Surviving Caravaggio
di
Eduardo Fiorito
Urla, grida, rumori di oggetti. Le prime comparse cominciano ad apparire. Poi si vedono i due uomini duellare: Ranuccio e Caravaggio. Arrivano sin sul ponte.
Ranuccio: Dunque, questa è la sera in cui diventerò famoso?
Caravaggio: Si? Come?
Ranuccio: Come quello che t’ha tolto dalla faccia del mondo! E poi me ne andrò da tutti i tuoi amici pieni di soldi a raccontare che specie di ladro era il nostro Caravaggio!
Caravaggio: Ma te l’avrebbe fatta anche un bambino, Ranuccio. Poi sei stato tu ad indurmi a barare.
Ranuccio: Forse… ma tu hai fatto molto di più.
Caravaggio: Vale a dire?
Ranuccio: Hai barattato con l’oro le mie piaghe!
Caravaggio: Barattato con… e chi ti ha messo in bocca queste parole? Dì, la partita a carte, tutti quegli scudi, da che tasche venivano?
Ranuccio: Ti piacerebbe saperlo, eh?
Caravaggio: Chi ha così a cuore la mia vita, Ranuccio?
(Ranuccio fa un primo affondo ma fallisce, sbilanciandosi fin quasi a cader dal ponte).
Caravaggio: Quanto costo, Ranuccio?
Ranuccio: Niente, non costi niente! Sono i tuoi quadri a valere, non certo tu!
Caravaggio: Prla, chi mi vuole morto?
Donna: Uccidilo, Ranuccio!
Caravaggio: Avanti… se m’ammazzi tu, l’hai detto a un morto, se t’ammazzo io, che te n’è venuto a difendere quel maiale.
Ranuccio: (si scaraventa contro Caravaggio, questa volta ferendolo malamente ad un fianco, un urlo di donna si leva. Ranuccio si rivolta a guardare la sua donna e i suoi amici)
Caravaggio: (Toltasi la mano dalla ferita la passa sul viso di Ranuccio imbrattandolo di sangue)
Ranuccio: (sta per colpirlo a morte ma Caravaggio lo previene passandolo da parte a parte. Ranuccio abbraccia tremante la spada che lo ha passato, poi cade riverso al suolo, parte la musica)
Caravaggio: Ranuccio…
(Una ballerina, attraversando la folla di popolani, cammina verso Caravaggio – che non la vede - e fa un giro attorno alla sua persona. Caravaggio scappa verso il castello. La ballerina inizia la coreografia )
Coreografia
La coreografia ha come tema il viaggio di Caravaggio, verso la vita, verso la morte, verso la malattia, il mare. La ballerina – sulla musica dei Carmina Burana– interpreta l’anima artistica di Caravaggio in fuga attraverso le sue esperienze.Poi entra il corpo di ballo.
Monologo di Caravaggio
Mentre il corpo di ballo si dirige verso Caravaggio la voce del banditore proclama:
Banditore: Udite, udite... Udite, udite… Michelangelo Merigi, detto il Caravaggio, è condannato alla pena capitale per aver dato morte a Ranuccio Tommassoni da Terrani. Chi lo avesse veduto, è tenuto a denunciarlo tosto alla pontificia gendarmeria, acchè la giustizia possa avere il corso suo. Chi con lui fosse veduto accompagnarsi, chi l’ospitasse o rifocillasse sarà tenuto colpevole di favoreggiamento et punito, in base alla legge vigente, ad anni due di carcere.
(il corpo di ballo riproduce plasticamente il quadro della "Deposizione di Cristo nel sepolcro",la musica dopo il crescendo finisce, il corpo di ballo esce. Caravaggio è sul letto. Una sola luce sul volto. Dell’acqua in un contenitore da basso. Una pezza umida sulla fronte. Gravemente malato, delira. Delle voci provenienti da altre stanze sono sussurri dei suoi incubi)
Caravaggio: No, non così, piega il viso verso sinistra… ecco! - questo Michelangelo da Caravaggio continua a nascondere nei suoi quadri una certa provocazione nei nostri confronti - Quel panno che è sotto di te – voi state barando! – avvolgilo attorno alle ginocchia… - sta attento, fratello mio - le mani, posale in grembo, come… - venite, venite a vedere, oh, dio! – come se avessi un bambino - l’hanno trovata annegata nel fiume, aveva il viso… - guardalo negli occhi, cerca di amarlo - era incinta - perché piangi? - una sgualdrina morta nelle vesti di Maria Vergine?! - Lena, perché piangi? - non si sa di chi fosse - Perché piangi? – l’hanno ammazzata, Michelangelo – Lena!
(Apre gli occhi, chiama a voce) Mariaccio! Perché non mi rispondi?Ma dovesiete tutti? (Si alza dal letto dolorante) vi hanno buttati in mare assieme a tutti gli altri appestati.(Voci off : Michelangelo, apri gli occhi! / Sta sognando, vai a prendere dell’acqua.) (ai suoi piedi stracci di colore, pietre, fiori calpestati, bottiglie, spartiti su leggii di legno, violini. Affianco ad ognuno di essi una candela che li illumina peculiarmente. In un angolo il famoso cesto di frutta. Davanti ad esso uno specchio, al lato una candela. Comincia a giocare con l’illuminazione, prende in braccio il cesto, si scopre le spalle, è il "Ragazzo col cesto di frutta")
Voci off
(Caravaggio nel frattempo ha continuato a camminare. Avviatosi verso un tavolo, arredato come quello del suo quadro "San Gerolamo", esamina il teschio)
Voci off
Caravaggio: (E’ turbato, Si alza la veste e la ferita sul fianco, generis "Incredulità di San Matteo" ha cominciato a sanguinare) Ridammi il mio dolore, Ranuccio… ridammi il mio dolore… Prima che muoia nella notte, prima che questo sogno maledetto mi porti per mano oltre …la notte. (Buio)
( Al buio entrano gli attori in posa come i modelli dei suoi quadri: "La morte della vergine", "Narciso", "Davide e Golia", "Maddalena", tutti ancora in penombra. Caravaggio di spalle. Ogni volta che Caravaggio si rivolgerà ad uno dei modelli si accenderà un puntatore solo su questo, mentre gli altri due saranno nella penombra.)
Anna, Mario, Marta… mi senti? (Passa una mano fra i capelli di Anna e se la ritrova sporca di colore) E’ come se l’avessi saputo, che t’avrebbero ridotta così, da quando t’ho incontrato… che potevo fare io? Più che tirarti fuori dal fiume, con queste mani, t’ho dipinto con le lacrime, gonfia, sfatta, nel silenzio di quella stanza. Non ho fatto un quadro quella notte, ho cancellato me, il mio pianto, la mia impotenza, il mio dolore.
(Si avvicina al Narciso) Mario, fratello mio, mi ricordo anche di te, come non potrei, abbiamo passato sette anni assieme… era quasi l’alba, ricordi, quando venivi a posare nella mia stanza, ed io ti passavo la mano tra i capelli lasciando increspature come sul fondo dell’oceano, quasi l’alba quando ci facevamo sbattere fuori dalla Chiavica del Bufalo, ubriachi come gli asini, come gli asini quando hanno voglia di una mula, quasi l’alba, l’alba che m’hanno aperto i cancelli di Tordinona e tu stavi ancora lì, per terra, aspettando che mi lasciassero andar via. (vede Ranuccio nella posa del Davide, va verso di lui) Quanto anni devo lasciare andare via… per dieci scudi… dieci scudi! E per una pala che licenzio me ne servono trecento (va verso il Davide) Dieci scudi, te l’avrei dati Ranuccio, e come se te l’avrei dati… ad averli avuti… il fatto è che non avevo che debiti, sul pagliericcio mi facevano dormire, come le bestie. Parla! Parla! A te sarebbe piaciuto, no? Avere addosso gli occhi di tutti per le strade di Roma, con la coscienza nelle mani di chissà quale cardinale, quale signore, avermi donato l’inferno… l’inferno trascinato sulle spiagge di Napoli, nelle prigioni di Malta, l’inferno fra le strade di Messina, nei bordelli di Palermo, nello squallore di Palo, potere abbracciare gli amici solo nel sonno, ed erano quei sonni terribili fatti nelle stive delle navi, per poi approdare finalmente su queste coste, essere a tanto così da Roma… e trovare ancora te, te… che sanguini dal mio fianco, te, che urli fra le onde, te, come un dio senza grazie che m’ha atteso in fondo alla vita per tutti questi anni.
Lena: Michelangelo…
Caravaggio: Lena, una volta mi sono battuto anche per te, nevvero?
Lena: Ogni occasione era buona…
Caravaggio: Gli ho spaccato la testa al notaio, Pasqualone Mariano. Visto che non ce la faceva a portarti a letto intanto s’era fatto passare un’ordinanza dal tribunale così che intanto non ti ci portassi io!
Lena: No, non parlarne così, è un brav’uomo in fondo.
Caravaggio: Cosa?!
Lena: A Roma nessuno ti ha dimenticato… domani forse avrai la grazia del papa…
Caravaggio: Da morto?
Lena: Che dici, prenderai la galera che salpa dalla spiaggia all’alba, Porto Ercole…
Caravaggio: Mi seppellirà, la sabbia di Porto Ercole mi sta mangiando vivo. Perché non vieni qui, invece, dai, come facevi quando ti venivo a trovare la notte a Piazza Navona. Bisogna fare la vita per cacciare la morte.
Lena: Non ora, Michelangelo.
Caravaggio: E Quando? Quando il tuo Pasqualone avrà dato un banchetto sulla cassa che avrete portato a Roma e seppellito lì, buona, fra le vostre glorie? Io sono un uomo, non una delle vostre glorie. Con me muore anche il mio mondo! (Svuota la sua borsa, tra le carte gettate un foglio) e lo vuoi vedere cosa resterà di me? Un pugno di sogni! Un pugno di sogni… che continueranno a vivere quando sarò morto… quando verrò da te Ranuccio! E vedrò in pace il volto di questi santi allora, o forse, spentosi il lume sul quadro c’è soltanto il buio, il buio dietro i corpi, "Corpi senza decoro, Caravaggio… San Pietro, ha i piedi sporchi… San Matteo, ha le dite di un pastore, e poi le gambe accavallate… Maddalena, ma una puttana, è proprio una puttana… e voi, cosa siete voi? La stirpe di Caino. (Altera la voce) Che scandalo questo Caravaggio! Ha messo il vinto sull’altare del vincitore, il dolore di chi vive non ci redime più, ci accusa, è evidente, ci accusa, noi, i ciechi di fronte alla piaga del mondo come San Tommaso! (Ritorna con la sua voce) Non troverete una colpa nelle vesti lacere, non un peccato nelle puttane… ma qualcosa di geniale, di perverso nella croce posta a vegliare sui vostri sonni, nell’aver portato Cristo nei palazzi dei signori, nel Dio venerato da chi disprezza nel silenzio chi vive nel fango, chi ha risposto del selvaggio dolore d’esser uomo. (Mette la sua testa al di sotto della mano del Davide, Buio.)
(voce off)
"Il 18 luglio 1610 anno domini muore a Port’Hercole Michelangelo Merigi da Caravaggio, pittore celebre, da Napoli venendo a Roma per la grazia fattali del bando capitale per l’assassinio di Ranuccio Tomassoni da Terani, avendolo egli commesso per leggitima difesa e restando anch’egli malamente ferito in detta occasione".
Si illumina la proiezione de "La Maddelena" e una ballerina, vestita come la donna del quadro, su una melodia lenta e vagamente sensuale, comincia a danzare, trattenendo, nei suoi movimenti, le posizioni dei personaggi di alcuni dei quadri più celebri del pittore. Nel corso della danza si svestirà dei suoi poveri panni, restando vestita solo del suo corpo. Nel corso della coreografia entrerà, vestita con un lungo cappotto vecchio e liso, un’attrice alla quale verrà consegnato, dalle mani della ballerina stessa, il foglio di carta da lei raccolto e da Caravaggio precedentemente gettato nel corso del precedente monologo. Alla fine della musica la ballerina si immobilizzerà in un angolo della scena, in posizione plastica, mentre l’attrice, sedutasi sulla sedia precedentemente occupata dal pittore, leggerà il seguente brano di Curzio Malaparte.
Attrice: Non so quale sia più difficile, se il mestiere del vinto o quello del vincitore. Ma una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori.
In questi ultimi anni ho viaggiato, spesso, e a lungo, nei paesi dei vincitori e in quelli dei vinti, ma dove mi trovo meglio, è tra i vinti. Non perchè mi piaccia assistere allo spettacolo della miseria altrui, e dell’umiliazione, ma perchè l’uomo è tollerabile, accettabile, soltanto nella miseria e nell’umiliazione. L’uomo nella fortuna, l’uomo seduto sul trono del suo orgoglio, della sua potenza, della sua felicità, l’uomo vestito dei suoi orpelli e della sua insolenza di vincitore è uno spettacolo ripugnante.
Letto il brano anche l’attrice resta come pietrificata in una luce livida, nella posizione della Maddalena dietro di lei proiettata. Entra un uomo in abiti moderni che rivolgendo la sua attenzione di volta in volta ad una delle tre presenze presenti sulla scena (Caravaggio morto, ballerina ed attrice pietrificata) comincia ad interpretare, con in sottofondo il rumore appena percettibile delle onde:
Conduttore: Avete sentito? Ma davvero poi il Caravaggio aveva scritto quelle parole... e le portava con se in quell’ultima notte densa di febbri malariche e di rimpianti?
Certo potevano essere sue, perchè ciò che è scritto si legge, si intuisce nelle sue opere, nelle rughe dei suoi santi, nelle lame e nei bagliori di morte che non sono mai fine, ma parte di una tragedia che si rinnova e che riguarda anche, e sopratutto, il VINCITORE, prigioniero della sua stessa vittoria, dell’assenza di pietà, preludio alla definitiva sconfitta. Non di parole, ma immagini e colori è impastato il suo messaggio, ritrovato nella lucida battaglia che Caravaggio affidò al fluire del suo tempo.
E dunque non sue erano le parole, forse la voce che ha parlato era la stessa, ma lo ha fatto tre secoli dopo e con un altro nome. Quella voce è passata inalterata attraverso gli oceani del tempo e si è incarnata, una vita dopo l’altra, nelle parole di chi ha saputo cogliere l’essenza terribile e sublime della vita. Quelle parole venivano da Napoli, era il 1943, ed a scriverle fu Curzio Malaparte. La seconda guerra mondiale è finita, l’Italia è un paese di vinti, gli americani sono sbarcati a Napoli e l’hanno appena liberata dai tedeschi, il mondo intero inneggia a questi ragazzi, forti e coraggiosi, che hanno attraversato l’oceano portando pane e vestiti, musica e amore, libertà e pace. Pace... ma c’è un’altra faccia della medaglia, il rovescio della realtà, che la maggior parte delle persone ha preferito non vedere, ma che pure c’è stato. Nella vittoria c’è sempre qualcosa di torbido, un aspetto della vita che comincia a marcire: è il mercato di vite che si è allestito perchè ogni uomo, ogni ragazzo, ogni donna dei mille vicoli di Napoli vuole riscattarsi dalla povertà, recuperare il tempo perduto, vincere per sempre la fame, raggiungere la ricchezza, la ricchezza, la ricchezza...
Resta illuminata la diapositiva della Maddalena
Exeunt omnes
Un attrice interpreta il seguente brano tratto da "La Pelle" di Curzio Malaparte, qui drammatizzato per la scena.
Attrice: Donne livide, sfatte, dalla labbra dipinte, dalle smunte gote incrostate di belletto, orribili e pietose, sostavano all’angolo dei vicoli offrendo ai passanti la loro miserabile mercanzia; ragazzi e bambine di otto, dieci anni, che i soldati marocchini, indiani, algerini, malgasci, palpavano sollevando loro la veste o infilando la mano fra i bottoni dei calzoncini.
Voce di donna: (brusio) Two dollars the boys, three dollars the girls
Voce maschile 1: Ti piacerebbe, dì la verità una bambina da tre dollari"
Voce maschile 2: Shut up!
Voce 1: Non è poi male una bambina per tre dollari, costa molto di più un chilo di carne d’agnello. Sono sicuro che a Londra o a New York una bambina costa più di qui, non è vero Jack?
Voce 2 : Tu me degoutes!
Voce 1: Tre dollari fanno appena trecento lire, quanto può pesare una bambina di otto, dieci anni, venticinque chili? Pensa che un chilo di carne d’agnello, sul mercato nero, costa cinquecento e cinquanta lire, cioè cinque dollari e cinquanta cents
Voce 2: Shut up! (il brusio scema)
Attrice: Una ragazza fra i venti e i venticinque anni, che una settimana prima arrivava fino a dieci dollari, ora non ne valeva che quattro, ossa comprese. La ragione di una tal caduta di prezzo della carne umana sul mercato napoletano dipendeva forse dal fatto che, durante le ultime settimane, i grossisti avevano buttato sul mercato una forte partita di donne siciliane. Non era tutta carne fresca, ma gli speculatori sapevano che i soldati negri sono di gusti raffinati, e preferiscono la carne non troppo fresca. Tuttavia la carne siciliana non era molto richiesta e perfino i negri finirono per rifiutarla: ai negri non piacciono le donne bianche troppo nere.
Non si erano mai viste simili cose a Napoli, era una vergogna certo, una vergogna di cui la grandissima parte del buon popolo napoletano arrossiva... ma perchè le autorità alleate, che erano le padrone di Napoli, non arrossivano?
La carne di negro, comunque, continuava a salire di prezzo, e questo fatto contribuiva, per fortuna, a ristabilire un certo equilibrio sul mercato.
Voce 1: Quanto costa oggi la carne di negro?
Voce 2: Shut up!
Voce 1: E’ vero la carne di un americano bianco costa più di quella di un americano negro?
Voce 2: Tu m’agaces
Attrice: Voglio bene agli americani, qualunque sia il colore della loro pelle, e l’ho provato cento volte durante la guerra. Bianchi o neri per me hanno l’anima chiara, molto più chiara della nostra. Voglio bene agli americani perchè sono buoni cristiani, sinceramente cristiani. Perchè credono che Cristo stia sempre dalla parte di coloro che hanno ragione, perchè credono che sia una colpa avere torto, che sia cosa immorale avere torto. Perchè credono che essi soli son galantuomini e che tutti e popoli della terra sono, più o meno, disonesti. Perchè credono che un popolo vinto è un popolo di colpevoli, che la sconfitta è una condanna morale, è un atto di giustizia divina. (Cominciano ad entrare delle comparse vestite da popolane del seicento e vi è in sottofondo la stessa musica dell’assolo danzato della "Maddalena". Chi sbuccia un frutto, chi dialoga, chi amoreggia. Le comparse e l’attrice, pur trovandosi nello stesso spazio, non possono vedersi ne sentirsi poichè appartengono a due epoche diverse. L’attrice infatti continua come se niente fosse)
Attrice: …voglio bene agli americani per queste e per molte altre ragioni, che non dico. Il loro senso di umanità, la loro generosità, l’onesta e pura semplicità delle loro idee, dei loro sentimenti, la schiettezza dei loro modi, mi davano, in quel terribile autunno del 1943, così pieno di umiliazioni e di lutti per il mio popolo, l’illusione che gli uomini odiano il male, la speranza in una umanità migliore, la certezza che soltanto la bontà, la bontà e l’innocenza di quei magnifici ragazzi d’oltre atlantico, sbarcati in Europa per punire i malvagi e premiare i buoni, avrebbe potuto riscattare dai loro peccati i popoli e gli individui. (La scena è ormai satura di personaggi da osteria, entrano infine anche Pasqualone e Caravaggio. Si illumina il quadro della "Vocazione di San Matteo")
Pasqualone: (Vedendo lo sfacelo) Che razza di posto…
Caravaggio: Ci dobbiamo esser persi qualcosa. (Tirano su un tavolo, Pasqualone alza una sedia e vi si siede, Caravaggio idem. Una cameriera porta del formaggio e del vino).
Pasqualone: (Alla cameriera) Che è passato qui dentro? (lo guarda interrogativo) Cos’è questo disordine?
Cameriera: (Ironica) E’ stato per via del governatore, sapete, era molto euforico stasera. Detto fra noi anche il cardinale, risentito, s’è messo a tirare due o tre caraffe, non raccontatelo troppo in giro… (Andando via, ad una sua amica) ma cosa crede? Di essere venuto a palazzo quello…
Pasqualone: Senti!
Cameriera: Ditemi pure… volete mangiare?
Pasqualone: Carte ne hai?
Cameriera: Chiedete la corda a casa dell’impiccato. (Torna e gliele dà. Esce)
Pasqualone: (A Caravaggio) Cos’hanno tutti da guardare?
Caravaggio: Di notai qui…
Pasqualone: Vicario del notaio, ancora.
Caravaggio: Bè, la razza è quella, e non ci si fida gran che da queste parti.
Pasqualone: E’ una razza stupida la vostra. Non sa vedere la grazia neanche se ce l’ha ad un palmo di naso.
Caravaggio: Parlate della mamma di Lena?
Pasqualone: Quella donna non ha un soldo. Non ha più neanche un marito, non ha niente. Solo la figlia le è rimasta e la concede ad uno scomunicato e maledetto per concubina. E sono venuto a dirvelo in faccia, che ho messo fine a questa storia assurda. Il tribunale ha emesso oggi una ordinanza che… aspettate che ve la prendo… (Prende un foglio di carta) e vediamo se continuerete a sfruttare quella povera ragazza.
Caravaggio: Come sfruttare?
Pasqualone: Ecco qui… Idem retulit… oggi 20 ma… (sta per leggere ma Caravaggio gli strappa l’ordinanza di mano)
Caravaggio: (legge) "…una certa donna chiamata Lena che sta in piedi a Piazza Navona a…" siete arrivato a darle della puttana!… Per portarla via da me. Per i vostri porci comodi! Ed io sarei lo sfruttatore?
Pasqualone: E’ così notificato.
Caravaggio: (Si alza come per aggredirlo ma pasqualone gli punta il coltello) La legge è la legge.
Caravaggio: Tu, che sbavi all’idea di infilarti un giorno nel letto di Maddalena…
Pasqualone: Io la amo! Non sapete di cosa parlate!
(un garzone è venuto a portare un piatto di carciofi)
Petruccio: Salve signor Mariano.
Pasqualone: Ciao Petruccio.
Caravaggio: Vi conoscete?
Pasqualone: E’ stato lui a raccontarmi della voi e Maddalena. A tentare suo malgrado…
Petruccio: Di far ragionare la mia vecchia povera madre, signor Mariano ma…
Caravaggio: Ma tua madre ragiona benissimo. Quello vecchio sei tu.
Petruccio: Il signor Mariano…
Caravaggio: E’ uno che compra le persone, e questo tua madre lo sa. Sa anche che se lo fa è perché ci sono persone come te disposte a vendersi pur di portare carciofi in livrea invece che in grembiule. (Gli prende il piatto di carciofi di mano) E poi te ne avevo chiesti quattro cotti all’olio e quattro al buturo, dove sono quelli al buturo?
Garzone: (sputa nel piatto) Eccoli!(Caravaggio, gli dà uno schiaffo, gli prende la testa e gliela mette nel piatto di carciofi)
Lena: (Che ha visto la scena) Petruccio! (Caravaggio lo lascia)
Garzone: (Uscendo) Pittore del cazzo…
Pasqualone: Del vino, ragazzo! Rosso! (Guardando Lena) Come le labbra di tua sorella.
Caravaggio: Come il colore che dovreste avere in volto, se aveste idea di ciò che siete (Gli lancia l’atto addosso) Lena non si compra con un atto notarile.
Pasqualone: E per questo che non la sposate?
Caravaggio: Se le persone fossero le carte che firmano, voi sareste il padrone del mondo. Ad ogni persona, ogni amore, ogni ingiustizia che avete firmato, avete dato in cambio una parte di voi, una piccola parte del vostro grande corpo, Pasqualone, diviso fra milioni di persone a cui avete delegato una parte della vostra vita, questo è ciò che chiamate potere. Ma qui ci sono solo schiavi, schiavi dappertutto, e sono loro a stringere le fila della vostra vita, quindi se fossi in voi starei molto attento. (Esce, entra il garzone e gli versa del vino)
Garzone: E’ andato via?
Pasqualone: Credo di si.
Garzone: Non gli dia retta, non sa quello che dice. Mi siedo con voi? (Pasqualone lo guarda allibito e poi gli fa il gesto di sedersi, lui si siede e versa il vino per tutti e due) Vede signor Mariano, quel tizio beve come un irlandese. Dà di testa da un momento all’altro, eh? (Si tocca la ferita. Entra Lena) Perché quella faccia, ha appena vinto la battaglia… certo che è proprio un bel pezzo di ragazza… se non fossimo venuti al mondo dalla stessa porta…
Pasqualone: Per favore…
Garzone: Dicevo così, per dire. Perché piuttosto non la avvicinate.
Pasqualone: Scoppierebbe una rissa…
Garzone: E a voi cosa importa? Sarete mica disarmato? E’ quello che serve qui... se sapete usarla bene, chissà che quando saranno chiuse le porte dell‘osteria, e spente le luci, lei quella sua voce, non vi chieda di rimanere… e allora vi dimenticherete di tutti i bei discorsi di quel pittore maledetto.
Lena: Petruccio! Mon ti pagano per parlare, va in cucina che non ho voglia essere licenziata per colpa tua. (Petruccio esce, Lena si allontana. Parte una tarantella del seicento e, mentre le persone presenti bevono, giocano a carte, a morra cinese, ogni tanto qualcuno esce dal gruppo e, salito su una sedia, legge le seguenti denuncie contro Caravaggio).
Attore: Alle cinque ore de notte, alla chiavica del bufalo, fu fermato dalli miei uomini Michelangelo da Caravaggio che portava spada et pugnale, e domandatoli se haveva licenza, disse de si e la mostrò, e così li fu resa e dissi che lo lasciassero andare, e così io dissi: "Buona notte signore" e lui rispose forte: "Ti ho in culo", e così io detti arresto, ma lui si ribellò e così lo feci pigliare e, da poi che fu ligato disse "Ho in culo te e quanti par tuoi si trovano" e così lo mandai in prigione a Tor di Nona.
Attrice: Questa notte, verso le cinque, è venuto Michelangelo da Caravaggio ed ha tirato molti sassi alla mia finestra e me l’ha rotta tutta da una banda, come si vede. Dopo è ripassato con i suoi compagni per insultarmi. Ha fatto ciò perchè, tenendo lui a pigione una mia casa, attaccata alla mia, i giorni passati ferì un notaro del vicario, un certo Pasqualone Mariano, e sen partì. E dovendo io esser pagata di sei mesi dell’affitto mio di detta casa ho avuto il mandato di pigliare le sue robbe restate in casa. E perciò credo che lui, per farmi dispetto mi abbia rotto la finestra.
Garzone: Circa le 17 ore stando, detto querelato, assieme a doi altri, a magnare dell’osteria del Moro della Maddalena, dove io stò per garzone et avendoli portato otto carcioffi cotti, cioè quattro nel buturo et quattro col olio, detto querelato mi ha domandato quali erano quelli al buturo et quelli all’olio. Io li ho risposto: che li odorasse, che facilmente avrebbe conosciuto quali erano cotti nel buturo et quelli che erano all’olio. Lui alora è montato in collera et senza dirmi altro ha preso un piatto di terra et me l’ha tirato alla volta del mostaccio che mi ha colto in questa guancia manca dove son restato un poco ferito et poi si è drizzato e ha dato di mano alla spada di un suo compagno che stava sulla tavola con animo forse di darmi con ella, ma io me gli sono levato dinanzi et sono venuto qua all’officio a darne querela."
Lena: A Campo dei Fiori c’é sempre festa, ma non tutte le volte ci si diverte; (La musica si smorza, l’atmosfera perde quella gaiezza di pochi secondi fa) l’altra volta andavo con Michelangelo all’Hostaria del Moro della Maddalena, quando sentiamo venire dalla piazza urla, grida. Io voglio andare a vedere, ma lui non ne ha voglia... già sa che stanno facendo – mi dice - E se lo sai, dimmelo allora, no? Mi risponde che il Signore, a volte, dimentica di mandare il suo angelo togliere la lama di Abramo dalla gola del figlio Isacco, e se ne va. Io ci vado da sola. Mi viene ancora il freddo a pensarci... c’era una grande catasta di legno, sopra un uomo, un monaco, intesi fra la folla che si chiamava Giordano Bruno, aveva il saio dei francescani... la gente parlava, rideva, qualcuno lo ingiuriava, ma l’uomo non gridava, non chiedeva pietà, come ho sentito fare ad altri condannati... il monaco era lì, in silenzio, dapprima ho creduto che pregasse... ma poi ho pensato: come può morire per un Dio di chi per quel Dio lo mette al rogo? Ho capito cosa intendeva Michelangelo. L’ho sempre davanti agli occhi quella fiamma la vedo spegnersi fra tante, ciò che è fatto una volta è fatto per sempre …
Si illumina la proiezione del Sacrificio di Isacco
Caravaggio: (Rimasto solo in scena, parlando, si accompagna con arpeggi dal sapore triste). Non c’era un granchè da vedere quella notte. Solo un mormorio si sentiva, che si contorceva, crepitava... arrampicandosi piano piano sopra tutti i ciocchi della catasta, insinuandosi sotto la veste del monaco... Fu allora che il mormorio si spezzò in un urlo denso quanto una lacrima trattenuta in una nuvola di passaggio... C’è una scala nella nostra mente, che più va in alto e più si assottiglia, noi la saliamo finchè non ci viene la voglia di voltarci a guardare dove siamo arrivati... e allora vediamo solo un numero di operai tutti intenti a smontare i gradini che non usi più, quelli che poggiano a terra, e allora cominci a pensare che non c’è più molto da fare, te ne stai lì, fermo, su quel pezzo di scala riamasta, sotto gli schiaffi del vento... un pò come noi, che giriamo nell’uragano abbracciati per qualche minuto, e poi veniamo risbattuti a terra, dispersi, in un niente. (sulle ultime parole entra vestito da francescano, con una candela, Giordano Bruno. Caravaggio, concludendo gli ultimi tristi arpeggi, esce. )
Giordano Bruno: Milioni di stelle... guardate, milioni di mondi lontani. La vedete quella stella lassù, più splendente, leggermente discosta dalle altre... è un’eco di un’altra verità, oltre la nostra fantasia... e quell’altra... e quell’altra ancora. Non c’è da crederci, basta guardare, e smarrirsi, senza la paura di perdere il nostro centro. Lo spazio non conosce una fine e l’infinito non ha centro. Si, io affermo, con Pitagora, che sarebbe stata cosa indegna della potenza divina generare un universo finito...
Da un altro luogo, che non sia il palcoscenico, un cardinale ed una suora discutono.
Monsignore: E’ un male che bisogna arginare. E’ gettare fango sulla parola di Gesù. Come si chiama questo frate che va oltraggiando le Sacre Scritture?
Sorella: Giordano Bruno, monsignore. E’ un domenicano fuggito dal convento.
Monsignore: Cos’altro sapete?
Sorella: In Francia e nell’impero è venuto in contatto con le frange luterane e calviniste. A Roma è stato arrestato dalle guardie di Sua Santità, è in attesa di giudizio.
Giordano Bruno: Ci sono dimensioni, opere che dobbiamo rassegnarci a non conoscere, perchè questo cammino ha una fine... Ma se riuscissimo a guardare un pò più in là di noi, potremmo vedere fini infinite... Non sediamo al centro dell’universo, siamo l’ombra di una nota di un’intera sinfonia che continua a suonare anche dopo di noi, di noi...
Monsignore: Sono parole affascinante come lo fu la serpe per Eva.
Suora: Nella Francia molti dei suoi scritti sono già conosciuti e stimati ormai...
Monsignore: A Roma no. Questa è la città dove si volle la casa di Dio, non ve lo dimenticate... sapete bene che momento difficile sia questo per la nostra Madre Chiesa, le eresie si accendono come focolai in ogni luogo. Anche Pietro sfoderò la spada quando Gesù fu in pericolo!
Suora: E’ già stato sparso molto sangue per questi conflitti.
Monsignore: (Ambiguo) Sorella, state cercando di dirmi qualcosa?
Suora: Nulla monsignore.
Cominciano a montare delle urla che gridano all’eretico.
Giordano Bruno: Dio è il suo creato, conosci le sue opere e conoscerai Dio! Non bisogna avere paura delle idee. Non bisogna avere paura della conoscenza.
Monsignore: La Chiesa diventerà la sgualdrina del Satana se lasciamo che questi veleni giungano al cuore.
Suora: Cosa accadrà a questo frate?
Monsignore: Ritratterà le sue idee...
Suora: E se non lo farà?
Monsignore: Saranno le fiamme dell’inferno che si è scelto ad accoglierlo.
Suora: Ma è pur sempre un figlio della chiesa...
Monsignore: Anche Abramo fu pronto a sacrificare suo figlio Isacco per amore di Nostro Signore.
Le voci si fanno sempre più fragorose.
Giordano Bruno: (Comincia ad avvicinare la mano alla fiamma della candela) Aprite il vostro cuore, lasciate la vostra anima libera.
Voci: Morte all’eretico, Morte all’eretico!
Giordano Bruno: Ah!
Sacerdote: La verità non è nella bocca di chi rinnega!
Giordano Bruno: Che fate! Che fate! (Buio. Si illumina il quadro di Giuditta e Oloferne. Parte il concerto d’inverno di Vivaldi. In scena l’attrice vestita da Giuditta legata alle articolazioni da quattro catene sostenute da altrettante ballerine. Ogni volta che parlerà la voce della coscienza una delle ballerine interpreterà fisicamente il significato ed il suono delle parole. Le ballerine rappresentano i pensieri e quindi, quando è Giuditta a parlare, restano immobili)
Voce off: Perché lo hai ucciso, Giuditta? Aprendogli la gola col sordo coltello, quando lui, dormendo, ancora cercava il tuo viso? Le mani per carezzare sono le stesse che usi per recidere?
Giuditta: Il mio popolo, il popolo di Israele, da troppo langue sotto la violenza dei Babilonesi. Le mani che uso per carezzare sono le stesse con cui spezzo le catene; Betulia, prima che fosse piegata, era il luogo dove i giovani ebrei si ritrovavano dappresso le fontane o nascosti dai cespugli di rose per soddisfare le loro promesse. Ora le siepi sono bruciate e le fontane bivacco per i cavalli dei padroni. Betulia è diventata una schiava, la fame e la sete sono le catene attorno alla sua gola. Per guarire dalla malattia bisogna sradicare il morbo, Oloferne doveva morire!
Voce: Ma non in guerra è morto, non in un leale combattimento come si addice ad un guerriero…
Giuditta: In un leale combattimento? E cosa c’è di leale in tutto questo? In un popolo che umilia un altro con le armi e la ricchezza? L’ho ucciso, si. Ma ho salvato la mia gente da una morte in vita… questi capelli, queste mani, questi occhi, sono state le armi spiegate contro il più valoroso tra i generali di Nabucodonossor, l’uomo che aveva soggiogato la Siria e l’Anatolia, e interrotto migliaia di vite
Voce: Ma lui si è arreso a te, per gudagnarsi il tuo amore…
Giuditta: Si…
Voce: E tu lo hai ripagato con la falsa moneta...
Giuditta: Non per me, ma per la mia gente. E se a volte, nelle notti di primavera, il mio cuore ha tremato contro il suo petto, se anche la falsa moneta ha brillato come oro vero, per un attimo, ciò non può dirsi una colpa, perchè sono si di carne, ma ho potuto recidere ogni sentimento e fare della mia carezza una lama.
Voce: Quando i suoi occhi cercavano ancora una promessa.
Giuditta: (Come se ripetesse una frase ripetutale mille volte) Orrore e scoramento nell’esercito babilonese, seminare orrore e scoramento nell’esercito babilonese, bisogna uccidere il capo per disperdere i lupi, uccidere il capo…
Voce: E’ questo che suggeriva la vecchia, è a lei che hai dato il tuo cuore?
Giuditta: Non c’è posto in me per il mio nemico!
Voce: Il nemico è dentro di te.
Giuditta: Non è vero, non è vero!
Voce: Le voci che hanno guidato le tue mani sono catene che sostengono un corpo senza vita.
Giuditta: Non è vero! Non è vero…
(Entra, nelle vesti di Oloferne, l’attore che ha interpretato Caravaggio)
Oloferne: Giuditta… Giuditta
Giuditta: Cosa vuoi ancora?
Giuditta: Tu non sei reale.
Oloferne: Come quel sangue... quest’odore che senti sulla pelle? (E’ dietro di lei che, incatenata, apre le braccia. Lui dietro di lei fa lo stesso)
Giuditta: E’ l’odore della libertà, la libertà che ho sognato con gli occhi dell’anima e che si illumina come un faro per il popolo di Betulia.
Oloferne: Io ti amo Giuditta.
Giuditta: Oloforne... (Si appone, a mò di crocefissa, sul di lui corpo)
Oloferne: Ti amo più di me e del mio dio... e se mai...
Giuditta: Basta...
Oloferne: (Chiudendo con le sue braccia quelle di Giuditta, la abbraccia trascinandola verso il basso) ...Se mai il destino dovesse piegarsi su di noi...
Giuditta: Taci...
Oloferne: Una cosa sola voglio che porterai nei tuoi ricordi...
Giuditta: Ah...
Oloferne: Tu sei la donna nel cui petto sento battere il cuore dei miei figli!
Giuditta: (Un grido straziante esce dal suo corpo chiuso in quello di Oloferne) Dio, dimmi che non è vero! (Buio)
Si proiettano "I bari". Su base musicale del "Canone" di Panchbell entra un giovane vestito con giacca e cravatta. Porta gli occhiali ed è pettinato in maniera inappuntabile.
Angelo: C’è n’è di vento stasera... e la prima botta di vita che ho avuto, da quando sono salito sulla nave, è stata quella della pancia del donnone che dirigo in questo valzer, sembra un’onda che balla sotto la chiglia. Alla fine ci si abitua a condurre anche dal ventre. Poi me la stringo tutta come fosse una ninfa, e in fondo per me lo è... quella del mio capo, è... anzi del capo del mio capo, del mio capo, del mio capo, del mio capo... e questo alla fine me la fa quasi piacere!
(Accenna, come se abbracciasse una donna grassissimo, i passi di un valzer) Mi fa ricordare come ci stringeva, a me e a mio fratello, quell’altro Botero di mia nonna, l’ebrea che oggi devo ringraziare per ritrovarmi circonciso pur essendo... cristiano direi... si, ho preso da papà questo... no, no, mio fratello no, Stefano non aveva preso da anima vivente, non era proprio di questa civiltà lui, sempre pieno di sbucciature e bozzi. Sin da piccolo ho sempre avuto il sospetto che fosse il figlio di qualche algerino amato dalla mamma durante i viaggi che papà faceva all’estero... sa, del resto a quel tempo le mie fantasie riguardavano tutto un punto solo, vedere da subito dove cominciava ciò che nel giro di vent’anni sarebbe potuto diventare uno sfruttatore, un politico, un santo, un morto. Adesso se mi guardo indietro capisco perfettamente che siamo tutti delle matrjoska: tutti i bambini di tutte le età nei quali, per così dire, di anno dopo anno ci siamo reincarnati sono nient’altro che i pupazzetti all’interno del pupazzetto che ora ci portiamo a spasso per le crociere di lavoro...
Voce: Ah, come sei intelligente stasera, perché non vieni un po’ di là, così ce la facciamo anche a parlare un attimo del tuo licenziamento...
Angelo: ...è il capo, ma scherza. Io gli rispondo a tono, comunque... è un giochino che ho imparato a fare vent’anni fa, quando i miei si bastonavano a parole per causa mia; la mamma ebrea dai tempi di Mosè, il papà cristiano da quelli di De Gasperi... si litigavano il mio trapasso. Nessuno voleva che finissi nell’inferno dell’altro. E poi avevano ragione. Io le capisco, le madri, soprattutto, hanno delle aspettative per i propri figli, vogliono che si preparino, abbiano successo, che si guadagnino un posto rispettabile, possibilmente vicino a Dio, una volta trapassati, che loro nel frattempo c’avranno messo una buona parola.
Ora tutti quelli che hanno contribuito alla mia formazione devono essere orgogliosi di me. I miei professori, i miei programmi preferiti, i miei innumerevoli dirigenti, ma anche il salumiere sotto casa, mia madre, il presidente che mi ha parlato in video-conferenza... ho sposato i consigli di tutti come fossero state le mie idee-nido. Mi ci sono accoccolato dentro come fossi un pulcino e mi sono difeso dagli altri diventando gli altri stessi. Non la trova una bella idea? Ho raccolto le carte che tutti mi passavano sotto banco, le ho messe tutte inseme e c’ho fatto un enorme castello di carte di cui tutti sono contenti perchè ci si ritrovano un pò.
E così mi ritrovo il (dice il giorno della data della rappresentazione) alle (legge l’ora precisa), sul ponte di una bella nave-crociera spagnola, ballonzolante sull’Oceano Indiano, abbarbicato ad una cicciona vestita da odalisca, e a cinque minuti dalla mia prossima discussione di lavoro perdo l’equilibrio e cado, cado! A volte capita...
Voce: (di bambino) Ciao Angelo, mi avevi dimenticato?
Attore: Ha detto, scusi?
Voce:: No, non è la bomba ad aver parlato, sono stato io... vuoi fare fuori anche il ricordo che hai di me?
Attore: (La musica si interrompe) Mi paralizzo, perfino il tempo si paralizza, la musica ha smesso di suonare... resto a mezz’aria fra il valzer e le risate di tutti (è appeso ad una corda fissata sul tetto del luogo deputato, a peso morto, con i piedi ancora a terra)
Voce: "Diglielo, diglielo com’è successo... (Angelo non parla) su, avevo, avevo...
Attore: Sedic’anni quando è successo, tu qualcuno di meno...
Voce: Allora?
Attore: Avevamo fermato il motorino sulla panoramica. S’era...
Voce: …S’era? Chi s’era
Attore: Tu, mio fratello...
Voce: Ah... ora continua signora, non si preoccupi...
Attore: Ti eri messo a contare le vele che attraversavano il golfo, io ti guardavo da qualche metro più indietro. C’era la tua figura, come sfocata, e sopra le urla dei gabbiani. Tutto divenne chiaro ad un tratto. Tu sempre pieno di graffi, di urla, d’amore, di storie... io sempre più pettinato, più illeso, (come rivolgendosi ancora alla sua ipotetica partner) capisce? (A se) E poi t’ho sfiorato appena, per chiamarti, e tu... (alla partner immaginaria) e lui è volato giù, come un angelo.
Voce: A casa si agitarono più a vederlo così che per quello che quello che diceva.
Voce dell’attrice: Calmati, Angelo calmati! Non hai nessun fratellino tu, calmati Santo Dio! E’ stato il sole, ogni tanto ti viene qualche fantasia strana, tu non faresti male ad una mosca credimi!
Attore: Mi convinsi che aveva ragione. E ora che cosa c’è voluta? Una voce, la sua voce dal di dentro e tutto il castello di carte se n’è volato in acqua. Milioni di re, di fanti, di donne deformate nell’acqua a sbiadirsi fra le onde; e dietro ogni carta la mano che a suo tempo la appoggiò a tutte le altre per regalare al bimbo che cresceva un’altra bella parete colorata per il castello nel quale a poco a poco si lasciava murare… (è sempre legato in quasi sospensione) e ora mi ritrovo a trentasei centimetri dal terreno, una donna grande quanto il mondo intero mi sta cadendo addosso… ma finalmente sorrido. Sorrido con il bambino che mi sussurra dentro, perchè è lì che m’aspetta, e anche lui mi dice che io sono davvero sempre stato l’unico figlio dei miei genitori, e che il bambino che buttai giù quel giorno dalla panoramica ero io, per diventare il bambino degli altri.
Parte una musica moderna, elettronica. Entrano le ballerine vestite con abiti moderni e, dagli attori che circospetti si incrociano nella platea attaccandosi, l’un l’altro, delle carte addosso, quasi fossero pezzi della loro identità, traggono le linee per la coreografia.
Proiezione del Narciso. Lieve musica di piano in sottofondo e quattro ballerine, disposte agli angoli di un trapezio avente come baricentro un attore nella posizione del Narciso, interpretano fisicamente le sue parole, eseguendo una danza fondata su movimenti speculari.
Una voce off ripete – Narciso, Narciso…
Narciso: E’ tua la voce… che mi parla di notte, che ripete il suo nome là dove la mia testa si posa e ascolta, e ascolta… quel nome dare un senso alla mia vita: Narciso… è questo il tuo volto?… Era dunque te che vedevo in coloro a cui ho parlato, a cui ho confidato i miei segreti, a cui ho anelato fino al giorno in cui dal fondo del fiume ho visto emergere i loro corpi, gonfi come cadaveri avvolti nella tua immagine. Diana, sono rimasto solo. Perché, almeno tu, non mi hai insegnato a trovare negli altri un po’ della mia vita? Perché viaggiare fuori di me somiglia così tanto ad un abbandono? No, amore, non potevo lasciarti avvicinare al mio mistero… l’avresti sfatto, lo so, appena avessi teso una mano verso questo volto segreto, questo volto sospeso fra me e la gente, l’avresti sfatto come avessi ascoltato questa voce chiamarmi dal fondo del fiume… e portarmi sempre più verso me stesso, dove non c’è più nessuno.
(La musica di piano si interrompe bruscamente e una voce irrompe nel buio)
Lo specchio a volte è una linea di un confine, una barricata dietro la quale seguo i passi del nemico. Urlo quando ne avverto la presenza e non lo vedo, lo sento correre fra gli alberi, strisciare nell’erba, sento il suo respiro sempre più vicino, il suo passo dietro le mie spalle, mi volto, alzo il fucile contro di lui… ha il mio volto, il mio terrore addosso, è me bambino delle mie paure. Mi sveglio al mattino, vado in bagno, apro il rubinetto, mi getto l’acqua sulla faccia, alzo gli occhi verso lo specchio e vedo un negro, alzo gli occhi verso lo specchio e vedo un arabo, l’assassino della mia famiglia, alzo gli occhi verso specchio e non vedo più mio padre, non vedo più mia madre, la mia gente.
I tre attori interpretano un brano tratto da "Viaggio al termine della notte" di L.F. Celine, qui drammatizzato per la scena.
Celine: Il nostro ospedale era pulito. Bisogna sbrigarsi a vederle, quelle cose lì, qualche settimana, quando sono agli inizi, perchè la manutenzione delle cose da noi... non c’è nessun gusto, siamo proprio a sto riguardo dei veri porcelli. Ci siamo dunque coricati dico, a casaccio nei letti metallici, alla luce della luna. I locali erano così nuovi che l’elettricità non ci arrivava ancora.
Al risveglio il nostro nuovo medico capo è venuto apresentarsi. Tutto contento di vederci sembrava, tutto cordiale a vederlo. Aveva della ragioni da parte sua per essere contento, lo aveva appena promosso a quattro galloni. L’uomo possedeva inoltre più begli occhi del mondo. Vellutati, sovrannaturali, se ne serviva molto per turbare le quattro belle infermiere volontarie che l’attorniavano di premure, di gesti, non si perdevano una briciola del loro medico capo.
Sin dal primo contatto lui s’impadronì del nostro morale, con semplicità, come ci aveva annunciato, mettendo familiarmente la mano sulla spalla di uno di noi, scrollandolo paternamente ci tracciò le regole, ed anche le via più breve per andare coraggiosamente, ed anche al più presto, a rifarci rompere il grugno. Da dovunque venissero non pensavano che a quello, si sarebbe detto che quello gli faceva del bene, era il nuovo vizio.
Medico: (Attraversando la platea e rivolto al pubblico) La Francia, amici miei, ha fiducia in voi. E’ come una donna, la più bella delle donne la Francia. Vittima della più vile, della più abominevole delle aggressioni, ha ora il diritto di essere vendicata fino in fondo, la Francia, di essere ristabilita nell’integrità del suo territorio anche a prezzo dei maggiori sacrifici la Francia. Faremo tutti qui, per quello che ci riguarda, il nostro dovere. Amici miei, voi fate il vostro. La nostra scienza, vi appartiene, è vostra, tutte le sue risorse sono al servizio della vostra guarigione. Aiutateci a vostra volta, e a misura della vostra buona volontà. E che possiate presto riprendere il vostro posto, accanto ai vostri cari camerati delle trincee, il vostro sacro posto. Per la difesa del nostro amato suolo. Viva la Francia, avanti!"
Celine: Lui sapeva parlare ai soldati. Dietro di lui una bruna del gruppo delle belle infermiere dominava male l’emozione che l’attanagliava e che qualche lacrima rese visibile. Le altre infermiere, le compagne, si prodigarono subito.
Infermiera: (off) Cara, cara, ti assicuro, tornerà, suvvia
Celine: Era una delle sue compagne, la bionda un pò grassottella, quella che la consolava meglio. Passando vicino a noi, sostenendola con le braccia, mi confidò la grassottella che la bella cugina soffriva per la recente partenza del fidanzato mobilitato in marina. Il Maestro della passione restava tutto confuso, afflitto davanti a lei. Era il risveglio di una troppo dolorosa inquietudine in un cuore d’elitè, evidentemente languido, tutto sensibilità e tenerezza.
Infermiera: (Entra e parlando al medico lo porta fuori scena) Avessimo saputo maestro, l’avremmo avvertita, si amano così teneramente, sapesse"
Celine: Cercavo di ricordare il senso, di quell’acuta e vibrante allocuzione, appena pronunciata, dall’uomo dagli occhi splendidi. Ma lungi dal rattristarmi a me, quelle parole mi parvero straordinariamente efficaci a farmi venire la nausea della morte. Era quel che pensavano anche gli altri compagni ma loro non ci trovavano come me quel di più, quel tipo di sfida e d’insulto. Loro non cercavano affatto di comprendere quel che capitava attorno a noi nella vita, loro capivano soltanto e a malapena che il normale delirio del mondo era cresciuto da qualche mese, ed in proporzioni tali che non si poteva più fondare la propria esistenza su alcunchè di stabile.
Infermiera: (Entra) Ve lo ricordate il piccolo Bardamu?
Celine: Avrebbero detto all’ora del tramonto le belle infermiere pensando a me
Infermiera: Quello che era così difficile fargli passare la tosse. Dove sarà finito quello poverino?
Celine: Qualche rimpianto poetico piazzato al punto giusto sta bene ad una donna quanto certi capelli vaporosi sotto i raggi della luna. Le infermiere, ste troiette, non lo condividevano mica loro il nostro destino, loro non pensavano per contrasto che a vivere a lungo e molto più a lungo ancora, ad andare a passeggio, era chiaro, a fare e rifare l’amore mille e diecimila volte. D’ora in poi sotto ciascuna delle loro parole e delle loro sollecitudini bisognava intendere…
Infermiera: Tu creperai, caro militare. Creperai, è la guerra. A ciascuno la sua vita, a ciascuno il suo ruolo, a ciascuno la sua morte. Noi facciamo finta di condividere il vostro sconforto ma non si condivide la morte di nessuno. Tutto dev’essere per anime e corpi ben portanti, un modo per distrarsi, niente di più e niente di meno. E noi siamo, noialtre, ragazze solide, belle, sane e ben educate.Per noi tutto diventa biologia automatica, spettacolo gioioso, e si converte in gioia. Così vuole la nostra salute. E le brutte licenze, ce si prendono i dispiaceri, per noi non esistono. Ci vogliono degli eccitanti per noi, solo degli eccitanti. Voi sarete presto dimenticati, cari soldatini, siate gentili, crepate in fretta. E che la guerra finisca, e noi ci si possa maritare con uno dei vostri simpatici ufficiali. Meglio se bruno. Viva la patria di cui parla sempre papà. Sarà decorato il nostro maritino, sarà distinto. Gli potrai lucidare gli stivali, il bel giorno del nostro matrimonio, se sarai ancora vivo quel momento lì, soldatino. Non saresti allora felice della nostra felicità, soldatino?" (Buio)
Si proietta Davide e Golia. Un attore e un’attrice sono in piedi davanti al loro leggio. L’autore, nelle sue proprie vesti, è fra loro con la testa china nell’attegiamento di chi riflette:
Attore: Gary Graham è stato giustiziato all’alba.
Attrice: Non aveva mangiato per trentasei ore perché non voleva sedersi alla stessa tavola dei suoi carnefici e dividere il loro pane maledetto.
Attore: Gary se n’è andato scalciando, graffiando, gridando la sua rabbia per questo olocausto dei neri americani. (Parte la musica "Inauguration of the mechanical christ" di Marylin Manson")
Attrice: Gli avevano messo addosso un camicione di carta, per coprire il suo corpo di giovane negro, ma Gary se l’è strappato perché non voleva che fosse coperta l’indecenza della sua morte;
Attore: Quattro agenti allora gli sono saltati addosso e lo hanno pestato, immobilizzato, messe le manette ai polsi e le catene ai piedi.
Attrice: Poi quando le tre siringhe hanno cominciato a pompargli dentro il pentotal, il curaro e il cianuro, Gary Gramm ha detto "I love you, " a Bianca Jagger "I love you" a Jesse Jackson, che avevano cercato invano di salvarlo, ed ha smesso di parlare.
Attore: Se n’è andato fissando, come in un’ultima sfida, la finestra oltre la quale i testimoni, i suoi carnefici, lo guardavano morire.
Attrice: Gary aveva adottato un nome nuovo: "Shaka", come il grande Re Zulu che aveva sconfitto gli inglesi.
Attore: Allora io dico che soltanto lui, Shaka, ultima vittima di un’antica oppressione, sa se davvero, 19 anni fa, aveva ucciso un passante davanti a un supermercato di Houston, dopo una rapina.
Attrice: Noi però sappiamo per certo che il processo durò solo un giorno e mezzo,
Attore: Che il suo avvocato d’Ufficio era già stato sospeso più volte dall’ordine per incapacità professionale,
Attrice: Che la sola testimone che lo aveva riconosciuto, lo aveva in realtà visto solo per pochi attimi
Attore: Che altri quattro testimoni che contraddicevano la signora non furono neanche chiamati a deporre.
Attrice: Ma tutto questo non ha impedito a George Bush Jr., ex governatore del Texas, attuale presidente degli Stati Uniti d’America, che ha già firmato 135 esecuzioni, di proclamare: "Giustizia è fatta".
Attore: Ma noi diciamo che la giustizia non è assassinio e che nessun uomo è tanto colpevole da meritare la morte.
Attrice: E nessun uomo è tanto innocente da poter condannare a morte un altro uomo.
La musica si interrompe bruscamente.
Autore: Io amo Davide, non pensate che non l’ami, mi piace il suo coraggio e come ha saputo affrontare un nemico tanto più grande e potente di lui in campo aperto, a mani nude, solo con una semplice fionda… e come l’ha saputo colpire con astuzia e precisione. Io amo Davide, non è che non l’ami, ma non posso trattenermi dal guardare Golia. Quello che inquieta è la serenità di Davide, l’assenza di pietà; egli ha appena tagliato la testa ad un uomo eppure è sereno, Come George Bush sembra dire: "Giustizia è fatta. Dio è con me!" Ma chi avrà mai pietà dello sconfitto, della smorfia di dolore dipinta sul suo viso, dello sguardo attonito di quella testa mozzata, se Dio è col vincitore, se il macabro trofeo che Davide mostra è la realizzazione della giustizia divina? Io ammiro Davide, ma il mio cuore è con Golia, che ha il volto sofferente del Caravaggio, il mio cuore è con tutti i Golia sconfitti e uccisi nella battaglia del mondo. (Buio)
Voce off: Il vociare dei soldati tedeschi invade ormai le strade di Praga; nel marzo 1939 la popolazione scioglieva il suo sguardo al rumore dei cingoli che si chiudevano intorno a piazza S. Vinceslao. Negli occhi di un solo uomo, un folle…
Un attore interpreta un brano tratto da "Treni strettamente sorvegliati" di Hrabal, qui drammatizzato per la scena.
Hrabal: Mio nonno, perchè la mela non cadesse lontana dall’albero, faceva a sua volta l’ipnotizzatore e lavorava nei piccoli circhi, e tutta la città vedeva nelle sue ipnotizzazioni il desiderio di fare più che poteva la vita dello scioperato. Quando però i tedeschi in marzo passarono le nostre frontiere per occupare l’intero paese e avanzavano in direzione di Praga, soltanto il nonno andò loro incontro, soltanto il nonno andò ad opporsi ai tedeschi come ipnotizzatore, ad arrestare i carri armati in avanzata con la forza del pensiero. E così il nonno camminava sulla strada con gli occhi fissi sul primo carro che guidava l’avanguardia di quelle truppe motorizzate. E su quel carro, dentro la torretta, fino alla vita, stava un soldato del reich, in testa aveva il berretto nero col teschio e le tibie incrociate, e mio nonno continuava ad avanzare dritto verso quel carro, aveva le braccia distese e con gli occhi iniettava ai tedeschi il pensiero, fate dietro front e tornate indietro... e davvero quel primo carro armato si fermò, tutto l’esercito restò fermo. Il nonno con le dita toccava il carro armato e continuava a trasmettere lo stesso pensiero... fate dietro front e tornate indietro, fate dietro front e tornate indietro, fate dietro front... e poi il colonnello con la bandierina fece segnale e il carro armato partì, ma il nonno non si mosse, e il carro armato lo investì, gli strappò la testa, e niente più impediva il passo all’esercito del reich. E mio padre poi andò a cercare la testa del nonno. Quel primo carro armato era rimasto fermo prima di Praga, aspettava una gru per la rimozione, la testa del nonno era incastrata tra i cingoli e i cingoli erano avvolti in modo che papà ottenne di poter rimuovere la testa del nonno e poi seppellirla col corpo come si conviene a un cristiano. Da allora in tutta la regione la gente litigava. Gli uni gridavano che il nonno era matto, gli altri invece che non poi tanto, che se tutti si fossero opposti come il nonno ai tedeschi con le armi in pugno, chissà come sarebbe finita coi tedeschi.
Sullo schermo continua ad essere proiettata l’immagine di Davide che tiene in mano la testa mozzata di Golia, forte vociare e musica in sottofondo.
Popolana: (entrando e gettando al già presente attore un cappuccio da boia) Masto Donà, e vulimmo accumincià? Jammo a fa’ ampresso! Vulimmo ammuzzà sti capuzzelle? (L’attore indossa il cappuccio da boia e comincia a preparare la scena dell’esecuzione)
Boia: Tagliare le teste! È una cosa che riesce sempre molto bene al potere! E che diverte molto il popolino! Questa villana che ha parlato sta assistendo a Napoli, nel 1799, all’esecuzione di patrioti napoletani che, sulla scia della rivoluzione francese, avevano tentato di sollevare la mano del tiranno dalla stretta borbonica su Napoli.
Popolano: (Idem) Fatte cchiù accà, fatte cchiù allà
Cavice ‘nfaccia a’ libertà
Boia: Ma i Francesi hanno perso, Napoleone è sconfitto, le parole: libertè, egalitè, fraternitè, sono ricacciate nella gola dei ribelli e assicurate con il cappio.
Popolana: (Idem) E’ giacubine? Chille che sparavano a coppa castel Sant’elmo? Azze, chilli casatielle menavene... Mò e’ facimmo ballà nuie, e’ facimmo... mmiezo o’ Mercato! (vengono scaraventati all’interno della scena un uomo con la faccia ferita e le vesti strappate, una donna e un monsignore)
Boia: (Indossa il cappello da boia e legge un’ordinanza, sempre musica e voci in sottofondo) Questa giustizia la manda la Gran Corte della Vicaria, delegata per sua Maestà il Re. Costui è Monsignor Natali, Vescovo di Vico Equense, e s’impicca per essersi reso reo di Stato, Questa è Eleonora Pimentel Fonseca, e s’impicca per essersi resa rea di Stato. (La musica e le voci sfumano)
Popolano: Nuie nun simme giacobine,
nuie nun simmo rialiste
‘Nce chiammammo cammoriste,
Jammo ‘nculo a chille e chiste.
Parte "Tarantella del 600" Si interpreta un brano tratto da "Il resto di niente" di E. Striano, qui drammatizzato per la scena.
(Comincia un vociare di donne ed uomini, proveniente dagli attori seduti fra il pubblico stesso, che cresce progressivamente assieme alla musica. Al suo acme la voce del...)
Boia: Popolo, pò! La sai la novità?
Tutti - (Dalla platea) Nooooh!
Boia: E’ ‘a primma vota c’aggio da ‘mpennere ‘no monsignore!
Popolano: Non è overo! (il boia prende il monsignore per il collo)
Boia: Chisto è monsignore overo. E’... era lo vescovo de Vico...
Popolana: E allora ‘mpennimmolo co’ tutti li sacramenti!
Boia: A servirvi monsignò (Il vescovo prega senza voce) Iamme monsignò... (lo fa salire sullo scaletto, gli ficca il cappio intorno al collo)
Tutti - Vai, vai! (Il boia assesta un calcio allo scaletto, il monsignore non fa in tempo a finire il segno della croce. Gli cala del sangue dalla bocca aperta) Viva lo re! Morte a li Giacobbe!
(Il boia va prima verso Eleonora, poi ci ripensa e prende Gennaro)
Boia: Chisto è nobile napolitano (lo spinge avanti) A chisto l’avimma spezzà a capa. (Prima di salire sullo scaletto Gennaro si volta verso Eleonora, la guarda, le sorride. Il boia lo butta giù)
Tutti: Viva lo re!
Eleonora: Stateve zitte!
(Tutti tacciono e rimangono immobili come figure di una fotografia persa nel tempo. La musica si interrompe bruscamente)
Narratore: Dopo un po’ della folla s’ode solamente il respiro. Tutti mortificati, obbedienti all’ordine della donna, come ragazzini. Di lì a poco, finita la festa, si sparpaglieranno in mille direzioni. Sulla sabbia della marinella, verso Santa Lucia, a Toledo, per rosicchiare spassatiempi, inghiottire frutti di mare, sbocconcellare pollanchelle. O a guardare il passeggio per cercarsi un posto per la notte. Le donne si rificcheranno nei bassi, lerci, puzzolenti, a sfacchinare, sudare. Domani avranno già scordato quanto succede adesso: Ora, però, si stanno divertendo, innocenti e crudeli come infanzia. Appaiono nuovamente impazienti, corrono fremiti. Si stancano presto, come appunto succede ai bambini, non possono sopportare impegni troppo a lungo. Eleonora alza gli occhi verso il mare, che s’è fatto celeste tenero. Come il cielo, come il Vesuvio grande e indifferente. Un piccolo sospiro di rimpianto. Non osa chiedere, vorrebbe però. Ritrovarli tutti in un ultimo abbraccio sarebbe bello. Così invece che rimane? Niente. Il resto di niente. ( Buio)