La principessa Cristina

di

Aquilino



Puoi sederti, Cristina. Guarda quante persone. Sono qui per te. So che vorresti prendere la parola, tenere un comizio, perorare una causa, aprire una disputa… Non puoi, Cristina, non puoi più. Ora hai bisogno che qualcun altro parli per te. Lo farò io.
Ma prima… prima un attimo di silenzio.
È passato tanto tempo.
Ma non dobbiamo dimenticare.

Mi chiamo Ernesta Legnani, moglie di Giuseppe Bisi e come Ernesta Bisi sono conosciuta.
Non per la mia bravura nel disegno, anche se ho avuto le mie soddisfazioni. L’unico ritratto giovanile di Carlo Cattaneo è mio. Ma a chi interessa? Morto lui, morti i nostri ideali. Illuminismo, liberalismo, federalismo e soprattutto laicismo… Ah, laicismo qui da noi! Come mettere il gatto e il topo nella stessa gabbia. Tu ne sai qualcosa, Cristina. Sei stata perfino scomunicata.
Non sono conosciuta tanto come artista quanto perché sono stata l’unica persona che ti è rimasta vicina per tutta la vita. L’unica vera amica.
Come te, sognavo una nazione aperta alle nuove idee, capace di assicurare a tutti una vita dignitosa, pacifica e tollerante. L’Italia poi la si è fatta, ma io me ne sono andata nel ’59 e non ho visto niente di quello che ho sognato. È finita così come quelli che hanno dato la vita avrebbero voluto?
Viva l’Italia, comunque, e viva il suo popolo. Viva coloro che si sono sacrificati. Viva anche gli uomini e soprattutto le donne che non hanno mai avuto riconoscimenti per i loro sacrifici.

“Ero una bambina malinconica, seria, introversa, tranquilla, talmente timida che mi capitava di scoppiare in singhiozzi nel salotto di mia madre perché mi stavano guardando o perché volevano farmi parlare.”

Rimani orfana di padre per due volte. Il primo padre muore ad appena trentadue anni. Il secondo è il marchese Alessandro Visconti, un carbonaro progressista che tua madre, Vittoria Gherardini, sposa dopo un anno di vedovanza. Anche lui ti lascia troppo presto, distrutto nel corpo e nell’animo dalla feroce persecuzione austriaca.

Cristina non ha fortuna con gli uomini. Io le dico: non puoi fare meglio di loro e poi pretendere che ti amino. Sono uomini! S’illude di stabilire un rapporto paritario… ma chi l’asseconda, finisce poi per colpirla alle spalle.
Il primo uomo a tradirla è il principe Emilio di Belgioioso, che Cristina sposa il 15 settembre del 1824, ad appena sedici anni. Da lui ha in dono la sifilide e l’amarezza dell’adulterio.
Il secondo e certo il peggiore è il barone Torresani, capo della polizia austriaca di Milano. Perseguita Cristina con un odio barbaro e astioso.
Il terzo… proprio lui, il grande Alessandro Manzoni: la disprezza senza motivo, in nome di un moralismo meschino.
Il quarto è il poeta e libertino Alfred de Musset. Come altri, spera di vantarsi un giorno di aver fatto l’amore con la principessa. Quando capisce che non la farà mai sua, scrive una poesia ignobile:

È morta e non ha mai vissuto:
faceva finta di vivere,
dalle sue mani è caduto il libro
nel quale non ha letto niente.

Il quinto uomo è uno dei tanti patrioti che Cristina ha soccorso e finanziato, uno di quelli che non la prendono sul serio o che addirittura la osteggiano: ma loro fanno l’Italia con le parole, lei con i fatti.
Il sesto è il papa Pio IX. La donna deve vivere all’ombra dell’uomo, senza brillare di luce propria e senza prendere iniziative. Cristina, pur essendo credente e devota, dà scandalo e s’inimica la chiesa.
Il settimo è un domestico violento che quasi l’ammazza, solo perché non può averla.
L’ottavo si chiama Camillo Benso conte di Cavour. Non sapendo o non volendo affrontare sul piano dialettico la principessa, si limita a denigrarla ed emarginarla, quando non gli fa più comodo.
Il nono… il nono uomo è una donna, una delle tante donne che si trincérano dietro l’ipocrisia e il moralismo per negare l’emancipazione di cui hanno terrore. Donne mediocri che sanno essere cattive con chi, come Cristina, rappresenta un esempio di intelligenza e indipendenza e fa quindi risaltare la loro ignavia.

Nasci il 28 giugno 1808 nel palazzo milanese dei Trivulzio. Secondo l’uso spagnolo, ti vengono imposti dodici nomi: Maria Cristina Beatrice Teresa Barbara Leopolda Clotilde Melchiora Camilla Giulia Margherita Laura.
Una bambina minuta e delicata, dai grandi occhi curiosi nei quali si può già intuire un futuro di donna brillante, coraggiosa, a volte spavalda, generosa, estroversa fino alla teatralità.
Ridi di me? Non ti sto adulando, voglio solo che i nostri ascoltatori abbiano bene in mente chi hanno di fronte.
Ancora piccina, vieni da me per imparare il disegno. Sei brava e svelta, tanto che fai poca fatica a realizzare i primi ritratti.
Hai già una vita densa di impegni. Fai da balia ai quattro fratellastri, studi con passione, e fin da ragazzina t’interessi di politica. Non limiti la tua vita ai pettegolezzi dei salotti e alle serate mondane. Tu vuoi di più. La prima cosa che vuoi ha un nome che ti tormenta per tutta la vita: libertà.
Mi trema la voce? Anche tu sei emozionata. È la nostra parola segreta, libertà. Libertà per l’Italia, libertà per il popolo, libertà per le idee e libertà per noi stesse.
Il 15 settembre 1824, ad appena sedici anni, sposi il principe Emilio Barbiano di Belgioioso d’Este, il giovane bello e dannato, il più scapestrato e il più adorato di Milano.
Quando me ne parli, ti brillano gli occhi per l’eccitazione. Le Prince charmant ha per modello lord Byron e non è da meno nella bramosia di vita avventurosa e godereccia. Possiede tutte le qualità per il successo mondano, ma… gli mancano i soldi. Glieli porti in dote tu, invano osteggiata dai familiari. Ricordi quante discussioni, quanti scontri?

Ti sposa solo per il denaro! Ti tradirà con le cameriere e con le tue migliori amiche! Ti porterà solo infelicità!

Ma tu, a sedici anni, ha già una tua propria idea di felicità: andartene via da casa, sentirti libera, condividere la vita spregiudicata e seducente di un marito che tutte ti invidiano e, soprattutto, diventare principessa.

Ernesta, Ernesta, sto per diventare principessa!

Quasi una fiaba, il matrimonio che suscita scalpore e che dura solo quattro anni. Così giovane, e la tua salute è già malferma. Hai bisogno di cure continue.
Ti trovi alle terme di Recoaro. Emilio ti manda Margherita Ruga a tenerti compagnia. Non hai motivo di sospettare. Anzi, trovi la signora simpatica e gradevole. Andando a fare visita alla moglie, il disonesto marito ritrova anche l’amante. Quando scopri la tresca, ti casca il mondo addosso. Tu sai come si comporta una vera signora in questi casi, te l’hanno insegnato: sofferenza segreta e casomai vendetta, ma nell’ombra. Un destino proprio come te l’ha prefigurato il conte Ferdinando Crivelli, nell’epitalamio scritto in occasione del matrimonio:

Un pezzo principesco hai tu voluto
ma poi che lui teco avrà goduto
lussureggiando andrà con questa o quella.
E invano ti udirem gridare aiuto:
ma come indietro più non si ritorna,
rendere solo potrai corna per corna.

Tu non sei come loro. Tu sei onesta e pura, e per fortuna anche forte. Capace di analisi razionale anche nei momenti più drammatici. Fai quello che nessuna vera signora oserebbe mai: ti separi dal marito. Senza acredine. Ognuno per la propria strada, ma strade che si incontrano ancora, ogni volta che la vita troppo dispendiosa di Emilio lo riconduce a te per un aiuto finanziario. Mostri un affetto… direi quasi da sorella maggiore, per un uomo che è rimasto un adolescente.

Un giorno sento dire che Cristina ha sfidato l’ipocrita nobiltà milanese, affacciandosi dal palco alla Scala tutta vestita di nero: il lutto per la fine del suo primo e unico amore. Solo dicerie. Lei ha già lasciato Milano in esilio volontario, perché nella sua città non è più la benvoluta. Il moralismo spietato del Manzoni fa subito proseliti. Una donna che ragiona con la propria testa, che prende decisioni autonome, che rifiuta un ruolo di sottomissione… ah, questa donna è diabolica! Poco importa che il marito non solo l’abbia tradita, ma che le abbia anche trasmesso la sifilide, un male incurabile che per tutta la vita la tormenta. La vittima è comunque lui, l’uomo. Eppure, nei suoi celebrati scritti, di quanta comprensione e tolleranza fa uso il signor Alessandro Manzoni!

“Fra le tante virtù onde è adornata quella famiglia, credetti di sempre ravvisare anche l’indulgenza. Io rispetto il loro modo di vedere, ma in questo caso sono fiera del mio.”

Per una cittadina qualunque sarebbe impossibile lasciare Milano, ma tu sei una Trivulzio e ora anche una Belgioioso.
Ottieni il passaporto dal governatore, ma scavalchi il capo della polizia, il barone Carlo Giusto de Torresani. Un ometto pingue con moglie e figli che fa il galante con le ballerine. Tu lo ignori, e lui si indispettisce. Ti giudica arrogante e pericolosa. Le sue spie non ti perdono più di vista. Non si limitano a seguirti ovunque tu vada, ma raccolgono false testimonianze e alimentano con malignità oscena le più assurde dicerie, definendoti dissoluta e perversa.
Ti rifugi a Genova, città cosmopolita e di mentalità più aperta che Milano.

“Non come una straniera, ma come una figlia fui accolta. La marchesa Pallavicino mi presentò e mi introdusse nelle migliori società. Qui non sono più circondata da persone il cui giudizio su di me era ingiusto, le cui menti erano inclini a trovare interpretazioni maliziose.”

Cristina cresce tra carbonari aristocratici e intellettuali. Molti di loro, il suo secondo padre per primo, conoscono la prigione. Sa che gli austriaci non esitano di fronte a una condanna a morte. Quante volte ne parliamo, in sussurri segreti, durante le lezioni di disegno! Lei si esalta e io non faccio che dirle: non è un gioco, ne va di mezzo la vita. Le raccomando prudenza. Ma chi può frenare la sua impazienza? Un giorno mi confida:

“Io voglio fare di più che portare messaggi. Io voglio comandare un esercito.”

Mi fa sorridere, ma come posso sapere che un esercito lo comanderà davvero?

Nella primavera del 1829 ti rechi a Ischia per curarti. Ti fermi a Roma dove frequenti il salotto di Ortensia Beauharnais, la figliastra di Napoleone, ex regina d’Olanda. Conosci il figlio di Ortensia, Luigi Napoleone, il futuro imperatore, e anche lui contribuisce alla tua passione patriottica.
Ascolta che cosa racconta il conte d’Altòn Shée in una sua lettera, dopo averti incontrata a Firenze in occasione di un ballo aristocratico:

“…nel mezzo di un circolo formato dalle donne più eleganti e più graziose, io fui colpito dall’apparire di una bellezza strana: la sua toilette nera e rossa era semplice e bizzarra, i capelli neri e soffici, la fronte larga di un giovane Faust, grandi occhi fermi di una statua antica, uno sguardo misterioso, davano alla parte superiore del suo volto qualcosa di severo e di profondo, mentre la grazia del naso, il delizioso sorriso e l’attrattiva di una fossetta, palesavano la grazia femminile in tutto il suo fascino. Ella aveva appena vent’anni e tuttavia sembrava che vivesse per la seconda volta. Domandai il suo nome: principessa di Belgioioso.”

A Firenze, contro ogni prassi, sei ammessa nel circolo letterario del Gabinetto Vieusseux, definito dagli austriaci centro del disordine. Conosci Niccolò Tommaseo e Giuseppe Poerio. Ti rimarranno fedeli per tutta la vita. Con il primogenito di Ortensia, Napoleone Luigi, travestita da uomo, una notte cavalchi fino al mare per coordinare il contrabbando d’armi. Quando mi racconti l’avventura, il primo impulso è di biasimarti. Tu, la regina dei salotti, la misteriosa incantatrice, l’ammirata intellettuale, fai quello che tanti uomini non osano. Le tue azioni sono un rimprovero per la viltà e l’ottusità della maggioranza.

Non stava bene a Roma? Non stava bene a Firenze? Sempre inquieta e insoddisfatta, si rimette in viaggio. Lugano, ancora Genova… Le informative di Torresani mettono in allarme perfino Metternich: la bella principessa conduce una vita indecente e scandalosa e soprattutto si circonda di pericolosi nemici dell’Austria. Mazzini arrestato, lei riesce a fuggire. Se la catturano, gli ordini sono perentori: portarla a Milano e chiuderla per sempre in un convento. Ma come può una principessa, abituata alla carrozza e alla servitù, attraversare a piedi, di notte, il confine con la Francia? Può. Può perché non s’è mai vista una principessa come lei e anche perché è circondata da amici disposti a rischiare la vita. La mia Cristina molti la odiano, ma molti di più la amano. Alcuni giorni dopo vengo a sapere delle sue traversie. Da un lato sono terrorizzata, dall’altra orgogliosa di lei. Cristina non spreca la vita nei salotti. Anche lei combatte per la causa. Ormai fa parte del movimento per la libertà e io e lei siamo più che sorelle.

In Provenza conosci Augustin Thierry, lo storico che sarà tuo amico per sempre. Ti fa conoscere il socialismo di Saint-Simon, morto cinque anni prima. Con quale entusiasmo mi scrivi! Anche perché finalmente si parla di femminismo. Ma in seguito abbandoni Sain-Simon per altre forme di socialismo utopistiche. Hai sempre sognato in grande, ma non hai mai staccato i piedi da terra.
Thierry ti fa riflettere sulle relazioni tra le classi e su come diffondere le idee per riformare la società. E tu impari, oh come impari! Impari e adatti ogni teoria al tuo modo personale di vedere la realtà: filantropia e istruzione per il popolo.
Nel ’31 sei a Marsiglia, con i rivoluzionari che ancora non ti prendono sul serio. Intanto, però, attingono a piene mani alle tue finanze. Qui a Milano il Torresani ne ha abbastanza. Sui muri di tutta la città fa affiggere un editto.

“Viene d’ordine superiore ingiunto alla principessa Cristina di Belgioioso, nata Trivulzio, di ritornare negli Stati di Sua Maestà Imperiale Reale Apostolica nel termine di tre mesi sotto la comminatoria d’essere dichiarata morta civilmente e della confisca di tutti i beni”.

Cristina fa subito donazione dei beni alle sorellastre e al marito, così almeno non li lascia agli austriaci. Si spaventa? Si ritira nell’ombra, per prudenza? Al contrario, mi dicono che lei stessa ricama il tricolore dell’avventata impresa di Savoia, finita in tragedia per il mancato appoggio francese. Insieme ad altri profughi, si rifugia a Parigi. Che cosa scrivono di lei gli spioni del Torresani?

“Molti giovanotti hanno approfittato del suo denaro e nello stesso tempo hanno denigrato la di lei reputazione di moralità proclamandola una Messalina”.

“Ero dunque a Parigi. La città che tanto avevo sognato mi sembrò un luogo che metteva paura. La mia condizione duplice di principessa e di rifugiata serviva a puntino a darmi arie da eroina da commedia. Ricca erede, non conoscevo proprio nulla delle necessità della vita. Potevo dipingere, cantare, suonare il pianoforte, ma non avrei saputo cuocere un uovo sodo.”

Mi viene da sorridere, quando penso che si cucina da sé, che si guadagna da vivere industriandosi a dare lezioni, a dipingere ventagli, a fare ritratti… Sorrido anche di sollievo perché comunque non è sola. Ha l’appoggio di uomini importanti come il marchese di Lafayette, che addirittura la invita a pronunciare un discorso alla Camera. In breve, diventa la regina anche dei salotti parigini, dopo quelli milanesi. Tutti parlano di lei. Musset, Balzac, Bellini, Liszt, Heine, Chopin, George Sand, Stendhal… e soprattutto lo storico François Mignet, che le fa quasi da marito. Dopo Emilio solo un altro uomo, la cui identità rimane segreta per sempre, ha con lei un rapporto fisico per farle avere una figlia.
I suoi potenti protettori intercedono presso Metternich affinché le sia evitato un processo per alto tradimento e le fanno restituire il patrimonio.
A Parigi è attiva anche presso i sansimoniani, dove incontra Maroncelli, Pellico e Confalonieri.

I tempi duri sono finiti e l’anno seguente ti trasferisci nel palazzo di un duca, dove prendi due appartamenti. Quello più piccolo lo riservi all’ex marito, che non rifiuta la generosa offerta. Solo tu puoi fare una cosa simile! E infatti altre critiche ti piovono addosso. Amica dell’ex marito!
Emilio, l’affascinante principe, si trova a proprio agio con i frequentatori del tuo salotto. Incontra addirittura il proprio alter ego francese, il poeta maledetto Alfred de Musset. È innamorato in modo folle e passionale di te. Tu, per lui, hai un atteggiamento… come dire… materno? Certo non erotico. A te gli uomini piace consolarli, curarli e comandarli, non amarli.
Nel tuo salotto non ci sono solo epicurei e anime dannate. Insieme al cospiratore si ritrova l’ambasciatore d’Austria, accanto al sacerdote siede una donna fatale e peccatrice, con lo storico pacifista discute il generale guerrafondaio, il famoso critico incontra il musicista ancora sconosciuto, e aristocratici conservatori ascoltano scandalizzati le teorie dei socialisti. Tu, Cristina, dai vita a un incontro straordinario di pensieri, culture e fedi, quale mai si è visto nel nostro secolo.
Vuoi sapere come ti descrive una delle tue ospiti?

“Un’intelligenza rara, lo spirito appassionato e dominatore, uno sguardo potente, un coraggio dal sangue freddo notevole, e soprattutto l’arte di piacere come parte essenziale del bisogno di essere adorata.”

Accogli gli ospiti in una casa dal forte impatto scenografico: salotti arredati come camere funebri, con teschi e candelabri; camere da letto in cui ogni cosa è bianca, dai tendaggi agli oggetti da toilette; e tu stessa ti vesti e ti acconci come se recitassi in una tragedia esotica: abiti scollati sulla carnagione cerea e turbanti che rendono ancora più grandi gli occhi indagatori. Seduta sul pavimento, appoggiata al pianoforte, ascolti Liszt suonare o De Musset declamare versi. La principessa triste, la principessa romantica, la principessa infelice, così ti chiamano. Un tale addirittura dice:

“Doveva essere molto bella, da viva.”

Ma tu sei viva, e come!
Scrivi articoli patriottici, organizzi l’assistenza agli esuli, li aiuti a trovare lavoro. Tommaseo, Rossi, Gioberti, Mamiani, Poerio, Orioli si ritrovano con Cousin, Fauriel, Thiers, Montalembert, Hugo, Balzac, Merimée, Heine… E non ti scordi di chi ti vuole bene da lontano. Un giorno ho la sorpresa di ritrovarmi Liszt in salotto. Me lo mandi tu in regalo. Per mezz’ora suona al mio vecchio pianoforte. E io… io piango di gioia. Vorrei esserti vicina, anche per consolarti quando gli uomini non cessano di ferirti. Con quale furia ti difenderei! E tu che cosa mi scrivi? Che sul tuo giornale sei pressoché l’unica a pubblicare, perché gli uomini giudicano un disonore scrivere su un giornale diretto da una donna. Anche Mazzini la pensa così, e con lui i patrioti che da te hanno avuto soldi, lavoro, consolazione. Che dire? Tu hai una visione politica realistica, Mazzini amministra una setta di fanatici:

“Il moto di Napoli genererà il moto degli Stati Pontifici. Il moto dei Pontifici deve generare il Toscano. La Toscana è destinata per l’insurrezione del Senese, di Montepulciano, del Perugino…”

Illuso! Quanti giovani sono morti per la sua intransigenza? E che dire delle altre organizzazioni settarie? Ecco come giurano:

“Se tradisco, voglio che mi siano levati gli occhi della testa, strappata la lingua, tagliato e scorticato il mio corpo…”

Vogliono fare l’Italia o giocare come bambini, lasciandoci però poi la vita?

Il 23 dicembre 1838, in modo inatteso e segreto, nasce Maria Gerolama, la figlia che solo ventidue anni dopo Cristina riesce a far riconoscere come una Belgioioso, in modo da assicurarle un futuro. L’ha avuta da Emilio? O da Mignet, il suo amico parigino? O dal segretario Pietro Bolognini detto il Bianchi, che non ha fatto altro che spillarle denaro? Maria Gerolama è solo mia, mi dicono i suoi occhi profondi. E io le credo, io credo a tutto quello che mi dice.
Torna a Milano. La causa italiana sembra persa. Metternich ha soffocato ogni grido di libertà. Gli ex rivoluzionari si chiudono in sé stessi, si rifugiano in crisi mistiche, diventano traduttori o avviano attività economiche. D’altronde, la parola d’ordine ora è arricchire. E tutti, di colpo, diventano conservatori. La Lombardia impigrisce nella rassegnazione. Cristina si ritira a Locate e il suo salotto è frequentato solo dal parroco e dal fattore, con i quali gioca a carte. Ma può forse starsene tranquilla? Se non può fare niente per l’Italia, può però fare molto per il suo paese. Tutto quello che amministratori, imprenditori, nobili e preti non hanno fatto in secoli di storia, lei lo realizza in pochi anni.
Il primo asilo infantile per gli orfani; le scuole elementari anche per le bambine; i corsi di economia domestica, agraria, musica e canto, pittura, restauro e stampa per giovani di entrambi i sessi; lo scaldatoio per ricoverare chiunque patisca i geli dell’inverno; la cucina pubblica; il dispensario medico.
Cerca aiuto presso i proprietari terrieri, ma nessuno risponde alla sua lettera.

“I bambini di questo mio paese sono nella più miseranda delle condizioni umane. La qualità dei lavori e l’aria delle paludi procacciano gravi malattie e poche sono le coppie che pervengono ad età avanzate.
Ho pensato perciò di proporre ai signori che da quelle terre ricevono le loro maggiori ricchezze, di consumarne una menoma parte per riparare quei mali. Un ospizio per gli orfani nel capoluogo di Locate in cui i fanciulli privi di madre e di padre sarebbero accolti, mantenuti e istruiti fino all’età di sedici anni”.

Per tutti, valgono i giudizi di Confalonieri:

“Ecco un’altra prova della sua follia”.

E di Manzoni:

“Quando i contadini saranno tutti dotti, a chi toccherà zappare la terra?”

A nessuno interessa che, in appena un decennio, nel più importante orfanotrofio lombardo, siano morti la metà dei ricoverati: quindicimila piccoli innocenti vittime di stenti, malattie e maltrattamenti.

“Ora quei bambini hanno un bell’aspetto di salute, e non s’insudiciano, mangiano regolarmente, rispondono quando chiamati, incominciano a leggere e a numerare. Il mio castello è grande come una piccola città e quasi tutti gli edifici sono occupati dai lavoratori. Sono puliti, i loro volti intelligenti e aperti. Mi dicono che i contadini amano il putridume delle loro stalle e che nessuno sarebbe mai entrato nel mio scaldatoio…”

E invece le sue iniziative hanno un successo enorme e tutto il paese collabora e partecipa, con rabbia e scandalo degli aristocratici e degli intellettuali milanesi.
Iniziative che non sono solo filantropiche. Sono politiche. Cristina ritiene che le riforme non siano attuabili senza l’educazione del popolo e in questo si dichiara d’accordo con Mazzini. Ma le sue sono idee troppo nuove. La divisione tra le classi sociali è ancora troppo rigida. Cristina non si fa illusioni sulla realtà italiana. L’Italia, per lei, è uno dei paesi più miserabili, con la popolazione più corrotta che vi sia, mal servita da intellettuali presuntuosi e da dirigenti arroganti.

“Questa povera gente mi considera come qualcosa di un po’ strano, ma di ben intenzionato. Non ho paura di nulla; parlo il loro linguaggio; mi ricordo dei nomi di tutti; conosco i loro affari meglio di loro; guarisco a volte i loro bambini e le loro donne. C’è della strega in tutto questo”.

Giulia Beccaria sta morendo, ti precipiti a casa Manzoni, siete sempre state molto affezionate… ma il figlio Alessandro dà istruzioni di non farti entrare. Ti fa cacciare dallo stesso prete che ha celebrato le tue nozze. In un odioso opuscolo intitolato Le illusioni della pubblica carità se la prende con te perché… fai del bene.
Tu tiri dritto per la tua strada. Ma non vuoi metterti contro la chiesa. T’illudi, con ingenuità, che basti il tuo impegno di credente per godere della stima della gerarchia cattolica. Scrivi un Saggio sulla formazione del dogma cattolico, e sono in molti ad apprezzarlo, ma tra i molti non c’è la chiesa: il libro viene messo all’indice. Una donna che scrive di religione? Ah, non va bene!
E tu insisti. Hai un cervello che funziona bene quanto quello degli uomini e vuoi dimostrarlo, con cocciutaggine. Esce la tua prefazione alla Scienza nuova di Vico che fai pubblicare per la prima volta in Francia. Ottieni riconoscimenti da Weber, Michelet, Karl Marx, Benedetto Croce... Fondi l’unico giornale italiano in Francia, La Gazzetta Italiana. Una donna giornalista fa ancora scandalo. Gioberti ti rimprovera di avere rinunciato alla riservatezza e alla verecondia di cui devono ornarsi tutte le donne. E gli “Studi intorno alla storia della Lombardia”? Ti rendi conto? Osi ridicolizzare le congiure salottiere dei nobili, le presuntuose imprese di Mazzini che tanto sangue costano, la scarsa chiarezza di idee dei capi come Confalonieri… e in seguito critichi anche “Il primato morale e civile degli italiani” di Gioberti. Ne hai per tutti, Cristina. Ma con ragion veduta e io ti do sempre ragione. Gli altri, purtroppo, ti danno invece torto. D’altronde, non è facile accettare quello che scrivi sul tuo giornale:

“La teoria del primato è assurda. Noi non siamo i primi in Europa, ma gli ultimi.”

I politici, tutti uomini, si gingillano con il colore delle uniformi e la distribuzione delle cariche, ma lei li invita a occuparsi di cose più serie come l’amministrazione, la riforma agraria, l’educazione popolare, il buon governo. Questo è il programma di Cristina, che non piace né ai nobili né ai borghesi né agli uomini di chiesa.
Realista com’è, non crede più nelle riforme dei moderati, perché ha verificato quanto il popolo sia privo di coscienza politica. Ora Cristina parteggia con forza per la guerra di liberazione condotta dai Savoia. È troppo presto per la repubblica, ma la monarchia potrà essere il primo passo verso un’Italia unita e repubblicana. Intanto i Savoia, però, proibiscono la diffusione del suo giornale.

Il 1847 sei di nuovo alla ribalta. Accompagnata dal fedele e malandato segretario Gaetano Stelzi, che muore l’anno dopo con tuo grande dolore, ti precipiti a Roma. Vieni accolta nel Circolo Popolare da Ciceruacchio in persona, che in tuo onore organizza una grande fiaccolata. Popolani, borghesi e nobili si mettono in fila per vedere da vicino l’eroina lombarda. Tutti inneggiano al papa che ha concesso la costituzione, la libertà di stampa, il ministero liberale, la libertà agli ebrei… e Ciceruacchio si fa addirittura ricamare sulla giubba rossa la scritta Viva Pio IX.

Cristina vorrebbe tornare a Milano, dove è in atto la rivoluzione, ma viene a sapere che Torresani è pronto a farla arrestare e a farla internare a Linz.

“Per il buon nome di quella principessa politicamente esaltata.”

Va a Napoli e stampa il primo numero dell’Ausonio. Il giornale non ha peli sulla lingua. L’Austria è peggio di Attila. Il lombardo-veneto, spogliato delle sue ricchezze, ha un debito pubblico esorbitante. La cultura è soffocata, l’industria e il commercio languono.
Progetta un nuovo quotidiano, Il Nazionale. Ora, però, si contano a centinaia gli aspiranti redattori. In quei giorni gli Austriaci vengono cacciati da Milano e Cristina che cosa fa, la mia folle e generosa idealista? Noleggia il Virgilio, un vapore capace di trasportare via mare centosettanta patrioti. In migliaia si presentano al molo!

“Quando arrivai al piroscafo, il mare era coperto da leggere barchette accorse da ogni parte per augurarci il buon viaggio. Fra i tanti navigli ancorati nel porto, avreste distinto facilmente il nostro per il balenio delle armi di cui era stipata tutta quanta la coperta. I miei volontari mi attendevano.”

Entri in Milano dal corso di Porta Romana e ti presenti a palazzo Marino alla testa dei tuoi volontari, vestita di velluto nero, con in testa il cappello alla calabrese ornato da una grande piuma, lo stesso portato da Garibaldi; ma la coccarda tricolore sul petto è fermata da una spilla di diamanti. I volontari vanno a combattere nel Trentino e nel Mantovano, tu combatti a modo tuo stampando un nuovo giornale, il Crociato.

“Il Crociato è monarchico. La repubblica ai miei occhi è la più perfetta forma di governo, ma siamo monarchici perché una nazione in cui la repubblica viene introdotta dovrebbe essere arrivata a un livello di civiltà non facilmente raggiungibile.”

Ogni numero è fonte di polemiche. I capi sommossa fanno la guerra all’Austria più con la retorica e la confusione che con i fatti. L’unica via, scrivi, è logorare il nemico con la guerriglia e ci vuole quindi che a capo dei combattenti sia messo Garibaldi. Ma ti aspetti forse che ti diano ascolto? Le costituzioni vengono rinnegate, tutti si ritirano. Tutti meno il popolo. Forse non è pronto per un’Italia libera e repubblicana, ma è leale e combatte fino all’ultimo. Ricordo la tua collera alla notizia che, mentre l’esercito si scompagina, Carlo Alberto anziché provvedere alla difesa di Milano si chiude in una chiesa di Cremona a cantare le litanie. Rientrato a Milano, straccia il foglio di resa davanti al popolo. Ma il gesto plateale e ipocrita non è che il preludio a una fuga disonorevole. E noi siamo lì e assistiamo a tutto, indignate e furiose.

“Sono salva; anche Maria che non si è mai staccata dalle mie gonne, nel bel mezzo delle truppe e delle barricate, né nell’effervescenza del furore popolare. Furore ben motivato, poiché siamo stati ignobilmente venduti da Carlo Alberto. Non abbiamo più alcuna speranza se non nella Francia e nel partito repubblicano. La Casa Savoia è diventata impossibile quanto i Borboni. Mentre la morte si aggira per le nostre strade, la maggior parte degli uomini che abbiamo nominato bada a spartirsi le cariche e ad assicurarsi la sua parte di potere.”

Pio IX scomunica chi collabora con la giunta municipale e Ciceruacchio risponde scomunicando a sua volta il papa.
Cristina corre a Roma, chiede udienza al generale Oudinot mandato in soccorso al papa: che lasci passare i volontari italiani, polacchi, svizzeri, ungheresi, inglesi e nordamericani; cosa che in effetti avviene. Ci sono tutti meno i garibaldini, tenuti lontani dai politici: vedono in Garibaldi una figura troppo popolare. Cristina litiga con i triumviri Mazzini, Armellini e Saffi.

“Fanno minchionerie molte e varie.”

Mazzini non glielo perdonerà mai.
Viene nominata direttrice delle ambulanze militari. È la prima volta che un incarico di tanta responsabilità viene affidato a una donna. Cristina è infaticabile e rivela una capacità organizzativa straordinaria. Il suo appello alle donne romane non rimane inascoltato.

“Incapacità e stoltezza, debolezza e vanagloria furente, ecco ciò che regna in Roma. Il povero Mazzini si mostra qual è, e davvero non è spettacolo esilarante. Il Potere esecutivo fa pietà!
Si è pensato di comporre una associazione di donne allo scopo di assistere i feriti, e di fornirli di filacce e di biancherie necessarie.”

Dopo appena due giorni, ben dodici ospedali sono attivi, ma sono stati due giorni insonni e frenetici. Cristina ha mandato via i barellieri che svolgevano anche il ruolo di infermieri senza alcuna preparazione; litiga con il Consiglio della sanità composto da clericali e asini; sceglie trecento donne tra le innumerevoli che si sono presentate (borghesi e aristocratiche, straniere e popolane, anche prostitute) e le inquadra militarmente; procura bende e materassi; litiga con i chirurghi e i fornitori poco sensibili o poco onesti e anche con i frati fanatici che minacciano di far morire di fame e di sete chi non si pente e chi rifiuta i sacramenti.
Il generale Oudinot riconquista Roma senza difficoltà, con rabbia di Cristina che verifica sempre di più l’incompetenza e la stupidità dei politici. Ma ora ha altro a cui pensare, per esempio al giovane Goffredo Mameli che le spira tra le braccia. Il triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi viene sostituito da un Triumvirato Nero di tre cardinali incaricati dell’epurazione politica. Cristina è accusata di sentimenti irreligiosi. Un gesuita la descrive come

“femmina sfacciata e impudente”

È scandalizzato perché le sue infermiere hanno lavorato con le braccia nude. Si fanno circolare voci sulla Belgioioso che si aggirava tra i feriti alla ricerca di bei giovani da sottomettere alle proprie voglie. E il papa? Si lamenta con i cardinali perché molti uomini sono morti tra le braccia delle prostitute, rifiutando i sacramenti. Tutta colpa della Belgioioso.

“Santo Padre. Le donne che mi venivano denunciate erano state per giorni e giorni a vigilare al capezzale dei feriti; non si ritraevano dinanzi alle fatiche più estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinanzi al pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio delle bombe francesi.”

Non può restare in Italia, su di lei pende un mandato di cattura. Non è più benvoluta in Francia. Cristina fugge a Malta, ma nemmeno lì è gradita, perché ha fatto la guerra al papa. Riparte per Atene e comincia a scrivere in francese lettere che vanno a formare un diario di viaggio, pubblicato a puntate sulla “Revue des Deux Mondes”. Scrive anche numerosi romanzi, tra i quali “Scene di vita negli harem”, “Emine”, “Vita nomade in oriente”, “Un principe kurdo”… In tutte queste opere affronta di petto la condizione femminile. L’harem? Niente di romantico o di sensuale: muri anneriti, divani stracciati e unti, poca luce, e solo inferiorità e degrado per la donna.
Le sue opere sono subito tradotte in inglese, tedesco, russo, olandese… ma solo molto più tardi in italiano. L’Italia, di Cristina, si ricorda poco e magari solo per farle del male.
Sbarca in Turchia e la elegge a sua nuova patria. Acquista un villaggio con latifondo nel cuore dell’Anatolia, a quattro giornate di cavallo da Smirne. Ovunque è accolta con entusiasmo e il governo turco le offre ogni appoggio, perfino l’esenzione dalla tasse, purché la guaritrice franca, come è chiamata, avvii le attività agricole e artigianali che ha in progetto.

“In mezzo alla valle si alza la mia capanna perché è una casa così piccola e umile che non merita altro nome.
Ho dunque comprato per cinquemila franchi una tenuta che in Europa sarebbe un ducato. Buona terra fertilissima in pianura, parte in colli e in monti, irrigata da un fiume e vari canali. Ho delle risaie, ma se riesco a coprire di viti i miei colli, il profitto sarà grande.”

Nonostante i tuoi sforzi, uno dopo l’altro i progetti falliscono. In aggiunta, come reazione all’ultimo moto rivoluzionario del velleitario Mazzini, a Milano ti sequestrano di nuovo i beni, pur sapendoti estranea; ed è il 1853.

“Se il vento del nord si alza repentinamente in queste pianure di ghiaccio e vi gela il sangue nelle vene, che potete farci? Se una grossa nuvola scoppia sulla vostra testa e trasforma in pochi istanti la campagna in una gigantesca palude, che potete farci? Se il vostro cavallo si azzoppa, rifiuta di avanzare, soccombe alla fatica, cosa potete farci? Se gli abitanti di un villaggio chiudono le porte e vi rifiutano un pezzo di pane, potete farci qualcosa? Se infine le vostre forze vi abbandonano, se vi ammalate per strada o in uno di questi cupi villaggi, che potete farci? Niente e solo niente.”

Maria compie quattordici anni e deve ricevere la prima comunione. Decidi di andare a Gerusalemme. Un viaggio di undici mesi attraverso la Turchia, la Siria e l’Irak, affrontando con spirito da pioniera i disagi di un mondo selvaggio e i pericoli rappresentati dai predoni.

“La camera a noi destinata non è coperta dal tetto se non per metà, sporca, piena di pulci; il fumo mi acceca, le galline mi saltano sul letto, il vento mi toglie il respiro.”

Preceduta dalla tua fama, vieni ricevuta dal pascià e partecipi alla caccia alla tigre. Tornata alla la tua tenuta di Ciaq-Mag-Oglou, un altro brutto momento ti attende. Uno dei lavoranti, un tale Lorenzoni da Bergamo, uomo rozzo e violento, giura vendetta perché l’hai umiliato prendendo le difese di miss Parker che lui ha aggredito. Una sera ti assale con il coltello e ti ferisce all’inguine, al seno, alla mano destra e alla nuca. Sangue ovunque, da credere che sia stato sgozzato un animale. Accorrono tutti. L’uomo fugge. Urla e pianti. E tu? Con una calma che raggela quanti ti stanno intorno provvedi a curarti da te stessa le ferite.
Trascorrono altri due anni durante i quali ti sembra di essere tornata al lontano 1831, quando sei arrivata a Parigi senza denaro. Anche adesso devi arrabattarti per sopravvivere: metti insieme qualche soldo scrivendo articoli e vendendo i ricami fatti insieme a Maria. Poi, quando ormai disperi di potercela fare, la buona notizia: gli avvocati hanno raggiunto un compromesso con le autorità austriache e puoi tornare in Italia.
Sbarchi a Marsiglia nel settembre del 1855. Sei accompagnata da due servi turchi con il fez rosso e i folti baffi neri, un cavallo arabo, quattro levrieri afgani, due gatti d’angora… ma hai quarantasette anni. Sembri una donna anziana. Un poco ingobbita. La testa piegata di lato, per colpa della ferita del Lorenzoni. I capelli grigi. Le rughe.
Anche per molti dei tuoi amici la bella stagione è passata. De Musset in preda ai deliri della sifilide, Heine paralizzato, Chopin morto, Hugo in esilio… Nei salotti non c’è più una donna misteriosa e intelligente, sensibile e impegnata. Ora c’è “Nicchia”, com’è chiamata la contessa di Castiglione. Interessata solo ai piaceri e al protagonismo, gestisce nel contempo ben dodici amanti. Spedita in missione da Cavour nel letto di Napoleone III, grande amatore di ballerine di cancan, in mezz’ora di prestazioni erotiche ottiene un’alleanza politica.
Tu ti guardi intorno e ti senti un’estranea. Non è più il tuo mondo, quello. Ma forse non c’è mai stato un mondo adatto a te, Cristina cara. La Castiglione avrà onorificenze a non finire, e invece tu… invece tu dagli uomini di potere hai avuto solo l’oblio.
Scoppia la seconda guerra d’indipendenza. Tu presti ancora la tua opera negli ospedali di Milano, ma non ti viene riconosciuto alcun ruolo particolare. La Belgioioso, la matta che litiga con tutti e che se n’è andata dai turchi… Fai parte dei vecchi rivoluzionari di fede repubblicana, di cui diffidare. Hai perfino scritto contro Carlo Alberto! Hai realizzato folli riforme sociali a Locate. Te ne sei andata in giro per il mondo come una vagabonda. Scrivi libri e articoli come un uomo. Hai una figlia di dubbia paternità. Sei stravagante, autoritaria e polemica… Vittorio Emanuele II, in visita a Milano, incontra tutti i nobili meno te, che non sei invitata.
Nonostante tutto, pensi ancora che la monarchia sia per il momento l’unica soluzione per l’Italia e pubblichi una “Storia della casa di Savoia” che viene apprezzata anche dai tuoi detrattori. Fai uscire un giornale nuovo, di grande successo, un giornale bilingue, in francese e italiano, e lo chiami L’Italia. La monarchia, sì, ma non la piemontesizzazione. E così ti fai nuovi nemici.

“Noi di Torino non ne vogliamo sapere. Questi signori ci hanno tolto tutto. Ci hanno preso i denari, le istituzioni, le amministrazioni, gli usi, le pratiche, tutto.”

Il 31 gennaio del 1861 esce sul primo numero della “Nuova Antologia” di Le Monnier il saggio “Della presente condizione delle donne e del loro avvenire”. Penso che sia la sua opera più significativa. In altre opere come “Sulla moderna politica internazionale” o “Osservazioni sull’attuale stato dell’Italia e il suo avvenire” c’è tutta la sua mente; ma qui c’è lei, Cristina, mente e cuore.

“Rimasta per tanti secoli senza cultura intellettuale, scevra di ogni responsabilità negli affari sì pubblici come famigliari, la donna non ambiva una eguaglianza che le avrebbe imposto doveri faticosi e gravi. Questo stato di cose si mantiene tuttora; e quelle poche voci femminili che s’innalzano chiedendo dagli uomini il riconoscimento formale della loro eguaglianza, hanno più avversa la maggior parte delle donne che degli uomini stessi.
Vogliano le donne felici ed onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori ed alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata, felicità!”

Sei sola, nella grande casa silenziosa. Ricevi ancora, ma il tuo è un salotto di parole sussurrate. Ascolti, chiudi gli occhi, ti assopisci, si fa silenzio, la tua voce sembra provenire da altri mondi.

“Vedo le rughe solcarsi a forza sulle guance e sulla fronte, e imprimere al volto un’espressione di severità o di noia, o indifferenza; vedo quel gelo della vecchiaia condensarsi sugli occhi, che dovrebbero risplendere più che mai perché in alcune cose sento con maggior forza e uno slancio maggiore che per il passato.
Confesso che questo cangiamento zoppo, questo ribellarsi di una parte di me, questo difetto di armonia nelle diverse sostanze che mi compongono, mi è grave.
Tutte le gioie che colorano la gioventù della donna si sono spente col progredire degli anni. La società più non le abbada, se non forse per farla segno ai suoi spensierati motteggi.”

Cristina muore il 5 luglio del 1871, alle dieci e mezzo di sera. Ha sessantatre anni. A dispetto della scomunica per la partecipazione alla Repubblica Romana, i funerali si celebrano con grande semplicità nella chiesa di San Tommaso.
Nessuna rappresentanza statale.
Per più di trent’anni su di lei cala il silenzio.
Nel cimitero di Locate c’è la tomba fatta erigere dalla figlia Maria.
Ma la cassa è vuota.