UNA VITA DA PRECARIO
(Colloqui di lavoro ed altre amene
avventure di quotidiana follia)
di
Marco Badi
COMMEDIA IN QUINDICI QUADRI PRECARI
RACCONTATA IN PRIMA PERSONA AD UN PUBBLICO CHE, NONOSTANTE TUTTO, HA ANCORA
VOGLIA DI RIDERE…
Personaggi: IO oppure TU, se preferisci…
Letizia, donna del protagonista
Varia Umanità
Quadro I
Tanto vale che vi racconti subito il mio ultimo colloquio, così per rompere il
ghiaccio e farvi capire in che condizioni mi trovo.
Ebbene sì, anch’io sto cercando lavoro, come più o meno la metà dei miei
coetanei (persona più persona meno…), e ogni giorno compro un decina di
giornali, tra quotidiani e settimanali, alla ricerca disperata di una buona
occasione.
Qualche giorno fa, finalmente, mi sono imbattuto in qualcosa che sembrava
interessante…
L’inserzione diceva: cercasi personale per impiego d’ufficio.
Bè, ok, non sarà proprio l’occasione della vita però di questi tempi non è
neanche il peggio che si possa trovare, no?
Mi decido a farlo; devo comunque battere il record di colloqui falliti del mio
amico Francesco (ma lui ha cominciato parecchio prima…)....
Puntualissimo mi presento alla sede del colloquio. Ci sono diversi candidati che
attendono il loro turno. Attendo anche io.
Si parla poco. Giusto qualche battuta. Il clima è piuttosto nervoso. Si sente la
tensione del pre-gara. Alla fine tocca a me. Sono determinato. Mi sono
preparato. Stavolta non farò errori…
Entro nella stanza. Un uomo con il sorriso d’ordinanza mi si fa incontro da
dietro la scrivania. Mi porge la mano. Gliela stringo e penso a come sarà la sua
faccia al termine del colloquio.
Mi spiega di cosa si occupa l’azienda, qual è il candidato ideale, quali
dovrebbero essere grosso modo le mie mansioni e persino a quanto ammonterà lo
stipendio.
Lo ascolto con profonda attenzione esteriore. Non distolgo mai i miei occhi dal
suo viso ma dentro di me penso: “quando arriva la fregatura?”
Quindi mi chiede di parlare un po’ di me. Io gli racconto le mie attività più
salienti (infiorettandole un tantino, ma non troppo), gli spiego quale è stata
la mia formazione e quali sarebbero le mie aspettative. Poi mi chiede di dirgli
le mie migliori qualità e i miei peggiori difetti.
Rispondo, per le qualità: affidabilità, dinamicità, adattabilità, capacità di
iniziativa, responsabilità, capacità di apprendimento, creatività e dedizione,
cosicché la mia immagine risulti un misto tra Clark Kent e Leonardo da Vinci.
Per i miei difetti (li ho ripassati proprio ieri sera): la gola, la rigidità nei
movimenti (sono negato per gli sport, commento sorridendo), una brutta grafia,
la forfora (ho provato di tutto, sostengo con un aria allo stesso tempo
rassegnata e riconciliata con se stessi) e infine aggiungo, quasi con fare
complice, “sono stonato come una campana!”…
Lui mi guarda.
Io capisco che non è uno di primo pelo, e che non si accontenta così facilmente.
Quindi mi dice: “sì, ma qualcosa di più personale? Di più… profondo?”
E qui sparo la mia cartuccia migliore, preparata proprio per situazioni come
questa: “Bè, a dire la verità ci sarebbe anche… sì, bè insomma la mia fidanzata
dice che sono un po’… un po’ tirchio (ridacchio)… anche se io mi considero solo
un buon risparmiatore.”
Vabbè, dice lui.
Vabbè, penso io, eccoci… adesso parte con la cantilena.
Invece queste sono le sue testuali parole:
“Comunque lei mi sembra una persona interessante.”
(Come comunque, penso io)
“Potrebbe farci comodo.”
(Davvero? Dov’è il trucco? Infatti subito dopo ecco arrivare tra capo e collo
(stavolta con un po’ di ritardo, devo dire) la mossa di Spock (quella con la
quale lui ti dava un pizzicotto sul collo e tu crollavi a terra svenuto, tanto
per intenderci…).
- Francamente anche a me sembra un lavoro interessante…(dico io cauto)
- Mi fa piacere. (dice lui)
- E poi un lavoro d’ufficio è proprio quello che stavo cercando…
- Bene, anche se non subito, s’intende…
- Come?
- Sì, voglio dire che quello verrà poi con il tempo…
- Quanto tempo?
- Al momento giusto, mi creda…
- E quale sarebbe il momento giusto, scusi? (dico io con un sorriso tirato)
- Bè, questo dipende soprattutto da lei…
- Ah, sì… e in che senso, scusi di nuovo…
- Bè, ovviamente prima è previsto un periodo di prova…
- Ah, ovviamente… e in cosa consisterebbe questa prova? (questa volta ometto
volontariamente lo “scusi”)
- Oh, solo un po’ di… rappresentanza…
- Ah, rappresentanza… e che tipo di rappresentanza?
- … tipo… porta a porta… (eh eh eh…)
- Ah, tipo porta a porta, eh?… e per quanto?
- Bè, non più di un paio di anni…
- Oh, bene… non più di un paio di anni, eh? (inizio ad alzarmi dalla sedia e ad
avvicinarmi alla porta).
- … è roba che si vende da sola, vedrà…
- Oh, si vende da sola, eh?… bene… bene… (apro la porta)
- … mi dia retta è un affarone…
- …certo… un affarone… (chiudo la porta e me la batto a gambe levate).
Sento la sua voce in lontananza, attraverso la porta chiusa, che continua a
magnificare le doti del loro prodotto e a dirmi quale incredibile occasione
sarebbe per me.
Mi precipito all’esterno.
Devo assolutamente respirare un po’ d’aria fresca di smog.
Cazzo, la solita stramaledetta vendita porta a porta.
Oh, intendiamoci, ho anche provato a farla. Giusto per vedere se magari non
fosse così orrenda, però alla fine della giornata avevo i conati di vomito e ho
dovuto lasciare.
Ci sarà pure qualcos’altro sulla Terra che non sia fare il venditore, no?
No?
No, in realtà sembra proprio di no.
Ma come è possibile?
A questo punto io credo che, per correttezza, dovrebbero davvero mettere un mega
schermo in tutte le città italiane, nelle campagne, ai laghi, sulla costa, alla
frontiera con una scritta lampeggiante rossa che dice: TUTTO ESAURITO! IMPIEGHI
TERMINATI! DISPONIBILI SOLTANTO SUB-IMPIEGHI DA VENDITORI PORTA A PORTA!
L’unica soddisfazione è che ho raggiunto il mio amico Francesco nella classifica
assoluta dei colloqui falliti.
E vai!
Mentre mi infilo sotto le coperte, la sera, sento ancora nelle orecchie la voce
stridula dell’intervistatore che dice: “mi creda è una grande occasione”.
Un brivido.
Poi di nuovo quella vocetta stridula direttamente nel cervello: “…una grande
occasione…”
Mi copro meglio, stringo Boby, il mio orsetto di peluche che ho ritirato fuori
per l’occasione e finalmente mi addormento russando in faccia alla grande
occasione.
Quadro II
La persona più importante della mia vita è Letizia, la mia compagna e la persona
con cui attualmente vivo, quindi bisognerà che ogni tanto ve ne parli, no?
Cominciamo perciò dall’inizio, dalla sera in cui ci siamo messi insieme.
Immaginatevi una sera di qualche anno fa, ad una cena di universitari fuori
corso…
…una di quelle cene dove ognuno porta quello che riesce a trovare in casa e si
finisce per mangiare pastasciutta con la pommarola dei genitori napoletani,
pizza fredda in PVC, formaggio sardo e polenta a presa rapida, bevendo vino
sfuso del “supermercato” cinese e birra cingalese. Comunque, noi siamo seduti
vicini, lei su una sedia di vimini mezza sfondata e io su un panchetto da
falegname, perché, si sa, in questi casi per accomodarsi si raccatta tutto
quello che si trova in casa, compresi gli scatoloni per il trasloco. Tutto
sommato, quindi possiamo dire che noi siamo stati fortunati… Io mi trovo circa
15-20 centimetri più in basso di lei per via del panchetto, e lei una trentina
di centimetri più avanti di me per via del buco in mezzo alla sedia che la
costringe a restare in equilibrio sulla punta della sedia. Noi non lo sappiamo
ancora, ma sarà proprio questa la nostra fortuna. Infatti, a un certo punto
della serata, nel tentativo di raggiungere la caraffa d’acqua ferrosa e
iperclorata di rubinetto, Letizia scivola dal bordo della sedia e, cercando
disperatamente di restare in equilibrio su quell’estremo lembo di legno, finisce
invece per crollare sopra di me, che, per non farla cadere, provo istintivamente
ad attutire il colpo arretrando con la schiena senza purtroppo ricordare che mi
trovo seduto su un panchetto, e quindi senza spalliera…. Il risultato,
ovviamente, è un capitombolo leggendario che ci vede cadere a terra
aggrovigliati, bagnati fradici e ricoperti di pommarola. Dopo un primo momento
di totale sconcerto, i nostri sguardi si incrociano e noi eruttiamo in una
irrefrenabile risata semi isterica. Ma è proprio in quel brevissimo istante in
cui i nostri occhi si incrociano e i nostri corpi sono avviluppati in quel
forzato abbraccio, che la scintilla genera il fuoco. A questo punto la serata è
quasi finita, ed è già da molto, troppo tempo che non vedo l’ora di uscire fuori
per stare un po’ solo con lei. Mi sembra di intuire che anche per lei sia la
stessa cosa. Quindi salutiamo più velocemente del solito gli altri e ci
dirigiamo verso la mia macchina, non in fretta ma con una certa trepidazione
trattenuta e un po’ ansiosa.
- Ti accompagno a casa.
- Sì.
Solo “sì”, d’altra parte non c’è bisogno di dire altro…
Saliamo in macchina in silenzio.
Viaggiamo per un po’, ancora in silenzio. Poi, trovo un po’ di coraggio…
- Serata divertente, vero?
Dico io senza voltarmi a guardarla
- Molto.
Dice lei guardando dritta davanti a sé
- Mi dispiace di esserti crollata addosso.
- No, anzi… Figurati…. insomma…
- Figurati?
- Sì, insomma voglio dire… c’è di peggio…
- Bè, credo di sì in effetti… essere investiti da un tornado dovrebbe essere
peggio…
- Voglio dire che… che non era poi così male…
(Breve silenzio.)
- No?
Le ciglia fanno flap flap e c’è uno strano luccichio nelle sue pupille…
deglutisco a vuoto…
- In effetti no…
- Ah. Bè, sei carino…
- Davvero? Mi trovi carino?
- No, voglio dire che sei gentile… cioè non è che tu sia brutto, sei anche
carino… ma volevo dire gentile… insomma…
- Ah, certo… quindi non ti faccio schifo?
- Bè, no, direi di no… direi proprio di no…. No assolutamente…
- Ah, okay… bè, mi fa piacere…
- E tu? Tu mi trovi… carina?....
(Flap flap…)
- Eh?... Ah, certo… senza dubbio… decisamente… carina…
- Bè, grazie…
- Figurati… grazie a te….
(Di nuovo silenzio.)
In quel momento mi parve di essere stati come ad un passo dal decollo, ma che
poi il Capitano Imbarazzo Perenne abbia fermato i motori e si sia fermato alla
fine della pista… Non so se avete presente…
Il nostro breve viaggio continua in silenzio. Stiamo quasi per arrivare a casa
sua. Inizio a rallentare. Rallento in maniera quasi imbarazzante per cercare di
arrivare il più tardi possibile. Una vecchietto in bicicletta ci sorpassa
rapidamente. Cerco disperatamente di trovare un briciolo di coraggio. In fondo
basterebbe poco… Cavolo!...
- Tutto bene?
- Oh sì, sì… no è che… che mi si era appannato il vetro… non volevo essere
avventato… sai, la sicurezza…
(Guardo fuori dal mio finestrino per non farmi vedere in faccia…)
- Ah, bè… sei veramente… veramente prudente… anche se penso che a questa
velocità forse… magari, forse siamo un pericolo per gli altri… sai la curva… non
vorrei che si trovassero una macchina ferma… quasi ferma!… in curva… ma ormai
siamo arrivati… mancano cento metri…
(Silenzio. Cento metri finiti.)
- Bè, eccoci… ci siamo…
- Già. Arrivati.
- Bè, allora… grazie…
- Grazie a te per avermi accompagnata…
- Grazie a te per essermi caduta addosso…
(Ridiamo)
- Bè, allora cerchiamo di rifarlo…
- Caderci addosso?
Ridiamo ancora
- Già, non sarebbe male, no? Divertente…
Dico con tono un po’ ruffiano…
- No, non sarebbe male…
Breve silenzio.
- No?
- No
- Ah
- Già.
Di nuovo, flap flap e luccichio negli occhi… cazzo! Capitan Imbarazzo a torre di
controllo, non riusciamo a decollare! Non riusciamo a decollare!... Eh, no
cazzarola… sai che ti dico Capitan Imbarazzo Perenne? Fottiti! Stavolta tu
attacchi quei cazzo di motori e decolli, ok?!...
Mi butto improvvisamente su di lei - per la verità con un po’ troppa foga se
proprio vogliamo essere pignoli – comunque, ciò che importa, è che stavolta
abbiamo decollato. E finalmente ci baciamo! Bè, più che altro ci dentiamo.
Machissenefrega! Siamo decollati, cazzo! Decollati alla grande!...
Quadro III
Tra un colloquio e l’altro, ho sostituito per alcuni giorni un mio amico alla
Galleria degli Uffizi a Firenze, dove vivo. Non ve lo avevo ancora detto?...
Vabbè, adesso lo sapete…
Lo avevo già fatto altre volte, e, come le altre volte, ho vissuti momenti molto
molto intensi...
Ero stato piazzato al banco dove si noleggiano gli apparecchi che consentono di
ascoltare la visita guidata del museo, ovvero le mitiche audio guide e questo è
quanto è successo…
- Buongiorno.
- Buongiorno. Mi scusi, come funziona?
- Basta premere il tasto start e la spiegazione parte da sola, poi le verranno
fornite tutte le informazioni necessarie per continuare…
- Ma se voglio tornare indietro?
- Basta tenere premuto il tasto rewind…
- E se voglio riascoltare la spiegazione precedente?
- Deve premere una sola volta il tasto rewind…
- Ma non è lo stesso tasto di prima?
- Sì, ha due funzioni…
- E per andare avanti?
- Tasto forward, stesso discorso fatto per il tasto rewind…
- Ah… e c’è la pausa?
- Certo… ecco, vede?
- E per farlo ripartire?
- Ancora play…
- E se volessi cambiare lingua?
- Perché vuole cambiare lingua?
- Sa… così non si sa mai… per saperlo…
- No, guardi la lingua può essere cambiata soltanto da noi…
- Ah… però visto che pago…
- Lei paga per ascoltare la spiegazione in una lingua…
- E dove sta scritto? (Il visitatore vuole sempre sapere se c’è scritto da
qualche parte, altrimenti non si persuade)
- Non c’è scritto perché mai nessuno ha preteso una cosa simile…
- Strano… comunque se non c’è scritto da nessuna parte, e visto che pago, allora
voglio sapere come si fa a cambiare la lingua…
- Guardi che l’apparecchio non è obbligatorio… può entrare anche senza, sa?
- Lei non mi vuole noleggiare l’audioguida?
- Sto soltanto dicendo che non è possibile cambiare la lingua a suo piacimento…
- Ma visto che pago…
- Gliel’ho già detto… lei paga soltanto la spiegazione in una lingua!
- Non alzi la voce! (ci guardiamo in silenzio, tipo “duello all’ O.K. Corral”,
intanto dietro di lui la fila è aumentata a dismisura e la gente inizia a
rumoreggiare; temendo per la mia incolumità fisica mi decido a rivelargli il
segreto …)
- Bene, allora mi ascolti attentamente perché non glielo ripeterò… per cambiare
la lingua deve tenere premuto stop e contemporaneamente forward, quindi premere
questo pulsante incassato qua dietro, sfiorare il tasto “func.”, premere tre
volte il pulsante rosso, confermare, dopo aver scorso con il bottone rew fino al
simbolo con la stella sul display, premendo in sequenza alt. – play – stop e
invocando contemporaneamente il dio Thor (nel frattempo, con una mossa da
illusionista, gli ho inserito il giapponese come lingua di partenza, l’ho fatto
scivolare di lato, dandogli l’apparecchio con una mano e prendendo i soldi con
l’altra, infine con una leggera spinta ad uscire dalla fila, l’ho congedato per
sempre dalla mia vista…)
Lo osservo con la coda dell’occhio mentre tenta disperatamente di cambiare la
lingua, passando nell’ordine dal giapponese, allo spagnolo, e poi al tedesco,
quindi di nuovo al giapponese, al russo, al curdo e per un breve istante
all‘inglese, passando per l’afrikaans e finendo al greco antico.
A tutt’oggi non si hanno più notizie dell’ ignoto visitatore, ma alcuni
sostengono che nelle notti di plenilunio si possano ancora udire dei terribili
sussurri provenire dalle sale vuote del museo che ripetono incessantemente
strane parole in misteriose lingue morte…
Un altro incontro veramente straordinario è quello con i visitatori giapponesi.
Gentilissimi ed educati, ma completamente criptati.
Si affacciano al bancone delle audioguide con un sorriso tale che ti viene
voglia di abbracciarli stretti stretti e di baciarli in fronte.
Quindi pronunciano delle strane parole mai udite prima, che dopo un po’ di tempo
capisci essere uno strano tipo di inglese. Ecco un esempio di quello che può
accadere:
- Gipnis?
- Come?
- Gipnis, sì?
- Giapponese? Sì, certo. Quante? How many guides?
- Ahhhh, sì…. (sorridendo).
- How many guides? (ripeto)
- Ahhh, gai? Sì, gai, sì… (sempre sorridendo)
- Vuole una guida in giapponese?
- Gipnis… gai…
- Do you want a guide in japanese language?
- Gipnis lenggi… (sorridendo)
- Una guida? In giapponese?
- Ahhh…
- Un sola?
- Sol…
- Questa qui… lei? Vuole? (tento disperatamente con la tecnica del mimo)
- Qi…sì…giapnis…
- La guida…?
- Gai…
- Sono 5 euro…
- Uri…sì… (eppur non si muove…)
- 5 euro…
- Giapnis…
- In giapponese, ho capito… ma deve pagare… pagare, capito?
- Pito… ahh…sì, gai…
- O mio Dio!
- Midi…uri…giapnis….
- Ok. Mi dispiace, sono finite… non ne abbiamo più in giapponese… finite…
- Finit… ahhhh…sì
- No more…
- Nomor….
- Qualcuno mi aiuti…
- Gai… gipnis…
- Finite. Là, vada laggiù…entrata…prego…vada da quella parte…all’entrata…
- Ntrat?... La… ahhh
A questo punto mi rifiuto di proseguire ulteriormente il….”dialogo” ….e lo
guardo in silenzio, finalmente consapevole del significato dell’espressione:
incomunicabilità assoluta.
Infine, dopo un paio di minuti, sempre sorridendo, il piccolo giapponese
criptato si gira e se ne va come se niente fosse. Mah…
Quindi, subito dopo, arriva una comitiva di turisti anch’essi giapponesi (i
turisti giapponesi sono sempre in comitiva, i pochi giapponesi che si aggirano
da soli sono o membri della yakuza o ex agenti segreti comunisti senza più
un’identità…).
In qualche modo capisco che vogliono delle audioguide.
Inizio a consegnarle.
Improvvisamente tutti si affollano intorno all’apparecchio, conversando fitto
fitto.
Si rigirano tra le mani l’audioguida, come se fosse un interessante reperto
fossile, cercando di capire quale strana primitiva tecnologia può aver concepito
una simile assurdità. Confabulano per cercare di capire quale possa essere il
suo funzionamento. Sono fortemente disorientati da tutti quei pulsanti. Io li
osservo curioso e un po’ perplesso, ad un tratto uno di loro si stacca
coraggiosamente dal gruppo e si avvicina al bancone.
Mi mostra un piccolo parallelepipedo di metallo. Liscio. Senza pulsanti.
Me lo porge. Insieme a questo mi dà anche uno strano auricolare senza fili che
mi si conficca automaticamente nell’orecchio fino al timpano.
Quindi inizia a dare dei comandi vocali in giapponese. Compare improvvisamente
un display. Parte della musica. Quindi si ferma, va avanti, indietro, salta di
brano, mi dice l’ora, mi fa la carta del cielo e mi predice l’ora esatta della
nascita della mia terza nipote.
Quindi si riprende il misterioso manufatto e ritorna tra le fila dei suoi
connazionali. Sorridendo, ovviamente.
Io, ormai umiliato, vorrei non far pagare loro il noleggio, vorrei offrire io, e
magari barattare il loro marchingegno con la mia Panda, ma il gruppo scompare
rapidamente dentro il museo, e non mi resta che salutarli con la manina mentre
si voltano a salutarmi con un sorriso…
Poi c’è lui, il Distruttore. Colui Che Reca Il Caos.
In genere è un omino piccolo, un po’ stempiato, magari con gli occhiali e il
sorriso dolce, che parla a bassa voce.
- Pssspspsssp
- Come?
- Vorrei psspspppsps
- Come? Non capisco…
- Vorrei riconsegnare le audpsppsppss
- Ah, vuole riconsegnare le audioguide? Bene, mi dia pure…
A questo punto, ma ormai è troppo tardi, mi rendo conto dell’immane pericolo…
Sul banco di fronte a me ci sono circa 70 – 80 apparecchi i cui lacci per
appenderli al collo e i fili delle cuffie hanno creato un intreccio così
straordinario che neppure Teseo avrebbe saputo risolvere.
Un’unica massa informe mi oscura la visuale, e prima che possa riprendermi dallo
shock, il piccolo e apparentemente innocuo ometto ma in realtà devastante come
un’arma nucleare tattica, si è volatilizzato lasciandomi alle prese con quella
erculea fatica.
Ben conscio del fatto che da solo non potrei mai farcela, chiedo aiuto ad un mio
collega.
Questo, non appena si rende conto della situazione, si precipita in mio
soccorso.
Insieme cerchiamo di districare almeno un capo dell’immensa matassa, con il solo
risultato di innervosirla ancora di più e di farla chiudere a riccio.
Disperati, chiamiamo un altro collega, il quale in un gesto tanto eroico quanto
inutile si getta nel bel mezzo dell’intrico, rimanendo avvinto dai tentacoli
malefici di quell’orrida creatura.
Altri generosi compagni giunti in nostro soccorso, vengono risucchiati dalla sua
bocca vorace e solo grazie alla nostra prontezza d’animo non finiscono per
essere incorporati per sempre nei circuiti di quella fiera ingorda.
Giunge anche un vigile del fuoco munito di accetta d’ordinanza che inizia a
potare con violenza i suoi tentacoli saettanti, liberando uno ad uno tutti i
colleghi caduti preda di quel demone tecnologico.
Alla fine, la vista che si presenta ai nostri occhi è desolante; mucchi di filo
senza vita, rottami di plastiche dilaniate, circuiti smembrati e peli umani
appiccicati ovunque.
Ancora una volta la nostra disattenzione ci è stata quasi fatale, e dire che me
lo ripetevo sempre: mai, mai perdere la concentrazione!
Quindi, attenti a quell’omino innocuo, con il sorriso dolce, con il riporto mite
che vi viene incontro… potrebbe essere lui… Il Distruttore!
Quadro IV
Torniamo ai colloqui di lavoro. Ecco altri due esempi di quello che può
accadere.
Colloquio di orientamento:
- Insomma lei cosa vorrebbe fare?
- Io vorrei lavorare.
- Sì, ma cosa sa fare?
- Qualsiasi lavoro che richieda un grammo di intelligenza e l’utilizzo
indipendente degli arti superiori, e quello sincronizzato degli arti inferiori.
Magari il suo. (Non è proprio quello che ho detto ma è certamente quello che
avrei voluto dire…)
- Titolo di studio?
- Laurea.
- Ahi.
- Ahi?
- Bè, sa, lei è sovradimensionato per un lavoro medio.
- Ah sì?
- Già.
- Ok, allora proviamo con un lavoro superiore.
- Eh no, ci vuole esperienza per quello.
- Se qualcuno me lo dà, magari l’esperienza me la faccio anche…
- Troppo rischioso.
- Allora cosa pensa che dovrei fare?
- Se fosse più giovane potremmo tentare con un contratto di formazione…
- Quindi oltre una certa età non resta che il vagabondaggio?
- Suvvia, non la metta in questi termini. Qualcosa troveremo. Vedrà che qualcosa
succederà…
- Tipo?
- Non lo so, qualcosa.
- Qualcosa tipo?… Un miracolo?...
È a questo punto che scatta una leggera incazzatura. Perché a te, buffo ometto
che mi stai facendo il colloquio, un lavoro l’hanno dato e a me no?
Questione di culo? Questione di saper sgomitare bene?
O forse di quel non so che, che hai quando le tue labbra tentano disperatamente
di distendersi in un sorriso verosimilmente umano?... Arcani impenetrabili…
Colloquio per un’azienda che si occupa di prodotti per la ricrescita dei
capelli:
- Ah è lei?
- Perché chi avrebbe dovuto essere?
- No, è solo che avrebbe dovuto mettere la sua foto sul curriculum.
- Perché?
- Perché se fosse stato calvo non avrei potuto tenerla in considerazione.
- Ma io mi proponevo per un lavoro da ufficio.
- Da noi nessuno può essere calvo.
- Ma nessun cliente mi avrebbe mai visto.
- Le voci circolano velocemente.
- E se io fossi stato il migliore per quel lavoro, ma pervicacemente avessi
rifiutato di sottopormi ad un trattamento per la ricrescita dei capelli perché
la mia religione me lo proibisce? Sarebbe una discriminazione…
- Mi dispiace ma è la politica aziendale.
(Silenzio. Sospiro interiore)
- Ok. Comunque come vede non sono calvo.
- Sì, ma ha anche detto di avere dei problemi religiosi.
- Era un esempio.
- Davvero?
- Certo!
(Silenzio. Nuovo sospiro interiore)
- Bene, le faremo sapere.
- Ma non mi ha neppure chiesto come mi chiamo…
- Abbiamo il suo curriculum.
- Ah già, avete il suo… il mio… curriculum…
- Infatti.
- Guardi che sono disposto a farmi anche la coda di cavallo.
- Le faremo sapere.
- … una capigliatura rasta?
- Grazie.
- … i boccoli?
- Mi scusi ma ho altri dieci colloqui da fare.
- Certo (bastarda). Grazie della disponibilità (zoccola).
Ma come è possibile?
Com’è che riesco sempre a dire o fare la cosa sbagliata?
O sono gli altri sempre sull’orlo della psicopatologia?
Come si fa a controllare tutte le variabili, specialmente quelle impazzite?
Comincio a sentirmi come un cucciolo di foca disperso su un iceberg alla deriva
nell’oceano…
Quadro V
Esperienza da dog-sitter.
L’animaletto in questione è uno American Staffordshire, praticamente energia
pura in forma canina…
Quindi, in realtà, non sei tu che porti a spasso lui, ma è lui che trascina in
giro te per la città, alla ricerca di anfratti da innaffiare con i suoi liquidi
organici.
Immagino che portare in giro un piccolo ippopotamino in calore sia più o meno la
stessa cosa.
Solo quando riesco a raggiungere un prato abbastanza vasto perché l’ippopotamino
possa sbizzarrirsi correndo a velocità superiori a quelle di un’honda 1600 cc,
io posso finalmente iniziare a riprendere fiato e a raccogliere le forze per il
ritorno.
Mentre aspetto che il cagnopopotamino consumi un po’ delle sue sovrabbondanti
energie, mi godo il posto.
Ed è a questo punto che spesso si verificano quelli che io definisco “incontri
ravvicinati del terzo tipo”.
Capita che a volte si avvicini qualcuno per scambiare due chiacchiere, e capita,
talvolta, che questo qualcuno non sia un essere umano, ma un mercante alieno
alla caccia di gonzi terrestri da buggerare o un psicologo venusiano in cerca di
informazioni sulla vita terrestre…
Manco a dirlo, ecco che con la coda dell’occhio, mi accorgo che qualcuno si sta
avvicinando nella mia direzione.
Subito mi domando: umano o alieno?
La risposta arriva presto.
- Bel cane. (lui)
- Già.
- Che razza è?
- Un American Staffordshire, almeno credo…
- Non è suo?
- No, faccio il dog sitter…
- Ah, ecco…
- Già…
- Il mio è un cocker da guerra…
- Come?
- Un cocker da guerra…
- Ah, ma pensa…
- È ferocissimo…
- Immagino…
- Lei non crederebbe a quanto sia aggressiva la sua razza…
Intanto arriva il cocker da guerra, saltellando festante e lappando avidamente
la faccia del padrone…
- Sa, è un esperimento dei nazisti…
- Non mi dica…
- L’altro giorno ha azzannato un signore solo perché si era avvicinato troppo al
nostro cancello…
Subito mi figuro quella tenera bestiolina a tirare fuori le zanne e avventarsi
sul polpaccio di quell’ignaro signore…
- Senta se vuole… glielo vendo…
- Come? No guardi…
- Davvero, per fare la guardia è impareggiabile… una vera macchina da
combattimento…
- Oh, non lo metto in dubbio, ma francamente non mi interessa…
- Facciamo 500 euro, eh? Un prezzaccio…
- No, davvero… non mi interessa…
- Guardi che è rarissimo, potrebbe anche farci dei bei soldi portandolo ai
concorsi…
- No, veramente…
- Ah, va bene… peccato per lei…
- Già, ma che ci vuole fare…
- Forse però potrebbe interessarle un bonsai gigante? Unico nel suo genere…
- Ah, bè ci credo… ma no, grazie…
- Viene direttamente dal Giappone… è alto dodici metri…
- No, mi dispiace…
- Un topo parlante?
- No…
- Una vongola da pastore?
- O mio Dio!
- Sì, sa… serve per controllare gli altri molluschi negli allevamenti…
- Non saprei davvero che farmene…
- Allora una zecca da riporto?
- Mi scusi ma adesso devo proprio andare…
Aggancio frettolosamente il cane al collare e mi faccio trascinare fino a casa
incitandolo continuamente a mantenere una andatura molto molto sostenuta…
Un'altra volta, invece, mi capita tra i piedi quest’altro simpatico soggetto
appena arrivato dallo spazio profondo…
Siamo sempre nello stesso parco, sempre con il cagnopopotamino di prima…
Stavolta però mi arriva alle spalle.
- Bella giornata, eh? (lui, urlando)
- EH!… (io, sobbalzando, mentre mi giro ma non vedo nessuno…)
- DAVVERO MERAVIGLIOSA, EH! AH AH AH! (pacca sul sedere, tipo ritrovo di
harleysti…)
- Già… (tossendo come un tisico, mentre finalmente lo scorgo, ben al di sotto
della mia cintola…)
- Guardi, quando vedo giornate come questa mi viene voglia di abbracciare tutto
il mondo, mi crede?
- Le credo… (per convincermi meglio, mi abbraccia… alle gambe…)
- Carissimo...
- Eh, già… bè….
- Ah, ma guardi il cielo, le nuvole, gli uccelli, i fiori, guardi questi steli
d’erba così dritti fieri eppure teneri e caduchi, e poi i frutti maturi su
queste meraviglie della natura che sono gli alberi… ah, il potente disco solare!
La forza bruciante dei suoi raggi maestosi… come non gioire con l’universo
intero… come non GRIDARE il nostro stupore grato, la nostra riconoscenza al
CREATORE di ogni cosa… ALLELUIA!
- Già…
- Lei è credente, vero?
- Effettivamente sì…
- Ah, che cosa meravigliosa questo profumo di terra… guardi che cosa
straordinaria… un’argilla così ricca, grassa… me la mangerei…
Infatti ne prende un po’ e se la mette in bocca…
- Mmmm. Ah, il gusto della nostra sostanza materna! Avanti ne prenda un po’
anche lei! (saltellando verso la mia faccia…)
- No, veramente… non ho appetito…
- Avanti, l’assaggi! Entri in contatto con il mondo che la circonda, con la
materia di cui è fatto!
- Sto bene così, grazie…
- Non sa cosa si perde. Ah, ma che bel cane!
- Grazie…
- Io invece ho un furetto… sapesse che animaletti simpatici e vivaci che sono!
- Me lo immagino…
- Ho anche un muflone e un piccolo orango… in campagna, s’intende…
- Ovvio…
- Oltre a diversi pitoni, un guanaco, e tre simpaticissimi draghi di comodo…
- Un vero zoo…
- Io amo così tanto gli animali… e lei?
- Oh, bè sì, anch’io…
- Perché questo fine settimana non viene da me in campagna?... Potrei mostrarle
tutti i miei simpatici amichetti…
- Mi piacerebbe davvero, ma purtroppo…
- Ho anche un meraviglioso grizzly tenuto in cattività…
- Sarebbe meraviglioso ma purtroppo…
- E un puma albino… unico nel suo genere…
- Grandioso, sì… ma come le dicevo…
- Allora promesso, eh? La aspetto sabato mattina, questo è il mio biglietto da
visita con numeri di telefono, indirizzi e tutte le informazioni necessarie! NON
E’ MERAVIGLIOSA LA VITA? E si porti lo spazzolino, eh? (ride sonoramente)
- Veramente, non credo di poter…
- Annusi quest’aria pungente, questo salutare olezzo di letame fresco…
- Ehm già… davvero impagabile…
- Ah, come amo la vita. Grazie, grazie a tutti voi che siete in questo parco…
grazie per la vostra preziosa presenza, per il vostro calore, per la bellezza
che sprigionate, per l’amore che soave da voi si spande… VI AMO O VOI TUTTI!
Si allontana velocemente e scompare misteriosamente così come era apparso.
Mi chiedo solo dov’è che aveva nascosto la sua navicella…
QUADRO VI
Siete mai stati ad una mostra di Arte Contemporanea? Bè, immagino di sì e quindi
potete facilmente capire quanto questa possa essere utile ed istruttiva per noi
esseri umani medi… giusto?...
Ad esempio, c’erano dei bellissimi sacchetti di plastica neri appiccicati alla
parete… Bè, lì per lì, devo ammetterlo, sono rimasto un po’ spiazzato (per un
attimo ho persino pensato di buttarci dentro il pacchetto vuoto delle gomme, ma
mi sono subito ripreso grazie alla lucidità mentale che mi ero imposto prima di
entrare: dubita di ogni cosa che vedi, potrebbe essere arte!), ma dopo che ho
letto l’intervento del critico tutto è divenuto immediatamente lampante: come
potevo non aver capito che quegli involucri così dozzinali, così miseri e, se
vogliamo, così volgari rappresentavano il disfacimento dei valori morali
dell’uomo?
Per non parlare della loro consistenza plasticosa, evidente metafora della
mercificazione degli ideali, o quel loro essere vuoti che, mi imbarazza persino
a dirlo, non poteva non essere che una chiara allegoria del pensiero
contemporaneo.
Più avanti, invece, c’erano delle meravigliose strisciate di colore che, ho
letto nella nota critica, erano state diluite nell’urina dell’artista e come
tali divenivano un eclatante ipostasi ontologica dell’eterno fluire, divenire e
svanire della materia e dei corpi e, in ultima analisi, l’estrema epifania della
morte…
… me’ cojoni…
Più avanti, invece, mi sono imbattuto nel capolavoro assoluto di tutta la
mostra: un punto nero fatto a matita in mezzo ad una tela completamente bianca.
Chi fosse riuscito a leggere la preziosa nota scritta in caratteri microscopici
sotto l’opera, avrebbe facilmente compreso come la cosmogonia veniva qui riletta
nel suo versante più minimalista, procedendo per innesti sovrapposti che
andavano ad annullarsi nel bianco di fondo, lasciando visibile un unico punto al
centro di quell’universo annichilito nel quale era evidente l’incarnazione del
dubbio cartesiano.
… di nuovo me’ cojoni …
Commosso fino alle lacrime per avermi svelato quel arcano profondo, per avermi
aperto ai misteri gnostici e aver elevato la mia mente alle più alte sfere
dell’iperuranio platonico, mi sono seduto su quella che speravo fosse una
panchina, a mangiare il mio panino con la salsiccia.
Dopo poco, alcuni visitatori si sono avvicinati a me, e dopo avermi osservato
con grande attenzione, hanno iniziato a commentare più o meno in questo modo:
- Bè, qui è fin troppo evidente l’intento pop dell’artista.
- Ma sì, non vedete come il background della panchina, per altro divinamente
qualunquista, si sposa perfettamente con l’espressione attonita, direi persino
smarrita e un po’ “idiot savant”, del personaggio in primo piano?
- Hai proprio ragione, infatti la volgarità della salsiccia ci richiama
esplicitamente al lotta proletaria e al senso di alienazione dell’uomo di oggi
di fronte al consumismo prosciuttesco.
Al che, dopo aver maldestramente soffocato un rutto alla salsiccia, aver
cortesemente rivolto loro un saluto proletario e averli invitati ad assaggiare
il mio panino mi sono allontanato con aria disinvolta.
E’ stato allora che ho avuto l’idea di provarci anche io.
Perché non tentare anche questa carriera mi sono detto, magari ho del talento
nascosto che ancora non sono riuscito ad esprimere perché del tutto
inconsapevole delle possibilità sintetico-allegoriche di un opera d’arte
contemporanea.
Magari potrebbe essere proprio questa la mia occupazione nella vita… che abbia
finalmente trovato un lavoro?...
Immediatamente, di nascosto, colto da un “furor artis” improvviso e repentino,
ho creato la mia prima opera d’arte, consistente in un bicchierino di carta un
po’ spiaccicato, dei resti mangiucchiati di salsiccia e un po’ di polvere che ho
raccolto dagli angoli della sala espositiva.
Quindi, l’ho sagacemente posizionata in un piccolo spazio libero ad una
estremità della stanza, ho scritto velocemente il titolo dell’opera (“Ingorda
sazietà”) e il mio nome sopra una strisciolina di carta, e sono rimasto in
attesa…
Non vi dico il successo!
Queste alcune delle critiche più illuminanti:
- Colpisce nel segno
- L’accostamento polvere e salsiccia è geniale!
- Finalmente il contenuto prevale sulla forma
- E’ evidente il tormento dell’artista di fronte alle necessità materiali
- Assolutamente pregnante di ermeneutica post marxista
- Si avverte con chiarezza il disagio dell’uomo di fronte alla propria caducità.
- Post post popular
- Arte povera carica di drammaticità ontologica
Forte di queste critiche mi sono subito presentato da un famoso gallerista per
proporgli le mie opere.
Avevo portato con me nell’ordine: l’opera “Ingorda sazietà”, ovviamente, cioè
quella del bicchiere con salsiccia e polvere, tanto per intenderci; un’altra
fatta con cartoni di uova cuciti insieme a macchina e gusci di uovo colorati al
blu di metilene; un’altra ancora costituita da sabbia della spiaggia del
Cinquale mischiata al super attack, e, per finire, una composta di zucchero,
farina uova e cioccolata bianca (più trasgressiva) che però mi sono mangiato
durante il tragitto.
- Buongiorno
- Buongiorno
- Vorrei sottoporre alla sua attenzione alcune mie opere.
- Ah…bè, va bene… non ho molto tempo… comunque mi faccia vedere…
- Ecco: questa ha avuto molte critiche positive ed è stata esposta alla galleria
XXX. Poi abbiamo anche questa e questa qui… bè, ne avevo anche un'altra ma
purtroppo è andata irrimediabilmente perduta……
- Ah, bè… sì, carine… davvero interessanti… però vede… noi cerchiamo cose un po’
diverse… mi dispiace provi con altri galleristi forse sarà più fortunato…
(mentre lo diceva non ho capito bene se stava avendo un accesso di tosse o se
stava piangendo o trattenendo le risate…)
- Quindi non le interessano, eh?
- No, mi dispiace…
- Ma guardi che hanno avuto grande successo…
- Mi fa piacere per lei… ma come le ho detto… noi cerchiamo altre cose… (a
questo punto è scappato nell’altra stanza dove ho sentito che faceva degli
strani versi gutturali, tipo risate soffocate…)
Allora mi sono guardato un po’ intorno per capire quale fosse il genere che
stavano cercando.
Ho richiamato il gallerista.
- La mia opera “Ingorda sazietà” non le piace eppure lei qui tiene quel rotolo
di cartaigienica incollata alla tela…
- Quella è un opera di Vacconi, ha avuto ovunque critiche eccellenti… e parlo
dei maggiori critici internazionali, non so se mi spiego…
- Quindi un’opera è bella quando lo dice un critico importante?
- Non ho detto questo… direi piuttosto che l’opera ha una critica importante
perché è bella…
- Ma se piace soltanto al critico importante…
- Dopo anche la gente impara ad apprezzarla…
- Ah, allora ho ragione io… la gente dice che è bella solo dopo che il critico
importante ha detto che è bella…
- Pensi come crede meglio… io adesso devo andare…
- Prima però non era così… voglio dire prima dell’era dei critici… era la gente
comune che decideva cosa gli piaceva e cosa no… adesso sono i critici che ci
spiegano cosa dobbiamo pensare…
- Sì, certo… va bene… adesso però devo andare, eh?... passi pure a trovami
quando ha qualche altra… opera… da mostrarmi… però magari, prima, mi chiami,
eh?...
BUIO.
QUADRO VII
La mia ragazza cucina bene.
Solo che quando ha finito, la cucina sembra il teatro di un epico scontro dove
le sorti finali dei contendenti non sono affatto chiare: allora la domanda
angosciosa che sale alla mente è sempre la solita: chi sarà sopravvissuto e chi
no?
Ce l’avrà fatta?
La cosa mi sta a cuore.
Anche perché dopo tocca a me rimettere tutto a posto.
In pratica, lei usa tutto quello che c’è in cucina, compreso l’apri ostriche e
il togli torsoli dalle mele (non so il termine tecnico), nonché la pesciera
grande e il set per la fonduta.
Ovunque vi giriate non vedrete che pentole, pentoline, tegami, casseruole di
ogni tipo, forma e materiale a perdita d’occhio.
Devo ammettere che l’impatto è davvero suggestivo.
Sembra una natura morta iperrealista mescolata con la battaglia di S. Romano di
Paolo Uccello.
Inoltre, il piano della cucina è letteralmente zeppo di ogni sorta di
contenitore, da quello per la farina, a quello per il pan grattato o per il
latte o magari per le uova (questo, sia ben chiaro, anche se sta cucinando una
bistecca alla fiorentina), oltre a miriadi di porta spezie di ogni tipo,
contenenti erbe sconosciute alle nostre latitudini, oltre a quelle che, io
credo, essere degli antichissimi rimedi contro gli spiriti maligni.
E’ un tripudio di bottiglie di olio, d’oliva o di semi, aceto di vino o di mele,
bianco o rosso, vini pregiatissimi usati come rinforzo per la cottura, le più
svariate mostarde, maionesi, senapi, essenze di peperoncino, concentrati di
pomodoro, cipolle, aglio, zibibbo e noci del Madagascar che si innalzano
sfrontate sul banco vicino ai fornelli.
Acciughe, capperi, enormi mazzi di prezzemolo, interi rami di salvia gigante
africana, rosmarino cinese e radici di zenzero che potrebbero fare concorrenza a
quelle delle sequoie canadesi.
Insomma, addentrarsi in questa giungla di odori, materiali, suoni (la cappa che
aspira con potenza 5, livello che neppure esisterebbe, ma che in realtà esiste
visto che lei ha scoperto che spingendo un po’ a destra la leva
dell’aspirazione, questa aumenta la sua capacità aspirante fino ad un ipotetico,
appunto, livello 5), sfrigolii, lamenti, invocazioni misteriose, preghiere che
favorirebbero l’insaporimento e la cottura dei cibi, colori e inquietanti
silenzi rotti soltanto da improvvise esplosioni e sordi brontolii (tu, allora,
preoccupato chiedi con una lieve incrinazione nella voce: “Tutto bene?. Lo deve
fare?” “Certo, è tutto sotto controllo” risponde lei un po’ infastidita dal tua
ingerenza, “Anche quella lieve carbonizzazione che vedo vicino alla coscia?”
provo ancora io cauto, “Lo fa. E’ normale” risponde lei con nervosa compiacenza)
è un’esperienza, allo stesso tempo, mistica e terrificante.
Una volta rimosse le macerie dalla scena del suo trionfo, rimangono in piedi,
miracolosamente, solo alcuni ottimi brandelli di cibo da gustare in un angolo
della cucina, misericordiosamente risparmiato dalla carneficina.
Dopodiché entro in scena io.
Il Ripulitore, il grande soccorritore del vasellame, colui che in capo a poche
ore, riporterà la cucina al suo aspetto primordiale.
Finché non scende la notte e un altro sipario si apre sulla scena della nostra
vita.
E’ il fatidico momento che precede il riposo del sonno...
La scena si svolge più o meno così:
Stiamo guardano un film, un’appassionante thriller, mancano più o meno dieci
minuti alla fine…
LEI: Io comincerei a preparami. Sono stanca.
IO: Ah, bè sì… ma ormai siamo alla fine e…
LEI: Non ce la faccio più…
IO: Mancano solo pochi minuti… te lo giuro… giusto per sapere chi è stato a
trucidare le 38 donne, no?…
LEI: Mi devo svegliare presto,lo sai…
IO: Sì, ma ormai… non è che per dieci minuti cadrai in letargia domani a lavoro,
no?
LEI: Vorrei vedere te…
IO: Intanto ci siamo già persi due minuti di film… e adesso non so più che
succede… (infatti in due minuti ci sono già stati sei colpi di scena con
ribaltamenti tripli)
LEI: Buona notte (e mi dà un bacio sullo zigomo perché io non mi giro)
Intanto, lentamente, mi riprendo dal nervosismo e finisco di vedere il film.
Inizio a preparami anche io.
Intanto, lei è ancora in bagno.
Chiudo tutte le finestre. Sprango la porta. Mi metto il pigiama e aspetto che
lei esca dal bagno passeggiando nervosamente avanti e indietro per via
dell’impellente stimolo orinatorio.
Glielo faccio presente.
“Ho quasi fatto” dice.
Dopo alcuni minuti, lo stimolo si è magicamente ridotto e io decido di
aspettarla a letto ingannando l’attesa con un libro.
Dopo aver letto una ventina di pagine sento la porta del bagno aprirsi.
“Ho fatto” dice.
“Potevamo vederci un altro film, nel frattempo” penso.
Vado in bagno. Faccio le mie cose. Torno mentre lei sta facendo della strana
ginnastica vicino al letto.
“Non vieni a dormire?” dico io
“Arrivo subito” dice lei
Il subito equivale ad altri dieci minuti.
Nel frattempo, io ho finito un altro capitolo del libro.
Finalmente entra nel letto. Resta per alcuni minuti ferma a fissare il vuoto.
Non so se preoccuparmi. Continuo la lettura, facendo finta di niente.
Quindi si rialza dal letto e torna in bagno.
“Faccio pipì. Non voglio alzarmi stanotte” dice
Io continuo a leggere.
Ritorna. Si rimette a letto. Mi dà la buonanotte e sembra finalmente decisa a
dormire. In effetti spenge la luce.
Pochi istanti dopo la riaccende, si rialza da letto e va nell’altra stanza a
scrivere qualcosa, e poi in cucina a controllare se il gas è chiuso…
Quindi ritorna in camera e si rinfila sotto le coperte.
Sembra che sia veramente finita. Spenge la luce e inizia a rigirarsi nel letto
con scatti tipo pupazzo a molla. Dopo alcuni minuti sembra finalmente aver
trovato un suo equilibrio.
Intanto, è passata più di un ora da quando mi ha annunciato che non poteva
proprio finire di vedere il film e che sarebbe andata a dormire subito...
Io, nel frattempo, ho spento la mia luce sul comodino e ho inserito la
microlucetta da libro che ho comprato per non disturbare il suo sonno…
In un primo momento ne avevo un'altra ma faceva una luce troppo forte e bianca…
e quindi sono passato a quella che ho adesso e che fa una luce blu… non ci vedo
una mazza ma lei dorme molto meglio…
Leggo per qualche altro minuto poi sento un borbottio provenire dalla mia
sinistra.
“Hai molto?”
Mi giro. La guardo. Sorrido.
In realtà vorrei dirle che intendo finire tutto il libro e iniziarne un altro.
Non lo faccio. Chiudo il libro, spengo la lucetta e cerco di dormire.
La tolleranza è un valore importante nelle convivenze.
Bisogna accettare gli altri.
Come?
A colpi di accetta…
No. No, meglio di no….
Tanto ci sono i sogni dove potersi sfogare…
QUADRO VIII
Ormai tutti sanno che nessuno di noi è più abilitato a pensare in proprio. Ci
vuole l’esperto che ci spieghi cosa dobbiamo pensare. E questo è un vero peccato
perché io invece, avendo molto tempo a disposizione, almeno pensare vorrei farlo
in proprio…
Il caso del medico è quello più ovvio e scontato, dove l’essere esperti direi
che conta parecchio, eppure anche qui potrebbe capitare di imbatterci in
spiacevoli casi come quello che è accaduto a me recentemente:
- Che cosa si sente?
- Mi sento molto stanco dottore.
- Siamo tutti stanchi.
- Sì, ma io mi sento particolarmente stanco e…
- Guardi che siamo tutti sulla stessa barca…
- Barca?
- Si riposi e vedrà che tutto andrà a posto.
- Ma io non riesco ad alzarmi dal letto e per venire qui ho dovuto fare sforzi
titanici…
- Ah, ma anche io avrei preferito rimanere a dormire stamattina, sa?
- La prego, le assicuro che ho difficoltà anche nel reggermi i piedi… mi dia
qualcosa…
- Le medicine fanno male…
- Ma… qualche cura ricostituente… la prego…
- Ufff…. Guardi che sono inutili, che crede? Che siano una specie di doping?
- No, ma… se le vendono, forse a qualcosa serviranno… potremmo provare, no?
- Mangi di più… frutta e verdura soprattutto…
- Guardi che io mangio come un ghepardo dopo la carestia…
- Ha altri sintomi?
- Ho dei doloretti sparsi per tutto il corpo…
- Un po’ di ginnastica e le passerà tutto…
- Ma non potremmo fare delle analisi, giusto per essere più sicuri?
- Ufff… ma che analisi vuol fare? Dia retta a me… si rilassi un po’… prenda la
vita con maggiore serenità…
- Però io ho sentito che la mononucleosi può causare molta stanchezza e…
- Mononucleosi? Impossibile! Non ne ha affatto i sintomi.
- Ma mi hanno detto che a volte è asintomatica…
- E chi glielo ha detto? La parrucchiera (ridacchia)… via via mi stia a sentire…
lasci perdere tutti questi discorsi e dorma un po’ di più…
- La prego mi prescriva queste analisi… giusto per farmi stare un po’ più
tranquillo…
- Oh Dio… e va bene… avanti…ecco… ritorni con i risultati, eh... ma mi dia retta
si faccia dei bei frullati di frutta e vedrà che starà meglio…
Esco ancora più spossato.
Però ce l’ho fatta: ho conquistato le mie analisi!
Faccio le suddette analisi.
Risulto positivo al test per la mononucleosi e anche per quello al
citomegalovirus, due patologie capaci entrambe di provocare una forte astenia…
Torno dal mio mediconzolo.
- Buongiorno (Io)
- Buongiorno (lui). Allora sta meglio? Ha seguito i miei consigli? Ha preso i
frullati?
- No, ma le ho portato i risultati delle analisi… (mi luccica la pupilla di un
riflesso luciferino)
- Ah, bene… vediamo… (silenzio)…bè, ha visto…. non aveva niente…
- Non avevo… niente? (sono preda di tic incontrollabili ad entrambi gli occhi)
Forse le è sfuggita quella doppia positività lì, in fondo al foglio…
- Ma quali? Queste due? Ma no! Quelle non vogliono dire niente… lei è sanissimo…
- (Continuo ad avere strani tic, tipo quelli dell’ispettore Dreyfuss quando vede
l’ispettore Clouseau) Io… sto benissimo?.... Non ho niente, eh?
- No.
- Ma non sa leggere?! Il referto è chiaro… ho avuto la mononucleosi e il
citomegalovirus!….
- Oh… roba di mesi fa… ormai completamente risolta…
- Risolta, eh?… Già, però,, guarda caso, mi ha lasciato quella profonda astenia
di cui parlano i libri di testo… il che spiega la mia tremenda stanchezza, non
crede?…
- Macché… impossibile…
- Impossibile?! Impossibile?! Ma la laurea lei l’ha vinta con i punti del
cognac?! (in realtà queste cose non le dico, ma le penso, in realtà mi alzo
dalla sedia saluto cordialmente il mio mediconzolo e vado in farmacia a
prendermi una bella cura ricostituente alla facciaccia sua!)
Un caso invece dove l’esperto è veramente fuori luogo è quello dell’amore.
Vediamo questa ipotesi di consulto amoroso:
- Buongiorno.
- Buongiorno, mi dica.
- Il mio fidanzato mi ha lasciato.
- E allora? No, scusi volevo dire… come posso aiutarla?
- Non so che fare per riconquistarlo. Mi illumini.
- Da quanto tempo stavate insieme?
- Una settimana.
- Una settimana?
- Già, un’intera settimana.
- Ah, addirittura… bè, ma perché l’ha lasciata?
- Dice che gli facevo venire l’emicrania.
- L’emicrania? In che senso?
- Non so, il mio odore… la mia voce… non ho capito bene.
- Bè, sa a volte bisogna saper accettare la realtà. vedrà che troverà
sicuramente qualcun altro che non soffre di mal di testa a causa della sua
vicinanza…
- Ma io voglio lui.
- Anche se sta male ogni volta che la vede?
- Lui non se n’è ancora accorto, ma è l’uomo della mia vita. Deve solo capirlo.
- Ah… se lo dice lei…
- Avanti, mi dica qualcosa... mi offra il rimedio a questo mio tormento… qual è
la ricetta per farlo tornare?...
Ed è qui che scatta il vero problema. Invece di offrire un sano, semplice
consiglio di buon senso, tipo: “ma vai a cacare” oppure: “lavati di più!” o
ancora: “fai un corso di dizione per modificare quella voce da cartone
animato!”, l’Esperto inizia una lunga e profondissima analisi sui perché del
malessere del fidanzato, sulle ragioni dell’abbandono e la crisi della coppia
nel nuovo millennio nella società occidentale (la coppia è sempre in crisi nella
società occidentale, mai in quella orientale dove mi immagino che tutti vivano
in straordinaria armonia saltellando allegramente per i prati in cerca di
ornamenti floreali).
Forse è venuto il momento di riappropriarci della nostra capacità di pensare in
proprio e di usare un minimo di buon senso… Voi che ne dite?...
QUADRO IX
Vista la mia passione per l’arte di cui vi ho già parlato, ieri, avendo un po’
di tempo per me…. - niente battute facili, prego… - ho deciso di andare ad un
vernissage, ovvero uno di quegli incontri mondani dove ci si parla addosso di
cose che non si sanno o che non si sono capite, si tira fuori il vestito buono,
si assume un aria di grande savoir faire e si dà qualche occhiata di sfuggita
alle opere esposte, giusto per sembrare interessati e, magari, persino
intenditori (gli aspiranti intenditori si riconoscono dal fatto che, mentre
osservano le opere esposte, si girano continuamente, tipo dervisci rotanti, per
vedere se qualcuno li sta guardando, nel qual caso iniziano a fare smorfie con
la bocca e ad aggrottare le sopracciglia, evidenziando una profonda sofferenza
meditativa…).
Appena si arriva in zona, anche non conoscendo il posto, lo si può individuare
facilmente dalla folla di persone che ostruisce la strada, fumando, bevendo e
parlandosi, appunto, addosso, ovviamente senza che nessuno ascolti minimamente
ciò che l’altro ha da dire…
Per entrare mi faccio largo faticosamente attraverso questa folla che secondo me
è composta in gran parte da figuranti pagati per fare presenza, i quali si
spostano da vernissage a vernissage (in una sorta di tournè), e che in realtà
non sanno niente di arte, ma che, immagino, seguono delle indicazioni registiche
a nostra insaputa. Boh, comunque…
Tra i veri interessati (pochi), ci sono diverse categorie: la prima è quella
degli Entusiasti, quelli che vedono in ogni graffio su una qualsiasi superficie,
in ogni scomposta macchia di colore, in ogni caccola appiccicata su una tela il
segno inconfondibile del genio.
Poi ci sono gli Ipercritici, quelli che sono ancora dubbiosi sulle qualità
artistiche di Picasso, e che si spingono verso apprezzamenti positivi soltanto
se si tratta di un Giotto, di un Raffaello o, i più generosi, di un Caravaggio.
L’arte secondo loro è morta e partecipano a queste manifestazioni soltanto per
poter esprimere al mondo intero la loro radicatissima e argomentatissima
opinione.
Proseguendo, ci sono poi i Perplessi Perenni, quelli che storcono sempre un po’
la bocca, non sono mai sicuri, esprimono costante insoddisfazione perché un
artista non è come quell’altro o non è abbastanza così o cosà. Vengono nella
speranza, di potersi rassicurare sul fatto che il mondo non produrrà mai più
talenti degni del loro artista preferito, che, ovviamente, vorrebbero fosse
proclamato ufficialmente dall’ Unesco il più grande artista mai vissuto.
Arrivano, perciò, quasi tremanti, con il terrore che stavolta qualcuno possa
davvero superare il loro idolo e se ne vanno grandemente confortati dal fatto
che, ancora una volta, il loro semidio “si trova chiaramente su un gradino più
alto”…
Infine ci sono gli Smarriti Frustrati, quelli che hanno sempre gli occhi
dilatati, enormi, tipo Bambi, sempre un po’ lucidi, quasi sul punto di piangere
e la bocca semi aperta in una costante espressione di stupore fanciullesco.
Vorrebbero sapere tutto, intendersi di tutto, poter parlare con sicurezza senza
essere considerati degli emarginati disperati, degli eterni ingenui senza
cognizione di causa. Per questo frequentano tante più inaugurazioni di mostre
gli è possibile, nella speranza di riuscire ad assorbire, osmoticamente, il
sapere altrui e, a forza di sentire giudizi che a loro paiono profondissimi, e
che immaginano provenire direttamente da dimensioni parallele e forse persino
dall’iperuranio platonico (se solo sapessero che cos’è…), di imbibirsi di tutta
quella che a loro pare una straordinaria e misteriosa sapienza… Non so se avete
capito quello che ho detto, ma mi pareva parecchio bello ed adeguato all’alto
contesto culturale di cui stavo parlando… Vabbè, in ogni caso torniamo a noi…
Dunque…
Una volta all’interno della galleria, mi sono accorto subito (infatti sono molto
intelligente…) che non c’era quasi nessuno, giusto quei due o tre veramente
interessati alle opere.
Avevo appena iniziato a fare un giro di perlustrazione, quando improvvisamente
ho sentito un gran trambusto provenire dall’esterno; allora mi sono voltato a
guardare e ho immediatamente capito tutto (ovviamente, vista la mia grande
intelligenza…): era arrivato il Critico d’Arte.
Ora, il Critico d’Arte è un personaggio quasi mitologico, con dei superpoteri e
il diritto di vita o di morte all’interno del suo feudo.
Può decretare il successo o la disfatta di un artista con il solo ausilio di una
paginetta incomprensibile (dove le parole chiave sono sempre: plasticità,
visione, gesto, materia, archetipo, luce, azione etc..) su una rivista di
riferimento letta da ben 17 persone compresi i familiari del Critico.
Tra i suoi super poteri, annoveriamo: Lo Sguardo Che Annienta, l’Aforisma Sonico
Immortale, il Giudizio Apodittico Urticante, il Rinculo Tattico, il Sofisma
Rotante, il Silenzio Che Incenerisce e, soprattutto, l’Orchite Spaziale
Fulminante e la Sintassi Senza Né Capo Né Coda.
Ma torniamo al suo imperiale ingresso.
La folla di divide magicamente in due, come le acque del Mar Rosso al passaggio
di Mosè, qualcuno gli apre la porta (e solo per poco non si sdraia a mo’ di
zerbino…), entra lentamente nella galleria (anche se la mia immaginazione mi fa
credere che in realtà stia scivolando sopra un cuscinetto d’aria…) e si ferma
nel centro della sala. Nel frattempo, anche la folla che si trovava all’esterno
si riversa dentro. Il silenzio si fa greve, il Critico compie un rapido giro
delle opere esposte con il solo sguardo, quindi rimane immobile con gli occhi
persi nelle celesti altezze (purtroppo bloccati dall’inopportuno soffitto), in
quello che, probabilmente, è un segreto colloquio con qualche divinità a noi
sconosciuta. Tutti attendono le sue parole rivelatrici, l’emozione raggiunge il
suo culmine; finalmente potremo sapere anche noi se l’artista ci piace o no!
Ma da vero genio qual è, sorprende tutti e… non dice niente!... Semplicemente se
ne va, rapidissimo e misterioso, così come era venuto.
A questo punto scattano le più disparate, inverosimili e assurde
interpretazioni.
C’è chi dice di conoscerlo bene e giura che le opere non gli sono piaciute,
perché il sopracciglio destro era considerevolmente più alto del sinistro; chi,
al contrario, si batte vigorosamente per affermare che le ha amate fin dal primo
sguardo, ed è stata soltanto l’emozione che gli ha impedito di parlare.
Quindi cominciano a circolare le prime voci su ipotetiche dichiarazioni rubate
dai membri del suo entourage: qualcosa tipo “profondamente iperplastico e
antropologicamente archetipico” o “metavisionario postavanguardistico” o ancora
una misteriosa citazione latina che lascia tutti molto perplessi “Munera ne
poscas: det munera canus amator…”.
Il problema più grosso, però, è che ancora non sappiamo con certezza se le opere
ci sono piaciute o no….! Vedo, infatti, un grande disorientamento intorno a me
(e un po’ anche dentro di me, per la verità…).
La gente cerca notizie che possano metterla sulla strada giusta; c’è grande
fermento, agitazione e inquietudine.
Soprattutto, come faremo a tornare a casa senza sapere cosa rispondere alle
domande dei nostri parenti e amici? Immaginatevi un po’…
- Allora, com’era la mostra?
- Ah, bè, la mostra… bè sì, era… interessante…
- Quindi ti è piaciuta?
- Se mi è piaciuta?... Oh, ecco… direi che… mi ha fatto molto riflettere…
- Sì, ma le opere erano belle?
- Belle?... Eh bè, sai… la bellezza è un dato talmente soggettivo che…
- Insomma, mi consigli di andarci o no? Ne vale la pena?
- Se ti consiglio di andarci?... Eh bè, sai… dipende da te… dalle tue
motivazioni…
- Dalle mie motivazioni?
- Infatti…
- Mah…
- Già… mah…. chi può dirlo, eh? (risolino imbarazzato, quindi inizi a
volteggiare su te stesso e ti allontani rapidamente dal luogo
dell’inquisizione…)
In attesa che qualcuno ci porti notizie più certe, continuo a fare il mio giro
di perlustrazione delle opere.
Su una di esse vedo scritto: “Che cazzo guardi?”
Mi allontano un po’ imbarazzato, con la sensazione del guardone scoperto in
flagrante.
Su un'altra, un tubo ritorto colorato di blu con un cartello di legno, il tutto
appeso ad un filo del soffitto, leggo: “Tu non mi hai mai amato”.
Effettivamente non posso non ammetterlo.
Avverto un lieve senso di colpa…
Mentre continuo a girare per le sale, ad un certo momento mi si avvicina una
donna di mezza età sulla quale gli anni sembrano non avere avuto particolare
effetto, vestita con un abito cortissimo, con un bicchiere in una mano e una
sigaretta nell’altra, e una voce suadente tipo telefono erotico…
- Affascinante, non è vero?
- Già, in effetti…
- A volte sento un fremito vicino a opere d’arte come queste…
- Davvero?
- Sì, intendo un fremito sessuale… capisce?
- Ah, bè… come no… un fremito sessuale… certo che capisco… come no…
- A lei non accade mai?
- A me?... Oh, bè…. sa, io non sono davvero il tipo…
- È una sensazione magnifica, conturbante… travolgente…
- Ah… grandioso… mi fa piacere per lei… davvero… grande…
- Dovrebbe provarla… si lasci andare… guardi che colori, che forme sinuose…
- Sì, io… forse devo andare… voglio dire… forse farei meglio… anche se al
momento non mi ricordo bene perché e…
- Dopo io e le mie amiche andiamo ad una festa (si gira verso un gruppetto di
donne tutte uguali a lei, a parte il colore dei vestiti…)… perché non viene con
noi… ci sarà da divertirsi…
-
Grazie-infinite-ma-credo-che-farei-meglio-a-tornare-a-casa-altrimenti-il-gatto-sta-in-pensiero…
(lo dico quasi tutto d’un fiato, altrimenti corro il rischio di non farcela…)
- Peccato… ma forse è meglio così… in occasioni come queste non riesco mai a
contenermi… voglio dire sessualmente… e neanche le mie amiche…
Deglutisco a vuoto.
- Ah…bè, me le saluti tanto, eh… con permesso… (mi allontano veloce come il
tornado di sensualità che mi ha appena investito…)
Quando sono fuori tiro mi vengono i dubbi.
Ma perché sono scappato?
………………………………
Ah, sì… Letizia!… cavolo, Letizia!... come ho fatto a dimenticarmene!... eh eh
eh eh eh…
Deglutisco a vuoto di nuovo… Esco e me ne vado camminando con una certa fretta…
QUADRO X
Un’altra cosa terribile di quando si sta molto a casa perché non si ha un cavolo
da fare è il telemarketing…!
Una sorta di pena aggiuntiva del precario, che, evidentemente, il fato non
ritiene ancora sufficientemente vessato da tutti i suoi innumerevoli problemi,
tipo cercare disperatamente di sopravvivere…
Ecco il telefono che squilla.
Numero riservato (e già questo mi fa girare le… bè ci siamo capiti…).
Preso dallo scrupolo che possa essere qualcuno che ha disperatamente bisogno di
aiuto, rispondo.
- Buongiorno sono Michele de ………… (società telefonica)
- (grugnito, occhi al cielo…) ‘giorno Michele…
- Potrei parlare con chi si occupa del telefono in casa? (lo dice leggendo o
avendolo imparato a memoria, in modo tale che nessuno possa dire: “mi dispiace,
ma non sono io ad occuparmi di queste cose in casa”…)
- Suppongo di essere io…
- Lei è il signor?
- Pampaloni (il primo nome che mi è venuto in mente…)
- A noi veramente risulta….
- Il contratto non è a nome mio…
- Ah… ok… dunque signor Pampaloni… lei conosce (nome della società)….?
- Certo. (impossibile non conoscerla visto che ci rincoglioniscono continuamente
dalla pubblicità..)
- Posso chiederle quanto spende mensilmente per il cellulare?
- No.
- Ah, ma guardi che sono dati riservati… non verranno divulgati e…
- Ah, ottimo!… comunque no….
- Bè, certo… come vuole… (finalmente abbassi un po’ la cresta eh?.... eh eh eh…)
- Qual è il suo gestore telefonico?
(Glielo dico)
Bene, signor Pampaloni (ovviamente gli hanno insegnato a ripetere il nome almeno
250 volte per telefonata in modo da stabilire una relazione di fiducia e far
abbassare le difese della preda; sembra infatti che gli esseri umani siano
particolarmente sensibili al suono del proprio nome…) noi possiamo offrirle una
fantastica occasione… una tariffa eccezionale per sempre e ad un costo
incredibile…!
- Cioè?
- Lei signor Pampaloni potrà chiamare tutti i telefoni fissi e i cellulari
xxxxxx ad un solo centesimo al minuto per 24 ore al giorno… in più le regaliamo
un cellulare di ultima generazione quadriband, con fotocamera, videocamera, gps,
radar, sonar, maschera in fibra di carbonio subacquea, memoria di 250 gb, la
guida tv aggiornata, internet alla velocità di 300 mega al secondo, razzo di
segnalazione incorporato e tv erotica via satellite, inoltre pensi che questo
straordinario cellulare può anche trasformarsi in un mini kalashnikov da
autodifesa!… (non so se le parole esatte sono state proprio queste, ma a me è
parso di sì… comunque…)
- Utilissimo! Al giorno d’oggi non si sa mai, eh?... E la tariffa per gli altri
cellulari?
- Bè, per quelli il costo è di 47 centesimi al minuto con scatto alla risposta…
- Bè, già non è più così conveniente, vero?… E ci sono altri costi?
- Soltanto un canone di 45 euro al mese…
- Ma io non li spendo nemmeno 45 euro al mese di cellulare!
- Bè, ma vuole mettere, signor Pampaloni, tutto quello che può avere con
soltanto 1,5 euro al giorno?… pensi, un caffè e mezzo in meno e i costi sono già
coperti!
- Ma a me piace il caffè!
- Comunque è gratis fino al 30 agosto…
- Ah, bè allora cambia tutto!…. Comunque, se poi volessi cambiare gestore, il
telefono super accessoriato posso tenerlo?
- No, in quel caso deve restituirlo…
- Mmmm… E basta restituirlo? Non c’è altro da pagare?
- … no… a parte la penale… (ah ha! Te l’ho estorto alla fine, eh?)
- Di quanto?
- 850 euro.
- Ah, una bazzecola!
- Comunque non può recedere dal contratto per i primi due anni…
- Convenientissimo davvero! Senta, prima che entri dentro la cornetta del
telefono, passi attraverso il filo, sbuchi dal suo auricolare e la risucchi
dentro la linea telefonica a mo’ di poltergeist, le consiglio di riattaccare e
lasciarmi perdere… per sempre!!
Seconda chiamata. Ancora numero privato…
- Buonasera (telefonano sempre di sera, i furbacchioni…) signor XXXXX, telefono
dalla xxxxxx; stiamo effettuando un sondaggio di pubblica utilità per conto
della yyyyyy, posso rubarle alcuni minuti?
- Buonasera… bè mi dica (un po’ riluttante, ma piegato al senso del dovere
sociale…)
- Bene, signor XXXXX… quanti anni ha?
- Trentadue…
- La sua provincia di residenza?
- Firenze…
- Qual è il suo lavoro?
- Disoccupato al momento (lieve innervosimento…)
- Guadagno medio annuo?
- ????????? (sensibile incremento dell’innervosimento…)
- Ah mi scusi… dunque… è sposato?
- No.
- Ha dei figli?
- No.
- Quanti?
- Non avendo figli… zero…. (l’innervosimento volge ormai all’irritazione
conclamata …)
- Ah, si mi scusi… è tutto il giorno che sono in servizio e… comunque… è
soddisfatto dell’operato dei servizi pubblici per quanto riguarda la mobilità?
- Insomma…
- Le risposte possibili sono: molto-abbastanza-poco-per niente…
- Allora, poco…
- Bene… e per quanto riguarda la sanità?
- Abbastanza…
- La sicurezza?
- Abbastanza…
- L’assistenza agli anziani?
- Francamente non ne ho la minima idea…
- Avrei bisogno di una risposta…
- Metta: non lo so…
- Non è contemplata…
- Ah…. allora: molto
- Avendo risposto: molto, che cos’è che la soddisfa maggiormente?
- Ovviamente non ne ho la più pallida idea…
- No, guardi le risposte possibili sono: i pasti – l’assistenza domiciliare –
l’intrattenimento…
- L’intrattenimento… metta l’intrattenimento…
- Quale attività in particolare?
- ??????………. quali sono le possibilità?!............. (o mio Dio!)…
- Le occasioni di incontro con gli altri anziani…
- Questo… sicuramente questo… noi anziani ci divertiamo un sacco a stare
insieme…
- Ma non vuole sentire le altre opzioni?
- No, assolutamente… questa è senz’altro la risposta migliore… ne sono
assolutamente sicuro…
- È soddisfatto del numero di panchine in città?
- Eh, accipicchia!
- Le possibilità sono: molto – abbastanza…..
- Molto! Metta: molto… molto va benissimo… per l’amor di Dio!
- Da uno a dieci che voto darebbe alla politica comunale a favore degli anziani?
- Senza dubbio dieci… noi anziani stiamo benissimo qui a Firenze…
- Se potesse scegliere, vorrebbe che fossero abbassati i prezzi dei: generi
alimentari, dei prodotti farmaceutici per la terza età, degli affitti, degli
spettacoli di intrattenimento, dei locali di ritrovo?
- Dei prodotti farmaceutici, che domande!… Noi anziani crediamo fermamente che
il Viagra dovrebbe essere mutuabile…
- Lei si ritiene anziano?
- No, assolutamente no.
- A che età pensa di potersi ritenere anziano?
- Centoventicinque anni e tre mesi.
- Pensa che a quell’età vorrà ancora le stesse cose che vuole adesso?
- Ho il lieve sospetto che in quel momento avrò bisogno di tutt’altre cose…
senta ma non finisce mai questo prezioso sondaggio?
- Ancora un paio di domande e abbiamo finito…
- Ah, sia lodato il Signore!
- Ritiene che gli anziani siano abbastanza ascoltati?
- A parte il fatto che, come le ho detto, non mi sento affatto anziano… comunque
direi che ci sono parecchi miei amichetti di una certa età che avrebbero
qualcosa di interessante da dire, e secondo me dovrebbero essere ascoltati di
più…
- Ha qualche domanda da fare per chiudere il sondaggio?
- Bè, sì una… lei crede che questo sondaggio abbia un qualche valore reale? Non
risponda affrettatamente, si prenda il suo tempo… con calma…
- Bè, io… veramente… non saprei proprio… comunque… noi abbiamo finito… la
ringrazio per il suo tempo… buonasera…
- Buonasera a lei… e mi raccomando, venga a trovarmi quando ha un momento
libero… sa, noi anziani siamo sempre così soli!
QUADRO XI
Allora, ho fatto un altro colloquio. Ebbene sì.
Questa volta però per una azienda più grande del mio solito standard.
E’ stato un colloquio “all’americana”… quello con diverse prove di vario tipo da
superare, sapete… Insomma…
Abbiamo iniziato con un classico dialogo orientativo per capire cosa avevo
fatto, cosa sapevo fare, gli studi bla bla bla…
Fin lì tutto bene. Me la sono cavata egregiamente come al solito.
Quindi siamo passati alle prove successive.
Ed è stato a questo punto che siamo lentamente scivolati in una sorta di girone
dantesco fatto di assurde tenzoni, a metà tra giochi senza frontiere e
l’inquisizione spagnola, con un tocco di calore umano di stampo nazi-fascista,
per finire in una piacevole atmosfera da setta millenarista.
L’incontro con lo psicologo:
- Salve.
- Salve.
- Secondo lei è meglio il mare o la montagna?
- (occhio al trabocchetto…) Bè, io preferisco il mare d’estate e la montagna
d’inverno…
- Mmmmm. Di che colore vorrebbe che fosse la natura?
- Come?
- Di che colore vorrebbe che fosse la natura, svelto.
- Veramente mi piace il colore che ha…
- Meglio insipido o salato?
- Insipido…
- Cioccolata al latte o fondente?
- Al latte…
- Crede in Dio?
- Sì…
- Quale?
- L’unico che c’è…
- È sicuro?
- Abbastanza…
- Guardi questa immagine e mi dica cosa ci vede…
- Una zucchina con il cappello a cilindro e le galosce ai piedi…
- Le piacciono i fiori?
- Sì, grazie… e a lei?
- Sono io che faccio le domande… perché me lo chiede?
- Non so, per cortesia direi…
- Ci pensi meglio…
- Forse perché… perchè ho subito un trauma da piccolo?
- Ecco, finalmente ci avviamo al nocciolo della questione… continui…
- Non saprei… le giuro che è tutto quello che so…
- Io invece penso che lei mi stia nascondendo qualcosa…
- Mi deve credere è tutto quello che so…
- Sarebbe disposto a sottoscrivere una dichiarazione giurata?
- Dipende da cosa mi offrite in cambio…
- Mmmmm. Mi dica la prima cosa che le viene in mente.
- Salsiccia e friarelli…
- Quindi?
- Quindi cosa?
- La innervosisco?
- No, è solo che non ho capito…
- Ah, ecco… non ha capito, eh?
- No, perché?
- Oh, no, niente, niente… Mi dica, lei si fiderebbe di se stesso?
- In genere mi sforzo di farlo… altrimenti sarebbe duretta, eh? (ridacchio…)
- Le ricordo che non stiamo giocando…
- Ah, no, certo, mi scusi…
- Se le dico “afrore” che le viene in mente?
- Di guardare il vocabolario…
- E se dico “lume”?
- “Ragione”…
- “Radice”?
- “Ginger”…
- “Aperitivo”?
- “Gnocca”…
- “Giovedì”?
- “Venerdì”…
- “Robinson Crusoe”?
- “Libro”…
- Va bene, basta così…
- Ho vinto?
- Che cosa?
- Non lo so, me lo dica lei…
- Cosa vuole vincere… la coppa?
- Preferirei il culatello…
- Non dica parolacce…
- E lei non sputacchi mentre parla…
- Ma come si permette?
- E lei?
- Vedo che non sa controllare le sue emozioni, eh?
- Tanto quanto lei sa controllare la sua saliva…
- Vorrebbe picchiarmi?
- Non mi tenti…
- Avanti si sfoghi…
- (Ricordati perché sei qui… respira… conta fino a dieci…) Assolutamente… non ne
vedo proprio il motivo…
- Avanti, non opporrò resistenza…
- E perché mai, in fondo provo un grande senso di familiarità con lei… mi
ricorda un po’ mia zia, sa?…
- Vorrebbe abbracciarmi?
- Certo… perché no… (ci abbracciamo)
- Vuole dirmi qualcosa?
- Ti voglio bene.
- Va bene, adesso fermiamo il transfert… si ricordi che io non sono la sua vera
zia… torni in sè (schiocca le dita…)
- Già, certo… è solo che me la ricorda così tanto… ha il suo stesso dolce
sguardo rapace…
- Bene, direi che abbiamo finito.
- Posso andare?
- Certo che può, non è mica prigioniero…
- Ah no?… cioè…voglio dire… certo che non sono prigioniero…(eh eh eh eh…)
- Certo che no…
- Allora… sarò promosso?…
- Vedremo…
- Le giuro che se non mi boccia, il prossimo anno studierò di più, mi creda…
- Sì, dite tutti così, ma poi…
- Glielo giuro…
Esco dalla stanza e attendo che anche gli altri siano sottoposti allo stesso
trattamento.
Si sentono delle urla, alcuni escono in lacrime.
Ad un certo punto viene anche chiamato un medico in tutta fretta.
Alla fine, probabilmente perché siamo rimasti solo noi, ci prendono in dieci.
E si passa alla prova successiva.
Si tratta del famigerato problema da risolvere in gruppo con osservatore
esterno:
Ci riuniscono in una stanza che ci contiene tutti a malapena.
Quindi ci dispongono intorno ad un tavolo.
Dopo poco entra una segretaria che butta, con quella che mi pare un pizzico di
repulsione nei nostri confronti, un foglio in mezzo a noi.
Si tratta della mitica “guida al problema”.
Me la trovo casualmente vicino a me, quindi la prendo coraggiosamente in mano e,
trepidante, inizio a leggerla ad alta voce:
“Vi trovate nel bel mezzo di un deserto. Ad est, a circa tre chilometri, c’è un
pozzo che però potrebbe essere esaurito, ad ovest, a circa 5 chilometri, c’è un
oasi ma non siete sicuri di quale sia la sua posizione precisa. Siete ormai
senza acqua e avete un autonomia di poche ore. Niente radio, né auto, né
cammelli o altri mezzi di comunicazione. Come vi comportate?”
I commenti da fare a proposito sarebbero tanti: dal perché mai ci troviamo nel
bel mezzo di un deserto senza radio, acqua e mezzi di locomozione, al chi ci ha
portato lì, al perché sono in questa situazione folle insieme a dei perfetti
sconosciuti, a chi ci ha dato quelle informazioni sul pozzo e sull’oasi, e
soprattutto al perché dobbiamo sempre avere tutta quella maledetta sfiga, voglio
dire il pozzo esaurito e l’oasi che non si sa bene dove sia… Vorrei tanto urlare
tutte le domande che mi frullano in testa ma ho imparato che in questi casi è
molto meglio far finta di niente e buttarsi a capofitto nella risoluzione
dell’incubo virtuale.
E’ altresì ovvio che vogliono vedere come cooperiamo, quali sono le nostre
qualità di relazione, di “problem solving” (alias risoluzione dei problemi…), la
creatività, la capacità di mediare etc etc.. Quindi mi calo nella parte.
Intanto partono i commenti.
- Decisamente meglio andare verso il pozzo, è più vicino e anche se fosse
asciutto potremmo sempre tornare indietro e provare con l’oasi…(dice uno)
- Ma no! Dobbiamo per forza andare verso l’oasi, è più sicura, potremmo
sparpagliarci, e così prima o poi la troveremmo senz’altro…(ribattono)
- Ma che dici! Si vede che non sei mai stato nel deserto…
- Io manderei una parte verso il pozzo e una parte verso l’oasi…
- Già, così qualcuno morirebbe di sicuro!...
Cominciano a vedersi molti volti tesi dalla discussione e dal senso di
frustrazione che ognuno prova quando le sue idee non vengono ben accolte, con il
risultato di chiudersi a riccio e di diventare iperpolemici verso tutto e tutti…
Ma io ho capito il loro giochetto; a loro non interessa tanto la genialata nel
risolvere il problema che, detto fra noi, è probabilmente irrisolvibile… quanto
la capacità di stare in gruppo, di mediare le posizioni, di capire l’umore delle
persone e di saperle condurre ad una soluzione condivisa…
Per questo, mi armo della mia migliore faccia di bronzo e inizio ad assumere un
tono di grande conciliazione e comprensione, tipo monaco tibetano, con un
sorriso stampato e gli occhi colmi di amore comprensivo verso tutti…
Tento in ogni modo di conciliare le più disparate opinioni, cercando allo stesso
tempo di recuperare gli emarginati per timidezza o per frustrazione, faccio di
tutto per giungere ad una posizione condivisa, qualunque essa sia, anche se
decidessimo di restare immobili ad attendere la morte serenamente…
E ce l’avrei quasi fatta, mancherebbe proprio un nonnulla per portare in porto
in modo davvero egregio quell’opera di ingegno machiavellico che mi avrebbe
spalancato le porte ad un impiego da tanto tempo agognato… se non fosse che…
Bè, accade tutto improvvisamente, in un attimo il mio sogno si infrange sul
cervello pietrificato di una delle donzelle sedute intorno al tavolo…
Stiamo per votare all’unanimità la mia mozione di risoluzione quando ecco che
sento per la prima volta la sua vocetta stridula che interviene…
- Io non potrei mai votare a favore di una tale risoluzione, è contro i miei
principi…
- I tuoi principi? (io, sempre sorridente…)
- Certo, non vorrai che li calpesti solo per un colloquio di lavoro, vero?
- Ma quali principi, scusa, qui stiamo soltanto cercando di salvarci la pelle in
una situazione che sembra essere stata creata dalla mente di Edgar Allan Poe…
non ti sembra?...
- Assolutamente no, dalla risposta dipende la nostra posizione morale nella
vita…
-Scusa ma non ti seguo… (il sorriso si indebolisce un pochino…)
- Io non posso seguire gli altri soltanto perché sono la maggioranza… la
maggioranza non fa la verità…
- E cosa suggeriresti di fare, allora?
- Di rimetterci alla volontà di Dio.
- Ah, la volontà di Dio.. certo… e in che modo, potremmo mai fare ciò? (il
sorriso è ormai appeso ad un sottilissimo filo di ragnatela…)
- Pregando.
- Pregando? Adesso tesoro?
- Certo. Lui ci illuminerà sulla giusta decisione da prendere. Solo Lui può
sapere quale sia il bene per noi…
- Certo, certo… ma spero che ti sarai accorta che la situazione è inventata,
vero? Noi non siamo veramente in mezzo al deserto, giusto ciccetta?
- Dobbiamo sempre prendere le cose sul serio…
- Le stiamo prendendo sul serio amore, te lo assicuro… ma sostanzialmente si
tratta di fiction… è tutto finto, sai piccolina?… tra un po’ ce ne usciremo da
quella porta e ce ne andremo tutti a casina nostra…
- Potrebbe accadere veramente, bisogna sempre essere pronti…
- Sì, magari potrebbe anche accadere… ma solo se vivi in un racconto di H.P.
Lovecraft!…
- Io penso che dobbiamo pregare per sapere cosa è meglio per noi…
A questo punto mi giro a guardare gli altri, e con mio sommo stupore mi accorgo
che la donzelletta dalla vocina stridula ha cominciato a fare breccia nelle
menti infeltrite degli altri…
- Forse potremmo provare, in fondo non ci costa niente, no?
- Bè, sì,magari è un idea…
- Io non ero neppure troppo convinto della soluzione scelta…
- Avanti che ci costa…
- Male non ci farà…
Ed è così che me li vedo tutti quanti, uno dopo l’altro, giungere insieme le
loro manine ed iniziare a recitare un’invocazione al Signore dell’Universo per
essere illuminati nella scelta della soluzione da adottare!
E’ SOLO FINZIONE!! MA CHE VI SIETE TUTTI RINCOGLIONITI?!! SE VOLETE PREGARE
FATELO PER I BAMBINI CHE MUOIONO DI FAME E PER LA GENTE SENZA LAVORO… COME NOI!!
Ma ormai non mi sentono né mi guardano più, e restano totalmente assorti in
quella assurda preghiera.
Mi guarda invece fisso l’osservatore aziendale, ed il suo sguardo non mi piace
per niente, si vede chiaramente che disapprova il mio comportamento e, anzi,
dopo un attimo di incertezza, si unisce anche lui alla strampalata preghiera.
Resto là ancora per qualche istante, con gli occhi sbarrati dalla incredulità,
in attesa che possa davvero avvenire qualcosa di soprannaturale, magari
un’apparizione che riveli ai fedeli la giusta via da seguire.
Quindi mi scuoto e in silenzio, per non disturbare l’orazione, mi allontano da
quella setta di psicolabili per far ritorno sul mio pianetino solitario in cerca
di esseri che abbiano la mia stessa percezione della realtà…
QUADRO XII
Visto che il precario non ha mai soldi sufficienti quando ha voglia di andare a
mangiare fuori con la propria donna (un paio di volte l’anno…), deve cercare un
“localino particolare” che sappia abbinare egregiamente costi e qualità…
Proprio per questo, qualche giorno fa, io e Letizia siamo andati a mangiare in
un posto che ci era stato consigliato da un nostro conoscente (aspetto ancora di
rivederlo per poterlo ringraziare…).
Il posto si chiama… no, meglio glissare su questo punto. Privacy. Purtroppo.
Allora, le cose sono andate più o meno così:
Entriamo nel ristorante, io con il sorriso ebete pronto a catturare l’attenzione
di qualche cameriere e Letizia dietro di me; nessuno però ci considera, sebbene
il locale sia praticamente vuoto e nessuno stia facendo una beata mazza…
- Buongiorno. (provo ad attirare l’attenzione).
Silenzio assoluto.
Ripeto il saluto. Lentamente qualche volto si gira svogliatamente a guardare chi
ha osato disturbare la quiete montana di quei villeggianti salariati…
Una voce appena udibile risponde qualcosa tipo: mmmngiornomm.
- Possiamo metterci qui? (Mi guarda come se fossi una cavia da laboratorio, con
un espressione che all’incirca sembra dire: certo che puoi sederti lì, piccolo
mentecatto, non vedi che non c’è nessuno?...)
Ci sediamo, anche se a questo punto comincio a provare sentimenti che vanno da
un inizio di rabbia omicida, all’imbarazzo, al sarcasmo corrosivo tipo ph 0, per
finire alla voglia di fuggire a gambe levate.
- Carino, eh? (dice Letizia; la guardo più o meno con lo stesso sguardo che poco
prima hanno usato i camerieri con noi…comunque finisco con il rispondere:)
- Già, non c’è male…
- Speriamo anche che si mangi bene…
- Se neanche si mangia bene, dovrebbero segnalarla sulle guide come campo di
concentramento…
- Su non essere palloso adesso…
- Palloso? Io palloso?
- Sei il solito incontentabile ipercritico…
- Ah, è così… io sarei ipercritico… ok, ne riparliamo alla fine della serata...
Arriva il cameriere, silenzioso come una lontra nell’acqua…sarà per questo che
noi sobbalziamo entrambi fino al soffitto mentre ci porge (o meglio ce li
schianta sul viso) i menu con la faccia di uno psicopatico che adesca la sua
vittima (sapete, in realtà non è che l’ho mai visto veramente uno psicopatico in
azione, è solo che è proprio così che me lo immagino, capito?… vabbè…)
- Grazie (dice Letizia)
- ‘zie (dico io)
Apriamo il menu. Dopo cinque secondi netti il cameriere ci chiede:
- Avete deciso?
- Veramente abbiamo appena aperto il menu…
- Ah… va bene, allora ripasso tra poco… (si allontana, con una profonda aria di
sopportazione…)
- Su, non essere sempre così scorbutico…
- Io non sono affatto scorbutico, volevo soltanto poter avere qualche secondo in
più di tempo per riuscire a leggere almeno le scritte sul menu!
- Ehi, ci sono un sacco di cose che mi ispirano…
- Sì?
Sul menu ci sono tre primi, tre secondi, tre contorni, tre dolci… e tre vini…
- Bè, non si può dire che la scelta sia così ampia, eh?
- E poi tu non saresti scorbutico?…
- Ufff… ok, taccio…
- Bravo. Leggi e scegli.
- (Dopo qualche minuto di intensa meditazione, torno a riaprire bocca…) Penso
che prenderò le Linguine allo Scoglio Come Ci Garbano A Noi, i Calamaretti In
Guazzetto Come Si Fanno Noi A Casa Nostra Al Mare e un Fritto Di Verdure
Dell’Orto Sociale Della Sora Peppa. E tu?
- Io…mmmm… le Penne Della Povera Zia Vladimira, il Filetto Al Pepe Verde Fatto
Con Il Pepe Nero Perché A Noi Ci Garba Così e un’ Insalatina Del Campo Di Non So
Chi Vicino All’Autostrada…
- Curiosi i nomi, vero?
- Già, fantasiosi…
- Speriamo bene…
Ritorna il cameriere.
- Bè, noi avremmo deciso.
- Ma non vi ho ancora detto i fuori lista…
- Ah, ci sono anche i fuori lista?
- Certo. Abbiamo… (e qui snocciola una sessantina di nomi tra i più curiosi che
siano mai stati concepiti da mente umana, siccome però non si riesce a capire di
che cosa si tratti in realtà, e non volendo terminare la spiegazione dei piatti
per l’ora di chiusura, rinunciamo ai fuori lista e confermiamo la nostra
ordinazione… ad eccezione…lo ammetto…di un piatto che mi aveva particolarmente
incuriosito, il Sushi D’Aria Come Ci Viene Ci Viene… che scelgo al posto del
guazzetto… e non ridacchiate!…)
Passa circa mezz’ora e ancora non c’è traccia delle nostre ordinazioni.
Chiamo il cameriere per sollecitare.
- Mi dispiace ma abbiamo molto lavoro stasera e ci vuole un po’ di pazienza…
- Ma se non c’è praticamente nessuno…
- Ci sono quelle due anziane signore là prima di voi…
- Ah… e ci vuole tanto per riscaldare la minestrina?
Letizia mi tira una pedata sotto il tavolo.
- Va bene, non fa niente… aspetteremo…
Dopo un’ora arrivano i primi.
Le mie Linguine allo Scoglio Come Ci Garbano A Noi sono piuttosto pallide e
smunte, un po’ depresse con un solo gamberetto, un totano dell’era mesozoica e
due vongole verdi.
Evidentemente è così che piace a loro…
Le Penne Della Povera Zia Vladimira che ha ordinato Letizia, non hanno
un’apparenza migliore; lattiginose, con poco burro e poco formaggio e mezzo
pomodoro pachino.
Chiamo il cameriere.
- Mi scusi ma le Penne Della Povera Zia Vladimira come sono fatte?
- Nello stesso identico modo in cui le faceva lei; con poco burro, poco
formaggio e mezzo pomodoro pachino (lo dicevo io!)… sa era una donna molto
povera e invalida e non aveva né molti mezzi economici né grandi capacità
motorie…
- Ah, grandioso… davvero gustose… originali…
Letizia mi tira una altra tacchettata sullo stinco.
Ancora una volta decido di soprassedere.
- Un po’ deludenti questi primi, eh? (dice Letizia)
- Un tantino…
- Speriamo nei secondi…
- Speriamo…
Dopo un’altra mezz’ora arrivano i secondi.
Il Sushi D’Aria Come Ci Viene Ci Viene è davvero geniale nella sua molteplicità
di significati: si tratta di sottilissime fettine di tordo morto per un
bombardamento durante la seconda guerra mondiale, avvolte intorno ad una
pezzetto di foglia di cavolo nero; in tutto tre fette di numero. Primo
significato del Sushi d’Aria: l’uccellino effettivamente vola nell’aria. Secondo
significato: tre fettine tre, fanno effettivamente aria nello stomaco. Terzo
significato: il cavolo, di aria nell’intestino, ne produce effettivamente
parecchia...
Il Filetto Al Pepe Verde Fatto Con Il Pepe Nero Perché A Noi Ci Garba Così,
invece, non tradisce le sue attese, se non fosse per il fatto che il filetto
poteva dirsi tale solo dopo la grande carestia bovina di inizio secolo, questo
qui, al massimo, potrebbe essere paragonato ad uno stoccafisso di manzo.
La mia aggressività sta salendo a livelli da combattimento.
Letizia se ne accorge e mi trattiene mettendomi una mano sul braccio e facendo
segno di no con la testa. In realtà però, vedo che anche lei sta sviluppando
tutta una serie di strani tic alla bocca e agli occhi….mmmm… non presagiscono
niente di buono… meglio non precipitare le cose…
- Vediamo i contorni e magari i dolci… (dice Letizia con un po’ troppo sforzo
nel pronunciare le parole…)
- Ok, come vuoi tu… sai, non vorrei essere scorbutico… (Letizia mi dà uno
sguardo che riduce sensibilmente, e all’istante, la mia potenza virile … non so
se mi spiego… bè, immagino di sì…)
Finalmente arrivano anche le verdure, purtroppo parecchio tempo dopo che abbiamo
finito i secondi…
Descrizione:
Il Fritto Di Verdure Dell’Orto Sociale Della Sora Peppa è quantomeno sincero,
ovvero fatto con antichissime verdure coltivate in un terreno calcareo, coriacee
come il carapace di una testuggine.
Un po’ meno l’Insalatina Del Campo Di Non So Chi Vicino All’Autostrada, che di
“insalatina” non ha proprio niente, visto che le foglie hanno tutta l’aria di
essere state prese da qualche misteriosa pianta tropicale di dimensioni abnormi,
magari usate dagli indigeni come recipienti per raccogliere l’acqua piovana. In
compenso però sanno di olio lubrificante per auto e di gasolio ecologico.
- Non le avete finite? (dice minacciosamente il cameriere…)
- No, sa… eravamo troppo pieni…
- Eh già… che vuole…
- Ah. Bè, vi porto qualcos’altro? Dolce-caffè-liquore?
- No! No grazie niente… siamo a posto così… (diciamo un po’ troppo
precipitosamente e in coro… se ne sarà accorto?... mah…)
Dopo un’altra mezz’ora arriva il conto.
Vedo Letizia ormai sempre più devastata dai tic più stravaganti, mentre io mi
agito sulla sedia come un giaguaro in cattività.
- Ecco a voi. Il servizio è escluso. (dice lo psico-cameriere)
Succhiello il conto tipo giocatore di poker professionista, con uno strano
brivido che corre veloce lungo la schiena…
Novantasei euro!
Senza il servizio!
Avevo calcolato che avremmo speso una trentina di euro a testa!
Letizia mi guarda con uno strano sguardo assente, lontano…
- Guardi che deve esserci un errore… (dico io, usando tutta la mia forza di
volontà per distendere le labbra in quello che, spero, possa sembrare un
sorriso…)
Lo psico-cameriere prende il conto e lo guarda attentamente.
- Ah, mi scusi, ha ragione…
- Meno male… sa, mi ero un pochino spaventato…
- Ecco a lei…
Riguardo il conto.
Novantotto euro!
- Ma come? E’ aumentato? (esplodo inopportunamente io…)
- Picchialo! (dice Letizia riemergendo dal suo abisso di coscienza….)
- Sì, avevo sbagliato a segnare il fuori lista… grazie per avermelo fatto
notare…(dice sornione lo psico-cameriere…)
- Ma quanto costa il fuori lista?
- Bè, sa il suo è un piatto molto ricercato e pluripremiato…
- Quanto?
- Trentasette euro…
- Trentasette euro?!
A questo punto le possibilità sono due; l’omicidio, anzi la strage e vi assicuro
che per un attimo ho preso in seria considerazione tale estrema opzione (in
fondo chi mai avrebbe potuto negarmi le attenuanti del caso?…sono certo che alla
fine me la sarei cavata con poco…), oppure la fuga sdegnata con maledizione
annessa.
Dopo un rapido sguardo tra me e Letizia, decidiamo per la seconda ipotesi.
E, credetemi, la maledizione che ho usato è una delle peggiori in uso al tempo
degli Assiro-Babilonesi (e loro erano dei veri esperti in materia!)!
Il tempo di mettere la firma sulla ricevuta della carta di credito e, prima
ancora che la penna cada sul tavolo, con un guizzo degno di Willie il Coyote,
siamo già ben lontani dal maledetto localino.
Per la mancia, stiamo ancora aspettando qui a casa nostra lo psico-cameriere;
nel frattempo abbiamo preparato per lui qualche simpatico giochetto di stampo
militar-golpista-controrivoluzionario… in verità, ancora non si è fatto vedere
per reclamare il dovuto, ma io ancora non dispero del tutto…
Ah, dimenticavo, chiunque volesse sapere il nome del locale per non doverci,
malauguratamente, capitare per caso, può scrivermi al mio indirizzo di fermo
posta… tanto ce l’avete, no?...
QUADRO XIII
È venerdì sera. Torno a casa alle otto dopo una cazzutissima giornata di
estenuanti colloqui di lavoro… e in testa ho soltanto un’idea… la partita di
calcetto con la solita combriccola di amici. Capirete, l’ultima l’abbiamo persa,
quindi dobbiamo assolutamente rifarci… La partita è alle nove, e ho solo il
tempo di mangiare un boccone veloce prima di cambiarmi e fiondarmi sul campetto
di gioco dall’altra parte della città. Entro in casa con una certa fretta…
- Ciao
- Ciao! Come mai tutta questa fretta? Abbiamo ancora tempo… il film comincia
alle nove ed è al cinema qui sotto…”
Mi immobilizzo, tipo camaleonte in fase mimetica...
- Film?
- Certo, quello che avevi promesso di portarmi a vedere stasera… non te lo
ricordi?
Oh cazzo. No, non me lo ricordo. Cazzo cazzissimo!
- Oh, quel film…
- Ovvio… e quale pensavi?
- No… eh ehe he… no, quel film certo… e quale altro… certo che mi ricordo… quel
film lì…
- Ah bene. No perché mi sembri un po’ strano… ti sei fermato ancora a bere con
il gommista?
- Macchè!… no… è solo… ma guarda alle volte la combinazione eh?...
- Che combinazione?
- Voglio dire… capitano delle cose davvero curiose a volte… eh eh eh eh…
- Che stai dicendo?
- No, pensa che stamattina… prima di uscire di casa… proprio mentre stavo
trafficando con le chiavi… quelle cavolo di chiavi… non riesco mai a trovare
quella giusta subito…. E ogni volta devo stare lì a…
- Ma di che stai parlando?
- Eh?... Ah, ma non c’è da inquietarsi, sai?… Niente di grave… è solo che…
insomma mi hanno chiamato i ragazzi… quelli del calcetto, capito?... eh eh eh… e
mi hanno detto che avevano fissato la rivincita per stasera, capito?... eh eh eh
eh…
- E allora? Glielo hai detto che avevi già fissato con me, no?
- Se gliel’ho detto?… Eh ehe eh… bè, la cosa buffa è propria questa… che ero lì
che stavo impazzendo con ‘ste chiavi, no?... capito?... e allora… capito?
- Capito che?
- No, insomma… ero lì con tutte queste chiavi e loro a telefono e allora…
insomma, lì per lì… bè, mi sono confuso… e ho promesso…
- Cosa hai promesso?
Deglutisco a vuoto…
- Bè, ho promesso che… che ci saremmo visti stasera al campetto... eh eh eh,
capito?… è buffo, no?... anzi, scusa ma è parecchio tardi… e bisognerebbe
proprio che…
-
La faccia di Letizia è un misto tra un enorme punto interrogativo e un fulmine
dei fumetti.
- Vorresti forse dirmi che ti sei dimenticato che mi avevi promesso, ben un mese
fa, che questa sarebbe stata una serata interamente dedicata soltanto a noi due?
- Bè, dimenticato è un parola grossa…
- E quale sarebbe la parola piccola allora?
- È che lì per lì con tutte quelle chiavi… capito?... eh eh eh…
- Ma vuoi smetterla con questa storia della chiavi?!
- … mi sono confuso, capito?… Con tutte quelle chiavi…
Gesticolo tentando un mimo alla Marcel Marceau e una risata da pupazzo dei
ventriloqui. Silenzio. Sento il cervello di Letizia che ribolle furiosamente in
cerca di un appiglio per salvarmi dal patibolo.
- Bè, ok… allora, se ti sei confuso… chiamali e dì loro che non puoi andare
perché avevi già fissato con me…
- Sì, certo… si potrebbe anche fare… ma vedi… è che… che non possono giocare la
rivincita senza il loro mitico centravanti… capito? (ammicco in maniera
cameratesca e, francamente, alquanto puerile…)… è un fatto… sportivo… insomma
non posso mica mollarli in questo momento fondamentale della stagione… eh ehe
heh… tu mi capisci… eh eh eh…
- Un fatto sportivo eh?
- Sì, capito? Eh ehe eh…
- Un fatto sportivo…
- Eh, appunto… non devi prenderla come un fatto personale…
- Un fatto personale, eh?…
- Infatti….
Silenzio. Restiamo immobili in attesa di una deflagrazione che invece, con mio
sommo stupore, non avviene.
- Ok.
Nient’altro. Solo “ok”. Lungo silenzio. Ci guardiamo. Alla fine cerco di uscirne
fuori in qualche modo…
- Bè, allora io vado… perché sarebbe un po’ tardi e…
- Mm
- Allora ci vediamo dopo…
- Mm
Faccio per darle un bacetto ma lei si sposta e finisco per baciare lo stipite
della porta.
- Eh eh eh eh… tanto faccio presto…
- Mm
Alla fine esco di casa, dopo aver ingurgitato un frullato di avanzi di
frigorifero e aver buttato in borsa la divisa da calcetto rosa shocking con il
numero 99.
Mentre sono per strada penso: “Però, che donna! Che autocontrollo! Che
comprensione! Sono davvero fortunato a stare con una come lei!”
Quindi, mentre sono per strada, sento degli strani rumori provenire da dentro la
nostra casa… più che altro un frastuono sordo… un fragore di stoviglie infrante…
Deve esserle caduto qualcosa, penso.
I rumori vanno avanti ancora per alcuni minuti mentre io resto in ascolto,
immobile come un cactus… per la verità, un tantino preoccupato… anche se, alla
fine, tutto sembra placarsi e io, sebbene con uno sguardo inebetito, sullo stile
di un consumatore abituale di peyote, decido di recarmi finalmente alla partita.
Nei giorni successivi, tutto sembra filare liscio. E la mia stima nei confronti
di Letizia raggiunge livelli esponenziali. Inizio anche un processo di
autocritica strutturale della mia personalità che mi porta ad un copioso pianto
liberatorio e sull’orlo del cilicio e di autopunizioni corporali per espiare i
miei peccati; mi riprometto, infine, di non fare mai più una cosa simile alla
mia splendida e super comprensiva donna.
Poi, però, dopo circa un mese da questi eventi, improvviso ecco scatenarsi il
temporale…
Rientro a casa stanchissimo da una normale giornata infernale di non lavoro e mi
trovo di fronte Letizia vestita in maniera super sexy, con un cortissimo abito
rosso fuoco, una profonda scollatura sulla schiena, calze istoriate, tacchi alti
e capelli all’ultima moda. Lì per lì sono combattuto tra buttarmicisi addosso
per fare l’amore in modo estremo e il rimanere perfettamente pietrificato in
attesa di una punizione divina. Scelgo la seconda opzione. E la punizione divina
si abbatte su di me in tutta la sua forza devastante.
- Esci? – dico con un timbro rochissimo e un po’ troppo fioco…
- Già
- Ah. E dove vai?
- Vado con le mie amiche al Fandango
- Al Fandango?
- Sì
- A ballare?
- Sì
- Con le tue amiche’
- Già
- Al Fandango?
- Oggi mi sembri più rincoglionito del solito…
Silenzio.
- E come mai proprio stasera?
- Bè, sai stasera c’è la gara di ballo e io non posso proprio lasciare sole le
mie amiche in un momento sportivamente così delicato…
- Sportivamente?
- Bè, certo, non te la devi prendere… non è un fatto personale…
E ballate da sole?
- Ovviamente no.
“Ah, e con chi?
- Bè, ci sono alcuni ragazzi spagnoli che ci daranno una mano. Il mio compagno
si chiama Julio.
- Julio… un tipo bassetto e calvo, giusto?
- No… no, in effetti è piuttosto alto e con i capelli lunghi sulle spalle.”
- Magro con la pancia?
- Muscoloso con gli addominali direi…
Il sorriso forzato che mi si era dipinto innaturalmente sulla faccia ha un
crollo improvviso e rovinoso, fino a farmi assomigliare la faccia a quella di un
cane bulldog… Dopo alcuni istanti di totale e completo smarrimento, l’omino che
è dentro di me si riscuote e cerca di tuonare parole di rabbia e biasimo
estremi, ma tutto quello che mi esce dalla bocca ha uno strano timbro da soprano
leggero.
- Non credi che avresti dovuto avvertirmi prima? Magari chiedermi se ero
d’accordo anch’io?!
- Sai avrei voluto tanto dirtelo, ma proprio mentre stavo per farlo mi sono
messa a giocare scioccamente con le chiavi e sai com’è no?... Con queste chiavi
in mano… insomma non ho capito più niente e tutto mi è passato di mente… eh eh
eh eh…
- Ma che… le chiavi…? Che cazzo stai dicendo? Che cavolo c’entrano le chiavi?!
- Ma sì, le chiavi, no?... Le stesse chiavi che hanno fatto impappinare te… te
lo ricorderai, no?... E’ buffo, vero? Come le cose possano riproporsi
curiosamente… una sorta di eterno ritorno… sai Eraclito… Vico… hai capito,
no?...
- Eraclito?...
- Bè, adesso scusami, ma altrimenti faccio tardi e le mie amiche non me lo
perdonerebbero mai, tu mi capisci vero?... Ah, non mi aspettare alzato stanotte…
farò un po’ tardi… a domani, caro…e su non fare quella faccia… in fondo si
tratta soltanto di una questione sportiva…
Esce sculettando esageratamente.
Mi sento addosso un calore assurdo. Devo avere la febbre, penso. Mi guardo allo
specchio nell’ingresso: ho gli occhi rossi come la brace e un rivolino di saliva
tipo Dracula che scende dall’angolo della bocca. Sembro una grottesca maschera
di carnevale. Improvvisamente la mia rabbia esplode in tutta la sua potenza
devastatrice. Alzo il televisore sopra la testa e lo scaglio per terra. Cavolo
che forza! Sono quasi ammirato dal mio gesto super maschile, ma poi…
Cazzo! La partita! Stasera c’è la gara di Champions della Fiorentina! Porca
puttana! Adesso mi tocca pure uscire e andare a vedermela in qualche sperduto
localino....
QUADRO XIV
Anche noi poveri precari dobbiamo mangiare e anche a noi, ogni tanto, capita di
fare la spesa al supermercato, così come ai normali cittadini impiego-dotati.
Quindi mi capirete facilmente se vi racconto questa normale giornata di follia
nel fare la spesa…
Fino al momento del parcheggio tutto sembra più o meno normale.
Scendo dalla macchina e inizio a cercare il carrello; se ti scordi di prenderlo
o se non hai i due euro, devi salire fino al punto informazioni interno al
negozio e quindi riuscire nuovamente da esso per andare alla caccia del carrello
perduto. Comunque, i due euro stavolta ce li ho (mi sono astutamente premunito
alla partenza, quando con Letizia ci siamo salutati calorosamente, tipo partenza
per il fronte…) e quindi sono in grado di prelevare il carrello fin da subito,
solo che i carrelli della fila vicino alla mia macchina sono esauriti e quindi
mi tocca fare il giro del parcheggio per riuscire a recuperarne uno. Finalmente
lo trovo. Inserisco i due euro e stacco il carrello dalla fila. Quando sono
vicino alla scala mobile mi accorgo che non ha l’alloggiamento per il
trabiccolino per la lettura automatica della spesa (fondamentale per evitare il
caos alle casse…)… torno indietro in cerca di un nuovo carrello dotato
dell’apposito dispositivo salva-fila-e-allunga-vita… ovviamente, tutti quelli in
prima posizione ne sono sprovvisti, perciò mi tocca sganciare e riagganciare i
carrelli, tipo cubo di rubik, per riuscire a raggiungere, dopo molto perigliare,
quello con l’aggeggio-comesichiama giusto… un applauso spontaneo dalla piccola
folla raccolta dietro di me saluta il mio successo… quindi mi dirigo di nuovo
verso la scala mobile… fatti pochi metri, però, mi accorgo con orrore che il
carrello tira irrimediabilmente verso destra (e so benissimo che, dopo, con la
spesa, mi sarà impossibile governarlo, se non a costo di sacrificare i legamenti
crociati del ginocchio…)… ritorno indietro, rifaccio di nuovo il cubo di rubik,
ancora applausi, riparto… stavolta sembra andare bene… raggiungo la sala mobile…
entro nel negozio… appoggio il carrello da una parte per fare scorta di
sacchettini per frutta e verdura… mi giro e il carrello è sparito… cazzo!...
poco più in là vedo una signora di mezza età che se ne va con quello che ha
tutta l’aria di essere il mio carrello… la inseguo…
- Salve, mi scusi ma credo che quello sia il mio carrello… eh ehe…
- Impossibile…
- No, guardi, credo proprio che si tratti del mio…
- Ma no… le dico che si sbaglia con qualcun’altro… sono sicura che è il mio…
- Purtroppo si sbaglia signora, d’altra parte basta guardare il lettore dei
codici a barre…
- Se proprio non si fida…
- Ecco, vede?... Lì sopra c’è il mio nome…
- Ah… vabbè…
- Mi scusi eh, ma il carrello è proprio il mio…
- Mm…
Riesco, non senza una certa difficoltà, a staccare le mani della signora dal mio
carrello e a rientrarne in possesso…
Perché poi mi sia scusato io, resta veramente un mistero… in ogni caso, me ne
torno vittorioso nella zona frutta e verdura… ma stavolta tengo il carrello
vicino a me per evitare altri pericolosi inseguimenti… prendo un po’ di mele e
le metto nel sacchettino, quindi mi dirigo alla bilancia… proprio mentre sto per
metterlo sul piatto, da sotto le ascelle vedo sbucare una mano che, con fare
lesto e furtivo, mette un altro sacchetto sulla bilancia… mi giro a guardarlo…
vedo un tizio che fa finta di niente e sembra voler dire: “bè, mai visto uno che
pesa la frutta?”… vabbè, mi dico, pazienza… rimetto le mie mele sulla bilancia,
cerco il numero corrispondente, e premo il pulsante… etichette terminate…
maremma maiala… mi sposto verso un’altra bilancia… ovviamente c’è una fila
notevole… alla fine tocca a me… peso le mele e torno al mio carrello…
sparito!... porca puttana, ma che cazzo!… Ricomincio a cercarlo… dopo un po’ mi
accorgo che qualcuno lo ha spostato, lanciandolo a una decina di metri di
distanza e infilandolo in uno strano pertugio tra i banchi… lo recupero… metto
le mele dentro e continuo a riempire i sacchetti con altra frutta e verdura…
tutto fila più o meno liscio, se non fosse per il fatto che non c’è il numerino
delle fragole e che quindi devo perdere qualche minuto alla ricerca del
simboletto sulla bilancia, anche perché, assurdamente, ci sono tre tipi di
fragole e tu, ovviamente, non sai mai quale cavolo hai preso… alla fine me ne
frego e premo a casaccio le prime fragole che mi capitano… ovviamente le più
care… continuo il mio giro… arrivo al banco del pesce…
- Buongiorno
- Buongiorno
- Cosa c’è di fresco oggi?
- È tutto fresco signore…
- Sì, bè, già… ma… cosa c’è di VERAMENTE fresco… (faccio l’occhiolino…)
- Non capisco signore…
- Ok, mettiamola così… lei, se fosse per lei, cosa prenderebbe oggi?...
- A me piace molto il Merluzzo Carbonaro…
- Il merluzzo carbonaro, eh?…
- Già…
- Mm, e chissà perchè non il banale merluzzo…
- Assolutamente, è tutta un’altra cosa…
- Immagino…
- Però, sebbene non abbia la più pallida idea di come sia fatto, non credo
proprio che ce l’abbiate, vero?
- Ha perfettamente ragione, signore, in effetti non ce l’abbiamo…
- Già, lo immaginavo… alternative?
- Bè, adoro l’Aguglia Imperiale…
- Che, però, chissà perché, mi sento che, al momento, non avete nemmeno quella…
- Ha di nuovo ragione, signore…
- Sono veramente un genio, eh?...
- Non saprei, signore…
- Nient’altro?
- L’Halibut?
- L’halibut…
- Il Pollack?
- Il pittore?
- No, signore, il pesce…
- Ah… ecco…
- La Salpa?
- Ok, ok va bene, ho capito, lasciamo stare…
- Lo Sparaglione?
- Ho capito, va bene, basta così…
- La Tanuta?
- BASTA! Ho capito, grazie, basta…
- Come vuole, signore…
- Ma lei è laureato in ittiologia?...
- No, signore.
- Mmm… ok mi dia due fette di pesce spada…
- Ottima scelta, signore…
Sì, ottima scelta per voi che finalmente riuscite a liberarvi di quei pochi
pezzi bianchicci di cadavere di pesce spada che vi erano rimasti dalla settimana
scorsa!… Continuo il mio viaggio all’interno del kafkiano supermercato… e arrivo
infine al banco dei salumi… prendo il numero… 56… dò un’occhiata al display…
siamo al 20… minchia!… Ok, faccio un giro per prendere altre cose nel frattempo
che aspetto il mio turno… mi allontano di qualche decina di metri… e sento:
cinquantasei… cinquantasei!... (breve silenzio)…. cinquantasette… cazzo!... ma
com’è possibile?!... mi precipito di nuovo verso il banco, travolgendo bambini e
anziani… e mi getto sulla vetrina…
- Cinquantasei… ho il cinquantasei…
- L’ho appena chiamato signore…
- Sì, ma io… avevo preso il numero… c’erano trentasei numeri prima e… mi sono
precipitato qui… e poi credo anche che ci siano dei feriti… là, dietro di me… e,
insomma… abbia pietà…
- Vabbè, mi dica… (con sguardo commiserevole…)
- Sì, dunque… due etti di prosciutto crudo…
- Quale taglio preferisce?
- Bè, mi faccia un po’ vedere… non saprei… direi il secondo in alto…
- Questo?
- No, il secondo…
- Questo?
- Il secondo…
- Ah, questo…
- No, quello in alto…
- Questo qui allora…
- No guardi, quello più su…
- Questo…
- Forse è meglio se vengo dietro il banco e glielo tocco con il dito, eh?
- Fa lo spiritoso?
- Assolutamente…
- Si decida allora…
- Mi sono già deciso…
- Dunque?
- Il secondo in alto… (quasi piangendo)
- Questo qui allora.
- No, il secondo… ok sì, va bene, ha vinto lei, mi dia quello lì… quello va
benissimo…
Mi prendo i miei due etti di bresaola e, ormai stremato, decido di dirigermi
finalmente alle casse… arrivo alle casse apposite… ma c’è fila… anche qui?!...
vabbè, aspettiamo… in fondo dovrebbero fare veloci e… rilettura!… porca puttana…
mi sposto alla cassa accanto…
- Mi dispiace signore, ho appena chiuso…
- Ma guarda un po’…
- La cassa accanto però sta aprendo…
- Ah, splendido…
Mi precipito in quella direzione, dando colpi d’anca forsennati al carrello…
arrivo… primo!... ce l’ho fatta!… consegno il mio lettore…
- Mi dispiace signore… rilettura...
Mi lascio andare ad un pianto senza vergogna… al termine della rilettura, la
cassiera mi guarda un po’ storto…
- C’è una differenza di 38 centesimi, signore… come mai?...
Che cazzo ne so io! Volevo impossessarmi della cifra e scappare a Santo Domingo…
- Mi sarò dimenticato di segnare qualche scatoletta…
- Bisogna stare attenti signore…
- Certo, ha ragione… ma può capitare, no?... in fondo la differenza è minima…
- Pensi solo a cosa succederebbe se tutti i nostri milioni di clienti
sbagliassero di 38 centesimi…
- Pensi se tutti vostri milioni di clienti andassero a fare la spesa dalla
concorrenza…
- Come dice, signore?
- Vabbè, lasciamo perdere…
- Comunque devo metterle una nota…
- Ah, come a scuola… devo riportarla firmata dai genitori?...
- Fa lo spiritoso, signore?
- Sì, signora, faccio lo spiritoso… e sa perché?... Perché mi avete veramente
arato i testicoli!...
- Ma come si permette… io…
- Avanti, avanti… la smetta di fare la santarellina… poche storie… mi faccia
pagare il riscatto… e mi faccia uscire immediatamente da questo incubo!...
altrimenti chiamo Dylan Dog, eh!...
Alla fine riesco a tornare a casa più o meno sano e salvo… e appena Letizia apre
la porta, le butto le braccia al collo e la stringo forte… singhiozzo… ma lei
non dice niente, perché sa… anche lei sa cosa vuol dire tornare dal fronte… e
voi?...anche voi lo sapete, vero?...
QUADRO XV
Bè, che dire? Sembra che siamo davvero arrivati alla fine…
E alla fine sembra proprio che ce l’abbia fatta.
Incredibile dictu, no?… A me pare di sì…
Insomma avete capito… ebbene sì, ho trovato lavoro!
Wow!
Ecco come è andata.
Avevo già fatto altri due colloqui con questa ditta ed ero arrivato al terzo ed
ultimo scontro, quello decisivo… non volevo farmi troppe illusioni perché sapevo
bene come potesse essere infida la realtà del collocamento… insomma. stavo
mantenendo il sano distacco ironico-critico di chi si aspetta, da un istante
all’altro, il crollo di tutte le proprie illusioni… comunque, avevo deciso di
giocarmela fino in fondo, andasse come andasse…
- Buongiorno, e ben ritrovato.
- Buongiorno a lei… (mmm, sì sì… come no…)
- Allora, come saprà, siete rimasti soltanto in quattro… e oggi dobbiamo
decidere chi assumere tra di voi…
- Ah, ottimo… (figurati….)
- Le farò soltanto poche e brevi domande riguardo alla sua personalità… solo per
capire se è lei la persona più adatta per questo posto, al di là delle
specifiche capacità e competenze, lei mi capisce, no?...
- Certo certo… (ehhh, figurati…)
- Bene, allora possiamo cominciare…
- Pronto.
- Lei ha difficoltà a lavorare sotto pressione?
- Io? Lavorare sotto pressione? Ma figuriamoci se io… (mi blocco: francamente
non ne posso più di dire sempre quello che vogliono sentirsi dire, anche se è la
più grande stronzata del secolo… vada come vada, stavolta voglio dire la verità,
almeno mi alzerò da questo posto con la coscienza, se non tranquilla, almeno
soddisfatta… perderò con onore!...)… senta, voglio parlarle chiaro… io credo che
non ci sia nessuno a questo mondo, sano di mente, che ami lavorare sotto
pressione… e io nemmeno… ma se vuole sapere se mollerò… bè, posso assicurarle
che non lo farò…
- Mmm.
Silenzio.
- Ok. Una domanda ancora…
- Dica pure.
- Preferirebbe un lavoro sedentario o uno più dinamico?
Rifletto. La risposta giusta è sicuramente “dinamico”, ma decido, ancora una
volta, di dire tutta la verità nient’altro che la verità dica lo giuro…
- Preferirei uno mezzo e mezzo…
- Come dice, scusi?
- Uno mezzo e mezzo… uno dove ci sia da muoversi, da uscire, da andare in giro,
ma dove ci siano anche dei periodi in cui stare in ufficio… insomma, io credo
che sia la varietà a rendere più interessante la vita… anche nel lavoro…
Silenzio. Mi guarda con uno strano sguardo. Ok, mi dico, è andata anche
stavolta… pazienza ormai sono super allenato…
- Direi che abbiamo finito. Posso chiederle di aspettare fuori mentre finisco i
restanti colloqui?
- Sì, certo… io… bè, sarò qui fuori ad aspettare…
- Bene. Adesso mi scusi, devo continuare…
- Certo certo.
Esco e mi siedo sul divanetto in anticamera. Passa circa un ora, quindi mi
richiamano.
- Grazie di aver aspettato.
- Si figuri.
- Penso che sarà curioso di sapere perché l’ho fatta attendere, quindi non
tergiverserò ulteriormente… il fatto è che, se lei è d’accordo, avremmo deciso
di assumerla… potrebbe cominciare da lunedì…
Silenzio. Non so quanto sia durato. A me è sembrato sia tantissimo che
pochissimo… stavo ripetendomi mentalmente le sue parole: “potrebbe cominciare
lunedì”… a fare cosa?... lavorare?... io?... Io lavorare?... cazzo!... Alla fine
mi scuoto e dico…
- Perché? Voglio dire, perché avete scelto me?
- Perché ci ha detto la verità… è stato molto franco e sono convinta di poterle
credere quando dice che non mollerà…
- Davvero?
- Sì… e poi anche perché, non so come, non so se sia stata una fortuna
incredibile, o se ne sappia una più del diavolo, ma… bè, ha proprio azzeccato il
tipo di lavoro che volevamo offrire… in parte in ufficio e in parte fuori, in
giro…
- Cavolo. Sta parlando seriamente, vero?
- Certo. Allora accetta?...
E questo è quanto.
Ma che cos’è successo? Com’è che finalmente ce l’ho fatta?
Forse è successo che alla fine, probabilmente, sono veramente riuscito ad essere
me stesso fino in fondo, e, contemporaneamente, a trovare qualcuno che mi
apprezzasse semplicemente per quello che sono.
Che altro dire?
Francamente adesso non mi viene in mente niente.
Non capisco nemmeno bene cosa provo.
Se sono felice o persino un po’ triste... o solo un po’ malinconico.
In fondo mi ero abituato a questa strana, assurda vita da disoccupato cronico.
E invece adesso arriva questa cosa chiamata lavoro a turbare il mio equilibrio
faticosamente costruito in anni e anni di colloqui matti e disperati…
E così, anch’io, finalmente, sarò un lavoratore…
E io e Letizia, forse, potremo persino sposarci!
Oddio… improvvisamente provo una strana sensazione… qui, alla bocca dello
stomaco… come se fosse… ansia… Ma forse si tratta solo di farci l’abitudine,
forse alla fine tutto cambierà… e sarò persino felice…
Forse… Almeno d’ora in poi non dovrò più preoccuparmi di tutti quegli assurdi
personaggi che di lavoro fanno quelli che selezionano quelli che cercano lavoro…
forse adesso toccherà a me avere il pugnale dalla parte del manico… forse…
Sì, vabbè, lasciamo perdere…
Buio. Sipario.