I Vincitori
di
Roberto Puddu e Salvatore Poleo
opera depositata – cod. S.I.A.E. 156654
Lui – il reduce
Lei – la profuga
Il Guerriero
Sul palco una struttura simile al podio olimpico,
con i tre gradini per il primo, il secondo ed il terzo; solo le dimensioni sono
maggiori e sulle tre pedane si può muovere qualche passo, è anche più alta e,
stando seduti, ci si può comodamente appoggiare.
Le tre posizioni sono occupate: la più alta dal GUERRIERO, è un bel giovane con
indosso una divisa non identificabile composta da parti di divise di vari
eserciti del ‘900, è il solo pienamente illuminato, maneggia con cura e passione
una incongrua spada corta romana della quale saggia il filo con il dito, ma la
lama lo taglia e lui lecca con la lingua la stria di sangue.
In posizione due: LUI – IL REDUCE, barba lunga, cappotto liso, guanti di lana
senza dita, ai piedi scarpacce sfondate tenute insieme da brandelli di una
coperta, si soffia continuamente sulle mani, poi le stringe sotto le ascelle per
scacciare un freddo che sente solo lui, poi scende e si siede sul palco
appoggiando le spalle alla pedana e si raggomitola tremando.
In posizione tre: LEI – LA PROFUGA, anche lei indossa un cappotto simile a
quello di LUI, ma se possibile ancora più sporco, i capelli sono arruffati, il
viso pesto con segni di percosse, sotto al cappotto si indovinano i resti di un
vestito elegante strappato e sudicio, con le mani LEI si stringe il cappotto
addosso per coprire lo sfacelo che c’è sotto, è seduta sulla pedana si dondola
in un movimento continuo e inquietante nella sua meccanica ripetitività, si
lamenta piano e a volte da quei suoni indistinti emerge un brusco ordine: “Frau
Komm!”
IL GUERRIERO – (dopo aver finito di pulire e ripulire la sua lama, assume la
posa della Giustizia, poi non contento quella di un monumento al Condottiero,
soddisfatto si congela e declama) Gli slavi non sono esseri umani… sono i
portatori di un seme infetto, senza il minimo barlume di spiritualità… destinati
a servire, a servire noi: i vincitori, i fondatori di una nuova umanità, dal
sangue puro, che saranno a fianco degli dei il giorno non lontano dell’ultima
battaglia…(si spegne la luce su di lui , ma prima che si accenda sul reduce
sentiamo una cacofonia di marce militari , rombo di carri armati , aerei in volo
e l’inconfondibile rumore di un esercito che marcia)
LUI – (trema ancora dal freddo, poi quando viene maggiormente illuminato, sembra
calmarsi tende le mani ad un fuoco immaginario ed inizia a raccontare) Ero
proprio bello con la divisa, quando mi mettevano a far la guardia alla porta
della caserma a Milano… ero partito dal mio paese per fare il servizio militare,
un paese piccolo… in mezzo alla campagna, ora ero a Milano, Milano! Non mi
pesava fare la guardia, stavo impettito per ore nella mia bella divisa nuova e
guardavo, guardavo le automobili (al paese quando ne passava una tutti venivano
fuori dalle case o dalle botteghe, anche i bambini del catechismo uscivano a
guardarla) i tram… e la gente… e le ragazze! le ragazze! Con quelle gonne corte,
ma corte che si vedeva tutto un pezzo di gamba da sotto il ginocchio al piede…
per il mio buon stato di servizio mi regalavano il biglietto per la Scala o per
la partita… il cinema o la rivista (canta, con una bella voce piena di
malinconia Parlami d’amore Mariù…la voce si spegne in un singhiozzo).
IL GUERRIERO – 22 giugno 1941! le armate corazzate della Grande Germania con il
supporto di contingenti dei paesi alleati invadono l’Unione Sovietica sfondando
con un poderoso colpo di maglio le difese bolsceviche dal Mar Baltico al Mar
Nero. La marcia inarrestabile per la conquista del nostro Spazio Vitale ci
porterà in poche settimane a Mosca, a Leningrado, a Stalingrado! Il seme infetto
sarà estirpato dalla faccia della Madre Terra ed il più adatto, come è giusto,
dominerà per mille anni!
LUI – Dopo l’addestramento ero stato in Francia, poi in Jugoslavia… ai primi di
luglio arriva l’ordine di rientrare per prepararci a partire per la Russia… la
Russia! Oh Madonna… dov’è la Russia? Là da qualche parte… lontano… lontano dal
mio paese, dai miei vecchi, da Maria, la Maria sono già due anni che mi aspetta…
ci dovevamo sposare a maggio (risate, scampanio festoso, brindisi) e invece io
sono qua, che devo partire per la Russia, per fortuna ci hanno dato tre giorni
di licenza…
IL GUERRIERO – Partenza per il fronte russo, 14 luglio 1941
LUI - Verso le otto della sera finiamo di caricare sulla tradotta centinaia di
cavalli e cannoni, io ho in consegna un autocarro da combattimento per il
trasporto di una pattuglia d’osservazione e collegamento. Il mio gruppo è
comandato da un maggiore di Milano e da un capitano di Mantova (scatta
sull’attenti , si signore! comandi! Tutto come da ordini!)… siamo 250
artiglieri. Prima di partire il comandante ci raduna sul marciapiede della
stazione per farci un bel discorso, parla bene, pulito, senza errori…
IL GUERRIERO – (ripone la spada dietro la pedana, sorride bonario) Soldati!
durante il viaggio attraverseremo alcuni Stati alleati e quindi vi dovete
comportare bene, per l’onore della bandiera ! Vi voglio sempre educati e gentili
con le popolazioni che incontreremo… e ricordate che per chi sgarra c’è la Corte
Marziale…
LUI – Ci distribuiscono carne in scatola e gallette per il viaggio e poi la
tradotta parte… (rumore di un treno a vapore che si stacca dalla banchina, LUI
saluta con la mano) arrivederci… arrivederci… torniamo… torniamo! (in un
sussurro) ciao Maria… (riprende a narrare con voce normale) all’alba arriviamo
al Brennero. La tradotta si ferma una mezz'ora per il cambio della locomotiva.
Poi dopo altre ore di viaggio la tradotta arriva alla stazione di Vienna… un'ora
di sosta… i soldati addetti ai cavalli con i secchielli danno da bere alle
bestie (buono Morello! Buono…che tra qualche settimana si arriva, si vince la
guerra e si torna! Dai bevi che ci sono anche gli altri), altri invece vanno nei
bar per fare provvista di birra. Nel pomeriggio il treno passa lentamente su di
un ponte sul Danubio vicino Budapest e si ferma in attesa del disco verde per
entrare nell'area di smistamento. Una folla di gente sta sulla sponda del fiume,
chi prende il sole e chi fa il bagno appena si accorgono che siamo soldati
italiani in viaggio per il fronte russo alzano le mani salutandoci e gridando:
“Viva Hitler!”. Dopo qualche ora di sosta nell'area di smistamento la tradotta
continua la sua corsa verso est viaggiando tutta la notte ed il giorno seguente
in territorio ungherese. Poi si ferma in mezzo ad un bosco vicino al confine
romeno dove c'è uno scalo ferroviario fatto con travi di legno. Finito di
scaricare tutto il nostro materiale bellico continuiamo il cammino con i nostri
mezzi ed entriamo in Romania.
LEI – (durante tutto questo tempo è rimasta rannicchiata su se stessa, dorme, ma
il suo sonno è agitato da incubi, ogni tanto geme, ora si sveglia di colpo
urlando) Non vi avvicinate! No! No! Io sono Leni, io sono Gretchen, io sono Eva,
io sono tedesca! (piangendo ritorna nella sua posizione iniziale)
LUI - Dopo diversi giorni di cammino attraversiamo il confine russo facendo
tappa in Ucraina nei dintorni della città di Balta occupata dalle truppe
tedesche e romene all'inizio della guerra. La gente dei villaggi viene a
guardare chiedendoci sigarette (papiroska! papiroska tovarisc), ma difficilmente
ci si comprende; tutti i giorni si fa una marcia di 40 o 50 km per non
affaticare i cavalli che tirano i cannoni… si deve raggiungere il fronte dove i
tedeschi si stanno battendo… (spari , urla , ordini)
IL GUERRIERO - I tedeschi non sono esseri umani! D'ora in avanti il termine
tedesco è per noi tutti la maledizione più orribile, d'ora in avanti il termine
tedesco ci spinge a scaricare un'arma. Noi non parleremo. Noi non ci
commuoveremo. Noi uccideremo. Se nel corso di una giornata non hai ucciso
nemmeno un tedesco allora per te è stata una giornata persa. Se tu credi che il
tedesco invece che da te sarà ucciso dal tuo vicino, allora non hai capito il
pericolo, se non uccidi il tedesco sarà il tedesco ad uccidere te. Egli
arresterà i tuoi e li torturerà nella sua dannata Germania. Se tu non sei in
grado di uccidere con una pallottola il tedesco allora uccidilo con la
baionetta. Se nel tuo settore c’è tregua e non è in corso una battaglia allora
uccidi il tedesco prima della battaglia. Se lasci in vita il tedesco, il tedesco
ti impiccherà e disonorerà la tua donna. Se tu hai ucciso un tedesco allora
uccidine un secondo. Per noi non c'è nulla di più piacevole dei cadaveri
tedeschi. Non contare i giorni, i chilometri, conta solo una cosa: i tedeschi
che hai ucciso. Uccidi i tedeschi! Questo implora la tua vecchia madre. Uccidi i
tedeschi! Questo implorano i tuoi figli. Uccidi i tedeschi! Così grida la nostra
madre terra. Non perdere l'occasione! Non sbagliarti! Uccidi! I tedeschi
malediranno l’ora in cui calpestarono la nostra terra. Le donne tedesche
malediranno l'ora in cui partorirono i loro feroci figli. Noi non malediciamo.
Noi siamo sordi. Noi ammazziamo.
LUI - La mattina del 28 agosto verso le quattro del mattino, tre o quattro
commilitoni si alzano per fare il caffè quando un aereo russo vedendo un fuoco
nel buio sgancia delle bombe (esplosioni, LUI si butta a terra coprendosi il
capo con le braccia) esplodono vicino agli autocarri… noi autisti che eravamo
sopra i cassoni a dormire dallo spavento usciamo fuori correndo in mezzo alla
campagna, quando il maledetto aereo se ne va rientriamo tutti all'accampamento…
sul terzo autocarro dopo il mio due nostri compagni sono morti. Uno era un
radiotelegrafista di Milano, una scheggia gli ha staccato un braccio e poi è
entrata nello stomaco… (ha gli occhi sbarrati, guarda davanti a sé come se
vedesse i corpi mutilati dei suoi amici) l'altro è un autista di Novi Ligure
colpito da una scheggia alla testa. Il comandante ci ordina di scavare una fossa
sul ciglio della strada (rumore di pale che scavano) e dopo averli seppelliti e
messo una croce di legno con sopra gli elmetti rendiamo gli onori con le armi
(si mette nella posizione, con le mani ricrea il fucile e fa pum! Quattro o
cinque volte). Poi ci rimettiamo in cammino, ma nessuno ha voglia di parlare.
Ognuno pensa al suo destino… pensa a casa (una lunga pausa) Ci siamo! Zona di
combattimento! Verso la mezzanotte noi della divisione celere dobbiamo
schierarci lungo il fiume per un tratto di circa 30 km arrivando fino ad una
città per prendere il posto dei tedeschi che vanno a combattere in un altro
settore del fronte. Mentre con l'autocarro a fari spenti vado verso il fiume
incontro dei soldati tedeschi che gridano qualcosa…
IL GUERRIERO – (con un duro accento teutone) Italiani! I russi vi ammazzano
tutti!
LUI - (si mette dietro la pedana e sbircia verso il pubblico) per tutta la notte
dalla sponda del fiume si sente arrivare solo qualche colpo di fucile. Nelle
prime ore del mattino la vallata lungo il fiume è immersa in una fitta nebbia
che impedisce la visibilità. Quando il sole la dissolve comincia il fuoco
dell'artiglieria russa dall'altra parte del fiume… i miei compagni che hanno
nascosto i cannoni in un campo di girasoli rispondono al fuoco… in poco tempo la
nostra zona diventa un inferno (con la bocca ed il mulinare delle braccia tenta
di rendere l’idea di un fumigante caos di esplosioni poi si ferma ansimante e
senza fiato). Le granate scoppiano da tutte le parti e le schegge mi fischiano
nelle orecchie (fischia e abbassa il capo per non farsi colpire) per ripararmi
mi metto sotto il motore dell'autocarro… tra una ruota e l'altra… non penso a
che fine farei se una scheggia di granata incendiasse il serbatoio del motore o
i fusti di benzina di scorta o le casse di munizioni piene di proiettili e bombe
a mano. Per un'ora restiamo sotto il tiro violento dell’artiglieria nemica poi
cambiano bersaglio, il capitano del nostro gruppo profittando della tregua con
la moto fa un giro d'ispezione in tutti i nostri appostamenti sparsi nella
campagna… per il primo giorno di conflitto siamo stati fortunati: nessun morto…
soltanto qualche ferito. Visto che c'era calma penso di prendere una vanga e mi
scavo una tana sottoterra… così di giorno faccio la vita del topo… di notte esco
e vado a mangiare qualche scatoletta di carne… ho vent’anni… voglio vivere
(urla) voglio vivere! (ancora più forte) Vivere!
IL GUERRIERO – I Cavalieri dell’Apocalisse hanno voltato i teschi ghignanti e
sorridono al nemico… Lo hanno fatto... lo faranno... che importa? Importa
l’eternità del dolore ….
LEI – (sempre con quello spasmodico serrarsi delle mani che chiudono gli strappi
del cappotto da cui si intravedono lembi di pelle pesta e sanguinante, brandelli
di un vestito di pregio, gli occhi bassi, la voce sussurrante che ha sobbalzi e
scarti improvvisi, gli occhi bassi che quando si alzano si socchiudono per la
paura della luce, se toccano lo sguardo di un uomo (nel senso di maschio)
scartano come cavalli imbizzarriti, non si sa a chi rivolge il suo racconto a
tutti, a nessuno…)
Il 13 febbraio, giorno dell'ingresso dei sovietici in città, restammo in cantina
sino alle 20 indisturbate, poi sentimmo dei passi e tanto era il terrore che non
osavamo respirare… comparvero quattro soldati che dapprima si comportarono
sopportabilmente, presto però divennero un po' troppo intraprendenti verso di me
e verso una giovane signora che era con noi, all'improvviso ci chiamarono: ”Frau
Komm!”. Non risposi. Al terzo ordine, spazientito, il soldato mi afferrò per un
braccio e mi diede un calcio tale che volai sino alla porta della cantina. Un
altro malmenò la signora Keil e poi se la trascinò dietro costringendola a
portare con sé la figlia. Anche tua mamma e tua sorella dovettero andare. Cosa
poi ci capitò non occorre che te lo descriva… andò avanti tutta la notte sino al
mattino, una cosa bestiale. Io tornai per prima nella cantina e là trovai gli
anziani coniugi nostri vicini uccisi e con gli occhi strappati, si erano opposti
a lasciare andare con i soldati la cognata e il nipotino. Verso le 10 ci fu un
po' di tranquillità e ci recammo nell'appartamento della signora Keil la cui
figlia undicenne era stata pure violentata. Ci cucinammo qualcosa da mangiare,
ma in quel mentre udimmo nuovi passi e si ricominciò daccapo. Pregavamo,
urlavamo di lasciarci in pace, ma non avevano pietà. Ci accordammo allora di
impiccarci, ma ne sopraggiunsero altri. Quando finalmente anche costoro se ne
andarono eravamo pronte. Ognuna di noi si era procurata un coltello ed anche un
lenzuolo era pronto. La signora Polowski si impiccò per prima. La signora Keil
impiccò dapprima la sua bambina e poi se stessa, lo stesso fece tua mamma con
tua sorella. Restammo solo noi due: tua mamma ed io, la pregai di fare il cappio
anche per me, a causa dell'eccitazione non ci riuscivo… lo fece, ci abbracciammo
ancora una volta e spingemmo via con i piedi il bauletto sul quale stavamo. Mi
accorsi di toccare terra con la punta dei piedi, tua mamma mi aveva fatto la
corda troppo lunga, provai ancora e ancora perché volevo morire, ma senza
riuscirci. Guardai a destra e a sinistra: eravamo appese tutte su di una fila e
loro si trovavano bene poiché erano morte. A me non restò che liberarmi dal
cappio, cosa che mi riuscì dopo molti tentativi, ero sola e fuggii disperata.
Verso Danzica e poi Dresda. (la voce si è andata spegnendo… il GUERRIERO si
avvicina e le carezza il volto, è il primo contatto fra i personaggi e sembra
gentile, delicato, improvvisamente il GUERRIERO stringe con una mano la gola di
LEI che non fa nulla per liberarsi, marionetta disarticolata…ancora stringendole
la gola si raggomitolano insieme sulla pedana quasi a farsi ingoiare dalla
terra).
LUI - Nelle città e nei paesi da loro occupati i tedeschi iniziano ad ammazzare
gli ebrei. Un giorno mentre con l'autocarro attraverso la campagna per fare un
carico di avena per i cavalli vedo una colonna di camion tedeschi vicino ad una
grande fossa… mi fermo, scendo e mi avvicino… stando bene attento a non farmi
notare… da quei camion scendono uomini, vecchi, ragazzi e donne con in braccio
dei bambini appena nati… vengono accompagnati dai tedeschi vicino alla fossa…
poi con una mitragliatrice ammazzano senza pietà tutta quella povera gente
(tatatata – tatatata). L'unica colpa che avevano era quella di essere ebrei.
( SILENZIO, un lungo silenzio, a mala pena si sente il fruscio del respiro,
tutto immobile)
Arrivano le piogge, arriva il freddo, già agli inizi di ottobre il campo di
battaglia è un immenso pantano frustato dal vento siberiano… Sapete quel fango
non è come il nostro, da noi al massimo ti sporchi un po’ le scarpe… quello è
fango maledetto, maledetto come tutto il resto di quel postaccio, è nero,
pesante, sembra una cosa viva che tenta di risucchiarti all’inferno… splook…
splosc, splosc (tenta di rendere il suono di un risucchio) a quella baracca del
mio autocarro si era rotto un semiasse, prima che me ne diano un altro devono
passare settimane e intanto gli altri ricevono dagli americani milioni di carri
armati nuovi di zecca, con una corazza che puoi prendere a testate per
l’eternità senza farle un graffiettino… il mio reparto lo ritirano dalla linea
del fuoco per un periodo di riposo, bel riposo! A far la guardia ad un deposito
di munizioni… con il freddo, il freddo che aumenta sempre, sempre ogni giorno,
ogni ora, ogni minuto; poi di nuovo avanti verso il nemico: durante la notte
faccio servizio di vedetta in un tratto lungo la linea difensiva di circa 2 km
rimanendo scoperto non essendoci ripari. Il turno di vedetta è di un'ora…
mezz'ora per arrivare vicino alle postazioni tedesche e scaldarsi vicino al
fuoco e mezz'ora per il ritorno. Dopo pochi turni i miei compagni sono
ricoverati all'ospedale da campo per congelamento ai piedi. Di giorno invece
faccio servizio al rifornimento viveri con l'autocarro, vado alla stazione
ferroviaria dove arrivano i treni merci carichi di generi alimentari, il vino
nelle botti è ghiacciato e bisogna spaccarlo con una mazza di ferro e mettere i
pezzi nei sacchi. Qualche giorno prima di Natale arriva un treno merci carico di
ogni ben di Dio (assapora ogni cibo che nomina, lo sente in bocca, se la riempie
e fa fatica a parlare) caffè, zucchero, liquori, panettoni, torrone, cioccolato,
sigarette da distribuire ai soldati per le feste natalizie, mentre carico
sull'autocarro i pacchi assegnati al mio gruppo l'ufficiale di servizio alla
stazione apre la porta del vagone dove c'erano i liquori e trova i due militari
di guardia assiderati per aver bevuto troppo… ubriachi si sono addormentati per
sempre (china la testa e si abbandona scivolando con le spalle alla pedana).
LEI – (si libera con fatica dal Guerriero che le grava ancora addosso, il
Guerriero rimane disteso sulla pedana, LEI sale su quella superiore) A Danzica
era un grandinare di proiettili, le case crollavano una ad una in un ammasso di
calcinacci e ceneri. Nella notte molti cercavano di fuggire, un uomo venne
colpito in pieno e con carro e cavallo affondò così tanto nel terreno che i suoi
congiunti non trovarono resti da seppellire. Il fabbricato dove stavo fu
centrato in pieno e un'ondata di fuoco ci investì… a fatica riparandoci con un
panno umido la bocca trovammo una via di uscita e nel buio opprimente ed
incandescente ci lanciammo alla ricerca di un rifugio. Riparandoci dietro ogni
rialzo del terreno non facemmo a tempo ad entrare in un androne che la casa fu
colpita… cinque persone morirono sull'ingresso. Ci dirigemmo allora al grande
bunker… il materiale depositato bruciava ed esseri umani ardenti come torce si
precipitavano fuori di esso… abbandonammo ogni cosa e fuggimmo verso la centrale
del gas… la strada era disseminata di valigie, indumenti e persone ferite,
contorte, schiacciate… morte. Dopo numerose deviazioni vedemmo alla fine il
fabbricato ricoperto di ardesia in riva al fiume. Ci cacciammo all'interno e
trovammo un posticino in cantina... c'erano circa 2000 tra donne e bambini e
persone anziane… trascorremmo la domenica e il lunedì mangiando qualche pezzetto
di pane, l’aria era irrespirabile si sentivano solo singhiozzi, lamenti e pianti
di bambini.
Il nemico mise a ferro e fuoco la città… nessuna donna fu risparmiata… anche
sotto gli occhi dei mariti tenuti a bada con il mitra, ci si nascondeva, ma ci
trovavano egualmente; quando un giovanotto armato di una bottiglia rotta mi si
avvicinò e mi spinse in una cabina telefonica, io gli dissi (cerca di parlare
con una voce da vecchia): “Vecchia nonna grinzosa”, ma lui rispose: “Nonna
deve!”. In quel mentre una giovane madre con tre bimbi che cercava rifugio in
una cantina fu scoperta da un gruppo di soldati… uno dei soldati afferrò i
bambini per le gambe e li sbatté contro il muro… (tre schianti in rapida
successione, che si ripetono una, due , tre volte) Non dimenticherò mai quel
rumore… poi la donna fu violentata da tutti i soldati… alla fine fu solo capace
di trascinarsi via nel fango a quattro zampe, come un animale ferito.
IL GUERRIERO – (si è rimesso in piedi, sistemata la divisa ed il cappello, con
la mano spolverati i pantaloni, agilmente salta sulla pedana superiore dalla
quale spinge via LEI, che, docilmente torna su quella inferiore) E’ la vigilia
di Natale 1941. Nelle postazioni italiane tutto era pronto per festeggiare la
ricorrenza nel migliore dei modi. Verso la mezzanotte la maggior parte dei
soldati è radunata in qualche capannone per ascoltare la messa di mezzanotte
celebrata dai cappellani o trasmessa per radio dall'Italia… (marziale, mani sui
fianchi, tono da cinegiornale) Tre divisioni russe con due reggimenti di
cavalleria siberiana attaccano di sorpresa il nostro schieramento... i
combattimenti, violentissimi, continuano ancora all'alba di Natale quando i
soldati russi vengono avanti ad ondate successive calpestando i loro morti nella
neve.
LUI - Nonostante le gravi perdite il nemico a mezzogiorno occupa il paese dove
noi eravamo asserragliati, i primi a cadere prigionieri dei russi furono i
cucinieri del mio gruppo… in una casupola, sdraiati sulla paglia, c'erano una
trentina di bersaglieri feriti che attendevano di essere trasportati
all'ospedale… fatti prigionieri vengono uccisi dai russi con un colpo di pistola
alla testa (mentre descrive la scena con un utensile dal manico di legno batte
colpi secchi sulla pedana simulando gli schiocchi degli spari) e poi gettati
sulla neve insieme agli altri morti… compreso un giovane ufficiale medico che si
era fermato con i feriti per assisterli. La notte a causa della nebbia c'è una
tregua, ma alle prime luci del mattino del 26 dicembre i combattimenti
ricominciano con violenza. Arriva la tormenta! Il gelo a più di 40 sotto zero
paralizza i combattimenti lungo tutto il fronte. Passiamo il tempo in qualche
isba dal tetto sfondato, ricordando l’Italia, ma esistono davvero il sole, il
cielo azzurro, il sorriso della mia Maria? Scriviamo lettere d’amore che non
sappiamo se arriveranno mai… per festeggiare la fine dell'anno con i miei
compagni pensiamo di fare il cenone. Sapendo che sotto la neve ci sono molti
cavalli morti… con la scure taglio una coscia e la porto nella postazione vicino
al fuoco per sgelarla… la sera dopo mangiamo quella carne cucinata con patate e
aspettiamo la mezzanotte per brindare all'inizio del nuovo anno: il 1942, ma
arriva il tenente...
IL GUERRIERO – Quattro feriti da portare all’ospedale da campo! Subito!
LUI - Con l'autocarro a fari spenti seguo il sentiero nella neve segnato il
giorno prima da un automezzo cingolato tedesco, seduto al mio fianco ho un
caporale, i quattro militi feriti sono sdraiati sulla paglia dietro, sul
cassone. L'ospedale da campo è distante una ventina di km…. ne avevo fatto
appena un paio quando comincia a soffiare un vento siberiano che solleva
nell'aria turbini di neve che in poco tempo cancellano il sentiero, perdo
l’orientamento, tra il buio e quel vento maledetto e finisco in un cumulo di
neve restando bloccato. L’unica possibilità di salvezza per tutti e sei è
raggiungere una postazione a circa tre km… copriamo i feriti con tutte le
coperte che troviamo e poi... Con una coperta avvolta sulle spalle come due
fantasmi nella notte di fine d'anno affrontiamo la tempesta… il fiato che esce
dalla bocca si condensa sul passamontagna di lana formando un ghiacciolo sotto
il naso… un'ora di cammino… stremati dal freddo arriviamo alle postazioni della
fanteria, ma non è possibile portare subito soccorso ai feriti. Quando viene
l'alba il vento ha finito di graffiarci la faccia, in compenso ci ha lasciato un
amico per tenerci compagnia: il gelo a meno 40! A mezzogiorno arriviamo
all'ospedale da campo: una tenda con circa 30 brandine e un fusto di lamiera
pieno di legna e carbone per scaldarsi… le ferite dei nostri compagni non sono
gravi, ma il congelamento dei piedi è troppo avanzato e devono amputare le
gambe, a tutti e quattro. La mattina del 2 gennaio siamo in cammino per
raggiungere la linea difensiva, durante il tragitto troviamo un autocarro
tedesco abbandonato carico di pasta (mentre il racconto precedente è stato fatto
da fermo, “congelato”, il ritrovamento provoca una frenesia di giubilo, pacche
sulle spalle dei compagni, salti di gioia) la carichiamo sulla slitta… il mio
reparto mangerà pastasciutta per alcuni giorni (si getta su di una vecchia
gavetta arrugginita mangiando con le mani inesistenti spaghetti. Si ricompone,
assumendo, per quanto possibile, una vaga aria marziale) Rimango in linea a
combattere tutto l'inverno… davanti alle nostre postazioni c'è un panorama
terribile di cadaveri sparsi nella neve…. sembrano fagotti… sull'altopiano quasi
tutte le notti c'è tormenta, al mattino quando cessano le bufere la temperatura
è di quasi 50° sotto zero, se qualcuno durante la notte si addormenta… non si
sveglia più… Sono le morti bianche. Come se la fottuta morte avesse altri colori
oltre a quelli della paura e del marcio… In primavera siamo di nuovo
all’offensiva e arriviamo al Don.
LEI – Dopo tanto orrore, arrivai finalmente a Dresda. Ci vive mia sorella, sarò
al sicuro! La vita tornerà tranquilla, NORMALE! Accompagnerò i miei nipotini al
parco, mi laverò, si , mi laverò e sarò di nuovo pulita, PULITA!
LUI – Il nemico, ritiratosi oltre il fiume, si era riorganizzato ed alla fine di
agosto passò al contrattacco, nascosto tra le betulle vedo passare ad intervalli
gli squadroni della cavalleria al galoppo (cavalca un cavallo immaginario) che
si lanciano al massimo della velocità contro le postazioni russe sciabolando
mitraglieri e fucilieri. Cavalcando arrivavano alle trincee nemiche poi
proseguono di slancio e al fiume girano i cavalli per attaccare i russi alle
spalle mentre i lancieri di Novara attaccano ai fianchi; i cavalli feriti,
sanguinanti che hanno perso il loro cavaliere passano di corsa vicino a dove
sono nascosto per perdersi nella steppa. Dopo 6 ore di violenta carneficina il
Savoia Cavalleria conclude la sua ultima carica… che sarà l’ultima carica di
cavalleria della storia italiana… le perdite russe sono circa di 300 morti e 200
feriti, inoltre facciamo 500 prigionieri, in questa battaglia la nostra
cavalleria perde metà dei suoi effettivi e moltissimi ufficiali. I nostri
squadroni, con le sciabole sguainate (sguaina uno dei suoi arrugginiti
utensili), incitati dai trombettieri (una tromba suona la carica) al grido di:
“AVANTI SAVOIA!” corrono incontro alla morte.
IL GUERRIERO – Per Dresda, città d’arte chiamata l’Atene dell’Est, totalmente
indifesa e piena di profughi, il Maresciallo dell’Aria Harris, chiamato
amichevolmente “Butcher” Harris, Harris il Macellaio, ha studiato un bel
programmino: tre ondate di bombardieri che devono scaricare bombe incendiarie e
dirompenti in un ordine preciso in modo da scatenare furiosi incendi.
(professorale, forse tirando fuori una lavagnetta e disegnando i moti dell’aria
provocati dalle bombe) E’ il massimo della tecnica di distruzione poiché gli
incendi arroventano l'aria soprastante e questa alleggerendosi riceve una
violenta spinta come fosse aria compressa risucchiando ossigeno da tutta l'area
circostante il focolaio, ne nascono tempeste di fuoco con temperature vicine ai
1000°, inarrestabili.
Dopo che la prima ondata di bombardieri ha colpito in un raggio di 28 km interi
quartieri bruciano come fossero di carta; piazze e strade sono un mare di
fiamme, gli alberi si contorcono come esseri umani torturati, solo pochi
sopravvivono a quell’inferno. Puntuali 3 ore dopo giungono i 500 bombardieri
delle flotte del secondo attacco. In circa 10 minuti scaricano i loro micidiali
ordigni e riprendono la rotta verso casa, nelle loro cabine arriva il calore
soffocante delle alte fiamme che infuriano su una superficie di circa 100 km².
Alla stazione, le fiamme investono le scale, si infilano nei corridoi, nelle
sale e negli ascensori e si appiccano alla gente, scendono nei sotterranei e in
quei locali privi di ventilazione formano vapori velenosi che uccidono di morte
lenta più di 500 persone mentre altri infelici annegano nell'acqua bollente che
esce dalle installazioni del riscaldamento centrale esploso. Albeggia quando 300
fortezze volanti scortate da un buon numero di caccia prendono il volo con rotta
su Dresda, terza ondata, la raggiungono a mezzogiorno e la bombardano per un
quarto d'ora distruggendo quel poco che ancora si può distruggere… sui viali
lungo l'Elba e nei parchi sostano in quel momento decine di ambulanze della
Croce Rossa e mezzi di soccorso in arrivo da tutte le regioni vicine in risposta
all'appello alla radio che le autorità sono riuscite a lanciare. I caccia
americani li individuano e si gettano in picchiata sparando. (In calando)
Strage, strage, strage. Nelle basi aeree in Inghilterra i contabili degli uffici
munizionamento registrano il consumo dell'operazione: 650.000 bombe incendiarie,
1500 bombe dirompenti… a Dresda si comincia invece a raccogliere le vittime… la
morte le ha incollate all'asfalto per l'enorme calore oppure le ha annegate in
bacini dove l'acqua è evaporata. Bruciati, carbonizzati, spezzettati in una
massa irriconoscibile, mucchietti di cenere con poche ossa carbonizzate… anche
lei (indica la PROFUGA)… quello che resta della città è avvolto da un odore
caustico e dall’insopportabile lezzo della decomposizione. (prende per mano LEI
e insieme, lentamente, illuminati da dietro, prendono la via del buio
allontanandosi verso il fondo del palco dove scompaiono).
LUI – Arriva la notizia che mio padre è morto. Papà! (piange) ti ricordi quando…
quando? Io non c’ero! NON c’ero a stringerti la mano nei tuoi ultimi momenti…
ero qui, in questa merda… mi danno quindici giorni di licenza… i primi 700 km me
li devo fare a piedi, zaino in spalla, poi in Polonia troviamo un treno per
l’Italia. Dopo altre settimane si arriva finalmente a casa. (Un lungo sospiro di
sollievo) Maria mi ha aspettato, insieme possiamo portare dei fiori sulla tomba
di papà… a dicembre sono pronto per tornare sul fronte russo, ma ormai le armate
dell'Asse sono state travolte e stanno cercando una via di scampo. L’invio di
nuove truppe è sospeso. Passo il resto della guerra vicino a Torino… aiutando a
scavare tra le macerie ogni volta che la città viene bombardata. Dopo l’8
settembre riesco a fuggire insieme ad altri tre soldati della provincia di
Pavia… saltando da una finestra alta 4 metri del castello dove stavamo di
caserma, poi, di nuovo a piedi, parto per tornare a casa. Per sempre.
(Si siede sul palco, sorride, si sente una ninna nanna che lentamente sfuma,
mentre le luci si abbassano fino a spegnersi).
Fine.