha dei problemi alle corde vocali, è inutile negarlo, d’altronde lo
ammette anche lei.
Una sera alla Scala, era un grande ritorno, non cantava a Milano dal 58, aveva
implorato Aristo di esserle vicino, ma lui preferì starsene a Montecarlo, il
sig. Onassis odiava l’Opera, madame era affranta per questo, quella sera insomma
la voce di madame non era in piena forma, e quando intonò l’aria del primo atto
“dei tuoi figli la madre”, con la quale Medea supplica Giasone di ritornare a
lei ed ai loro figli, ebbe addirittura un mancamento, la sua voce apparve troppo
debole, priva insomma dell’impeto richiesto per raggiungere un’adeguata
intensità espressiva.
(“crudel” da Medea)
Dalla galleria scese una spaventosa bordata di fischi, un vero tifone che si
abbatté su tutto il teatro. Madame continuò a cantare imperterrita, finché
giunse alla parola
“crudel!”
Dopo il primo smise letteralmente di cantare, fissò la galleria da dove
provenivano i fischi, si fece un silenzio pesante, nessuno osò respirare a
cospetto della grande Callas, nessuno.
Lei cantò nella direzione della galleria il secondo
“crudel”.
Protese il pugno pronunciando
“ho dato tutto a te”.
Il pubblico è ingrato, è pronto ad osannarti ed un attimo dopo a distruggerti,
il pubblico ha scarsa memoria, e se ieri eri una gloria, oggi non sei nessuno.
Eppure madame ama il pubblico, alla fine di quella recita mentre si struccava:
“Sai Bruna cosa pensavo mentre li guardavo? Pensavo: sentite, questo è stato il
mio palcoscenico e lo sarà finché vorrò. Se ora voi mi odiate, io vi odio
altrettanto”.
Questo mi disse ma mentre lo diceva gli occhi le si gonfiavano di lacrime poi mi
guardò e aggiunse:
“Mi manca tanto”.
Avrei voluto abbracciarla, ma non lo feci. Quanto l’ha fatta piangere, tuttavia
credo che, anche se a modo suo l’amasse, ma era strano, si divertiva a
denigrarla senza posa, forse ne era invidioso, era invidioso del fatto che
madame con la sua arte riesce a smuovere il mondo intero mentre lui per stupire
il mondo doveva affidarsi ad altre persone, forse per questo la volle vicino,
spesso le ripeteva:
“Chi sei tu? Non sei nessuno, sei una donna con un fischio in gola che per
giunta non funziona più”.
Eppure madame sopportava, non lo voleva perdere, e fino a che punto lo amasse
l’ho capito da un episodio che avvenne nell’estate del 1966.
Io so quanto madame desiderasse un figlio.
“Voglio vivere, voglio avere un figlio”, quante volte l’ha detto!
Quell’estate a quarantatré anni rimase incinta, quando me lo diceva piangeva
dalla gioia, Dio quant’era felice.
“Un figlio, un figlio capisci Bruna? Un piccolo bambino tutto per me, non vedo
l’ora che torni Ari per dirglielo.”
Ed Ari tornò, Glielo disse nella stanza da letto, non volevo origliare, ma lui
gridava così forte che ascoltai, mio malgrado:
“Toglitelo dalla testa, non lo voglio, non ne voglio neanche sentire parlare,
anzi ti avverto, se decidi di tenerlo non mi vedrai mai più.”
Andò via sbattendo la porta.
Andò ad ubriacarsi nel bar di quella nave che diveniva sempre più la tomba di
madame, come aveva profetizzato il sig. Battista sette anni prima. Non date
retta alle voci dell’ultima ora, io non ho parlato con nessuno, e poi a che
servirebbe dirlo? Alla fine il risultato sarebbe quello. Purtroppo la signora
non ebbe figli.
Abortì.
E’ difficile dire, descrivere i pensieri, i sentimenti, di una donna che ama
perdutamente un uomo e che per colpa dello stesso ha perduto l’unica possibilità
di avere un figlio, forse una donna che ama, che ha amato un uomo, sa
comprendere, io non ho mai conosciuto l’amore, faccio fatica a capire.
I dissapori fra loro cominciarono sempre più a manifestarsi.
Quando le cose stanno per cambiare pare che nell’aria si sente un odore strano,
i colori cambiano, le facce si trasformano, i fatti, accadono con una cadenza
innaturale, direi teatrale, la luce da agli oggetti un aspetto sinistro, è così
che ricordo il mondo in quel periodo.
La necessità di avere una casa per madame si fece sempre più pressante, infatti,
comprò casa a Parigi.
In Italia non se la sentiva di tornarci, troppi ricordi, il periodo glorioso, La
Scala, il sig. Battista, Il maestro Tullio Serafin, Visconti.
Madame certo è grata a queste persone, deve molto a loro, ma la storia dei
grandi è nelle loro mani, la grandezza della Callas è nella Callas.
Di fatti quando si separò dal marito e in tanti fra soprani, contralti, ma anche
tenori, baritoni, andarono dal sig. Battista per chiedergli di essere seguiti,
lui rispondeva:
“ voi datemi la voce, la tenacia, la forza di volontà e il fascino della Callas
e il resto ce lo metto io”.
Certo deve molto a tante persone, e madame lo sa, ma sa anche d’essere Maria
Callas, la leggenda.
Ma se lei è una leggenda, la sua vita ricorda tanto una tragedia greca, ad
Onassis non gli bastava d’averla così gravemente ferita negandole quel figlio
che per lei avrebbe rappresentato la vita, ma si apprestava quasi a distruggerla
tradendola con un’altra donna. Non una delle sue donnette, Madame si era ormai
rassegnata alle scappatelle del porco...chiedo scusa del sig. Onassis,
“solo una donna greca può capire”
quanta tristezza aveva negli occhi quando lo diceva!
( bussano alla porta)
Eccola, eccola. Deve essere arrivata grazie a Dio…
(Va per aprire, prima della porta si ferma)
Vi raccomando non le dite che abbiamo parlato, poi…poi glielo dico io.
(Apre la porta e non c’è nessuno, a terra delle buste della spesa, le prende)
Era il garzone dell’alimentari, facciamo la spesa per telefono, a Madame non le
va di uscire.
In tutta la sua debolezza e fragilità, nella sua spasmodica richiesta d’amore,
Madame innalza il suo canto che la rende divina. Una dea greca. Quale altro
destino doveva sperare se non quello di unirsi in matrimonio ad un Dio greco per
ascendere all’eternità dell’Olimpo?
Invece.
Era il 1968, Quando esattamente venne in mente ad Onassis Dio solo lo sa, sta di
fatto che nel maggio di quell’anno Jackie Kennedy, come immagino sappiate era la
moglie o meglio la vedova di Jhon Kennedy, beh, Jeckie Kennedy nel maggio di
quell’anno maledetto salì sul “Cristina” per una crociera nei Carabi, ovviamente
invitata da Onassis, da quando l’aveva conosciuta nel 63 – anno della morte del
marito- le aveva fatto lunghe telefonate da ogni parte del mondo, Madame lo
sapeva, ma faceva finta di niente, fino a quel maggio. Madame ed io restammo a
terra.
“Le avranno dato la Ithaca suite”
Mi diceva, era la stessa nella quale era stata accolta madame, e guardando
l’orologio:
“adesso sono sul ponte per l’aperitivo – adesso stanno cenando, la servirà
Giulio”.
Eppure il peggio doveva ancora venire.
In agosto tornammo sul Cristina, un giorno a pranzo Onassis si rivolse a Madame:
-Devi tornare a Parigi, Maria. Aspettami là, capito?
-A Parigi in agosto? Sei impazzito?
-Ci devi andare ho detto.
-In agosto a Parigi? E perché, come sarebbe a dire?
-Non sarò solo, non puoi restare a bordo.
- Perché non posso restare? Chi ci sarà?
(in sottofondo si sentirà “amami Alfredo” dalla Traviata)
Si fece un silenzio pesante, quell’attimo che parve infinito, come se negli
occhi di Madame passassero in rapida sequenza tutti gli anni trascorsi con
Onassis, nove per l’esattezza. Quali tempeste si agitassero nel suo animo Dio
solo lo sa, poi ruppe il silenzio, sempre nella sua regalità teatrale:
“Ti lascio.”
Ed Onassis rispose
“ci vedremo in settembre, dopo la crociera.”
“No, non hai capito, ti lascio, per sempre. Non mi vedrai mai più.”
Arrivammo a Parigi, Madame era pazza di collera e di dolore. Io rimasi a Parigi,
Madame andò prima a New York, da li raggiunsero il Colorado, poi andarono a
Santa Fe, da Santa Fe a Las Vegas da Las Vegas a Los Angeles da qui a
Guernavaca. In tutto questo naturalmente la sentivo tutti i giorni, mi chiamava
ogni venti minuti per sapere se - Lui - aveva chiamato. Un giorno mi chiamò e mi
disse di raggiungerla immediatamente. A Dallas era caduta, non si sa bene come,
rompendosi due costole. La accudii personalmente, non permisi a nessuna
infermiera della clinica dove si era ricoverata di metterle le mani addosso,
madame è un mito, ed un mito non può essere lavata da una infermiera d’ospedale.
Le costole furono immobilizzate e la costrinsero a rimanere una settimana ferma
in clinica. Non scorderò mai quelle notti, nonostante i sonniferi faceva una
gran fatica ad addormentarsi:
“Bruna”
Diceva
“Nove anni, nove anni di vita ritirata, di vita umiliata, Bruna tu hai visto
come mi trattava, ti rimangono addosso, non te ne liberi in due mesi, no…Una
persona seria, una persona di carattere che ti prometta o ti assicura una
relativa felicità deve tener fede al suo impegno…e alla fine invece che mi
resta? Neanche tante grazie per questi nove anni, nemmeno un’amicizia, come
potrebbe essere mio amico, dopo avermi umiliata così? E’ facile dire di -
dimenticalo e non portare rancore - io non provo rancore, provo dolore. Bruna”
Diceva
“Non voglio più coltivare illusioni, la felicità non fa parte del mio destino.
Un mese dopo, noi eravamo a Parigi, quando Onassis e Jackie Kennedy si sposarono
a Skorpios. Come piangeva Madame guardando la televisione, lo speaker diceva che
sul contratto di matrimonio c’era specificato anche quante volte alla settimana
dovevano fare sesso.
Qualche giorno più tardi squilla il telefono, vado a rispondere e non credevo
alle mie orecchie:
“Bruna passami Maria”
“Un momento signore, vedo se Madame è in casa”
- “Madame, è lui, è il sig. Onassis”
- “Digli che non ci sono”
Si era pietrificata, tornai al telefono
- « Madame n’est pas ici.»
Poi arrivarono fiori, poi ancora telefonate, telefonate di amici, e ancora
fiori, insisteva il mascalzone, poi una sera sentimmo chiamare dalla strada
- “Maria, Maria, lo so che sei in casa, aprimi o sfondo il portone con la mia
Rols Roys.”
Per evitare uno scandalo Madame mi fece aprire, Lui venne su, lo feci accomodare
nel Salon Rouge, Madame lo fece attendere lungamente, poi entrò in quella
stanza, non so cosa si siano detti, dopo poco il sig. Onassis in silenzio ne
uscì ed andò via.
Tornò a pranzo, e poi riuscirono insieme, ritornarono a cenare da Maxim. Il
cuore di madame ricominciò a palpitare di speranze, la sera dopo avevamo diversi
invitati a casa fra cui Onassis, ma lui non venne, una amica di madame la chiamò
dicendole di averlo visto da Maxim a cenare con Jekie, alla fine della serata
madame entrò nella sua camera da letto e credo abbia esagerato con i sonniferi,
perché cadde in uno stato di torpore che ci mise paura a tutti. Fummo costretti
a portarla in clinica, dove si riebbe solo il giorno dopo. Si arrabbio molto con
me perché l’avevo portata in clinica, ma mi ero messa tanta paura…Purtroppo era
tardi, la notizia era trapelata ed una radio privata diede la notizia che Maria
Callas aveva tentato il suicidio.
A casa caddero centinaia di fascidi rose rosse.
“Non mi era mai capitato di ricevere tanti fiori senza aver cantato”
Era felice, si vedeva che le piaceva rendersi conto che c’era tanta gente che le
voleva bene.
(Sfogliando l’album degli articoli)
Ecco, vedete l’articolo! Era il 1969, Poi infatti ci sono gli articoli del film
che ha girato con Pasolini… Medea.
Prima di accettare mi fece leggere la sceneggiatura, l’ho fatto con molto, molto
scrupolo, non c’ho capito gran che, però le ho suggerito di accettare, meglio
lavorare che stare in casa, non vi pare?
Madame si aspettava un po’ di più da quel film…mah! E’ andata così.
Le lezioni alla Yulliard school…i concerti con Di Stefano….
Tuttavia Madame pensava sempre a lui.
(sottofondo musicale. Dalla Madama Butterfly “Un bel di vedremo”)
Un’estate andammo in vacanza in Grecia, su di un’isola, era il 15 agosto, il
giorno dell’onomastico di madame, stavamo in spiaggia, Lei adora il sole, ad un
tratto vediamo arrivare un elicottero, atterrò vicinissimo a dove stavamo, ne
scese Lui, si avvicinò, attaccò due orecchini antichi alle sue orecchie, la
baciò, risalì sull’elicottero e scomparve. Proprio Come nelle favole.
Questa favola purtroppo, non doveva finire bene. Il signor Onassis si ammalò,
gravemente, e questo gli accadde dopo aver perso la prima moglie, Tina, che si
era sposata dopo il loro divorzio col suo peggiore rivale. Poi morì il figlio
Alexandros in un incidente aereo. Erano due brave persone.
Onassis cominciò a dare la colpa delle sue sciagure alla moglie, a Jekie, a
quella non le interessava nulla, solo dei soldi le interessava, pensate che nel
primo anno di matrimonio gli ha preso per le sue spesucce un milione di
dollari…me la chiamate moglie?
Madame in dieci anni non gli spese una sola lira, si pagò sempre i conti da
sola, ovunque andasse, questo lo può gridare chiaro e forte, non era certo per i
soldi che stava con Onassis.
In un certo senso era la giustizia divina che pareggiava i conti, certo mi
dispiace per Tina e Alexandros, ma hanno pagato per lui.
Eppure fino all’ultimo Madame gli ha dimostrato il suo amore, si è proposta come
àncora di salvataggio, perché io sono sicura che lui lo sapeva che Madame lo
avrebbe riaccolto.
Avevamo da poco terminato la tournée in Giappone, Era sotto natale, madame
ricevette la notizia della malattia di Onassis, Era una malattia irreversibile,
un morbo, anche se assicuravano che non era letale.
Nel Gennaio del 75 la sua condizione fisica precipitò, fu ricoverato a Parigi,
l’unica cosa che si portò in ospedale fu una coperta di lana di cachemire rosso
che la signora gli aveva regalato per il suo ultimo compleanno.
Fu operato in febbraio.
Io con la signora stavamo a Palm Beach, Madame era letteralmente scappata da
Parigi, non poteva resistere l’idea di non potergli stare vicino, anche se la
moglie andava in ospedale solo per mezz’ora al giorno, Madame non poteva certo
andare al suo capezzale, presa dalla disperazione una mattina svegliandosi mi
fece fare le valige e partimmo per Palm Beach. Era un sabato quando ricevemmo la
notizia che il signor Onassis era spirato. Quando lo apprese al telefono non
disse nulla, non pianse, non fece niente, si alzò si avvicinò al pianoforte e
cominciò a suonarlo, mi avvicinai:
“Maria vuoi qualcosa?”
E lei senza neanche guardarmi balbettò:
“Aristo non c’è più”
Il suo sguardo era assente, distante, lontano, già troppo lontano.
Tornammo a Parigi, giunsero telegrammi di condoglianze, a centinaia, “vedi Bruna
di colpo mi ritrovo vedova senza essere mai stata sposata.” Naturalmente non
andò ai funerali, Aristo fu seppellito a Skorpios, la loro isola. Qualche
settimana più tardi ci recammo su quell’isola, nella cappella dove, per ore
Madame, in lontani, roventi pomeriggi d’agosto, aveva seduto a pregare, riposava
il suo amore, l’unica vera ragione della sua vita.
La lasciai da sola, mi pare ancora di aspettarla davanti a quella chiesetta.
Scusate, ma anche voi sarete stanchi adesso, vedrete che sta per arrivare.
Certo negli ultimi tempi si è chiusa troppo in se stessa, non le va di uscire,
di fare vita mondana, ma continua ad esercitarsi, Beh, è chiaro che la morte di
Visconti, di Pasolini e del Padre la abbiano atterrita un po', levati loro resta
quasi sola al mondo, la madre e la sorella, la hanno fatta soffrire tanto,
veramente Madame non lo meritava.
Forse dovrebbe lasciarsi più andare, evitare di prendere tutte le pillole che
prende, pillole per dormire quando deve dormire, pillole per stare sveglia
quando deve stare sveglia. Le dico sempre che invece deve uscire di più, che la
gente la reclama, non è così forse? La gente vuole vederla, le vuole bene:
“mi piacerebbe uscire, passeggiare per le strade, essere Maria, ” “Ma ecco che
la Callas m’impone di comportarmi col dovuto decoro.”
Mi dice.
Madame parla come se la Callas e Maria fossero due persone diverse.
Ma perché non torna ancora?
(squilla ancora il telefono)
Pronto, si, sono Bruna Lupoli si, cosa vuol dire dopo la morte della Callas? Ma
come si permette, (gridando) ma cosa dice? Madame non è morta….mi lasci in pace.
(Riattacca. Come se non fosse successo nulla)
E’ stanca. Lotta da una vita. Da quando stava in Grecia, lotta contro i suoi
detrattori. La Callas ha voce, la Callas non ha voce, non ne ha di voce, mi
viene da rispondere, ma quando canta uno si ferma a sentirla e dimentica la
voce, l’intonazione, la musica e tutto il resto e si lascia trasportare….da un
angelo in paradiso! Ogni volta che la sento cantare mi ritrovo accanto mia
madre, mio padre, i miei fratelli, tutte le persone che amavo e che ho lasciato
per stare vicino a Maria, ogni volta mi dico che non poteva essere che così,
sono stata l’ancella di una vestale, proprio così, me lo dico ogni volta che la
sento cantare e la sento cantare tutti i giorni, ogni ora del giorno e la
sentirò cantare per tutto il resto della mia vita, perché ho respirato per lei,
pensando a lei ancora respiro.
Perché non voglio credere che sia…
Ma perché non torna?!
Una mattina bussai alla porta della sua camera da letto.
Non rispondeva nessuno.
Madame si sveglia piuttosto tardi.
Tutti i cantanti d’Opera lo fanno, altrimenti poi la sera non cantano bene.
Bussai alla sua camera e non mi rispondeva, erano già le undici, entrai
ugualmente, spostai come ero solita fare leggermente la pesante tenda di velluto
che oscurava la finestra e ne feci entrare un po' di luce, Madame si svegliò e
si mise a sedere sul letto, le portai la colazione, del succo d’arancia, -
preparami il bagno- mi disse, bevve il succo d’arancia e prese le sue medicine,
degli eccitanti per svegliarsi, aprii l’acqua calda per far riempire la vasca e
stavo per uscire, Madame si alza dal letto
(sottofondo musicale, dalla Gioconda di Ponchielli “Suicidio”)
E’caduta.
Corro ad aiutarla, la sistemo sul letto:
Maria chiamo un dottore?
Agita la testa in segno di diniego.
Perché no? Stai male, hai bisogno di un dottore.
Non voglio nessuno, sono stanca, Bruna capisci? Stanca
Si preme una mano sul petto, soffre, si vede, soffre tantissimo
E’ arrivato il momento Bruna, sistemami bene, non permettere che mi vedano in
queste condizioni, di te posso fidarmi, lo so.
Ma perché fai così chiamiamo un dottore, lasciamelo chiamare
Mi fissa con gli occhi che pare contengano tutto il dolore del mondo, non parla
più, agita una mano come per dire…ciao.
No, non è possibile, non è morta, no, non è morta, non può essere morta, non è
morta, che senso ho io senza di te? Maria, Maria, Maria.
La sistemai con un lungo abito grigio, una rosa e un crocefisso posati sul
petto, le palpebre serenamente abbassate, le labbra appena dischiuse, la lunga
chioma ramata che le incorniciava il volto esangue, era bella, appariva in pace,
aveva raggiunto il suo Aristo.
Seguì il frastuono del mondo.
I funerali.
Le aste.
Le sue ceneri furono sparse sul mar Egeo.
Ed io non sono riuscita a ritornare alla banalità della vita.
Sistemai le mie ultime cose a Parigi e venni a vivere qui.
Sento che la mia vita ha avuto un senso, una ragione solo quando ero vicino a
lei, per amor suo, per la sua arte.
(squilla il telefono)
Pronto…No grazie, non ho voglia di scrivere libri, non voglio intervista, non
sono in casa.
Anche voi Potete andare, la divina non tornerà neanche oggi.
Forse però non è mai morta, non è mai andata via.
TELA