C’ERA UNA VOLTA IN ROMAGNA

Due tempi di

Giovanni Spagnoli



Personaggi:
BATTISTA –Cameriere
GIACOMO – Maggiordomo
FAUSTINA –Contessa
EUGENIA – Sua figlia
MONALDO – Conte Alidosi
FURIO – Suo figlio
COSIMO – Figlio di Furio
GIGIA – Contadina
CICCHI – Marchese amico di famiglia
LANDONI – Avvocato
PARISI – Conte amico di famiglia
Due servette che non parlano

Epoca: Anno 1847


Primo Tempo
(L’azione si svolge nell’ampio androne del palazzo Alidosi. Sul fondo il grande portone di strada e al centro il portoncino d’ingresso, chiuso. Ai lati due porte che si aprono sulle stanze della casa. La scena è vuota. Entrano le due servette che collocano alcune sedie sulle pareti libere ed escono).
VOCE FUORI CAMPO – Siamo a Ravenna nell’anno di grazia 1847, il giorno della festa del Corpus Domini. La Romagna, sotto il pontificato di Papa Pio IX, è percorsa da fremiti liberali. Dentro il palazzo dei Conti Alidosi, come in altri palazzi della nobiltà è arroccato un mondo in declino che vorrebbe auto conservarsi ma che non potrà sopravvivere ai colpi della storia.
(Entra Battista, con la poltrona personale di Monaldo, la pone girata di tre quarti verso il pubblico, a destra, quasi sul proscenio. Apre la porticina, lasciandola socchiusa, e resta in scena facendo finta di spolverare, ma tenendo sempre d’occhio la porticina. Entra Cosimo. Entrambi hanno l’aspetto di cospiratori).
BATTISTA – Finalmente, signor Conte.
COSIMO – Ce l’hai quell’elenco?
BATTISTA – (Trae un foglio piegato da una tasca dei pantaloni e glielo porge) Eccola. Questi sono i liberali ravennati che hanno potuto usufruire dell’amnistia.
COSIMO – (Scorre la lista) Manca il Conte Ranieri…
BATTISTA – …il dottor Lovatelli, il Marchese Arpinati…Sono tanti coloro che sono restati in carcere.
COSIMO – Il Papa buono! Ha concesso l’amnistia politica, ma solo per alcuni, quelli che ritiene meno pericolosi, gli altri restino pure a marcire nelle sue prigioni. E siamo appena all’inizio del suo papato.
BATTISTA – Dovremmo fare qualcosa, ma cosa?
COSIMO – (Mostra l’elenco) Intanto riprendiamo i contatti con questi, poi si vedrà.
BATTISTA – (In fretta poiché ha sentito dei rumori) Buona fortuna, signor Conte.
(Cosimo esce. Entra Giacomo, seguito dalle due servette che reggono ciascuna un tavolino)
GIACOMO – (A Battista) Che ci fai qui? Il tuo posto è accanto al signor Conte. Lasciaci lavorare. (Battista esce. Giacomo si rivolge alle servette) I tavolini vanno uno lì e uno là. Questo è un ricevimento, non una cena, quindi niente sedie. Tutti staranno in piedi, tranne il signor Conte, al quale faranno da corona. Quando sentirete i primi rintocchi del campanone del duomo, voi verrete giù con i vassoi colmi di ciambella e li metterete sui tavoli. Poi verrà aperto il portone e i nobili entreranno a rendere omaggio al signor Conte. Anche la gente del popolo entrerà, tutti faranno una riverenza al signor Conte, mangeranno una fetta di ciambella e se ne andranno. E se Dio vorrà, fino al prossimo anno non ci penseremo più. Mi sono spiegato? Ed ora andate a mettervi in ordine. E dite anche agli altri che oggi non voglio vedere scarpe infangate, calzoni stazzonati o camicie con bottoni che dondolano come impiccati. Ci siamo capiti? Cercate di essere degne di servire in casa dei Conti Alidosi. Ora andate. (Le congeda con un gesto maestoso. Risuonano due colpi al portone. Giacomo va ad aprire. Entra Cosimo) Buon giorno signor Conte.
COSIMO – Buongiorno Giacomo.
EUGENIA – (Entra da una porta laterale recando un vassoio colmo di dolci) Cosimo!
(Giacomo prende il vassoio dalle mani di Eugenia, lo posa su un tavolo ed esce)
COSIMO – Ciao Eugenia. (Le bacia una mano)
EUGENIA – Sei venuto presto, come mai?
COSIMO – Sai se mio padre sia già qui?
EUGENIA – Non credo…Non l’ho visto. Vuoi che chieda a Giacomo?
COSIMO – Mio padre non c’entra…La verità è che volevo vederti.
EUGENIA – Ma Cosimo! Lo dici come se confessassi una colpa. Anch’io ho piacere di vederti. Che male c’è?
COSIMO – Eugenia, io…
EUGENIA – Si?
COSIMO – Io ti amo!
EUGENIA – (Gli mette un dito sulle labbra) Certe cose non si devono dire, con i domestici in giro per casa. Potrebbero sentire.
COSIMO – Siamo stati separati per tanto tempo che ora, per rifarmi del tempo che ci hanno rubato, vorrei dirti che ti amo mille volte al minuto. Ti amo ti amo ti amo…Ma tu mi ami?
EUGENIA – Credo…forse…
COSIMO – Non sai dirmi se mi ami?
EUGENIA – Come faccio a saperlo? Come posso essere certa di un sentimento che non ho mai provato? Ti voglio bene, questo si, però…
COSIMO – Vorrei che ti fossi fermata un attimo prima di quel però.
EUGENIA – Non devi prendertela, Cosimo. Sono stata sei anni nel convento di Santa Chiara e là c’erano argomenti di cui non si doveva assolutamente parlare. Uno di questi era l’amore fra un uomo e una donna. Come posso sapere se il sentimento che provo per te è amore o non il bene che si vuole a un carissimo amico? Tu sei più esperto di me delle cose del mondo, che differenza c’è fra il bene e l’amore?
COSIMO – Il bene è…Invece l’amore è più…più…come posso spiegarti? Ecco, ci sono dei segnali. L’amore non è muto, ha un suo linguaggio, ci manda dei segnali che debbono essere decifrati.
EUGENIA – Ricordi quelle violette che tu e la tua mamma mi regalaste anno scorso, quando veniste a trovarmi in convento per la mia festa? Le ho ancora tutte, chiuse dentro il mio libro delle orazioni. Quando le guardo mi sembra di esserti vicina e mi sento felice. Pensi che questo sia un segnale?
COSIMO – E cos’altro potrebbe essere? Certo che è un segnale. Se mi senti vicino anche quando non ci sono, se mi vedi anche con gli occhi chiusi, se desideri stare con me perché senti che quelli sono i momenti più belli della tua giornata, significa che entrambi riceviamo gli stessi segnali e che siamo innamorati una dell’altra. Eugenia cara, mio grande, immenso amore…
EUGENIA – Parla piano, da un momento all’altro potrebbe arrivare la mamma… Tutte quelle cose che hai appena detto…mi sembra di averle sempre sentite dentro di me.
COSIMO – Eugenia!...(Fa per abbracciarla)
EUGENIA – (Si ritrae) Sei matto? Non qui, non ora!
COSIMO – Quando, allora?
EUGENIA – Quando saremo più soli. Più tardi, quando tutti saranno qui per il ricevimento…in giardino non ci sarà nessuno.
COSIMO – Muoio dalla voglia di darti un bacio.
EUGENIA – Anch’io, ma adesso non si può.
GIACOMO – (Attraversa impettito la scena e mormora) Sta arrivando la signora Contessa…Sta arrivando la signora Contessa…(Esce)
(Cosimo ed Eugenia assumono un atteggiamento compunto)
FAUSTINA – (Entrando) Cosimo! Come mai siete qui?
COSIMO – (Imbarazzato) Stavo andando, signora zia. Sono entrato un momento per un saluto…
FAUSTINA – Non avete ricevuto l’incarico di reggere il baldacchino durante la processione?
COSIMO – Si, signora zia, avrò l’alto onore.
FAUSTINA – Andate allora. Il Santissimo non aspetta i comodi di nessuno, tanto meno i vostri.
COSIMO – Vado subito, con il vostro permesso.
EUGENIA – Cosimo! (Un’occhiataccia di Faustina le fa abbassare lo sguardo)Tornerai, quando la processione sarà finita?
COSIMO – Si, certo…Con il permesso della signora zia. (Bacia la mano a Faustina, si inchina ad Eugenia ed esce)
FAUSTINA – (Alla figlia) Voglio avvertirvi che d’ora in poi, il Conte Cosimo non dovrete più chiamarlo semplicemente Cosimo.
EUGENIA – No?! E come dovrei chiamarlo?
FAUSTINA – Potete chiamarlo cugino, benché non siate che secondi cugini.
EUGENIA – Secondi cugini?
FAUSTINA – Certo, figli di cugini. Come lo erano vostro padre e vostro zio Furio.
EUGENIA – E’ vero che due cugini non possono sposarsi?
FAUSTINA – Possono, però occorre una dispensa del Papa.
EUGENIA – Anche per i secondi cugini occorre una dispensa del Papa?
FAUSTINA – Uffa, quante domande! Non sapete che non sta bene fare tante domande di seguito? E poi lasciatemi finire il discorso. Cosimo dovete chiamarlo solo cugino e non dovete dargli del tu. Avete già compiuto sedici anni e tanta confidenza non vi si addice.
EUGENIA – Ma…
FAUSTINA – Niente ma. Non voglio e basta.
EUGENIA – (Dopo breve pausa) Maman…
FAUSTINA – (La guarda severamente) Si?...
EUGENIA – L’abitudine…
FAUSTINA – Dovreste sapere che non intendo ripetere due volte le stesse cose. Ubbidite e basta. Lo chiamerete cugino e non gli darete del tu. Quanto al Marchese Camillo…
EUGENIA – Quel vecchio viscido?
FAUSTINA – Eugenia! Sappiate che certe espressioni non fanno parte del mio vocabolario. Col Marchese Camillo Cicchi dovete essere gentile e compita, come ve ne fa obbligo essere una Alidosi…e per giunta allieva del collegio di Santa Chiara.
EUGENIA – (Con un sospiro) Oui, maman.
(Si odono due colpi al portone)
FAUSTINA – Dio mio, chi sarà a quest’ora? (Chiama) Jaques!
GIACOMO – (Entrando) La signora Contessa ha chiamato?
FAUSTINA – Hanno bussato al portone. Andate ad aprire.
(Giacomo va ad aprire, entra Furio)
FURIO – Buongiorno Faustina. (Porge bastone e cappello a Giacomo che li prende con un inchino ed esce)
FAUSTINA – Ah, siete voi Furio! Bonjour, bonjour mon amì.
FURIO – (Bacia la mano a Faustina e una guancia ad Eugenia) Come sta la nostra cara Eugenia?
EUGENIA – Très bièn, zio Furio. E lei?
FURIO – Sono stato anche meglio, ma non mi lamento. (A Faustina) Gran daffare oggi, vero?
FAUSTINA – Credetemi Furio, non ne posso più. E la giornata è appena cominciata. Grazie a Dio la festa del Corpus Domini capita una volta l’anno. Pensate, non ho ancora trovato il tempo per coccolare il mio Biuti, che oggi, fra l’altro, non sta niente bene, povera bestiola.
FURIO – Gli date da mangiare troppi dolci. Dovreste saperlo che ai cani i dolci fanno male. (Pausa) Mio padre non è ancora sceso?
FAUSTINA – Vostro padre è di sopra a farsi imparruccare da Battista. Capirete, la festa del Corpus Domini esige l’abito di gala con tutte le decorazioni. Chissà come sarà nervoso.
FURIO – (Fra sé) Ahi, cominciamo male.
FAUSTINA – (Ad Eugenia) Voi dovete ancora farvi pettinare e vestire. Andate, andate. E quando tornate portatemi quei broccati che abbiamo fatto mettere da parte.
EUGENIA – A dopo, zio Furio. (Un inchino reciproco ed Eugenia esce a destra)
(Da sinistra entra Giacomo con due vassoi colmi di frutta e dolci che depone sui tavolini)
FAUSTINA – Su Jaques, sbrigatevi, che è tardi. Ci sono ancora tante cose da fare, mica potrò fare tutto io! Fra poco suonerà il campanone del duomo e si dovrà aprire il portone.
GIACOMO – Ordini e sarà fatto, signora Contessa.
FAUSTINA – Per prima cosa andate a dire a Marietta di mettere in un paniere la roba che abbiamo rimasto a pranzo. Ditele che faccia un cartoccio con i resti della crostata e della ciambella e ci metta anche un pugno di ceci, uno di brustoline e un po’ di castagne secche e porti tutto ai carcerati. Hanno diritto anche loro di fare festa oggi.
FURIO – E qualcosa da bere, no?
FAUSTINA – Avete ragione. (A Giacomo) Dite a Marietta che prenda anche una bottiglia di quel vino che abbiamo messo a parte perché sa di botte e gli porti anche quella.
GIACOMO – Sarà servita, signora Contessa. (Si avvia)
FAUSTINA – (Lo ferma) Aspettate, non abbiate fretta. A pranzo c’è rimasto anche della bomba di riso.
GIACOMO – Poca cosa, signora Contessa.
FAUSTINA – Meglio. La porterete a Carletto, che la dia al mio Biuti. Ditegli anche che gli senta spesso il musino e se non ha ancora fatto…insomma, se non l’ha ancora fatta, lo porti a passeggio fuori porta, ma badi di non lasciarlo avvicinare da altri cani. Avete capito bene? (Giacomo tace e non si muove) Andate, allora, cosa fate lì impalato? (Giacomo si avvia) Ah, un’altra cosa, aspettate.
GIACOMO – Si, signora Contessa.
FAUSTINA – Dite a Marietta che quando va alle carceri non dimentichi che oggi ne abbiamo sette, giorno non propizio! Deve perciò stare attenta per la strada, deve camminare sempre a sinistra. E se per caso incontra un frate cappuccino, mi raccomando, nel baciargli la croce, per l’amor di Dio, non tocchi la tonaca! Sapete bene che in giorno non propizio vorrebbe dire portare a casa sette disgrazie piccole e una grossissima (Si fa il segno della croce). Ditegli anche che quando torna indietro, passi da Caccola, il puntatore e gli dica di venire da me domani che ho una fiamminga, due tegami e una pignatta da fargli puntare. Andate e non dimenticate nessuna delle cose che vi ho detto. (Giacomo non si muove) Andate dunque, spicciatevi! (Giacomo esce) Scusatemi Furio, ma oggi è una di quelle giornate da perderci la testa.
FURIO – Per forza! State persino a pensare di far puntare dei tegami, quando con tre soldi, quindici centesimi, potreste comprarli nuovi.
FAUSTINA – Invece facendo aggiustare quelli rotti spendo solo quattro centesimi e ne risparmio undici. Ho bisogno di fare delle economie, caro Furio.
FURIO – Economie? E per chi? Per mio padre?
FAUSTINA – Vostro padre è stato generoso ad accogliermi nella sua casa quando sono rimasta vedova e gliene sono grata, ma a mia figlia devo pensare io. Oggi la presento per la prima volta alla nobiltà ravennate. E voglio che quando si sposerà abbia una dote di almeno quindicimila scudi.
FURIO – Quindicimila scudi? Salute!
FAUSTINA – Almeno quindicimila. Non voglio che succeda alla mia Eugenia ciò che accadde a suo tempo alla Marchesina Cavalli. Avrebbe dovuto sposare il Conte Carlo Leopardi di Recanati e tutto andò in fumo perché il fratello di Carlo Leopardi, Giacomo, quel gobbo che dicono abbia tanto ingegno, trovò che diecimila scudi erano una dote troppo miseria.
FURIO – Tutti problemi, cara la mia Faustina, che io, grazie a Dio, non ho. Il mio unico figlio è maschio, quindi non ho il fastidio di dover pensare alla dote.
FAUSTINA – Così siete libero di spendere e spandere a vostro piacimento. Voi, caro Furio, lasciatevelo dire, avete le mani bucate. Come del resto le aveva vostro fratello Danilo. A proposito, non se n’è saputo più nulla? Non sapete nemmeno dove sia?
FURIO – Mah!...Da quando se ne andò da questa casa, sbattendo la porta, non ha più dato notizie di sé. Pare, si dice, che qualcuno l’abbia visto a Bologna, mentre usciva dal palazzo del Bargello…Vorrà diventare poliziotto. Sarebbe bella davvero: il Conte Danilo Alidosi della Costa Vecchia…sbirro!
FAUSTINA – Non ditelo nemmeno per scherzo. Qualunque sia il suo comportamento, si tratta sempre di un nobile.
FURIO – Un nobile che prima di andarsene per sempre da questa casa, ha tagliato la gola a un povero cane.
FAUSTINA – Tacete, tacete…Se ci penso mi viene ancora da piangere. Uccidere quel povero cane sarebbe stata un’azione indegna per qualsiasi uomo, figuriamoci per un nobile!
FURIO – L’uomo è uno dei più grandi misteri della natura. Non so chi l’abbia detto, ma è probabile che conoscesse mio fratello Danilo.
(Da una porta laterale entra Eugenia recando tra le braccia due grandi pezze di broccato)
EUGENIA – Aiuto, maman! (Furio l’aiuta a posare le pezze sul tavolo)
FURIO – Allora, oggi, ingresso trionfale della Contessina Eugenia nell’alta società. Sei emozionata?
EUGENIA – Oh, no, zio! Mi sembra di esserci sempre stata.
FURIO – Naturale, è la voce del sangue. Da seicento anni, come non perde occasione di ripetere mio padre, nella nostra famiglia non c’è stato un solo matrimonio bastardo. Il nostro è sangue di prima qualità.
EUGENIA – Lo so, zio, lo so da un pezzo.
FURIO – Figuriamoci! Ha sedici anni e lo sa da un pezzo!
EUGENIA – A lei sedici anni sembreranno pochi, a me invece sembrano tanti. (Spiegando la stoffa) Maman, uno di questi broccati ha un grande buco nel mezzo.
FAUSTINA – Lo so, sono stati i topi. Ma non fa niente. Avvisate Rico che questi due broccati li appenda ai lati del portone e il buco lo copra con il ritratto di nonna Eufrasia, quello che è nella sala gialla.
EUGENIA – Non starà male un solo ritratto? Si potrebbe capire che è lì per coprire un buco.
FAUSTINA – Dall’altra parte, per fare pendant, dite a Rico che ci attacchi il ritratto di mio zio cardinale, che con tutto quel rosso fa molto spicco. Su ora, andate. E intanto che ci siete fatevi cambiare la pettinatura e fatevi vestire, s’è fatto tardi. Dite a Fanny che vi faccia i bandeaux plants, starete molto meglio che pettinata a orecchie di cane. Di abito fatevi mettere quello di lasting viola e di scarpe quelle basse in pelle dorèe.
EUGENIA – Maman…
FAUSTINA – Si?
EUGENIA – Posso parlare?
FAUSTINA – Dite, ma fate presto.
EUGENIA – Mi piacerebbe avere un paio di stivaletti alti, quelli senza bottoni, con il gambale in elastico di seta.
FAUSTINA – Avevo già pensato di farveli fare in prunelle color tortora.
EUGENIA – (Bacia la madre sulle guance) Oh, si si..e con un trangolino di velluto sulla punta.
FAUSTINA – Vi farò prendere al più presto le misure dalla vostra cameriera.
EUGENIA – Non sarebbe meglio che invece di Fanny, le misure me le prendesse il calzolaio?
FAUSTINA – Ma il calzolaio è un uomo! E a un uomo una donna non deve mostrare più su della caviglia. Ma non vi hanno insegnato proprio niente le suore? Ora andate. E mi raccomando, fatevi stringere il busto in modo da mandare molto su…(Sbircia Furio che sorride) Insomma, fatevi fare un bel vitino di vespa.
EUGENIA – Si, maman.
FAUSTINA – Un’altra cosa: voglio che mettiate in bocca la mie due coccole d’argento. VI faranno le guance paffute.
EUGENIA – Le ho già provate, maman, ma quella catenina sotto la lingua per tenerle a posto mi dà noia.
FAUSTINA – Insistete. E’ questione d’abitudine.
EUGENIA – E poi se rido le coccole scappano fuori.
FAUSTINA – Se ridete? Una fanciulla nobile e ben educata non si mette a ridere in società. Quando sia necessario si deve appena sorridere, mai ridere? Conoscete quel quadro, non so più di chi, che si chiama la Gioconda? E’ così che dovete sorridere, e vedrete che le coccole resteranno al loro posto.
EUGENIA – Si, maman.
FAUSTINA – Ma devo insegnarvi tutto io? Vi siete messa davanti allo specchio? Avete studiato bene il modo di sorridere e di volgere lentamente gli occhi e i vari significati da dare al movimento? Ricordate che il segreto per la buona riuscita di una fanciulla sta anche nel modo di volgere gli occhi.
EUGENIA – L’ho fatto, maman. Ma la Madre Superiora ci diceva sempre che lo specchio ce lo mette davanti il diavolo per tentarci.
FAUSTINA – Eugenia! Non vi permetto tante osservazioni. Adesso la Madre Superiora sono io. Perciò ubbidite e basta.
EUGENIA – Si, maman.
FAUSTINA – Allora andate. Quando Fanny vi avrà vestita verrò a vedervi. Oggi è la prima volta che entrate in società e ci tengo che facciate la buona figura che si addice a una Alidosi. Fra poco verranno a farci visita i più bei nomi dell’aristocrazia ravennate, perciò state bene attenta a non fare l’oca. E badate anche di stare moltio sostenuta con le persone non appartenenti alla nostra classe che oggi verrano qui. Cortesia e cordialità con tutti, ma non dimenticate che noi siamo noi. Questo ve l’hanno insegnato le suore?
EUGENIA – Si, maman. (Una riverenza a sua madre, una a Furio ed esce)
FAUSTINA – Ah, se si avverasse il mio sogno!
FURIO – E’ un segreto, o potrei conoscerlo anch’io questo sogno?
FAUSTINA – Se potessi maritarla con chi dico io…
FURIO – Ma se non ha che sedici anni!
FAUSTINA – Quindi, fra poco entrerà nei diciassette. E a diciassette anni una damigella o si sposa o torna in convento per prendere i voti.
FURIO – Questo lo pensate voi perché, scusate, non siete al passo con i tempi. Oggi certe idee sono superate. I giovani la pensano in tutt’altra maniera.
FAUSTINA – I giovani?!
FURIO – I giovani, si i giovani. Hanno idee diverse dalle nostre e non sarebbe male se qualche volta li ascoltassimo. (Pausa) E se è lecita la domanda, a chi vorreste dare quel bocciolo di rosa?
FAUSTUNA – Non lo indovinereste mai. Al Marchese Cicchi.
FURIO – Il Marchese Cicchi? Camillo Cicchi? Ma se ha l’età di Matusalemme!
FAUSTINA – Siete ingiusto. Non ha ancora sessantasei anni.
FURIO – Cinquant’anni di differenza vi sembrano pochi? Andiamo Faustina… E poi è ignorante come una zucca vuota e brutto da far spavento.
FAUSTINA – Però è tanto buono e semplice.
FURIO – Non è semplice, è semplicemente cretino. Sapete che nel circolo dei nobili, invece che Marchese Cicchi, lo chiamano Marchese Ciucchi? E voi pensate che Eugenia possa trovare interessante un cataplasma come quello?
FAUSTINA – Eugenia? Cosa c’entra Eugenia? Da quando una figlia decide se va bene o non va bene uno sposo scelto per lei dai suoi genitori?
FURIO – Voi però quando si trattò di decidere, andaste a pescaremio cugino Jacopo, che era giovane e bello.
FAUSTINA – Non fui io a scegliere, mi fu trovato dai miei. Eugenia sarà felice. Un marito anziano è quello che ci vuole, le toglierà presto l’incomodo della sua presenza e la renderà erede di un patrimonio più che ragguardevole. Non si può certo dire che non mi preoccupi del suo futuro.
FURIO – E del vostro, se mi consentite la franchezza.
FAUSTINA – E che male c’è? Vorrà dire che saremo entrambe felici. (Giacomo entra e resta in attesa) Che altra noia c’è?
GIACOMO – Di là, in cucina, c’è la Gigia, la contadina del Cucco.
FAUSTINA – Ebbene?
GIACOMO – Ha portato un sacco di fiori di campo da spargere davanti l’ingresso del palazzo, quando passerà la processione.
FAUSTNA – E non potete incaricarvene voi?
GIACOMO – Ha portato anche, come regalìa, due capponi, due dozzine di uova e quattro galline faraone. E poi dice che ha bisogno di parlare con lei, signora Contessa.
FAUSTINA – Va bene, va bene. Dite a Regina che provi le uova una ad una con l’anello e metta da parte quelle che vi entrano, che non le voglio. Intanto dite alla Gigia che venga subito qui, che ho anch’io qualcosa da dirgli.
GIACOMO – Sarà servita, signora Contessa.
(Giacomo esce. Entra Gigia, è scalza e vestita poveramente, si ferma sulla porta in attesa)
FAUSTINA – Vieni avanti, ma non avvicinarti troppo. (Si porta al naso un fazzolettino di batista) Dio, che puzza! Ti sei almeno lavata, prima di venire in città?
GIGIA – Si, signora Contessa.
FURIO – (Scherzoso) Ti sei lavata proprio dappertutto?
GIGIA – Dappertutto no, signor Conte. Mi vergogno.
FURIO – Avresti potuto lavarti al buio.
GIGIA – La prossima volta farò come dice il signor Conte.
FAUSTINA – Allora, cos’è che devi dirmi?
GIGIA – Sono venuta a dirgli, signora Contessa, della vacca e della maiala.
FURIO – (Scoppia a ridere) E scusate se è poco!
FAUSTINA – Gigia, cosa ti salta in mente? Ti proibisco di dire parolacce in mia presenza.
GIGIA – Le chiedo perdono, signora Contessa, ma non ho mai saputo che dire vacca alla vacca e maiala alla maiala siano parolacce.
FURIO – (Divertito, a Faustina) Ha ragione! Che colpa ne hanno quei poveri animali, se gli uomini hanno pensato di chiamarli con gli stessi nomi con cui qualificano donne dalla virtù piuttosto elastica?
FAUSTINA – (A Gigia) Si dice la mucca e la scrofa. E sbrigati a dirmi quello che hai da dirmi. (Si porta ostentatamente al naso il fazzolettino).
GIGIA – Allora le dirò che la mucca ha fatto un muchino e la maiala…
FAUSTINA – La scrofa.
GIGIA – La scrofa s’è mangiata tre maialini.
FAUSTINA – Ma brava! Bravissima! Questo significa che tu e quel fannullone di tuo marito non siete stati attenti.
GIGIA – Mi perdoni signora Contessa, ma è successo di notte e noi, la sera andiamo a letto presto. Capirà, dopo aver lavorato tutto il giorno nel campo…
FAUSTINA – Basta così, conosco la musica. Gliel’hai detto con il fattore?
GIGIA – Gliel’ho detto e lui mi ha detto di venirlo a dire con lei, signora Contessa.
FAUSTINA – Ah, ti ha detto così? Benissimo! Allora, prima di licenziarlo gli dirò di trattenere una quartarola di grano dal vostro terzo. Così saremo pari.
GIGIA – Ma signora Contessa, una quartarola per tre maialini?
FAUSTINA – E accontentati che non vi do commiato. (Entra Giacomo e resta in attesa) Che c’è ancora?
GIACOMO – Mi scusi, signora Contessa, Carletto dice che il cane…
FAUSTINA – Il cane? Quale cane? Quello dell’ortolano? Il mio si chiama Biuti e voglio che sia chiamato Biuti. Chiaro?
GIACOMO – Si, signora Contessa. Carletto dice che il signor Biuti non vuola andare a passeggio e lui non sa come fare.
FAUSTINA – Povero, caro Biuti, vuole vedermi. Scusate Furio. (Esce in fretta, seguita da Giacomo)
FURIO – Allora, mora, come va?
GIGIA – Grazie a Dio, signor Conte, la salute non mi manca.
FURUIO – Vedo, vedo. (Le gira intorno osservandola) Sei piuttosto in carne. Ci saranno mica altre novità.
GIGIA – Si, signor Conte, ci sono.
FURIO – Sei incinta un’altra volta! E magari farai un’altra femmina, così saranno sei e una sette, dico bene?
GIGIA – Sono doni di Dio, signor Conte.
FURIO – Beh, se la metti così…Ma stavolta sei almeno stata attenta al vento che tirava?
GIGIA – Mi perdoni, signor Conte, penso di non aver capito…
FURIO – Non sai che se tirava il maestrale sarà maschio e se invece tirava il libeccio sarà femmina?
GIGIA – Quando tirava il vento… quando, signor Conte?
FURIO – Quando facevate quel lavoro…Insomma, quando tu e tuo marito, a letto…vi davate da fare…
GIGIA – Ah, ho capito!...Ma signor Conte, mica potrò stare attenta al vento che tira ogni giorno.
FURIO – Ogni giorno?! Accidenti!
GIGIA – Vede, signor Conte, mio marito dice che quella è l’unica soddisfazione che noi poveri possiamo toglierci, come i signori. Quindi, finché si può è meglio approfittare.
FURIO – Ma non capite che quella è una delle cause della vostra miseria? Mettete al mondo branchi di figli e poi non sapete come sfamarli.
GIGIA – Ma nostro Signore è tanto buono che delle mie creature, tre se l’è già prese indientro, prima che cominciassero a mangiare pane.
FURIO – Quand’è così, tirate pure avanti in quel modo.
GIGIA – E’ quello che dice anche mio marito.
FURIO – Certo che tuo marito farà fatica a star fermo con accanto un bel pezzo di mora come te.
GIGIA – Ma cosa dice, signor Conte? Vorrà scherzare. Non vede che ormai sono sfasciata?
FURIO – Proprio sfasciata non direi, visto che di tanto in tanto sei piena.
FAUSTINA – (Entrando) Povero il mio Biuti, adesso che m’ha visto sembra più tranquillo. (A Gigia) Tu puoi tornartene a casa. Prima però passa dalla cucina e portati via quelle otto uova che sono passate per l’anello: sono piccole e non le voglio.
GIGIA – E coma dovrei fare per cambiargliele?
FAUSTINA – Questo non mi riguarda. Mica le ho fatte io.
GIGIA – Nemmeno io le ho fatte, signora Contessa.
FAUSTINA – Oh, basta! Non stare sempre a ribattere. Piuttosto stai attenta all’incarico che ti do. Domani andrai a casa di tuo fratello Michele e gli dirai che ieri è venuta da me, con sua madre, per farsi vedere, quella Menica che fa l’amore con lui. Avvisalo che deve lasciarla subito. Non voglio assolutamente che se la sposi.
GIGIA – Ma se si vogliono tanto bene, signora Contessa.
FAUSTINA – Non me ne importa un fico secco. Quella Menica è così magra che a starnutirci contro vola via. E poi ha certe manine…più da ricamatrice che da contadina.
GIGIA – Purtroppo è già incinta di tre mesi.
FAUSTINA – E con ciò? Farà anche lei il suo figliolo, come fanno tutte. E se prima di farlo non avrà trovato un altro che se la sposi, lo porterà alla ruota dei trovatelli, che è stata fatta apposta.
GIGIA – Come vuole lei, signora Contessa.
FAUSTINA – E gli dirai anche, sta bene attenta, che vada a chiedere in moglie la Carlotta di Burattone.
GIGIA – La Carlotta di Burattone? Ma se ha sei o sette anni più di mio fratello! E poi è incinta anche lei.
FAUSTNA – Questo cosa conta? Tuo marito non ti ha forse sposata che aspettavi il figlio di un altro?
GIGIA – La signora Contessa sa bene chi era l’altro. (Con la voce incrinata dal pianto) Fu suo padre a mettermi incinta, un giorno che mi prese con la forza nella stalla…e io non avevo ancora quindici anni.
FAUSTINA – Oh, insomma! La vuoi smettere di ribattere? E adesso vattene, la puzza del tuo sudore m’ha fatto venire la nausea.
GIGIA – Come vuole lei, signora Contessa. (Esce con un inchino).
FAUSTINA – (A Furio) Avete sentito quanta petulanza? E che insistenza! Quasi che i padroni fossero loro! (Pausa) Voi non dite nulla?
FURIO – Cara Faustina, se aveste le mie preoccupazioni…
FAUSTINA – Le immagino le vostre preoccupazioni. Si tratterà del solito.
FURIO – Eh, no?
FAUSTINA – Debiti di gioco, naturalmente, e da pagare entro ventiquattr’ore.
FURIO – Ora tento con mio padre. Speriamo…
FAUSTINA – Proprio oggi, giornata di festa, con tutti i nobili che stanno per arrivare…E se con vostro padre non va come pensate?
FURIO – Pazienza, non mi suiciderò per questo. Penso che la vita valga qualcosa più di seicento scudi.
FAUSTINA – Seicento scudi? Ma è una somma enorme!
FURIO – Ma non mi mancano mica tutti, però. Me ne mancano soltanto cinquecentodiciotto. Dodici li ho da solo.
FAUSTINA – Ecco vostro padre!...Sta venendo. Ora lo saluto e poi vi lascio soli. E che Dio ve la mandi buona.
(Da una delle porte laterali entra il Conte Monaldo, appoggiandosi al braccio di Battista che lo conduce a sedere sulla sua grande pltrona. Il Conte Monaldo è un vecchio ottantenne, vestito da nobile del ‘700 in nero, calzoni corti, parrucca e spada alla cintura. Porta tre vistose decorazioni, una delle quali a collare).
MONALDO – (A Furio) Sei già qui?
FURIO – (Gli bacia la mano) State bene, padre?
MONALDO – Come posso star bene con tutto quello che devo vedere e sentire al giorno d’oggi? Pioppi sul confine della Spadina! Quel testa di cazzo del fattore ha avuto il coraggio di dirmi che vorrebbe piantare una fila di pioppi sul confine della Spadina! Come non sapesse che io non voglio vedere i confini delle mie proprietà. La proprietà va rispettata, i confini la offendono. E oggi, per di più, con questa festa del Corpus Domini, sono costretto a muovermi in questo cafarnao di mobili spostati, a cominciare dalla mia poltrona.
FAUSTINA – Oggi, nonno, deve avere pazienza. La tradizione è questa e non la si può cambiare.
MONALDO – (Acido) Non ho bisogno che siate voi a insegnarmelo, signora badessa!
FAUSTINA – (Accusa il colpo) Con il suo permesso, vado a vedere se Fanny veste bene Eugenia, poi mi faccio vestire anch’io. Qui tutto è a posto. (Esce con un grande inchino)
MONALDO – (A Furio, dopo un lungo silenzio) Hai perso la lingua? Non hai nulla da dirmi?
FURIO – Se proprio volete che parli, potrei dirvi che Danilo è stato visto a Bologna mentre…
MONALDO – Basta! Sta’ zitto!...Non voglio più sentir parlare di quel figlio, che per me è morto lo stesso giorno in cui abbandonò questa casa sbattendo la porta, E per sfregio, scannò il mio cane. Dio, se vorrà, lo perdonerà, io mai!
FURIO – (Dopo una breve pausa) Allora, potrei parlarvi della mia operazione finanziaria con il Credito Fondiario.
MONALDO – Com’è andata a finire?
FURIO – Bene…sembra. Però, soldi ancora non se ne sono visti.
MONALDO – Meglio così. I soldi prestati dalle banche sono solo debiti, quando hai finito di pagarli ti accorgi che gli interessi si sono mangiati la rendita del capitale. Ma tu lo vuoi capire o no che devi deciderti a ridurre le spese, se vuoi tirare avanti con quelle novanta tornature di terra che ti sono rimaste? Quattro cavalli e nove persone di servizio solo per te e tuo figlio, metti pure con tutti gli obblighi che il nostro nome comporta, sono troppe.
FURIO – Vi domando scusa, padre, ma meno di così ditemi voi come posso fare. (Enumerando sulle dita) Un cocchiere, uno stalliere, un uomo di fatica, un cuoco, uno sguattero, una cameriera, una guardarobiera, il sovrintendente…di chi potrei privarmi? I cavalli poi, due per me e due per mi figlio, non si può certo dire che siano troppi.
MONALDO – Ed io torno a ripeterti che bisogna fare il passo secondo la gamba. Troppi vizi, troppo mangiare, troppo gioco, troppe donne…
FURIO – (Tenta di buttarla sul ridere) Ma papà…non avete sempre detto che la donna è come la camicia? Dà piacere se si cambia spesso.
MONALDO – La donna e la camicia vanno cambiate spesso, ma non meno di ogni due settimane, altrimenti smettono di darti piacere. (Breve pausa) Quei duemila scudi, il Credito Fondiario come te li pagherà? Con quella bella novità che è la carta moneta?
FURIO – Penso di si. Ormai la carta moneta ha lo stesso valore delle altre monete.
MONALDO – Balle! Tutte balle! Come quegli assegnati che misero in giro quelle canaglie della rivoluzione francese. Me li ricordo, sai? Perdio se me li ricordo! Carta straccia che da un giorno all’altro non ebbe più alcun valore. E quelli che ci avevano creduto, si trovarono con il culo per terra. La carta moneta può avere tutto il valore che gli vogliono dare, ma nelle mie tasche non entrerà mai. Io al Banco di Pellegrino Chigi gli porto degli scudi d’oro, dei napoleoni, delle doppie e delle once di Spagna e quando ho bisogno di soldi non voglio sentire chiacchiere, rivoglio indietro il mio oro. La carta straccia se la tengano loro.
FURIO – (Dopo un lungo silenzio) Padre…
MONALDO – Che c’è?
FURIO – Prima che quei duemila scudi mi arrivino…avrei bisogno di liquido.
MONALDO – E lo vieni a dire a me? Io il mio dovere l’ho fatto da un pezzo. Quando morì quell’anima benedetta di vostra madre, ai miei due figli diedi duemila, hai capito?, duemila tornature di buona terra a testa. Se ve le siete giocate o mangiate con le donne, peggio per voi.
FURIO – Ma io di quelle duemila tornature ne ho ancora novanta.
MONALDO – Bella roba! E con sopra un’ipoteca che ti basterà si e no per pagare i debiti che hai fatto.
FURIO – In fondo poi, si tratterebbe di un anticipo. Quando mi arriveranno i soldi del Credito Fondiario, vi pagherò anche gli interessi. Mi rivolgo a voi perché non so proprio a chi altri rivolgermi.
MONALDO – Te li sei giocati, vero?
FURIO – Un cavallo maledetto che m’è venuto storto sei volte in fila, una dietro l’altra. Era sempre sotto la prima. Sapete com’è la bassetta.
MONALDO – Sai a chi vengono i cavalli storti? Ai somari che non sanno fermarsi. Quando si è in nera, bisogna alzarsi dal tavolo da gioco e andarsene. Solo gli stupidi restano a farsi spolpare.. (Breve pausa) E di quanto sarebbe sto debito? (Furio esita) Avanti, dunque, parla.
FURIO – Seicento scudi.
MONALDO – (Con un salto) Seicento scudi? Centocinquanta marenghi? Ma lo sai quanta terra si potrebbe comprare con quei soldi? Quindici tornature a dir poco. E tu credi che io sia tanto stupido da darteli?
FURIO – Per favore, padre.
MONALDO – Nemmeno se piangi in greco. Fino a che avrò gli occhi aperti, da me nessuno avrà più un soldo. E quando sarò morto, ho disposto che tutto il mio patrimonio vada a tuo figlio Cosimo. L’unico Alidosi degno di questo nome.
FURIO – Certo che quanto a dignità, penso che su Cosimo non ci sia nulla da dire.
MONALDO – Ma non per merito tuo! Tu non hai speso un solo minuto della tua vita sciagurata per allevarlo secondo i principi della nostra casata. Finché ho potuto camminare ho provveduto io, ma ora che non posso più uscire di casa a causa delle gambe che non mi reggono più, dovresti essere tu a pensarci.
FURIO – Lo farò, padre, non temete.
MONALDO – Invece temo, eccome! Ora non ha nessuno che lo possa seguire. E con tutto quel giacobinismo che c’è in giro, non si può sapere che strada possa prendere. Già credo d’aver sentito certi discorsi…mezze parole fra Cosimo e Battista, sull’amnistia politica concessa da Pio IX…
FURIO – Sarà stato un caso…
MONALDO – Nessun caso! Battista è un servitore e Cosimo un nobile, che cosa possono avere in comune? Certe distanze vanno mantenute, per il bene di tutti.
FURIO – Certo, sono d’accordo con voi.
MONALDO – Prima, un po’ io, un po’ Don Anastasio…Vorrei sapere cosa t’è saltato in mente di licenziare un pedante di tutto rispetto come Don Anastasio!
FURIO – Ma papà, capite anche voi che un giovanotto d’una ventina d’anni, si stufa di avere sempre accanto una sottana nera.
MONALDO – Allora sei tu che dovresti seguirlo da vicino per tenerlo lontano dai pericoli morali cui va incontro e insegnargli continuamente i buoni principi della fede e della virtù. Dovresti tenerlo lontano da quelle idee liberali che sono già entrate dentro le teste di gran parte della giovane nobiltà romagnola. Occhio ci vuole e polso fermo se non vuoi che i cavalli ti prendano la mano.
FURIO –Io faccio il possibile.
MONALDO – E i che modo? Andando tutte le sere a giocare alla bassetta?
FURIO – (Dopo un silenzio) Padre…
MONALDO – Che altro c’è?
FURIO – Aiutatemi.
MONALDO – T’ho già detto che non ci penso nemmeno.
FURIO –Non mettetemi alla disperazione.
MONALDO – Perché, altrimenti cos’avresti intenzione di fare? Quello che ha fatto tuo fratello? Se vuoi andartene, vattene. Fa’ quello che vuoi, ma io seicento scudi non te li do com’è vero Dio!
FURIO – Permettetemi…
MONALDO – Ti permetto di tacere!
FURIO – Devo proprio andarmene?
MONALDO – La porta è là, puoi andartene quando vuoi. (Chiama) Battista!...Battista!...
(Furio si avvia a testa bassa verso il portone di strada, lo apre ed esce. Poco dopo entrano da sinistra Faustina ed Eugenia, vestite da ricevimento. Faustina indossa anche un grosso collo di volpe).
MONALDO – Ecco un’altra stupidaggine: una pelliccia al collo a fine maggio.
FAUSTINA – Oggi, nonno, è di gran moda. L’ultimo grido della moda francese.
MONALDO – Moda ricola, mettersi al collo una pelliccia con il caldo che fa!
FAUSTINA – Con il suo permesso, io non ci trovo nulla di straordinario. La volpe forse non porta la sua pelliccia anche d’estate?
MONALDO – (Le lancia uno sguardo sprezzante e suona con forza il campanello) Battista! (Intanto Eugenia si è inginocchiata a baciargli la mano) Mi baci la mano perché mi vuoi bene o soltanto per rispetto al fratello di tuo nonno?
EUGENIA – Per tutte e due le ragioni, nono.
MONALDO – Davvero?
EUGENIA – Si, nonno.
MONALDO – Allora dammene un altro. Però questo lo voglio qui. (Indica la guancia. Eugenia si alza e gli scocca due grossi baci sulle guance) Brava la mia bambina. Questo significa che non hai più paura di questo vecchio orso, come quando sei tornata dal collegio un mese fa. (Rivlto a Battista, che nel frattempo è entrato) Aiutami dunque! La seggetta dei miei bisogni è ancora al suo posto o è stata spostata anche quella?
BATTISTA – No, signor Conte, è ancora al suo posto.
MONALDO – Con il suo boccalino?
BATTISTA – Certo, signor Conte, con il suo boccalino.
MONALDO – L’hai pulito bene?
BATTISTA – Si, signor Conte, l’ho anche lucidato.
MONALDO – Allora andiamo, che mi scappa.
(Escono, mentre si chiude il sipario)

Fine del Primo Tempo



Secondo Tempo
 

(Mentre si apre lentamente il sipario, si odono i rintocchi del campanone, subito seguiti da quelli delle chiese vicine e lontane. A sipario aperto, la scena è vuota. Entra Faustina seguita da Eugenia)
FAUSTINA – Ecco il segnale che il Santissimo è uscito dal duomo. Fra un’ora al massimo passerà qui davanti. (Prende il capanello e suona. Entra Giacomo) Jaques, ouvrez la porte!
(Giacomo va a spalancare il grande portone di fondo. Sulla strada si vede un animato passaggio di gente in festa. Molti da fuori fanno grandi riverenze verso l’interno. Faustina, sempre imitata con breve ritardo da Eugenia, risponde con inchini sostenutissimi. Poco dopo si vede il Marchese Camillo Cicchi avanzare fra la gente che si scansa con premura).
FAUSTINA - (A Eugenia) Fate attenzione, sta arrivando il signor Marchese.
EUGENIA – Si, maman.
CICCHI – (Entra e si dirige immediatamente verso Faustina e quasi si inginocchia a baciarle la mano) Signora Contessa, sono il suo umilissimo servitore.
FAUSTINA – Come state, caro Marchese?
CICCHI – (Tossicchiando penosamente) Mi contento, mi contento…La salute è buona e se continua penso che potrò venire a salutarla almeno almeno ancora per una trentina d’anni.
FAUSTINA – Macertamente. E sarà il premio che meritate per la vita pacifica e morigerata che avete condotto da quando vi conosco.
CICCHI – Eh, è tanto che ci conosciamo, vero signora Contessa? Una cinquantina d’anni almeno.
FAUSTINA – Veramente, signor Marchese, solo trentacinque anni fa la buon’anima di mia madre ancora non sapeva se sari nata maschio o femmina.
CICCHI – Già, già…Potentissima ciabatta! Mi ricordo che quando la povera Contessa sua madre, venne a casa dal convento, fui lì lì per dire con mio padre di andarla a chiedere perme. Ma poi, potentissima ciabatta!, mi mancò il coraggio e non se ne fece nulla.
FAUSTINA – Adesso però sarebbe ora che vi faceste coraggio e decideste di farvi una famiglia. Non vi pare?
CICCHI – Le dirò, cara la mia Contessa, che la voglia di farmi una famiglia, potentissima ciabatta!, ce l’ho e l’ho sempre avuta. Ma non è facile trovare una moglie come si deve.
FAUSTINA – Pulsate et aperietur vobis, bussate e vi sarà aperto. Datemi retta, caro Marchese, cercatevi una sposina di nobile casato quanto il vostro. E se non avrà una gran dote, poco male, voi siete tanto ricco! Ma cercatela molto giovane, affinché abbia il tempo di darvi tanti bei bambini.
CICCHI – Troppo buona, troppo buona signora Contessa. Chissà che un giorno o l’altro non mi decida a seguire il suo consiglio.
FAUSTINA – Eugenia, salutate il signor Marchese.
(Eugenia porge la mano a Cicchi che gliela bacia e la trattiene a lungo fra le sue)
CICCHI – Che bella manina! Così bianca e piccolina… si ha perfino l’impressione che possa rompersi da un momento all’altro.
EUGENIA – (Ritirando la mano, seccata) Basterebbe non toccarla.
FAUSTINA – (Severa) Eugenia!
CICCHI – Adesso che finalmente ha lasciato il collegio, potrà godersi la vita senza la noia di dover studiare. Dico bene, contessina?
EUGENIA – Se proprio lo vuole sapere, le dirò che lo studio per me non è mai stato una noia.
CICCHI – L’opinione delle mie idee è che quando uno ha imparato bene la tavola pitagorica e si è letto un paio di volte le Massime Eterne di Sant’Alfonso de Liguori, ne sa abbastanza. Veramente ci sarebbe da imparare anche la regola del tre, ma le dirò la verità, la matematica non è il mio forte.
FAUSTINA – Ma che bisogno avete voi di sapere certe cose?
CICCHI – Oh, non mi va mica via l’appetito per questo, no, no! Tanto la rendita dei poderi dipende soltanto dalla volontà del Padreterno di far piovere nel momento giusto. Perciò, che gusto c’è a consumarsi il cervello sui libri, senza alcuna utilità? (A Eugenia) Perché, vede Contessina, secondo me lo studio è un consumo di intelligenza che ruba alla vita tante ore belle, che si potrebbero passare con molto più divertimento.
EUGENIA – Per esempio?
CICCHI – Per esempio…distesi su un divano a fumare la pipa, con una bottiglia di sangiovese a portata di mano.
EUGENIA – Anche la moglie dovrebbe fumare la pipa?
CICCHI – Ma cosa dice mai, Contessina? La moglie potrebbe ricamare o fare la calzetta. E quando il marito fosse fuori per affari, potrebbe scambiare quattro chiacchiere poetiche con il suo bel cavalier servente, autorizzato s’intende, mica un moscardino qualsiasi.
EUGENIA – Un genere di vita che non mi piace affatto.
FAUSTINA – (Severa) Eugenia! Non sta bene che una signorina contraddica le attenzioni di un anziano signore.
EUGENIA – Si, maman. (Agita una gamba)
FAUSTINA – Ed ora cosa fate?
EUGENIA – Mi sono venute le formiche in una gamba.
FAUSTINA – E con ciò? Se proprio non se ne può fare a meno, la si deve muovere senza farsi vedere.
CICCHI –(Sospira) Uuuuh, se potessi essere una di quelle formichine!
FAUSTINA – Signor Marchese!
CICCHI – Mi scusi signora Contessa, m’è scappata senza volere. Come mi capita a volte quando mi inchino troppo in fretta, dopo aver mangiato fagioli. (Ride stupidamente. Faustina fa il viso duro e vorrebbe ribattere, ma in quel momento rientra Monaldo, che va a sedere sulla sua poltrona).
MONALDO – Ooooh, il Marchese Cicchi! Bravo, bravo, venga a darmi una presa del suo tabacco.
CICCHI – (A Faustina ed Eugenia) Compermesso…(Si avvicina lentamente a Monaldo e gli offre la tabacchiera aperta).
MONALDO – (Prende un presa di tabacco e se la caccia su per le narici) Ah…sto Piosettimo è una vera delizia.
CICCHI – (Fiutando anch’egli la sua presa) Ha una fragranza, potentissima ciabatta!, che certe volte sono tentato di spargerlo sulle tagliatelle, al posto del formaggio.
(Le luci si attenuano. Eugenia e Faustina restano in un cono di luce, il loro colloquio sarà contrappuntato dagli starnuti fragorosi dei due vecchi).
EUGENIA – Dio mio, quant’è stupido e ignorante!
FAUSTINA – Eugenia, non sta bene parlare in questo modo di una persona che, non si sa mai, un giorno potrebbe anche diventare vostro sposo.
EUGENIA – Uno sposo così stupido e vecchio?
FAUSTINA – Due ottime qualità par un marito ricco. Ricordatélo.
EUGENIA – (Dopo una breve pausa) Maman…
FAUSTINA – Non penserete di costringermi a sposarlo.
FAUSTINA – Sposerete, com’è consuetudine, chi vi verrà destinato. Non vorrete mettervi a discutere le scelte di vostra madre, spero.
EUGENIA – Ma…e l’amore?
FAUSTINA – L’amore nel matrimonio ha un’importanza del tutto secondaria. Potrebbe non esserci affatto. E quando anche ci fosse, sarebbe come la polvere da sparo, andrebbe maneggiato con cura, molta cura. Altrimenti potrebbe straziare il curore e demolire la casa.
EUGENIA – Voi non sposaste mio padre per amore?
FAUSTINA – Dio mio, no di certo. Incontrai vostro padre per la prima volta la sera in cui fu stipulato il contratto nuziale. Ricordo che nello studio di mio padre, dove fui fatta chiamare, c’era poca luce e Jacopo, vostro padre, dopo avermi un poco osservata, prese in mano una candela che era sul tavolo e mi girò intorno per osservarmi meglio.
EUGENIA – Nemmeno avesse dovuto acquistare un attaccapanni.
FAUSTNA – Evidentemente, Jacopo rimase soddisfatto dell’esame, poiché prese la penna d’oca, la temperò adagio adagio e poi firmò il contratto di nozze. Solo allora mio padre mi disse: “Questo, Faustina, fra due mesi sarà il vostro sposo. Quindi sappiatevi regolare. Ora potete andare”. Io feci una grande riverenza e uscii.
EUGENIA – Senza aver aperto bocca?
FAUSTINA – Senza aver aperto bocca e senza, si può dire, aver visto bene che faccia avesse il mio promesso sposo. Riocordo però che pensai subito di aver avuto più fortuna della mia amica Teresa Gamba, che le era toccato il vecchio Conte Guiccioli, due volte vedovo e con dei figli più grandi di lei.
EUGENIA – E fu felice la vostra amica?
FAUSTINA – Certamente. Trovò quasi subito di che consolarsi con uno splendido cavalier servente: Lord Byron, inglese, poeta, ricchissimo…
EUGENIA – Ma poteva farlo?
FAUSTINA – Si capisce che poteva farlo. Il cavalier servente è un diritto contemplato nel contratto nuziale.
EUGENIA – Un diritto di cui non mi servirei mai.
FAUSTINA – Nemmeno io me ne sono servita. Da bambina sciocca mi innamorai subito di vostro padre. Ma per voi è diverso. Se sposerete il Marchese Cicchi…
EUGENIA – Jamais maman. Quel vecchio non lo sposerò mai.
FAUSTINA – Vi proibisco di insistere. Sposerete chi dico io e basta.
EUGENIA – Allora, non mi resta che sperare che muoia prima.
FAUSTINA – Eugenia!
(Dal portone centrale entrano Furio e l’avvocato Landoni. Bandoni si dirige immediatamente verso Faustina, si profonde in un inchino e le bacia la mano)
LANDONI – Servitore umilissimo, Contessa.
FAUSTINA – Come sta avvocato?
MONALDO – (A Furio) E Cosimo?
FURIO – La processione è appena cominciata, padre.
LANDONI – (Terminati gli ossequi alle signore, si dirige verso Monaldo) Signor Conte…
MONALDO – Oh, il nostro avvocato! Venga, venga a tenermi compagnia, lei che è tanto ridicolo.
LANDONI – Beh, proprio ridicolo…
MONALDO – Gradisce un sorbetto, avvocato?
LANDONI – Più che un sorbetto, con il suo permesso, signor Conte, preferirei intrattenermi con il mio Santo protettore.
MONALDO – (Scoppia a ridere) Se non sbaglio, il suo Santo protettore si chiama San Giovese.
LANDONI – Che gli antichi romani chiamavano Sangue di Giove.
MONALDO – Bene, bene. (Chiama) Giacomo! (Giacomo entra) Porta una bottiglia di sangiovese all’avvocato. (Giacomo, con un inchino, esce) Allora, avvocato, cosa ci racconta di bello?
LANDONI – Ha saputo, signor Conte, della tremenda capriola fatta dall’inglesina che insegna l’inglese ai figli del Conte De Marchi?
MONALDO – Mi è stato riferito che è caduta da cavallo, ma non s’è fatta niente. Perché, lei ne sa di più?
LANDONI – Per combinazione, io e un mio amico eravamo presenti al fatto. Sono un testimone oculare, signor Conte.
MONALDO – Bene! Così avremo, come si dice, notizie di prima mano.
LANDONI – Deve sapere, signor Conte, che l’inglesina era andata a fare una passeggiata a cavallo lungo la strada che fiancheggia il porto. Il mio amico ed io c’eravamo fermati a guardare degli operai che scaricavano travi di legno da un trabaccolo. Le scaricavano e le posavano sulla strada, per poi caricarle su un carro che stava arrivando. La miss, invece di fermarsi, ha incitato il cavallo per saltare quelle travi.
MONALDO – Ma il cavallo non gliel’ha fatta.
LANDONI – Proprio così. Ha inciampato con uno zoccolo…
FURIO – E ha fatto “panache”!
LANDONI – Precisamente. La miss è volata davanti al cavallo, con le sottane rovesciate sopra la testa , facendoci vedere Roma e toma.
FURIO – E allora?
LANDONI – Io e il mi amico siamo subito accorsi per aiutarla, ma lei si è alzata da sola e, forse per darsi un contegno, ci ha detto: “Avere visto, signori, la mia agilita?” Al che io le ho risposto: “Certo, miss, abbiamo visto. Ma da noi quella cosa che abbiamo visto non si chiama agilita, si chiama…(Si avvicina a Monaldo e gli sussurra qualcosa in un orecchio)
MONALDO – (Scoppia a ridere) Ah, ah, ah!...Ben detto, avvocato, è proprio così che si chiama! (Entra il Conte Parisi, va a riverire le due signore e poi si avvicina a Monaldo) Il nostro Parisi! E’ da tanto che non ci vediamo. E’ stato forse indisposto?
PARISI – La verità è che in questi ultimi tempi ho avuto parecchio da fare.
FURIO – A causa del processo?
MONALDO – Quale processo?
PARISI – Ma niente…una sciocchezza.
MONALDO – (A Furio) Tu lo sapevi e non me l’hai detto?
FURIO – Non ve l’ho detto, padre, appunto perché si trattava di una sciocchezza.
MONALDO – Un processo non è mai una sciocchezza.
PARISI – Un banale incidente che qualcuno ha voluto trasformare in qualcosa di grave per mettermi in imbarazzo. (Breve pausa) Un mio servitore ha voluto fare di testa sua e io ho perso la pazienza. Ammetto di avere, forse, esagerato, però la ragione stava dalla mia parte, tant’è vero che tutto è finito in una bolla di sapone. Avevo bisogno di una cameriera e siccome quel mio servitore era scapolo ho pensato di trovargli una moglie che mi facesse anche da cameriera.
MONALDO – Come di solito si fa in questi casi.
PARISI – A questo punto ce l’ho o no il diritto di passare con lei la prima notte?
FURIO – Certo che ce l’ha! Lo dice anche la legge, vero avvocato?
LANDONI – E’ un privilegio medievale che ormai nessuno usa più. Si chiama jus primae noctis…
MONALDO – E da quando si considera reato l’esercizio di un diritto?
PARISI – Veramente...mi hanno processato perché il servitore è morto…Insomma, è morto… (Sottovoce) Gli ho sparato.
MONALDO – Beh, questo mi sembra un po’ troppo.
PARISI – Se l’è cercata, santamadonna! Se fosse stato alle regole, non sarebbe sucesso niente. Ma quello è entrato nella mia camera da letto, urlando come un matto e anche minacciandomi…Cos’è che potevo fare? Ho preso la doppietta e l’ho fatto secco. Dovevo forse lasciarlo mettermi le mani addosso, mentre stavo esercitando un mio diritto?
FURIO – Quando ci vuole, ci vuole.
MONALDO – L’importante è che per lei sia finita bene. In ogni caso, certi fatti è meglio metterli nel dimenticatoio.(Breve pausa, poi a Landoni) Lei che è sempre al corrente di tutto, qual è l’argomento delle chiacchiere dei nostri concittadini?
LANDONI – In giro si parla molto dell’amnistia benignamente concessa da Papa Pio Nono per i reati politici. Lei, signor Conte, cosa ne pensa?
MONALDO – Ne penso male, malissimo. Con tutto il rispetto per Sua Santità, non credo fosse necessario rimettere in circolazione certa gente, che è un’offesa a Dio non impiccare ai lampioni delle strade.
CICCHI – Ha ragione, potentissima ciabatta! Giacobini, manutengoli del diavolo, feccia! E noi, persone per bene, saremo costretti a vederli di nuovo in giro per Ravenna!
MONALDO – Se dovessi incontrarne qualcuno, sono certo che darò di stomaco in carrozza.
CICCHI – In faccia, in faccia dovrebbe vomitargli,per fargli sentire tutta la profondità (Gesto verso terra) del nostro altissimo (Gesto verso l’alto) disprezzo, potentissima ciabatta!
MONALDO – In una giornata come questa, mi dà pena persino parlarne.
FURIO – (A Landoni) E di quella barca che il Conte Guiccioli ha fatto venire apposta da Venezia, ne sa niente lei?
LANDONI – Se ne so niente? So tutto, sono andato anche a vederla.
FURIO – (A Monaldo) Si dice che non abbia le vele!
LANDONI – Le vele sono superate. Oggi le navi vanno con il fuoco.
MONALDO – Come sarebbe a dire con il fuoco?
LANDONI – Sarebbe a dire che per muoversi, invece del vento, usano macchine…come quelle che usano certi mulini moderni. Macchine che…
MONALDO – Andiamo avvocato! Un mulino posso anche capirlo: sta sulla terra. Ma una barca…
CICCHI – (Saputello, a Bandoni) E come farebbe il fuoco a bruciare nell’acqua?
LANDONI – (Facendogli il verso) Non brucia nell’acqua, brucia dentro la barca.
CICCHI – Ma allora, potentissima ciabatta!, la nave andrà pure a fuoco!
LANDONI – Se fosse di legno potrebbe anche andare a fuoco, ma siccome è di ferro…
CICCHI – Ah, ah, ah, una barca di ferro! Ma dove s’è mai vista una barca di ferro?...Ma lei, avvocato, si sente bene? Provi, provi a mettere una paletta nell’acqua e vedrà sta sta a galla.
LANDONI – Devo ammettere, caro Marchese, che lei ancora una volta mi stupisce. Faccio fatica ad accettarlo, ma devo ammettere che lei mi supera in ogni cosa, anche nella mia ignoranza, nemmeno comparabile con la sua.
CICCHI – (Che non ha capito l’ironia) Vede, avvocato, è questione di esperienza. Ma non deve demoralizzarsi, un giorno, forse, potrà arrivare anche ai miei livelli.
LANDONI – (Fra sé) Solo a pensarci mi viene la pelle d’oca.
MONALDO – Non c’è niente da fare, sono tutte stregonerie.
CICCHI – Sissignori, tutte stregonerie, potentissima ciabatta!
(Faustina ed Eugenia si alzano)
FAUSTINA – Chiedo scusa, nonno, Eugenie ed io andiamo a guardare dalla gelosia delle finestre, per vedere se arriva qualcuno di tutti quelli che stiamo aspettando.
(Grande riverenza ed escono)
MONALDO – Ma che mistero è mai questo? Com’è che ancora non s’è visto nessuno?
FURIO – Il duomo era pieno di gente. La processione non è ancora iniziata.
MONALDO – E Cosimo?
FURIO – Ve l’ho già detto, padre, è uno dei valletti che reggono il baldacchino.
MONALDO – Baldacchino o non baldacchino, dovrebbe essere qui. Quando passa la processione, la famiglia deve essere al completo.
FURIO – (Sospira) I tempi cambiano.
MONALDO – Se cambiano in questo modo cambiano in peggio.
LANDONI – E’ il nuovo che avanza.
MONALDO – Prima di dover assistere al taglio di tutte le nostre radici, spero che il Padreterno mi faccia la grazia di chiamarmi nel suo regno.
PARISI – Sono anch’io del suo parere, signor Conte. Il mondo è cambiato da quando i francesi hanno fatto la rivoluzione e hanno sparso per il mondo la peste delle loro idee.
CICCHI – Ha ragione, ragionissima, potentissima ciabatta! Mi hanno perfino assicurato che nel nostro Circolo della Nobiltà, una sera dell’ultimo carnevale, è stata vista la Principessa Murat, degna mamma di quel giacobinaccio che è Gioacchino Rasponi, ballare quel ballo…come richiama, potentissima ciabatta?...Il valzer, ecco, proprio il valzer! Quel valzer che Papa Gregorio definì “ballo oscenosissimo e scandalosissimo”.
MONALDO – Ed era il minimo che potesse dire. Uomini e donne, se hanno un minimo di pudore, in pubblico dovrebbero toccarsi soltanto con le punte delle dita.
CICCHI – Stiamo navigando in un mare di frivolezze e di sciocchezze.
PARISI – Certe volte ho l’impressione di essere un rudere.
MONALDO – Non c’è più ritegno! Ma questi giovani cos’avranno nelle vene?
LANDONI – Del sangue, signor Conte, sangue come il nostro. Un po’ più veloce, ma dello stesso colore del nostro. Il mondo dei figli non è mai stato uguale a quello dei padri: loro guardano al futuro, ma noi che futuro abbiamo? Ogni alba per noi è un regalo, per loro è una promessa. La vita per loro è una giovane donna che chiede soltanto di essere amata, la nostra è una vecchia, bolsa baldracca sfinita dai vizi, il cui lubrico sorriso non ha per noi più alcuna attrattiva.
MONALDO – Beh, avvocato, stiamo dando i numeri?
LANDONI – (A tutti) Non sentite puzza di marcio?
MONALDO – Sono i suoi discorsi che puzzano. Puzzano di giacobinismo.
(Dal portone entra Cosimo, affannato)
COSIMO – Nonno…babbo!
MONALDO –Cosimo! Finalmente! Ma dove sei stato?
COSIMO – E’ accaduta una disgrazia, nonno,…una grande disgrazia. Dobbiamo chiudere subito il portona.
MONALDO – Chiudere il portone? Ma chre cosa stai dicendo?
COSIMO – (Rivolto a Landoni, Cicchi e Parisi) Dovete scusarci…per favore… (Accenna con garbo ma con fermezza al portone) Dobbiamo chiudere. (A Giacomo) Giacomo, chiudete il portone…non possiamo tenerlo aperto…è necessario…per favore…
(I tre escono frastornati dal portone. Da destra entra Faustina seguita da Eugenia)
FAUSTINA – Dio mio! Ma cosa sta succedendo?
MONALDO – (A Cosimo) Te lo chiedo per l’ultima volta: cosa sono questi ordini? Come ti permetti di dare degli ordini in casa mia? Gli ordini in questa casa li do io e soltanto io!
COSIMO – Avete ragione, nonno, vi chiedo perdono. Ma quando saprete di che cosa si tratta, sono certo che capirete.
FAUSTINA – Ma Dio benedetto, vuoi spiegarti Cosimo?
COSIMO – Lei zia per favore vada di là. E anche Eugenia. Devo parlare con il nonno…si tratta di zio Danilo.
MONALDO – (Con uno scatto si alza in piedi) Parla, dunque, parla, gran Dio! Quale altra mascalzonata ha fatto quel delinquente contro la mia famiglia?
COSIMO – Nonno…Ha chiesto ed ottenuto di essere nominato Amministratore di Giustizia per le quattro Legazioni romagnole.
MONALDO – (Respingendo Furio che tenta di sorreggerlo) Amministratore di giustizia?...Il boja! Mio figlio è diventato boja? Mio figlio?...Ma tu, perdio, come hai fatto a saperlo? Da chi l’hai saputo?
COSIMO – Da Monsignor Calcagnini, il referendario di Curia. Mi ha chiamato prima della processione e mi ha incaricato di venirvelo a dire.
MONALDO – (Con affanno, a tutti) Lasciatemi stare! Non toccatemi! Non avete sentito? Sono il padre del boja! Sono maledetto!...Maledetto! Giacomo, chiudi il portone!
COSIMO – Non fate così, nonno, noi vi vogliamo bene.
MONALDO – Ecco perché non è venuto nessuno al ricevimento. Hanno saputo che questa è diventata la casa del boja. Una casa maledetta da cui bisogna stare alla larga.. Mio figlio non poteva trovare modo peggiore per farmi morire.
COSIMO – Ma nonno, ci siamo ancora noi che…
MONALDO – (Si drizza peniosamente sulla persona) Tu Furio, domattina andrai subito a pagare il tuo debito, i seicento scudi te li darò io. Poi andrai dal Cardinale Falconieri e gli porterai queste mie decorazioni. Gli dirai che gliele rimando indietro perché non sono più degno di portarle. Tre Papi me le hanno concesse ed ora sono costretto a darle indietro perché non sono più degno di portarle. (Si toglie una ad una le decorazioni) Questa è l’insegna di Conte Palatino che mi concesse Pio Settimo quando tornò dalla prigionia in Francia…Questa è la Santa Croce di Santo Stefano che nel trentuno Papa Gregorio mi appuntò sul petto con le sue sante mani per la mia ferma fedeltà alla Chiesa…E questa è la Gran Commenda dello Sperone d’Oro che mi fu concessa da Papa Leone, l’unica che mai sia stata concessa a un laico…(Si slaccia la spada) E gkli porterai anche questa e dirai a Sua Eminenza che ormai non posso più essere difensore della Chiesa…Non posso più essere nulla.. Ora sono soltanto il padre del boja. (Sputa con violenza) Mi sembra di avere in bocca del fiele! (Punta un dito verso Cosimo) In quanto a te che eri la mia unica speranza per portare avanti il nome degli Alidosi della Costa Vecchia, sarai l’ultimo degli Alidosi. Voglio che questa razza infame che ha partorito un boja finisca con te e che il nome degli Alidosi sia cancellato dalla faccia della terra.
COSIMO – Ma nonno…
MONALDO – Mio figlio ha sposato la forca e tu sposerai la Santa Chiesa. Così la nostra razza sarà per sempre finita.
FURIO – No, padre, per l’amor di Dio, tornate in voi!
MONALDO – Silenzio! Finché avrò gli occhi aperti qui comando io! Comando, posso e voglio! (A Cosimo) E tu Cosimo ascolta. Tutto il mio patrimonio sara tuo soltanto il giorno che diventerai prete. Domani stesso entrerai in seminario e questa casa resterà chiusa per sempre. La semente maledetta della nostra famiglia non dovrà contaminare più nessuno. (Rintocchi di una campana. Effetto musica. Si sente, di fuori, la processione che passa) Il Santissimo!...Il Santissimo ed io non posso nemmeno aprire la porta!...Non posso!...Non posso! (Cosimo e Furio cercano di sorreggerlo, ma egli si ribella) Lasciatemi stare! Non toccatemi! Non avete capito che sono maledetto?
(Furio e Cosimo lo aiutano ad inginocchiarsi, ma egli piano piano scivola verso terra e si capisce che sta morendo. Tutti i presenti, uno alla volta si inginocchiano, tranne Cosimo)
VOCE FUORI CAMPO – In seguito Cosimo, aiutato da Battista, fugge dal seminario e insieme seguiranno Garibaldi, che, caduta la Repubblica romana, attraversa l’appennino, s’imbarca a Cesenatico e sbarca nelle valli ravennati. Diretto in Toscana, passa per Mandriola, possedimento degli Alidosi, dove trova morte e sepoltura la moglie Anita. Eugenia entra in convento portando in dote l’enorme eredità della casata. Lo sfascio della famiglia degli Alidosi, alla quale abbiamo assistito, simbolo della nobiltà e del potere di quel tempo, è l’inizio della fine di un’epoca.
(Musica: Te Deum del finale del primo atto di Tosca).

F I N E