QUALCHE SECONDO DI RITARDO

Atto unico di

Salvino Lorefice


Personaggi:

Carlin, anziano degente;
Figlio di Carlin;
Moglie di Carlin;
Gianni, giovane degente, gay dichiarato;
Medico;
Infermiere (o infermiera).


SCENA PRIMA

L'azione si svolge nella stanza di un ospedale. Vi sono due lettini, due comodini (con sopra bicchiere ed acqua minerale); due sedie, pulsante d'emergenza, per chiamare l'infermiere. A destra vi è la porta d'ingresso nella stanza; a sinistra una finestra. flaconi di feboclisi appese ad aste dalla parte del lettino di Carlin.
All'accendersi delle luci, Gianni e Carlin dormono nei rispettivi lettini. E' già mattino, si svegliano e si danno il "buon giorno".
Carlin è molto malato, parla con voce debole. Quando dovrà gridare dovrà farlo con fatica.

Gianni scosta la coperta e, dopo aver infilato le pantofole, si alza e cammina con prudenza, tenendosi una mano sulla ferita al fianco.

CARLIN: Come ti senti, oggi?
GIANNI: Molto meglio, credo. Vedi? Posso camminare speditamente. (Sorride e cammina come     può, ancheggiando in modo appariscente.)
CARLIN: Beato te, che hai subìto una semplice operazione di appendicite, com'è che la chiamano? appendecimia...
GIANNI: Appendicectomia. Parole difficili per interventi facili. Questi scienziati!

Con fatica, Carlin si tira su, a sedere sul letto, con le spalle sul cuscino.

GIANNI: Beh, alla visita di ieri, il dottore mi ha detto che stamattina devo andare giù, in sala     fisioterapia. Menomale che quel fisioterapista è giovane e bello. Un dio, guarda.

    Prende un asciugamano dalla spalliera di una sedia e lo getta sulla propria spalla, si guarda allo specchietto che tiene sul comodino ravvivandosi le sopracciglia e si avvia ad uscire.

GIANNI: Ci vediamo più tardi. Faremo la solita partitina e sono sicuro che le darò ancora una volta scacco matto     . (Esce.)

    Carlin sorride e guarda Gianni uscire. Pian piano il sorriso gli si spegne e resta a fissare la     porta. Gira lo sguardo e fissa il vuoto, poi guarda fuori dalla finestra, poi alza lo sguardo, e     infine torna a fissare il vuoto davanti a sé, l'espressione è triste. L'intera scena deve durare     quasi un minuto, come se Carlin rivivesse in quegli sguardi l'intera sua vita passata, come     se guardasse su uno schermo.
    Carlin prende il bicchiere e beve lentamente. Appena smette di bere, entra l'infermiera, ha     in mano una siringa. Con fare sbarazzino toglie il bicchiere dalla mano di Carlin e lo posa     sul comodino.

INFERMIERA: (con buon umore) buon giorno signor Carlin. Siamo pronti per l'iniezione? Si giri,     l'aiuto? Dopo misuriamo la temperatura.

    Con aria scorbutica, Carlin si gira e porge i glutei all'infermiera, che esegue la puntura.

INFERMIERA: Finito, è stato bravo.
CARLIN: Eh, servisse a qualcosa, almeno.
INFERMIERA: (mentre controlla la bottiglietta di  flebo) Chi verrà a trovarla, oggi?
CARLIN: Ieri è venuta mia figlia, oggi verrà mio figlio. Fanno i turni, sa? Un giorno ciascuno, nella     pausa pranzo, vengono a trovarmi.
INFERMIERA: (prende il termometro da un vasetto con alcool e lo inserisce sotto l'ascella di     Carlin) E sua moglie?
CARLIN: Eh, viene quando può poveretta. Anche lei ha i suoi malanni.
INFERMIERA: Lo sento più fresco, stamattina. scommetto che non ha febbre. Sono ottimista.
CARLIN: Già, ma intanto, quelli che mi mancano sono i miei nipotini. I miei figli non vogliono che     i bimbi mi vedano così...
INFERMIERA: Vedrà che uscirà presto e giocherà con loro finché vuole. (Toglie il termometro a     Carlin, guarda il termometro) Che le dicevo? Niente febbre. (Si avvia ad uscire ed incrocia     il figlio di Carlin.) Oh, eccolo qui, suo figlio.

    L'infermiera si scosta di lato per far passare il nuovo arrivato e gli sorride tristemente,     scuotendo la testa, come a rispondere allo sguardo interrogativo che il figlio di Carlin le     rivolge.

INFERMIERA: Buon giorno, signor Carlin, ci vediamo più tardi. (Esce.)
FIGLIO: (avvicinandosi al lettino di Carlin e sforzandosi di sorridere) Ciao, papà.
    (Porge una confezione regalo) Questo... questo è per te.

    Carlin, senza fare caso al regalo si sporge a guardare verso la porta d'ingresso, come a controllare la presenza di altri. Il figlio si gira a guardare a sua volta.

FIGLIO: (posa il regalo sul comodino) No, papà. La mamma non verrà, oggi. Non è potuto venire,     si è sentita male (sorride). Oh, nulla di grave, non ti preoccupare.
CARLI: (arrabbiato) Mi abbandona anche lei, adesso?
FIGLIO: Calmati, papà; è solo per oggi.
CARLIN: Calmarmi? Calmarmi? (con una punta di malinconia, quasi piangendo:) Oh, Dio! Dio!    Vorrei bestemmiare, gridare, piangere. pregare... No. Pregare, no. Ho già pregato tanto! E ho     smesso già da tempo di pregare.
FIGLIO: Papà, non fare così, ti farai più male.
CARLIN: Più male? Più male di quel che ho? L'ho capito, sai?
FIGLIO: (con pazienza) sentiamo: che cosa hai capito?
CARLIN: L'ho capito che per me è finita.
FIGLIO: Ma chi te lo ha messo in testa?
CARLIN: Nessuno! Non me l'ha detto nessuno, però l'ho capito. L'ho capito da solo. Non sono     mica scem...
FIGLIO: (interrompendo, imbarazzato) Ma cosa dici, papà.
CARLIN: Sei mesi.
FIGLIO: Sei mesi, che cooosa?
CARLIN: Sei mesi a girare da un ospedale all'altro...
FIGLIO: Dovevi fare le analisi, i controlli...
CARLIN: Analisi, controlli, e ancora esami, TAC... Quanti controlli avrò fatto? E alla fina che cosa     hanno "scoperto"?...

    Il figlio scoppia a piangere, cercando di nasconderlo. si copre il volto con le mani, si gira e     si lascia cadere a sedere.

CARLIN: ... Un "carcinoma intestinale".
FIGLIO: (con imperio) Basta, papà. Basta!
CARLIN: (senza far caso alle parole del figlio, incalzando) Un cancro! (gridando) Un cancro,     maledizione.
FIGLIO: (cercando le parole) E'... è la volontà di Dio, papà.
CARLIN: (sorride è guarda il grande crocifisso appeso alla parete, quasi sopra la sua testa) E i medici? Che mi dici dei medici?
FIGLIO: Hanno fatto...  Stanno... Stanno facendo il possibile...
CARLIN: IL possibile? mi hanno sottoposto a sette... sette... interventi pur sapendo che non     sarebbero valsi a salvarmi, a estirpare il tumore, a ridarmi la vita.

    (Pausa. Carlin cerca il bicchiere. Il figlio si presta a fargli bere un po' d'acqua,     sollevandogli la testa).

CARLIN: (Imitando goffamente le parloe dei medici) "In ospedale le addolciremo le sofferenze".     Addolciremo! come se le sofferenze possono essere "addolcite". i medici! E poi mi hanno     abbandonato qui, proprio qui, in questo lettino. (Pausa) E vuoi sapere un'altra cosa? A volte     passano dei giorni interi senza che li si veda, non un parola, non una visita... Solo ordini per     gli infermieri, mentre mi guardano da lontano, dall'uscio di questa stanza: "fategli una     bomba, 20 CC ogni tre ore."
FIGLIO: Una... bomba?
CARLIN: Morfina. La chiamano bomba, per non farlo capire ai malati.
FIGLIO: (timidamente) Terapia, papà. Ti stanno facendo la terapia.
CARLIN: Terapia? Seeeh! (Sorride ironicamente) E tu ci credi? Mi hanno parcheggiato qui, in     attesa     di...
FIGLIO: (lo interrompe e cambia discorso) Ti ho portato un regalo (sorridendo forzatamente     prende il regalo dal comodino e lo porge al padre)
CARLIN: (rifiuta con il braccio il regalo che il figlio gli porge) E tua madre? lo sei che non è     venuta neppure ieri?
FIGLIO: Il dottore le ha consigliato di stare a riposo per qualche giorno. Si è sentita male... no,     male no: è solamente stanca. Te l'avevo detto, no?
CARLIN: (come parlando tra sè) L'unico, vero conforto soltanto quando lei è qui, accanto a me...
    (guarda sul lato destro - o sinistro - come se lei fosse presente, accarezza il bordo del letto     come se accarezzasse la mano della moglie) ... e mi tiene la mano con le sue mani...
FIGLIO: La mamma soffre quanto te, forse di più; é dolce con tutti noi; è lei a farci coraggio; è     forte, una donna coraggiosa. Ma negli ultimi giorni non ha retto, ha i nervi logori.
CARLIN: La mia vecchietta è una santa donna. solo adesso mi accorgo di quante cose avrei potuto fare con lei! Avrei poturo portarla a fare una crociera, una bella crociera. Nei Mari del Sud, sai? Ci teneva tanto! E poi... poi voleva andare a Malta. Sì, a Malta. Non è lontana, l'isola di Malta, eppure, con una scusa o con un'altra, ho sempre rimandato. E lei non ha mai protestato, stava ad aspettare che mi decidessi. "Avrai dei buoni motivi," diceva. I soldi non ci mancavano... ma ero pigro; Lei diceva che ero un po' taccagno. Forse aveva ragione lei. E Dio solo sa quanto, oggi, desidererei  avere la forza per portarla a fare quella crociera... Magari non proprio nei Mari del Sud, ma qui... qui vicino, nel Mediterraneo. Mi basterebbe fare solo questo, ancora. Poi... poi morirei felice.
FIGLIO: (cerca di tirare su il morale del padre) Ma sì, ce la porterai la mamma in crociera.
CARLIN: Ci vorrebbe un miracolo, ormai. Dicono che in Svizzera ci sia una clinica dove si può     uscire dalla vita con le proprie mani...
FIGLIO: Non dire più una cosa del genere. Clinica... Svizzera... A volte i miracoi accadono. In Italia     i medici fanno miracoli, la Ricerca ha fatto passi da giganti...
CARLIN: Miracolo? A quest'ora sarebbe già dovuto avvenire. Ho fatto tante di quelle promesse ai santi... Ho promesso grandi donazioni ai poverelli... ho promesso che mi sarei dedicato anima e corpo ai più deboli, avrei aiutato i bisognosi... Ho persino pregato, cosa che non avevo mai fatto prima. Poi mi sono stancato, mi sono stufato...
FIGLIO: Perché non riprendi?
CARLIN: Non capisci? Ho smesso di pregare Dio, santi e Madonne. Mi sono rassegnato. Ras-se-    gna-to.
FIGLIO: Papà... Non devi abbatterti così. Non devi perdere la speranza, la Fede... Tra poco sarà     Natale e con i bambini,  tutti insieme...
CARLIN: (con decisione) No, è finita, ti dico... Lo sai anche tu... Per me non ci saranno più Natale, nè Pasqua. Nè primavere, nè inverni. Soltanto una penosa attesa... qualche settimana, forse qualche mese... Tra sofferenza... Poi, la Dolce Signora verrà a coprirmi col suo nero mantello.
FIGLIO: (cerca di scherzare) Uh! sei diventato un poeta, adesso?

    (Padre e figlio restano a lungo  in silenzio a guardarsi l'un l'altro. Poi, improvvisamente,     Carlin ha dei gemiti a causa di un dolore atroce allo stomaco)

CARLIN: (urla) Aaaah! Chiama l'infermiera, presto.
FIGLIO: (gli passa un braccio dietro le spalle e lo sorregge, preoccupato) Papà, che succede?     Cos'hai?
CARLIN: (urlando) Chiama l'infermiere, ti ho detto!
FIGLIO: (agitato, confuso, lo assale il panico) Sì, si. (esce di corsa, chiamando) Infermiere,     infermiere...


SCENA SECONDA

    Nei pochi secondi in cui è solo in scena, Carlin si contorce per il dolore.
    Dopo altrettanti pochi secondi, entra il figlio seguito dall'infermiere; quest'ultimo è calmo, procede con sicurezza e controlla flebo ed ossigeno, aggiusta le lenzuola...
Il figlio è preoccupato, agitato, assiste da lontano alle mosse dell'infermiera.

INFERMIERE: (Bonariamente) Signor Carlin, ancora lei! Stia tranquillo che adesso le passerà     tutto.
CARLIN: (adirato, con imperio) Fammi la puntura, presto.
INFERMIERE: (cerca di calmarlo) Non è ancora l'ora, signor Carli. Lo sa questo.
CARLIN: Sbrigati, infermiera del cazzo!
INFERMIERE (per nulla scomposto, con calma) Il dottore ha detto "ogni otto ore".
CARLIN: (adirato) Per la miseria! Sono già passate, le otto ore...
(l'infermiere continua ad armeggiare con la bombola di ossigeno. Carlin cambia tono e diventa supplichevole) Mi sembra che siano già passate... ti prego.
INFERMIERE: Ne sono passate soltanto due. La puntura gliel'ho fatta due ore fa. (Sistema le     lenzuola) Su, cerchi di riposare, adesso.
CARLIN: (supplichevole) Fammi la puntura, fammela lo stesso... non dirò nulla al dottore.
    
    (L0infermiere guarda il figlio di Carlin e sospira, come per chiedere il suo aiuto, non     sapendo che fare.)

FIGLIO: E dai, papà, se ha detto che non la può fare...
CARLIN: (adirato, al figlio) Zitto, tu. (poi, calmo, all'infermiera) Lo sai che quella puntura mi fa cessare i dolori. Ti-pre-go: fammi la-pun-tu-ra.
FIGLIO: (all'infermiere) Suvvia, lo accontenti. non le si strazia il cuore, nel vederlo soffrire così?
INFERMIERE: (tirando da parte il figlio, cercando di non farsi udire dal Carlin) La puntura  che     lui cerca è morfina, ma lui non lo sa. Non posso drogarlo in continuazione, gli andrebbe in     pappa il cervello.
CARLI: (perde la pazienza e si arrabbia, divenda cattivo. all'infermiera) Puttana, fammi questa maledetta puntura (se è un infermiere lo offenderà con "stronzo") Che ci perdi? Puttana. (Carlin  cambia bruscamente tono e diventa di nuovo supplichevole) Ti supplico, fammela (comincia a piangere, porge il braccio) Ti supplico.

    (Il figlio passeggia nervoso, non sa che fare si liscia i capelli con strazio, guarda     l'infermiera, con sguardo significativo.)

INFERMIERE: (risoluto) E va bene. mi assumerò la responsabilità e tra cinque minuti tornerò con la puntura. (Fa per uscire) però la smetta di fare così, cerchi di resistere. (Esce.)

    (Il figlio si avvicina a Carlin, che adesso siè un po' calmato; gli si siedede vicino, sul bordo     del lettino, e lo abbraccia, per consolarlo.)

FIGLIO: Visto? Ha detto che te la fa, la puntura. Cerca di stare calmo, papà. L'infermiera è andata     prendere la siringa. Bevi un po' d'acqua, intanto. (Il figlio prende il bicchiere dal comodino e     aiuta il padre a bere)

    (Dopo aver bevuto, Carlin sembra calmarsi, ma dopo qualche secondo riprende a     lamentarsi per i dolori lancinanti. Il figlio si alza e inizia nervosamente a passeggiare nella     stanza; è ansioso, confuso, soffre anche lui ma non sa che fare.)


    SCENA TERZA

CARLIN: (con cattiveria) Ma dov'è finito, quel cornuto (o puttana) di infermiere? ha detto che     sarebbe tornato subito.
FIGLIO: (non sa che dire, è imbarazzato) Ma sono trascorsi solo due minuti, papà. Dagli un po' di     tempo.
CARLIN: (urlando) Bugiardoooo! Sei anche tu un bugiardo, come tua madre, come... come quel     miserabile infermiere, come i medici, come tutti. Bugiardi, siete tutti bugiardi. (piange     sommessamente) Bugiardi... bugiardi...
FIGLIO: No. No. Papà... (stringe i pugni, si dispera)... Non è vero... Noi...
CARLIN: Volete farmi morire tra le sofferenze. Volete vedermi soffrire, sino alla fine. Non avete     cuore... (risoluto) Via, Vai via... Non voglio più vederti... Non voglio più vedere nessuno. Dì     a tua     madre che non si faccia più vedere, dille che non voglio più vederla.
FIGLIO: Basta! Basta! (Uscendo) Sei ingiusto. (Esce dalla stanza correndo. Carlin rimane solo e     piange. Dopo qualche secondo rientra il figlio seguito dall'infermiera, che stringe la siringa     rivolta verso l'alto e un batuffolo di cotone.)
FIGLIO: Eccolo, l'infermiere, papà. sono andato a chiamarlo. visto? Non sono bugiardo.
INFERMIERA: ( con pacatezza) Ma sì, sono qui, sono qui.

    (Carlin, ansioso come un tossicomane, solleva velocemente la manica del pigiama e porge il     braccio all'infermiera. Questi lo ignora e inietta la morfina nella valvola posta a metà del     tubo della flebo.)

INFERMIERA: Non occorre che le buchi la pelle, signor Carlin; nessun laccio emostatico, oggi.     Inietto in questo tubo la bomba le scoppierà direttamente in vena. ... Ecco fatto...  Ma adesso     cerchi di riposare, mi raccomando (l'infermiere raccapezza le lenzuola ed esce)
FIGLIO: Sei contento, papà? Nessuno vuol farti soffrire, mi credi, adesso?
CARLIN:  (Non risponde, ma dopo qualche secondo di silenzio prende a gridare com poco prima,     come se avesse intuoito una terribile verità) No. No. Noooo! Cornuto, è un cornuto ( o     "puttana", se è un'infermiera) Quel cornuto non mi ha fatto puntura, quella vera. Mi ha     insufflato qualcos'altro. Perché mi prende in giro? Non lo merito, cosa ho fatto di male. perché     mi prendete in giro tutti quanti? Tu... eri d'accordo. Eri suo complice.
FIGLIO: No. NO. IO non... (esce veloce, urlando) Infermiere... Infermiere...

Carlin  continua a piangere e a singhiozzare
BUIO


SCENA QUARTA


    Al riaccendersi delle luci, arlin ha una buona cera. Gli è accanto sua moglie, seduta sul     bordo del lettino. I due si tengono per mano.

CARLIN: Quando ci sei tu, accanto a me, mi sento meglio. (pausa, i due si guardano sorridendo)
MOGLIE: Non ti lascerò mai, mio caro. come hai potuto pensare... e dire...  quelle orribili parole a     nostro figlio. Lo sai che ti adoriamo.
CARLIN: Oh, lascia perdere, sono cose che dicono. lo sai come sono fatto, no? (fa un gesto con la     mano, come per cancellare un brutto ricordo, quasi a chiedere scusa) Quell'infermiera mi     farà morire prima che sia giunta la mia ora. (paisa, la moglie sorride) Sai che cosa ha     combinato ieri?
MOGLIE: Non lo so, ma credo che tra qualche secondo lo saprò.
CARLIN: Pur di non farmi la puntura... sì, la puntura: quella che sai... si è presa gioco di me.     proprio così. mi ha detto che mi faceva la bomba per far calmare i dolori e invece me ne ha     fatta un'altra. Oh, ma io gliel'ho cantata chiara, sai? Mi sono arrabbiato, ma d     un'arrabbiatura... Mi aveva iniettato acqua distillata, quel porco (quella puttana), anziché il     medicinale, quello vero.

MOGLIE: Sì, però non era il caso di accusare - e sgridare - anche nostro figlio!
CARLIN: Quando ho sgridato nostro figlio, ero fuori di me. Non ragionavo. Non hai idea di cosa     vuol dire avere quei dolori. Poi è corso a chiamare l'infermiera e l'ha costretta ad     farmi la     puntura, quella vera... nella vena e non nella bottiglia. L'infermiera, prima ha negato di     avermi ingannato col placebo, poi ha confessato e ha detto     che si era sbagliata. (pausa) Gli     ho chiesto scusa.
MOGLIE: A chi?
CARLIN: (seccato) A nostro figlio; a chi, se no?
MOGLIE: Eeeeh, non avevo capito! (pausa) Ti ha fatto un pla... plac...
CARLIN: Placebo.
MOGLIE:  (prendendo in giro il marito) Bravo! si chiama così. Placebo. dicono che serva proprio a     prendere in giro i malati. Però a fin di bene. I malati credono di essere curati, di ricevere la     giusta medicina, e si convincono - in realtà si suggestionano a tal punto - che, a volte,     guariscono davvero. (ridono entrambi) Già, con certe malattie si guarisce con i... placebo.
CARLIN: (serio) Ma con me non poteva finzionare. Non con la mia... tsè, malattia! I miei dolori     non calmano di certo né con la suggestione, né con l'acqua distillata. (Marito e moglie     diventano entrambi malinconici; per pochi secondi gli sguardi sono persi nel vuoto.)
MOGLIE: Non pensiamoci più, adesso, eh? Ho parlato col dottore... il solito... quello bravo... e mi     ha assicurato che darà ordine agli infermieri di non comportarsi più male con te... e     soprattutto di non prenderti più in giro con quei placebo... visto? Ho imparato a     pronunciarlo.
CARLIN: E tu ci credi? Quell'infermiere è un cornuto (puttana). sai che ha fatto qualche giorno fa?     anzi, qualche notte fa?
MOGLIE: (sorride) Credo che tra qualche secondo lo saprò.
CARLIN: Avevo bisogno di andare in bagno; perciò suonai il campanello di emergenza, questo qui,     vedi? (indica il pulsante che penzola sopra la sua testa) Volevo farmi accompagnare.     Suonai, e suonai, e suonai... ma non arrivava nessuno. Continuai a suonare... devo aver fatto     anche rumore... perchè si è svegliato Gianni... sì, Gianni, il giovane che dorme in quel     lettino... una bravo ragazzo. Ebbene, è stato lui ad accompagnarmi in bagno. Poi, dopo     avermi aiutato a rimettermi a letto, Gianni volle andare a vedere per quale motivo     l'infermiera (l'infermiere) non era venuta. Anzi, doveva precipitarsi, doveva. E sai perché     non era venuta? Perché insieme ad un suo collega (una sua collega) stava facendo i suoi     comodi. Stavano mezzo nudi, uno sopra l'altra, su una lettiga. Vuoi sapere cosa stavano     facendo?
MOGLIE: No, no: grazie, lo immagino.
CARLIN: Brava. Proprio quello. Ma non è tutto. Gianni notò, inoltre, che il quadro collegato ai     campanelli d'emergenza, era spento... l'avevano staccato per non essere disturbati, capisci?
(La moglie abbassa lo sguardo, annuisce amaramente).
CARLIN: Gianni cercò di non farmelo sapere, per non... ma io insistetti tanto che alla fine il     ragazzo dovette confessarmelo... con qualcuno ci si confidare. Appena ho saputo ciò,     cominciai a fare tanto di quel casino, ma tanto, in piena notte, che dovettero accorrere     anche gli infermieri del piano di sopra. Si svegliò persino il medico di guardia e appena     giunse in questa stanza accusai gli infermieri per l'ignobile azione che avevano osato fare. Il     dottore disse che avrebbe fatto una relazione dell'accaduto e sarebbero stati presi dei severi     provvedimenti. (sorride amaramente.) Tu ci credi? Beh, avrebbero dovuto licenziarli, invece     sono ancora qui. A divertirsi.
MOGLIE: Dai, è tutto passato, ormai. Non lo faranno più.

    Entra, allegro, Gianni, in tuta da ginnastica E' stanco, sudato, ha finito di fare fisioterapia.

GIANNI: Buon giorno, signora.
MOGLIE: Buongiorno, Gianni. Guarito dall'appendicite?
GIANNI: (contento) Sì, finalmente. Il professore mi ha annunciato che domani sarò dimesso. Ormai     mi hanno tolto i punti. (Si deterge la fronte con l'asciugamano, accenna a qualche     esercizio.)
CARLIN: Verrai a trovarmi, qualche volta, vero?
GIANNI: (saltellando) Ma certo, verrò con Tiziano... il mio ragazzo. (e uscendo) Beh, vado a fare     la doccia. Scusatemi... (esce)

(Carlin e la moglie sorridono e rimangono in silenzio; inizialmente, gli sguardi sono rivolti verso l'uscita di Gianni. Poi si girano a guardarsi e i loro sguardi si fanno tristi, malinconici. Carlin bacia la mano della moglie, poi la tira a sé e la bacia sulla fronte, infine l'abbraccia. La moglie si discosta delicatamente e inizia a sbottonarsi la camicetta. Si toglie le scarpe, la gonna e si infila sotto le coperte, accanto a Carlin.)

BUIO.

SCENA QUINTA


La stanza d'ospedale è in semioscurità: è notte; è accesa solo una piccola lampadina. Nei rispettivi lettini stanno dormendo Carlin e Gianni. Improvvisamente, Carlin comincia a lamentarsi sommessamente. Si gira nel letto, si rigira. Infine, suona il pulsante di chiamata d'emergenza (si ode il "driiin" in lontananza. Stavolta l'infermiera giunge dopo pochi secondi. Entra camminando in punta di piedi, per non svegliare Gianni.

INFERMIERA: Signor Carlin, ha chiamato? Ha bisogno di qualcosa?
CARLIN: (con tono imperioso, che non ammette repliche) Chiama il dottore.
INFERMIERA: Per quale motivo? Se non c'è un motivo urgente, non posso chiamare il dottore.     Può dire a me.
CARLIN: (In crescendo sino ad adirarsi) Ma porca miseria! (per quel che può, alza la voce)     Possibile che non fai mai quello che ti chiedo di fare? E? mai possibile?

(L'infermiera fa gesti con le mani per invitare Carlin ad abbassare la voce. Carlin non se ne cura e continua la sua richiesta col solito tono di voce.)

CARLIN: Lo vuoi chiamare, 'sto dottore, sì o no? Io voglio il dottore, cazzo. Hai capito?
INFERMIERE: Shhh! va bene, va bene. Si calmi... si calmi... Vado a chiamarlo. (esce)

(Dopo l'uscita dell'infermiera, Carlin riprende a lamentarsi e, mentre tenta di prendere un bicchiere per bere un po' d'acqua, fa rovesciare inavvertitamente la bottiglia di vetro, provocando rumore. Gianni si sveglia e si tira sui gomiti per capire meglio.)

GIANNI: (insonnolito) Che succede? ... Le serve qualcosa, signor Carlin?
CARLIN: No, no. Non è niente, dormi. Scusami.
GIANNI: (idem) Mmmm, mmmm. (Si gira dall'altra parte e riprende a dormire)

(Entra il dottore seguito dall'infermiera.)

INFERMIERA: ... Ha insistito perché lo chiamassi... ha cominciato ad urlare...
DOTTORE: (all'infermiera) Va bene, va bene... (poi, a Carlin)  Eccomi qui, signor Carlin. Cosa posso fare per lei?
CARLIN: Vorrei pararle da solo, dottore.
DOTTORE:Che cosa vuole dirmi?
CARLIN: (guarda con ostilità l'infermiera) ...da solo...
INFERMIERA: Senta, signor Carlin, il dottore... (si blocca, guarda il dottore che tace, capisce     l'avvertimento ed esce, offesa)
DOTTORE: Allora?
CARLIN: Dottore... io... io sto male, e lei lo sa meglio di me...
DOTTORE: (interrompendo) Lei non dovrebbe pensare al suo male...
CARLIN: No, ma mi lasci finire, la prego. Mi ascolti... solo un paio di minuti. (pausa) Lei lo sa che     sto per morire. (Il dottore sta per obiettare, ma è imbarazzato) NO, non dica nulla. lo so che     sono un malato terminale, (sorride amaramente) che bel termine: terminale... sembra la     stazione degli autobus... il capolinea... la fine della corsa...
DOTTORE: Dovrebbe riposare, invece... chiamo l'infermiera, le darà un sonnifero... (fa l'atto di     uscire)
CARLIN: (trattenendolo) No, aspetti. Lasci perdere quella babbuina. Ho fatto chiamare lei, dottore,     per un motivo ben preciso. (pausa)
DOTTORE: (con tono distaccato) Ancora non capisco.
CARLIN: L'ho fatta venire qui  per chiederle... no: per pregarla, implorarla... (altra pausa)
DOTTORE: (sospirando con pazienza) Su, continui...
CARLIN: (esita qualche istante) Non è facile, ecco. Io... (pausa, poi: risoluto) Dottore, mi uccida.     (e subito scoppia a piangere)

(Il dottore sospira ancora una volta, si avvicina a Carlin e siede sul bordo del lettino.)

DOTTORE: (rimproverandolo bonariamente) Signor Carlin!
CARLIN: (prende le mani del doottore) La prego: ponga fine alle mie sofferenze. Alle mie e a quelle     della mia famiglia. La imploro: Mi uccida. Mi faccia la puntura. L'ultima.
DOTTORE: (autoritario, si alza dal letto, si allontana come fosse stato scottato) La smetta di dire scemenze. (pausa) Capisco il suo stato d'animo e la sua angoscia, la sua malinconia... la comprendo, questo sì. Ma il dovere di un medico è quello di far 2vivere" la gente, di salvarla. Non di ucciderla. Lo abbiamo giurato.
CARLIN: Le sembra che sia "vivere", questo? Questo mio calvario?
DOTTORE: (spazientito) Se fermassi il suo cuore, signor Carlin, sarei un assassino, non un medico.  Non posso assecondare la sua richiesta. Dirò all'infermiera di darle un calmante. Dormirà e domani non avrà più questi brutti pensieri.
CARLIN: (cercando ancora di convincere il dottore) No! Lei non sarebbe un assassino e il suo gesto non sarebbe un omicidio. Perché, vede, io sono già morto.
DOTTORE: Ma che dice!
CARLIN: Sono morto sei mesi fa. Sei mesi fa, quando entrai per la prima volta in questo ospedale. Dovevo fare delle semplici analisi del sangue.  uscii contento, stavo bene. Ma il mio medico mi consigliò altri esami, altre analisi, per sicurezza, diceva. Poi altri dottori, altri ospedali cliniche ed io ne uscivo con speranza sempre più debole; debole, come me. In realtà vi entravo da morto e da morto ne uscivo. E da morto uscirò da questo posto.
DOTTORE: Ma lei adesso è vivo, il suo cuore sta battendo.
CARLIN: E' questo che vuol dire essere vivi? Un cuore che batte?

(Il dottore si muove smanioso, imbarazzato, sospira.)

CARLIN: (cercando di essere convincente) Lei lo sa che sono morto, ormai... Le chiedo soltanto un gesto di umanità: fermi il mio cuore.
DOTTORE: Signor Carlin, sono io a pregarla: la smetta.
CARLIN: (incalzando, insiste nel cercare di convincere il dottore) Ma che importa se il mio cuore si fermerà tra due giorni o dieci giorni o subito? Che importa se si fermerà da solo, dopo sofferenze, o sarà la mano di un medico a bloccarlo?
DOTTORE: A dirlo così sempre facile.
CARLIN: E che ci vuole? Basta una pillola... O un po' d'aria nella siringa... O l'iniezione di un medicinale che tutti chiamano "la dolce morte". Dicono che non si provi dolore, è come un lieve addormentarsi, cui seguirà un sonno sereno.
DOTTORE: Voler morire è una crudeltà. Chiedere di essere ucciso, è una crudeltà.
CARLIN: Farmi soffrire in queste condizioni, è una crudeltà. Porne fine è una liberazione.
DOTTORE: Sono un medico è ho giurato di far vivere la gente, non di farla morire.
CARLIN: (in crescendo, sino ad urlare) Morire è un mio diritto! Nelle condizioni in cui mi trovo,     morire è un mio sacrosanto di-rit-to. (pausa).

(Il dottore si avvicina al letto, e comincia a spiegare con pazienza.)

DOTTORE: So bene quello che lei prova, quello che provano tutti quelli nel suo stato. Capisco,     quello     che tutti voi provate.
CARLIN: No, lei non può capirlo: lo immagina, forse.  Anzi, non può nemmeno immaginarlo.
DOTTORE: (continua a parlare, senza badare a quello che dice Carlin) Deve pensare ai suoi     familiari. Pensi a quanto darebbero, sua moglie e i suoi figli, per vederla sorridere ancora     una volta. Pensi a cosa sarebbero disposti a fare, per sentirla parlare un giorno in più...     persino un'ora in più. (pausa) Da quanto tempo non sorride, eh signor Carlin?
CARLIN: Ma come si può pretendere che io sorrida, nelle mie condizioni. Qualsiasi pensiero che     dovrebbe farmi sorridere mi procura, invece, un nodo alla gola... come se il pianto volesse     sgorgare, ma non vi riesce. Mi è capitato spesso in questi ultimi giorni. (sorride     con     malinconia, fissando il vuoto davanti a sè) Ieri mia moglie mi ha parlato del mio nipotino     che comincia, buffamente, a pronunciare le prime parole... Lo sa, dottore, che la prima     parola in assoluto che ha pronunciato è stata "non-no"? Non "pa-pà": Nonno. Io ho pianto.     (pausa) E i tentativi di mia figlia? Era qui l'altro giorno e mi ha raccontato degli episodi     divertenti che le sono capitati in ufficio... Mia figlia lavora all'INPS, sa? E lì ne capitano     tanti, di episodi comici. Ed io faccio finta di ridere, ed anche lei, ma a stento riesco a     trattenere le lacrime. (pausa) Ed anche i miei figli, trattengono a stento i singhiozzi.     Dottore, lei mi consiglia di sorridere: I miei sorrisi sono le lacrime, quelle che non riescono     a sgorgare dai miei occhi.
DOTTORE: (si avvicina a Carlin e gli aggiusta il lenzuolo, lo aiuta a sistemarsi sul cuscino)     Suvvia, signor Carlin, dirò all'infermiera di farle la puntura ogni tre ore, anziché ogni otto,     Contento?
CARLIN: (annuisce, in silenzio si soffia il naso, si calma) Mi scusi, dottore.
DOTTORE: Idee come la sua sono frequenti, tra i malati, ma se cerca di non pensare al suo...     "male", vedrà che ogni brutto pensiero sparirà. (si avvia ad uscire)  Cerchi di stare calmo e     pensi che, a volte, i miracoli succedono. cerchi di dormire, adesso, eh? Buonanotte.

SCENA SESTA

    Carlin resta per qualche secondo a fissare il  vuoto. Gianni, che per tutto il tempo del     colloquio tra il medico e Carlin, dava, nella penombra, l'impressione di dormire, alza le     coperte e, come se uscisse dall'oltretomba,  rompe il silenzio.

GIANNI: Ho sentito tutto, paparino.
CARLIN: (sobbalzando) Oh, che spavento! Sei tu. Come hai detto?
GIANNI: Ho sentito tutto. (Si alza, gira intorno al proprio letto. Poi torna indietro. Si siede sul     bordo del suo letto. Poi ripete il percorso un paio di volte. Per un po' Carlin lo guarda,     senza parlare.)
CARLIN: Che fai?  (pausa)  Non riesci a dormire? (Pausa. Gianni continua a non rispondere) Sei     diventato matto?... (Pausa)  Perché non rispondi? (Pausa).
GIANNI: (Si alza per la quarta volta e si ferma ai piedi del letto di Carlin, lo osserva, ricambiato, e dopo qualche istante parla) Vuoi che ti aiuti? (Gianni accarezza i capelli di Carlin)
CARLIN: Come dici?
GIANNI: So che ti serve aiuto. (pausa) Vuoi che ti aiuti?
CARLIN: (Inizialmente, Carlin non riesce a capire le intenzioni di Gianni, poi sorride) Sì. ... Oh sì, ti prego.

(Carlin si distende, supino, liberandosi delle lenzuola. Gianni si avvicina al letto.)

CARLIN: (rievocando le parole del dottore, continua a sorridere) Da quanto tempo non sorride eh, signor Carlin?
GIANNI: (prende il cuscino dal proprio letto) Cosa hai detto?
CARLIN: Niente. Non ho detto niente. Parole senza senso.

(Gianni, col cuscino tra le mani, si avvicina a Carlin. si ferma vicino al comodino.)

GIANNI: Sei Pronto?
CARLIN: Sì. Sono pronto.

(Gianni, con tormento, si aggiusta il cuscino tra le braccia, se lo avvicina al petto, esita...)

CARLIN: Aspetta: Non voglio più...

Nota per il regista: Carlin dovrà pronunciare l'ultima battuta mentre Gianni sta per poggiargli il cuscino sul volto. Il pubblico dovrà percepire un ripensamento di Carlin, che non vorrebbe più morire. Ma Gianni gli si butta sopra premendo con forza il cuscino. Continuano così per alcuni secondi.
Mentre cerca di divincolarsi, Carlin intercetta con la mano il pulsante di "chiamata d'emergenza". Si odono tre rapidi scampanellii; il quarto diventa continuo e non smette di suonare: le dita di Carlin si sono irriggidite sul pulsante del campanello, che rimane a lungo a suonare.
Entrano in scena, di corsa, il Dottore e l'infermiere. Alla vista dei due sanitari, Gianni si stacca dal letto di Carlin e molla il cuscino lasciandolo sul viso di Carlin. Ansioso e preoccupato, il dottore si avvicina a Carlin, gli stacca con fatica la mano dal pulsante del campanello _ che cessa di suonare - e gli toglie il cuscino dal volto. Gli tasta il polso, gli fa dei massaggi cardiaci, poggia l'orecchio al cuore di Carlin, infine guarda rassegnato l'infermiera e scuote la testa, come a dire "non c'è più niente da fare"; e copre il volto col lenzuolo.
Il dottore e l'infermiera guardano Gianni, che fissa il corpo di Carlin con sguardo da imbambolato.

GIANNI: Forse... Forse, all'ultimo istante, voleva vivere; forse... forse si era pentito. (Gianni abbraccia il dottore, singhiozzando. Il dottore è in imbarazzo, non sa come comportarsi)

DOTTORE: Forse. Ma tu non potevi percepire quel pentimento. E noi... Noi siamo arrivati con qualche secondo di ritardo.
(Il dottore risponde all’abbraccio di Gianni e gli batte una mano sulla spalla.)

BUIO