Penelope
L’Odissea è fimmina

di Luana Rondinelli

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PERSONAGGI

Penelope.
Le tre Parche: Attìa, Cutitalìa e Risetto.
La Magnifica.
Euriclea.
Melissa.
Castore e Polluce.
Odisseo ovvero Ulisse.

 

 

Primo atto

 

ATTÌA ~ Vinni!
RISETTO ~ Cu è chi vinni?
CUTITALÌA ~ Stamatina.
RISETTO ~ Cu vinni?
ATTÌA ~ Odisseo.
RISETTO ~ Cu è?
ATTÌA ~ Ulisse.
CUTITALÌA ~ Cu tu risse?
RISETTO ~ La gente.
ATTÌA ~ Stamatina arrivao, scavato e sicco comu n’anciddra[1].
RISETTO ~ Dicino chi puzzava di piscio.
CUTITALÌA ~ ’Un c’è chiù nenti di cogghire[2].
ATTÌA ~ Lassaci ’u tempo d’assistimarisi.
CUTITALÌA ~ Camina ma ’un ti talìa[3].
ATTÌA ~ Arrivao il re[4].
RISETTO ~ Chi ran faccia r’anciova[5].
CUTITALÌA ~ Ci cangiao l’espressione di l’occhi.
ATTÌA ~ È nivuro come la pici.
CUTITALÌA ~ E iddra?[6]
RISETTO ~ Tutta nervosa era.
CUTITALÌA ~ Dici?
RISETTO ~ Cu tu rici?
CUTITALÌA ~ La gente.
ATTÌA ~ Avia lu vilenu nall’occhi.
RISETTO ~ Cangiao di culuri na faccia.
CUTITALÌA ~ Aspettava chisso[7].
ATTÌA ~ Che lui tornasse.
CUTITALÌA ~ S’arricampao[8].
RISETTO ~ E ora comu finisce.
CUTITALÌA ~ Iddra sempre femmina è.
RISETTO ~ Iddra sempre femmina è.
ATTÌA ~ E lu masculu si sa di queste cose si fa ragione.

Lo salutano tutte e tre: «Bentornato Odisseo».

Non credevamo più di rivederti.
CUTITALÌA ~ E come facevi a scordarti di questa terra?
RISETTO ~ Quando in questa terra nasci o in questa terra cresci.
ATTÌA ~ Questa terra è tua.
CUTITALÌA ~ Ti appartiene.
ATTÌA ~ Dice che non ha mai scordato la sua donna.
CUTITALÌA ~ Povera Penelope.
RISETTO ~ Cu è…
CUTITALÌA ~ Sempri Ulisse ci ’u risse.
RISETTO ~ E l’oracolo, l’oracolo chi[9] disse?
ATTÌA ~ Che dovrà ripartire.
RISETTO ~ Ma como!
CUTITALÌA ~ Con quale cuore lascerà ancora Penelope.
ATTÌA ~ Bentornato Odisseo.

Buio.
Una voce chiama: «Cà veni cà, Penelope, curri, che è scuro e lu scuro agghiutti
[10] li cristiani e poi non ti trovo più. Cà veni cà, Penelope, lassa stare, cangiati i pinzeri che è tardo, ’un n’iucare cu’ tempo, lu tempo nun t’aspetta, fa finta, lu tempo arrubba, arrubba lu tempo, ioca cu’ mia, ioca cu’ to’ matri, cà Penelope veni cà!».
Luce.

PENELOPE ~ Mamma!
EURICLEA ~ Una parola dolcissima!
PENELOPE ~ Euriclea.
EURICLEA ~ Altrettanto dolce, direi; buongiorno Penelope, incubi?
PENELOPE ~ Sì, come sempre, che ore sono?
EURICLEA ~ Quasi vent’anni fra mezzora.
PENELOPE ~ L’hai visto?
EURICLEA ~ Mangia bive e sinni futte, comu tutti l’omini.
PENELOPE ~ Ti ha chiesto di me?
EURICLEA ~ Certo, mi ha chiesto di guardargli la testa e di dirgli cosa vedevo.
PENELOPE ~ E tu cosa hai visto?
EURICLEA ~ Un picurune scurnato, fituso e puzzolente di piscio, forse però oggi si lava! Tu? Cosa pensi di fare? Ti susi[11], ti movi, devo cambiare le lenzuola e trovarne di belle per il ritorno del re.
PENELOPE ~ Le lenzuola più belle sono queste!
EURICLEA ~ Male incominciamo male.
PENELOPE ~ Lo aspetto qui, ancora una volta, in questo letto…
EURICLEA ~ Certo, dici, tanto fitinzia pi fitinzia…
PENELOPE ~ … Ancora paziente per un giorno, ancora sua per un giorno…
EURICLEA ~ Non accogli il tuo sposo?
PENELOPE ~ La mia assenza per un giorno equivale alla sua per vent’anni?
EURICLEA ~ È una mancanza di rispetto, lo sai?
PENELOPE ~ Rispetto? Cos’è?
EURICLEA ~ Senti figghia, eo trasì na ’sta casa[12] chi avia vint’anni e l’unica cosa chi sapia fare era calari ’a testa.
PENELOPE ~ Non è cambiato niente quindi.
EURICLEA ~ Sentila a ’sta vecchia: conzati annicchia[13], truccati fatti i capiddri, sistemati fatti viriri di to’ marito cuntenta; chista è la vita; chi penzi chi era megghiu nasciri schiava? Si unnu voi fare pi iddru, fallo pi tia e pi to’ figghiu; porta avanti tutto con rispetto.
PENELOPE ~ Fingere e compiacere.
EURICLEA ~ No, no: fingere con piacere! Allestiti, moviti che è tardo. (Esce)
PENELOPE ~ Sarà sempre tardi per chi non vuole più aspettare.
ODISSEO ~ (fuori scena) Penelope.
PENELOPE ~ Sono qui Odisseo!

Buio.
Luce sulle tre Parche.

ATTÌA ~ Continua ’un ti fermare.
CUTITALÌA ~ Matri, sugnu stanca, non si finisce mai.
ATTÌA ~ Infatti non dobbiamo finire.
RISETTO ~ Ma chi ci vinni n’testa.
CUTITALÌA ~ Cusi e riscusi[14], cusi e riscusi, cusi… e mi scusi.

Attìa la guarda male.

RISETTO ~ Chi poi dico ’sta picciriddra già sfortunata d’insubito.
CUTITALÌA ~ Già poi uno dice il destino…
RISETTO ~ Ma quale destino? So’ patri ’a lassao nu mari[15].
CUTITALÌA ~ Dice che doveva anniare.
ATTÌA ~ E invece no!
RISETTO ~ No!
CUTITALÌA ~ La salvarono le anatre.
RISETTO ~ Che belle! Mi fanno simpatia.
CUTITALÌA ~ E so’ patri sa pigghiò n’avutra vota?
RISETTO ~ Ceeerto è un segno, volere degli dèi fu, pi chisso ci misiro Penelope ma tu t’ummaggine l’avissero saivvato le oche? (Ride) Chi ci mittiano, Ocarina?
ATTÌA ~ (perentoria) T’azzittere ’u capiste.
CUTITALÌA ~ Cusi e scusi, cusi e scusi, cusi e scusi…
RISETTO ~ Aspe’ mi cunfusi… nenti, ’stu punto a croce non mi viene.
ATTÌA ~ Chi ran camurria![16]

E sul loro parlare, la luce muta riportando a un momento del passato, animato da esse quasi fossero anatre.

RISETTO ~ Moro, che beddra ’sta picciriddra![17]
CUTITALÌA ~ Chi facemo ’a lassamo “qua”?
ATTÌA ~ “Qua”! No, non sia mai, acchiappala!
RISETTO ~ Vieni “qua”… gioia. Sorride.
CUTITALÌA ~ Comu ci mittemo? Ci vuole un nome.
ATTÌA ~ Già, che rimane quando uno si presenta.
RISETTO ~ Uno bello importante.
ATTÌA ~ Già, efficace ma non troppo.
CUTITALÌA ~ Già, confortevole ma anche…
RISETTO ~ … disagevole.
ATTÌA ~ Penelope: colei che fu salvata dalle anatre.
RISETTO ~ Como?
CUTITALÌA ~ Penelope è un nome da regina.
ATTÌA ~ Penelope, che la vita ti sorrida sempre, come tu oggi hai sorriso a noi.
CUTITALÌA ~ Penelope…
RISETTO ~ Penelope…
ATTÌA ~ Penelope…

Le voci si accavallano a chiudere il flashback e l’illuminazione cambia di nuovo, posandosi su un periodo della giovinezza di Penelope e sul suo letto, dove giace, mentre l’ancella Melissa cerca di svegliarla.

MELISSA ~ Penelope.
PENELOPE ~ Mamma.
MELISSA ~ No! Ma è una parola dolcissima non trovi?
PENELOPE ~ Melissa.
MELISSA ~ Altrettanto dolce, direi. Ti ho mai raccontato di cosa significa il mio nome, del miele, delle api, della dea e bla bla bla?
PENELOPE ~ Sì.
MELISSA ~ Sì, infatti è una storia risaputa, raccomandata da una dea che ha voluto poggiarmi un’ape sulla bocca; che cosa vorrà poi mai dire un’ape sulla bocca, tu cosa ne pensi?
PENELOPE ~ Ma che ne so.
MELISSA ~ Brava è meglio non sapere niente, io fino ad oggi non ho mai voluto sapere niente. Secondo te se ti bacio può essere un dolce risveglio?
PENELOPE ~ Finiscila, sono sveglia, sono sveglia…
MELISSA ~ Bene, allora alzati perché devi venire con me.
PENELOPE ~ Venire dove?
MELISSA ~ Preparati.
PENELOPE ~ La tua fretta mi uccide.
MELISSA ~ Ho visto tuo padre stamattina.
PENELOPE ~ Ecco, grazie al cielo lo hanno visto i tuoi occhi e non i miei.
MELISSA ~ Si parla di te in piazza.
PENELOPE ~ E quando mai?
MELISSA ~ Adesso che sei uscita da quella specie di convento, si grida al prodigio.
PENELOPE ~ Prodigio?
MELISSA ~ Sì, prodigio: quella cosa che ha in sé del magnifico, dell’insolito quella cosa che…
PENELOPE ~ Lo so cosa significa prodigio.
MELISSA ~ Già, ma come dicevo prima, è sempre meglio non sapere niente. Dunque, tutti vogliono vedere il prodigio della figlia di Icario, portata in volo dal mare dalle anatre striate di rosso.
PENELOPE ~ Non sono stata portata in volo da nessuna parte. Innanzitutto perché non ho quel dono, per mia sfortuna, altrimenti avrei lasciato tutto già da tempo… le anatre mi hanno salvata… e non c’è niente di prodigioso in questo.
MELISSA ~ Muoviti non perdiamo tempo. La Magnifica vuole parlare con te.
PENELOPE ~ La Magnifica?
MELISSA ~ Sì, quella divinità che protegge tutte le nostre donne…
PENELOPE ~ Lo so chi è Magnifica!
MELISSA ~ Già, vuole sapere di questo prodigio divino, di questo figlio di Poseidone che tu hai lasciato scivolare tra le acque del padre.
PENELOPE ~ Credo di essere stata chiara: non c’è nessun prodigio, non c’è più nessun figlio, non c’è più nessuna donna, qui davanti a te che voglia parlare di quei giorni in quella specie di convento; e tu non cercare di sapere altro se non quello che già sai, è meglio non sapere come dici tu, è meglio lasciare ai ricordi il tempo necessario per sbiadirli. Se sono ancora qui, è perché in questo luogo è sepolta mia madre, se sono ancora qui è perché non voglio fare la sua fine, e cerco solo il modo di abbandonare tutto nel più breve tempo possibile e vorrei solo che tu venissi con me.
MELISSA ~ Lei può aiutarti, prova a parlarle, cerca di farle capire il tuo dolore. Ha chiesto lei di te, forse può darti una mano.
PENELOPE ~ Una mano? Una persona lontana da me, che scruta i fumi delle candele spente, una vecchia che non sa niente di quello che è stato, come può darmi una mano? Non è stato buono un padre a darmi una mano… che poi in realtà una mano me l’ha data, sì, perché in mezzo alle mie cosce quella mano fredda io la sento ancora… Se non è stata buona una madre, che si è impiccata per scappare ad una realtà troppo pesante, chi, può darmi una mano…? E non voglio supplicarla alla ricerca di qualcuno che voglia compatirmi, io voglio solo aspettare il momento e avere la forza di trovare una strada che mi porti lontano da qui e da questa terra infame che crede che ad un uomo di potere sia concesso tutto.
MELISSA ~ Lo faresti per me? Da quando sono entrata in questa casa, dopo la morte di tua madre, sono diventata la tua fedele ancella; ti ho seguita come un’ombra ho obbedito a tuo padre per allontanarlo da te nelle sue notti di demonio assatanato; ho pianto e gioito con te, ho vissuto come sorella nel tuo stesso letto; fallo per me, perché i tuoi sogni sono più veri dei miei. Io sono una schiava e la schiavitù è fimmina.
PENELOPE ~ Vado da sola, vado senza credere e vado senza sapere. Sarà lei, se ne è in grado, a farmi cambiare idea.
MELISSA ~ Ottima idea.
PENELOPE ~ Lo scopriremo quando torno.
MELISSA ~ E se venissi con te? Sto fuori dalla porta.
PENELOPE ~ La Magnifica vive in una grotta.
MELISSA ~ Allora sto molto fuori.
PENELOPE ~ Tu devi stare fuori dai miei problemi e non farti carico di un peso più grande… (La guarda, sorride) Vieni con me, ti aspetto.

Si alza una musica che apre alla scena seguente.

LA MAGNIFICA ~ ’Un ti viugnari, ’un t’ammucciari, scantu ’un n’aviri, la vita è una minzogna cu si scanta e cu si viogna[18]. Fimminazza tinta[19] veni cà!!!
MELISSA ~ È lei, La Magnifica…
PENELOPE ~ Lo so.
LA MAGNIFICA ~ Cu è? Aspetta aspetta aspetta, fimmina di Dio chi parturiste ’u figghiu soe, sangu mio di mia, chi boe[20]?
PENELOPE ~ Mi cercavi?
LA MAGNIFICA ~ Penelope, veni cà fimmina di Dio. Tutte le genti di ’sta terra ti ficiro l’altarino, haiu visto genti chi s’inginocchia pi pregare a tia, pi tia ’u capiste?? Magari passae in secondo piano. (Ride) Fimmini chi ti chiedono puru li miraculi, di fari turnari mariti, di falli divintari martiri, viri chi ran ironia di la sorti. (Ride)
PENELOPE ~ Quale ironia?
LA MAGNIFICA ~ Niente lassa stari.
PENELOPE ~ Io non volevo non ne so niente… stanno gridando ad un miracolo che miracolo non è.
LA MAGNIFICA ~ E tu devi obbedire, unca pecciò, chi si la gente ti vede dea, tu di sì ci devi dire… Assettati.

Penelope si gira verso Melissa e la fa andare.

Cuntami, cuntami lu fatto, sugnu cà, na ’sta casa sutta sfratto, eppuru mi tegno ferma na li rini[21], di cà non mi movo. Cuntami di to’ patri di ’stu mezzo omo, chi si finge re e “vicino o re beato cu c’è”… Cà vennu li fimmini senza frutto, cà chiangi la matri ’u ventri distrutto, cà i segni nall’acqua mi dicino cose, cà vennu fimmini sicche e parturiscino rose. ’Un c’è segno di viogna na chiddru chi dici, l’anima tua mi parla astura[22], eo sugnu vecchia ma n’haiu visto di tutti i culura; ’u picciriddro cu’ li corniceddri chi parturiste e chi lu mari si pigghiò era di to’ patre, ’un mi riri di no[23]; veni cà fimmina di Icario, ’un ti scantari si traso dintra di tia e mi pigghio i to’ pinzere; eu sugnu vecchia mica nascie aere! Parla! Haio l’occhi pi sentire e l’oricchie attappati; dice: “La Magnifica è suidda[24]”, sugnu suidda sì! Ma a’ viriri comu ci sento, e sento tutti dri fimmini chi vennu cà cu’ li lacrimi all’occhi. Fimmina chi abbusca, fimmina chi ’un si sente sana, amara è la pecura chi ava a’ dare la lana. I viri ’sti cattarratte una pi occhio? ’un ti vio ma saccio signali, pi signali soccu mi voli diri ’sta faccia[25]… Parla, ’un ti viugnari[26], chi lu scantu toe è nu parlare[27]. Nuddru ti giudica, nuddru ti cundanna cà, lu cori nun si scanna.
PENELOPE ~ Quando ero ragazzina ci ritrovavamo quasi per gioco, in questo tempio dove mio padre mi ha rinchiusa. Nel buio di certe stanze vuote arrivavano i maschi e nel modo più infantile ci spingevano a fare dei giochi, ci molestavano, li sentivamo addosso con i fiati pesanti di chi sa già che, alla fine, un corpo non è più un gioco ma lo sfogo penoso di chi sa fare del male… Ti turba.
LA MAGNIFICA ~ (con gli occhi rivoltati indietro) No, ’un ti sento, continua…
PENELOPE ~ Non ho mai capito perché abbiano scelto me e questo corpo, perché la vita abbia scelto me senza poi neanche supplicare il mio perdono, rimettendomi poi davanti la stessa crudele realtà… Ma ho dimenticato, sai? Ho dimenticato tutto. La mente rilegge i drammi e li cambia, ne sfigura il senso fino a renderlo sfocato, impercettibile; e il male si trasforma: non più smorfia triste e agognante, ma sofisticata rassegnazione. Magnifica, ma, Magnifica???
LA MAGNIFICA ~ La storia è assae chiù complicata, mi dici ’sta cannila astutata[28].
PENELOPE ~ Il mio dovere è tacere hai già sentito abbastanza.
LA MAGNIFICA ~ Dovere di fimmina, muta, è vero Penelope… chi vuole in cambio il tuo silenzio vuole la tua schiavitù.
PENELOPE ~ Io non sono schiava di nessuno.
LA MAGNIFICA ~ Sì, sî schiava delle tue paure.
PENELOPE ~ Che vuoi dire?
LA MAGNIFICA ~ Sî pigghiata di lu scantu.
PENELOPE ~ Ma quali scantu? Che cosa dovrei fare?
LA MAGNIFICA ~ Parlari. Rapire ’sta vucca.
PENELOPE ~ Mi prenderebbero per pazza se dicessi che è stato mio padre e qualcuno direbbe: “Meglio se Icario l’avesse gettata giù dal monte” come si usa per i figli malati o per le femmine. Vincerebbe… e io perderei ancora.
LA MAGNIFICA ~ Nooo figghia, tu hai la benevolenza divina, a tia l’anatre ti vonno bene. Penelope, ’u silenzio cancia[29] li pinzeri, qualsiasi minzogna ripetuta addiventa verità, non mentire a te stessa, ’u duluri si confessa o si geme dall’interno, tutti ciò chi succeri, succeri pi un motivo, anche lu vileno ti po’ dissitare…
PENELOPE ~ Che belle parole complimenti, ma cosa vuoi da me Magnifica? Cosa vuoi farmi capire?
LA MAGNIFICA ~ Ti n’agghire[30] Penelope, le femmine chiedono di te e io a’ pagari l’affitto. Pigghia lu mari gira a destra e poi sempri dritto.
PENELOPE ~ Ma che cosa dici, io non so dove andare… femmina, sola, senza uomo…
LA MAGNIFICA ~ E megghiu d’accussì?…
PENELOPE ~ Tu ti prendi gioco di me, io non ti capisco!
LA MAGNIFICA ~ Lo capirai, eccome se lo capirai. Pigghia lu mari Penelope, ’un ti scantari… va’. (Si spegne la luce su di lei)
MELISSA ~ (rientrata) Penelope che ti ha detto?
PENELOPE ~ Non lo so che voleva.
MELISSA ~ Tornerai da lei?
PENELOPE ~ La velocità con cui voglio andare via è pari alla voglia di non tornare più. Vaneggia, dice cose senza senso e, secondo me, non sta tanto bene con la testa.
MELISSA ~ Magnifica dice sempre la verità; è strana, sì, ma da lei ogni donna trova conforto.
PENELOPE ~ Bel conforto spingerti a ricordare, a parlare e a cercare di capire…
MELISSA ~ È una cosa negativa?
PENELOPE ~ Ho già ricordato abbastanza, la mia memoria è corta e lei ha tirato i miei pensieri, anche questa è violenza.
MELISSA ~ Di cosa ti ha parlato?
PENELOPE ~ Del mare.
MELISSA ~ Del mare?
PENELOPE ~ (bruscamente) Sì, del mare; la vedi Melissa quella nave laggiù, lontano da qui forse troverei la mia pace, lontano da un posto che mi ricorda solo cose cattive. Ma come faccio ad andare via? Bisogna saper aspettare, questo mare mi saprà indicare una strada.
MELISSA ~ A noi donne non è concesso andare, noi dobbiamo trovare la pace qui.
PENELOPE ~ Una pace che non troverò mai dunque… Tu verresti con me? (Scuote Melissa) Sei una schiava…
MELISSA ~ … Sono una schiava… la libertà non mi appartiene. (Seria, esce)

Buio. Musica.
S’illuminano le tre Parche di nuovo in un altro tempo e contesto: le nozze di Clitennestra con Agamennone, re di Micene e prossimo condottiero della guerra a Troia.

ATTÌA ~ Tutto pronto è.
CUTITALÌA ~ Quantu invitati.
RISETTO ~ Le cose si fanno in grande.
ATTÌA ~ Finalmente.
CUTITALÌA ~ L’abito di lei troppo sfarzoso.
RISETTO ~ Lui…
ATTÌA ~ … Alto biondo.
RISETTO ~ Cu’ un coippo di mascella d’accussì[31].
CUTITALÌA ~ Sguardo bovino.
ATTÌA ~ Chi ran magnetismo.
RISETTO ~ Di toro giovane.
CUTITALÌA ~ Una scelta azzeccata.
RISETTO ~ Chi ran focu tinto.
ATTÌA ~ E lei?
CUTITALÌA ~ Niente a che vedere con la sorella Elena.
RISETTO ~ Elena è bella.
ATTÌA ~ Ma la bellezza svanisce.
CUTITALÌA ~ Lei però…
ATTÌA ~ Lei però?
CUTITALÌA ~ Ha qualcosa nello sguardo.
RISETTO ~ È un t’annicchia[32] arrogante.
CUTITALÌA ~ Ha una voce bellissima.
RISETTO ~ Iddra cerca sulu i sordi[33].
ATTÌA ~ Lei cerca un riscatto.
RISETTO ~ Ti l’avia ritto chi circava li soidde…
ATTÌA ~ Stamo parlanno di nenti.
CUTITALÌA ~ È un matrimonio, no?
RISETTO ~ Chi facemo assittate?
ATTÌA ~ Sì, facemu festa, le tradizioni vanno rispettate.

L’episodio si conclude e, ancora accompagnata dalla musica, Penelope ritorna a casa dal matrimonio.

MELISSA ~ Bentornata.
PENELOPE ~ Ciò che odio di uno sposalizio è la stanchezza che si accumula durante tutta la giornata, sono così stanca che credo di essermi sposata io o forse è meglio di no, no a ripensarci è proprio meglio di no.
MELISSA ~ (sorride) È stata una festa deludente?
PENELOPE ~ No al contrario, gli invitati tra loro hanno dispensato sorrisi, abbracci, cordialità con la capacità di eludere chiunque, capisci bene che la gente allegra è bene in vista.
MELISSA ~ Be’ una descrizione niente male.
PENELOPE ~ La falsità è un bene che accomuna, che unisce, è stata una festa che ha unito.
MELISSA ~ Tua cugina?
PENELOPE ~ Felice sì, almeno cosi dice, felice di appartenere ad un uomo che…
MELISSA ~ Ad un uomo che…
PENELOPE ~ È sempre stata decisa mia cugina e ama il prestigio, il fasto…
MELISSA ~ Ad un uomo che…
PENELOPE ~ Ad un uomo rude, ad un caprone ignorante ad un uomo che guarda le donne come un oggetto.
MELISSA ~ Clitennestra sa cosa vuole, ha scelto una vita priva di stenti, ha scelto la sua libertà.
PENELOPE ~ Bella la sua libertà, proprio bella; che inganno la vita! Partecipi come spettatrice alle vicende che ti accadono: a volte sei troppo succube, a volte vittima, a volte aspetti soltanto qualcosa che ti faccia cambiare rotta o aspetti che qualcuno lo faccia per te, perché non si ha mai il coraggio o non si ha la diligenza di farlo per se stessi e per la propria volontà.
MELISSA ~ Credi che Clitennestra sia stata ferma ad aspettare che qualcosa o qualcuno scegliesse per lei? No, non credo proprio.
PENELOPE ~ Già, troppo fiera, feroce nello sguardo; lei che gli uomini li divora con quella sua forza, quel magnetismo che le appartiene da sempre, sin da piccola; eppure si concede sposa finalmente ad un uomo che ha la capacità innata di essere come un animale, o un pastore capace solo di stare dietro alle sue pecore. Perché il nostro caro Agamennone ha fama di essere un buon condottiero, almeno quello; e poi è ricco, ricco e potente e lei lì felice e austera accanto a lui, nel tempio in fiore; e la gente si compiace di portare all’altare una coppia di sposi sapendo benissimo che quegli anelli d’oro, che uniscono, sono solo l’emblema ipocrita e imbarazzante di un giorno: per fare festa e compiacersi a vicenda l’uno con gli altri.
MELISSA ~ Cosa ti turba?
PENELOPE ~ L’amore Melissa dov’è?
MELISSA ~ Si ameranno, impareranno a farlo, credi che Amore abbia sempre la meglio su una coppia che si sceglie?
PENELOPE ~ Che tristezza.

Melissa sorride.

Vorrei parlare con Amore e dirgliene quattro; meglio vivere da soli o con un cane, o soli come un cane; quanto siamo brave noi donne ad ostentare.
MELISSA ~ Dici?
PENELOPE ~ Sì, purché ci si realizzi! Non per noi, si capisce, ma per gli altri; bisogna essere capaci a farlo però: ad avere buona memoria, a ricordare come si è finto e se si è finto bene; per ingannare noi stesse, si capisce, e non gli altri. E poi non ho resistito e ho pianto.
MELISSA ~ Ti sei commossa?
PENELOPE ~ No, per la disperazione (e racconta seduta sul suo letto). Dunque, eravamo nella stanza di mia cugina e ad un certo punto si avvicinano tre donne inghirlandate, pompose ed iniziano (imitando) a gran voce a urlare: “Presto ragazze presto, le ancelle di qua, le principesse di là, là il peplo, qua le vesti”. Tre pazze scatenate, che spogliano Clitennestra e la lasciano nuda in mezzo alla stanza. Una delle tre, quella tozza con i capelli ispidi, grida: “Lavatela e asciugatela con teli caldi”. Le altre portano cibo, mangiano voracemente sono donne avide. Vedo cadere pezzetti di cibo intriso d’olio dalle loro bocche, sono unte e sporche di sugo che scola come sangue segnandogli il mento; e poi ridono: ridono e, tra i rimasugli di cibo, riesco a vedere la loro gola e sento le risate strozzate dal loro ingurgitare; e poi all’improvviso si ricompongono, fiere, tutte e tre intorno a Clitennestra, iniziano uno strano rituale magico e privo di significato.
«Mangiati ’stu pani cunzato pi la festa, mangiati ogni cosa puru chiddru ch’arresta.
Bevi l’acqua di lu puzzu a cannarozze aperte, ti lu ricemo niatri chi semu li chiù ’sperte.
Mordi di continuo ’sta fogghia d’insalata, picchi la fimmina pi l’omo nun po essiri malata.
Chissi su li to’ capiddri tagliati di picca[34], la fimmina avi a’ essiri vagnata nun po essere sicca.
E in fine… una piuma d’addrina[35], chi ti caimma li pinseri foddri… chissa è la dottrina.»
Quando ripenso a quella scena e alla faccia di mia cugina mi chiedo cosa avrà pensato in quegli istanti, e cosa il destino stava preparando per lei. E poi uno dei gemelli che avevo al mio fianco, non so se Castore o Polluce, mi disse: “Tranquilla vedrai che prima o poi ti sposerai anche tu”. E a quel punto sono scoppiata a ridere come se avesse detto una cosa buffissima e sono uscita di corsa dalla stanza.
MELISSA ~ Castore e Polluce insieme a voi nella stanza durante il rituale delle donne?
PENELOPE ~ Ah, loro due truccati sono meglio di noi.
MELISSA ~ E le altre donne non hanno detto niente?
PENELOPE ~ Loro sono dei divi per la gente e alla loro divinità viene perdonato tutto, loro sono gli artisti, sono ambigui, mutevoli, possono essere quello che vogliono e su questa cosa ci giocano.
MELISSA ~ Che fantasia.
PENELOPE ~ Sì, loro ci giocano con i pensieri fasulli e ipocriti della gente, loro volano più in alto, loro si prendono gioco della gente e fanno bene, sì, e io vorrei essere così.
MELISSA ~ Ambigua?
PENELOPE ~ No vera!

Pausa.

MELISSA ~ Elena?
PENELOPE ~ Un sogno, bella come poche, lei è la bellezza. Passeggiava alla festa come la padrona di tutti gli sguardi, come si fa a non guardarla, a non essere rapiti da lei, è il mio stesso sangue eppure mi brillano gli occhi ogni volta che la vedo… La bellezza è una virtù, Melissa, è stata creata dagli dèi per rendere schiavi gli uomini e lei li comanda tutti e anche le donne, forse perché vorrebbero essere come lei; le stanno intorno come api con il miele, o forse perché attira talmente tanti raggi di sole che aspettano che almeno uno sbagli direzione.
MELISSA ~ Non dura per sempre però, la bellezza è un inganno…
PENELOPE ~ Ingannevole Elena.
MELISSA ~ Vorresti la sua bellezza?
PENELOPE ~ No no no, ognuno ha il suo inganno dalla vita, io sono Penelope la paziente, io so aspettare, aspettare cosa poi non so: la vendetta, la rinascita, il corso degli eventi? Aspettare che cosa Melissa?
MELISSA ~ Ogni cosa ha un tempo ben preciso.
PENELOPE ~ E di preciso quanto tempo dovrà passare per dimenticare, per non vedere più gli occhi di mio padre, e tutta quella gente subdola che gli gira intorno; e dimenticare di aver partorito adolescente, di non avere una madre e di non avere un figlio; e dimenticare le mani sconosciute sul mio seno, i segni invisibili che io vedo benissimo sulla mia pelle; e dimenticare che chi ho amato mi ha tradito, ecco, ecco un altro inganno della vita: lo sguardo di chi ami quando ti tradisce; è così tenero che pensi che sia tu ad essere sbagliata. Ti è mai capitato? Ti è successo mai? Forse sono stanca. Sì, forse sono solo stanca, puoi chiudere le finestre.

Melissa le chiude ed esce nel buio.
Riaffiorano le luci, altrove e sempre nel passato.

LA MAGNIFICA ~ ’Un ti viugnari, ’un t’ammucciari, scantu ’un n’ aviri,
la vita è una minzogna cu si scanta e cu si viogna
e ’un ti n’adduni[36] chi lu tempo passa
cu ti strige e cu ti lassa
chissa è la vita e ti lu ’nzigna
chi lu foco senza ligna
nun s’addruma[37] e nun s’avvampa
chissa è la vita pi cu campa!
Fimminazza tinta veni cà!!!
Quannu eru nica, eru una picciriddra strana; dice la picciriddra è strana, sì, e chi si po fare, chi si po fare? S’ava a’ ’nchiurire pi foizza; ma chi dice? Si la foddria rumpi l’ossa, cari s’aisa[38] ’un sta ferma un minuto, una fimmina accussì cu è ca voli[39], facissi di ogni masculu un curnuto. Nesci Penelope, sugnu soidda, sì, ma ci sento benissimo; tu scuiddaste?
PENELOPE ~ Vorrei parlare con te, posso?
LA MAGNIFICA ~ Assettate.
PENELOPE ~ Come si dimentica il dolore?
LA MAGNIFICA ~ Beddra matri, accussì pigghia una trasi; chissi domandi di fare sû? ’U duluri non si scorda, ma si accorda cu’ li passaggi di la vita.
PENELOPE ~ Certi passaggi non mi sono chiari.
LA MAGNIFICA ~ Eppure accadono Penelope, ci sû, e nenti si po fare; e ora chi ci sû, ci poi ricamare. Dici chi sì brava a cusire, ricamaci supra: facci un disegno, trasi l’ago na la tela; ferma è la nave senza vela, cusi, strigi, tagghia i punti na ’sta strata[40] tu ci spunti.
PENELOPE ~ Una strada che ho paura a percorrere e una strada che ho percorso senza il mio volere, sono a metà dell’opera; ricamare, sì, una bella metafora. Ho chiesto al tempo di esaudire i miei desideri, in cambio ho promesso che saprò aspettare.
LA MAGNIFICA ~ Ma quale aspettare, Penelope, ’u tempo nun t’aspetta passano l’anni e vannu puru di fretta; ti lu ricu io, chi sugnu ormai vecchia cu’ li minni caruti[41] e li capiddri bianchi. Assitatta na ’sta seggia, ferma na ’sti cianchi[42]
PENELOPE ~ Lo diceva anche mia madre.
LA MAGNIFICA ~ … Chi avia li minni caruti e li capiddri bianchi?
PENELOPE ~ No, che il tempo non ti aspetta. Intanto, l’unica cosa che mi regala un po’ di pace è che più passa il tempo e più vedo piccolo mio padre. Ai miei occhi il re non ha potere; adesso che sono una donna vedo che sulle sue spalle grava il peso di un bagaglio più pesante del mio. E a volte, toccandomi il ventre, penso se in questo scrigno possa un giorno crescere per volontà dell’amore una creatura, mia: mia e dell’uomo che vorrà donarsi a me.
LA MAGNIFICA ~ Donarsi, bella ’sta parola, chi dona si perdona… Perdonare, donare a qualcuno ma soprattutto a se stessi.
PENELOPE ~ Chi ha conosciuto la violenza, vorrebbe solo difendersi da tutto e tutti, più che perdonare.
LA MAGNIFICA ~ La colpa di tuo padre non ha rimorso, la cattiveria lo mangerà dritto nell’osso… della sua coscienza…
PENELOPE ~ C’è una punizione che lo attende?
LA MAGNIFICA ~ Lu re tutto si difenne e ammuccia lu passato; chiddru chi t’aspetta è l’odio assatanato di un omo chi si sintia ’mpoittante, di un omo chi la rabbia si lu pigghia, di un omo chi di fimmini ni putìa aviri tante ma fici del male sulo a so’ figghia.
PENELOPE ~ Io non ho conosciuto né un padre né un uomo, ma una menzogna e la rabbia che ho qui dentro al mio petto.
LA MAGNIFICA ~ Che in egual misura ti porta rispetto, ma lascia andare la rabbia che di forme ni piglia tante; ciò che è stato è stato, ora sulu tu sei importante… Quannu eru nica, eru una picciriddra strana; dice la picciriddra è strana, sì, e chi si po fare, chi si po fare? Chi si po fare? S’ava ’nchiurire pi foizza! Ma chi dice? Si la foddria rumpi l’ossa, cari s’aisa ’un sta ferma un minuto, una fimmina accussì cu è ca voli, facissi di ogni masculu un curnuto.
PENELOPE ~ Magnifica?
LA MAGNIFICA ~ Quannu eru nica…
PENELOPE ~ Eri una bambina strana, ho capito (spazientita).
LA MAGNIFICA ~ No, (perentoria) ’un capisti nenti, quannu ero nica, io vulìa sapiri, vulìa imparari, vulìa spirimentari, e mi ingegnavo, avia a’ biriri comu mi ingegnavo, e poi iucavu cu’ li masculi picchì sulu iddri putiano stari pi strata a iucari e ci arrubbavo l’armi, c’arrubbavo lu mestiere, io ci tinia testa. La gente pinzao bene chi pi farimi caimmari[43] m’aviano a’ ’nchiurire. Un ghiorno tri signure mi pigghiarunu pi capiddri: “Fimminazza tinta veni cà!!!” e m’ascipparo di la ventri di me matri. “To figghia è testa foddri, e chi si po fare, chi si po fare? Chi si po fare? Dintra lu tempio cu’ li foddri s’ava a’ stare.” Io ci cunfunnia li pinseri a tutti, io parlava, io cumannava, già di picciriddra, penza soccu avia addivintare di ranne, una fimminazza tinta.
PENELOPE ~ Ma perché è così facile per noi donne essere rinchiuse dentro quattro mura?
LA MAGNIFICA ~ Eh no! Stacci attenta Penelope: si po essiri n’chiusi puro all’apetto, cu avi pesanti ’u curi, ci scoppia dintra ’u petto. Lu sai picchì canusciu accussì bene l’animo di li fimmini?
PENELOPE ~ No.
LA MAGNIFICA ~ Picchì dintra lu tempio n’chiusa pi vent’anni canuscie altrettanto fimmini chini di malanni. Mi passavano davanti e mi cuntavano la storia. Nuddra era pazza e tutte aviano bona memoria. Pi vent’anni a una a una le ho sentite parlare tutte di sfuittuna, fino a quannu – pinzannu e ripinzannu – scacciata nall’onore mi ripigghiae di botto: canuscie l’amore.
PENELOPE ~ In un posto maledetto come quello?
LA MAGNIFICA ~ L’amore in qualunque posto si presenta; era uno schiavo che ci portava da mangiare, mi aprì un giorno la porta e iniziammo a scappare. “Fimminazza tinta veni cà!!!” “Curri curri un ti girare” mi ricia, ma nenti si sa chi nenti si fa; ni vinniro r’appesso pi ghiorna interi, chi a curriri mi faciano mali puru li peri. E poi all’improvviso una grotta, lassannu i cundanni e canciannumi i pinzeri, nasciu “La Magnifica”[44] e finalmente ripusaruni li peri.
PENELOPE ~ A volte stento a crederti e a volte penso che tu abbia vissuto veramente le storie di tutte, e che ogni tua ruga è segno di un dolore, che hai visto o hai vissuto, ma penso che ognuno è padrone delle proprie sofferenze e le deve tramutare in riscatto altrimenti marciscono dall’interno e si muore lentamente, come ha fatto mia madre e come avranno fatto tutte quelle donne in quel tempio dove ti hanno rinchiusa. Che ci sia una strada è d’obbligo per tutti; non voglio più soffrire, voglio che questo si avveri… Che cosa mi consigli di fare?
LA MAGNIFICA ~ La vita ha le sue leggi… Leggi… chi ’un ci viu[45]… (Le porge un foglio)
PENELOPE ~ (legge) “Senti lu vento chi arriva di ponente, verrai amata da molta molta gente, vai tranquilla e ’un ti scantari chi na tutti i maliguai c’e sempi lu mari!” Cosa vuol dire?
LA MAGNIFICA ~ ’Un ti viugnari…
PENELOPE ~ Magnifica…
LA MAGNIFICA ~ (la caccia) ’Un ti viugnari, ’un t’ammucciari, scantu ’un n’aviri,
la vita è una minzogna cu si scanta e cu si viogna
e ’un ti n’adduni chi lu tempo passa
cu ti strige e cu ti lassa
chissa è la vita e ti lu ’nzigna
chi lu foco senza ligna
nun s’addruma e nun s’avvampa
chissa è la vita pi cu campa!
Fimminazza tinta veni cà!!!

Stacco. Ritorno a casa dall’ancella.

MELISSA ~ Trovando un letto vuoto ho pensato alla fuga, ma come dici tu non è ancora il tempo.
PENELOPE ~ Sono stata dalla Magnifica.
MELISSA ~ Non era “tempo perso”?
PENELOPE ~ C’è qualcosa nelle sue parole che mi rincuora.
MELISSA ~ Lei sa già tutto di te.
PENELOPE ~ E vorrei che me lo dicesse allora.
MELISSA ~ Troppo facile.
PENELOPE ~ Già, sarebbe più facile se ognuno sapesse tutto della propria vita, avremmo evitato i dolori, le menzogne i pianti, ma la vita ha le sue leggi… Leggi… (Le porge il foglio ricevuto poc’anzi)

Melissa la guarda strana.

Leggo io… “Senti lu vento chi arriva di ponente, verrai amata da molta molta gente, vai tranquilla e ’un ti scantari chi na tutti i maliguai c’e sempi lu mari”… Cosa vuole dire secondo te?
MELISSA ~ Non so, ma mi fido della Magnifica a suo tempo tutto sarà chiaro.
PENELOPE ~ La vita è un’incognita, eppure sembra che per certi versi tutto appare più chiaro di quanto possiamo pensare. Perché mi cercavi?
MELISSA ~ Stamattina tuo padre era pallido.
PENELOPE ~ Mai tanto pallido come quando seppe di quel figlio/nipote che aveva fretta di nascondere. È arrivata la sua ora per caso?
MELISSA ~ No, la vendetta non porta altro che rancore e il rancore divora i sensi.
PENELOPE ~ La vendetta è femmina e circola come siero iniettato nelle vene, niente si può fare. A volte è mansueta la vendetta, a volte paziente: così paziente che il tempo la scambia per rassegnazione. Ma una cosa purtroppo è certa, nonostante tutto ti stringe il cuore ma non ti mette fretta. Continua ti ascolto.
MELISSA ~ Ero nella stanza quando un uomo, un principe di un’isola ricca, ricca di sole, di limoni, fece una proposta al re, un accordo in affari: un uomo valoroso al comando, in cambio di una sposa.
PENELOPE ~ Elena di sicuro.
MELISSA ~ Dissero anche che ad accompagnare quest’uomo ci saranno diversi stranieri. E se ci fosse un uomo adatto a te? Che possa farti battere il cuore, che sciolga quella ostilità che ti pone così lontana dal mondo maschile, se finalmente aprendo gli occhi sulla bellezza di un sentimento vero tu possa dimenticare?
PENELOPE ~ Come parli bene, magia delle api che hanno punto le tue labbra, dolce amica. Ma non è così: primo perché mio padre non lo permetterà mai, preferirebbe morire pur di non lasciarmi andare; e poi se mai dovessi partire non sarà con un re, ché di uomini potenti ne ho la nausea al solo pensiero. Menefreghisti, ingannevoli, bugiardi e pieni di sé.
MELISSA ~ Domani verranno qui a parlare con tuo padre e con re Tindareo a decidere sul da farsi, domani ci sarà una sposa in dono.
PENELOPE ~ In dono? Cos’è un regalo? Chi l’ha scelto, chi ha scelto?
MELISSA ~ Forse hai ragione sarà Elena e sarà contenta.

E al levarsi di una musica, si è condotti all’epoca di un primo e fatale incontro…

ATTÌA ~ Ca c’è scruscio d’innamoramento.
CUTITALÌA ~ Vero?
RISETTO ~ Dicino.
CUTITALÌA ~ Chi dicino?
RISETTO ~ Dicino chi arrivao.
ATTÌA ~ Cu è c’arrivao.
CUTITALÌA ~ Ulisse si chiama.
RISETTO ~ Cu risse?
CUTITALÌA ~ La gente.
ATTÌA ~ Chi arrivao?
CUTITALÌA ~ Cu è?
ATTÌA ~ Uno straniero.
RISETTO ~ Beddru?
ATTÌA ~ E comu ’un t’annoia…
RISETTO ~ Mi sentu sula.
CUTITALÌA ~ Ha fama di piacere.
RISETTO ~ Piacere…
ATTÌA ~ … agli dèi.
RISETTO ~ Ah, ecco.
CUTITALÌA ~ Dice chi li gemelli appena lu vittiro…
RISETTO ~ Eh certo, subito ci brillarono l’occhi.
CUTITALÌA ~ Dici chi li gemelli appena lu vittiro…
RISETTO ~ Subito mancu tempo d’arrivare ci rettiro?
CUTITALÌA ~ Dici chi li gemelli appena lu vittiro…
ATTÌA ~ Chi ficiro i gemelli, chi ficiro? Tri ure, ti talìa ’un ti talìa ’u vitti ’u ’nu vitte? ’a gente, ’un mi rire nenti, camurria!
CUTITALÌA ~ Si lu purtarono na stanza di Penelope pi fariccillo accanuscire e drà[46] a Icario ci vinne ’a botta.
ATTÌA ~ Beddra matri.
RISETTO ~ Chi ran foco tinto, Ulisse.
CUTITALÌA ~ Sì, ciù risse.
ATTÌA ~ Icario non lo permetterà mai.

Guardandosi tutte e tre, insieme: «Maaaaai».
Buio.
Al riaccendersi delle luci Penelope, con Melissa vicina, sta preparando una valigia.

MELISSA ~ Cosa dicono questi occhi?
PENELOPE ~ Ieri io ho visto in quelli di mio padre la rabbia, tanta rabbia, l’ira tremenda; lo farà uccidere ho pensato, come fa con tutta la gente che mi vuole bene; mi odia cosi tanto! Ecco l’amore spaventoso di mio padre, perché in fondo che sentimento dovrebbe provare un padre per una figlia, solo che il suo è spaventoso, infernale e che non lascia tregua.
MELISSA ~ Tregua, sì, ci vuole una tregua; hai aspettato così tanto e poi ecco qui: un uomo che ti fa battere il cuore.
PENELOPE ~ Quando mio Padre mi ha visto con Ulisse, ho percepito la vendetta, la mia vendetta: quella del bambino lasciato tra le acque, quella di mia madre. Tutto ciò che il mare prende te lo restituisce, paziente come il tempo. Andrò via con Ulisse, nella sua isola, ecco la profezia della Magnifica, ecco il mare di cui mi parlava. E già li sento, mio zio Tindareo e gli altri: “Da quando in qua la sposa va a vivere nella casa dello sposo? Tu stravolgi le tradizioni”. Grideranno allo scandalo, quando la cosa più scandalosa è averli sopportati per così lungo tempo in un luogo di potere, diviso fra uomini incapaci di comandare se stessi. Va’ da lui.
MELISSA ~ Da Ulisse?
PENELOPE ~ Sì, digli che io fuggirò con lui quando vorrà. Domani sarà una nuova alba, va’, un’alba che ha il sapore della paura sulla mia bocca.

Sul fondo compaiono Castore e Polluce.

CASTORE ~ Ca c’è scruscio di matrimonio.
POLLUCE ~ Mi devo comprare una veste nuova.
CASTORE ~ Ca c’è scruscio di fuitina.
POLLUCE ~ ’Sta valigia mi fa pinzare chi si paitte…
CASTORE ~ … E la partenza è fimmina.
PENELOPE ~ I miei gemelli, i miei cugini bellissimi, miei sguardi felici al di là del banale.
POLLUCE ~ Le tue guance rosse sono.
CASTORE ~ Vedo vedo vedo in questi occhi…
PENELOPE ~ Sì, si vede tutto in questi occhi? Vedi anche Ulisse?
CASTORE ~ E sento anche che ti batte il cuore.
POLLUCE ~ Io quannu lu vitti mi stavia facennu venere un infarto.
CASTORE ~ Si raccontano cose ‘strane’ su di lui.
POLLUCE ~ E tutte molto interessanti.
CASTORE ~ Sarai la regina di un regno.
POLLUCE ~ Regina, al pari di una dea.
CASTORE ~ Ma parlaci, parlaci di questo Ulisse.
POLLUCE ~ Che al tuo cuore è stato molesto.
PENELOPE ~ Quando siete entrati nella stanza ieri insieme ad Agamennone e a mio padre, ecco, all’improvviso – dietro l’ombra di Icario – ho incrociato il suo sguardo, quasi timido, capite, timido. Di un uomo che guarda una donna con una dolcezza femminea, e ti puoi sentire al sicuro come tra le braccia di una madre. E lui non mi teme, non teme la figlia del re. Ho mandato Melissa a dirgli di aspettarmi prima di andare, io partirò con lui. Sarò sua sposa.
CASTORE ~ Ma… viri chi ’stu Ulisse è ’sperto, glielo vedo nello sguardo.
POLLUCE ~ Tu, bella vispa, non ti lasciare abbindolare.
CASTORE ~ Che uomini di questo genere sanno come fare.
POLLUCE ~ Omini, ama a virire[47].
CASTORE ~ Certo, perché nulla puoi tralasciare.
POLLUCE ~ Nulla sarà per caso.
CASTORE ~ Non dimenticare la passione.
POLLUCE ~ Ciò che tiene sveglio il cuore.
CASTORE ~ E mi raccomando che sia ardore.
POLLUCE ~ Cu s’addumisce fa sogni strani.
CASTORE ~ L’amore unisce due corpi, due esseri umani.
CASTORE ~ Ti meriti di solcare il mare.
POLLUCE ~ Ti meriti un uomo che sia capace come le anatre di portarti in volo.
CASTORE ~ Ma se per un attimo, un attimo solo…
POLLUCE ~ … o per qualsiasi suo comportamento…
CASTORE ~ … tu capissi che è un inganno…
POLLUCE ~ … segui la scia del vento.
CASTORE ~ Sia levante, maestrale o ponente.
POLLUCE ~ L’amore è una conquista, è cieco, sì, ma ci sente.
PENELOPE ~ Non temete nulla. Presto su quell’isola solo lo scirocco mi accarezzerà il viso. (Esce)
CASTORE ~ Sii felice di questo amore, forte…
POLLUCE ~ … ma improvviso.

 

 

Secondo atto

 

RISETTO ~ Chi disse Penelope?
ATTÌA ~ Dice che dobbiamo cusire e scusire una tela.
CUTITALÌA ~ Ma chi senso ha?
ATTÌA ~ ’A regina dici d’accussì e accussì ama a’ fare.
RISETTO ~ Cusi e scusi, cusi e scusi… Amunì, chi ci vole?[48]
CUTITALÌA ~ Sì, ma ’un ti risse picchì?
ATTÌA ~ Dice che non lo dobbiamo dire a nessuno.
RISETTO ~ A “Nessuno”… (Ammiccando scherzosa al nome che, nel mito, Ulisse si dà per ingannare il ciclope Polifemo)
CUTITALÌA ~ A cue?
RISETTO ~ (c.s.) A “Nessuno”…
CUTITALÌA ~ … Ah, ho capito!
ATTÌA ~ Siti du cretine, la cosa è seria. Questo è uno stratagemma.
CUTITALÌA ~ Chi disse?
RISETTO ~ Dice che nella strata c’è una gemma…
CUTITALÌA ~ Ah, allura ’a cosa è seria.
ATTÌA ~ Dice che questo sarà il sudario funebre di Laerte.
RISETTO ~ Beddra matri mia, ’un putia essere una cosa chiù allegra?
CUTITALÌA ~ Chinni saccio… una copertina pi Telemaco fighiuzzu beddro?
ATTÌA ~ No!
RISETTO ~ No!
ATTÌA ~ Deve essere cosi perché, per rispetto, tutti i pretendenti che sono qui per la Regina aspetteranno la fine della tela, e lei appena avrà finito la tela sceglierà il suo futuro sposo.
RISETTO ~ Ma si cusemo e scusemo, quannu sceglie?
ATTÌA ~ Appunto, serve per prendere tempo.
CUTITALÌA ~ Sevve pi peddiri tempo, va’.
RISETTO ~ Almeno appena finiscio posso scegliere anche io un pretentente?
ATTÌA ~ Forza amunì, moviti.
RISETTO ~ Cusi e scusi, cusi e scusi, mi sta prendendo la mano.
CUTITALÌA ~ A mia già m’annuiao.
RISETTO ~ Dai, però, bello è: mi sto appassionando. Cusi e scusi, cusi e scusi…
CUTITALÌA ~ Ma si ghieo ’un n’appizzato mancu un buttuni na vita mia.
ATTÌA ~ Ti voi moviri, finiscila!
RISETTO ~ Amunì, dai, chi ci voli, ma poi chi ti pare, quanto po durare tutta ’sta cusuta… vint’anni? (Ride e scende il buio)

Al tornar della luce.

PENELOPE ~ Euriclea.
EURICLEA ~ Già sveglia?
PENELOPE ~ Ho fatto brutti sogni.
EURICLEA ~ Eh figghia mia, cu ti cutulìa?[49]
PENELOPE ~ L’ho visto.
EURICLEA ~ Dunni?
PENELOPE ~ In mezzo a tanti fimmine.
EURICLEA ~ Fimmine? Unni sû?
PENELOPE ~ Nei miei sogni, che lo servono, che lo toccano; e poi c’è lei, lei che sa della mia esistenza ma lo vuole tutto per sé, come un premio; e sa di nostro figlio, ma lui sembra aver dimenticato tutto: figlio, moglie, ed è felice. La sua leggerezza mi ferisce: sorride, morde la spalla di lei, l’abbraccia, i suoi occhi sono vivi ma non sono io a guardarlo, e lei lo vuole per una notte, è lei che decide e lui cede.
EURICLEA ~ Minni e culo fannu scurdare tutto, sempi masculo è, chissa è cosa di fatto. Ma tu, ti sonni li penzeri chi hai, sunnu li preoccupazioni a fariti viriri ’sti cosi.
PENELOPE ~ Sogni? Che mente diabolica ha la donna allora? Soprattutto quella tradita; la mente realizza, si apre, intuisce e vede chiaramente ciò che fa male al cuore; quanto possiamo sopportare? Quanto può perdonare una donna?
EURICLEA ~ Aaaah figghia mia! Io di masculi, quannu ero giovani, n’appi a mai finire; ma legata mai, mai a nessuno; di lu scotto mi ni pigghiae sulu uno e l’haio ravanti l’occhi tutti li giorni di la me vita.
PENELOPE ~ Tutti i giorni? Lavora qui? È uno schiavo? Euriclea io ti posso aiutare?
EURICLEA ~ Aiutare? Noooo e cu lu voli chiù, ca vicchiaia scangarao[50] puro, ci manca sulu chi c’ha cummattere io; e poi la fimmina chi ci sta vicina mi retti la libertà di travagghiari cà, e svezzae Ulissi comu figghiu meo.
PENELOPE ~ Laerte?
EURICLEA ~ E ci retti a sucari di ’sta minna e mi ni priava[51].
PENELOPE ~ Laerte?
EURICLEA ~ E poi lu vitti omo in mezzo a ’sti re, fino a che addivintao patri, marito e signuri di ’sta isula chi ora è puru tua. Lassali stari li sogni, quannu mai na la vita lu tradimento rumpi un matrimonio? Li figghi saivvano sempi tutto…
PENELOPE ~ Laerte?
EURICLEA ~ (le fa cenno di tacere) Li figghi si fannu puru pi chisso…
PENELOPE ~ Due volte schiava, dell’uomo e della tua condizione di donna.
EURICLEA ~ Ma quannu mai, io a’ fatto sempi tutto chiddru ca vulutu; talia cà cu c’è megghiu di mia? Mangiu, vivo in una reggia, cumannu a tutti, allattu figghi ma ’un n’haio ’u pinzeri di aviri figghi, ’un n’haio soiddi ma sugnu ricca; senti a mia, la notti è fatta pi scurdari, pi chiuriri l’occhi e nun pinzari. Lassali passari li malu pinzeri e quannu agghiorna taliati nu specchio e penza chi sî matri, mugghieri e signura di ’st’isula…
PENELOPE ~ Davvero pensi questo? Davvero pensi di coprirlo così? Da quando sono entrata in questa casa, mi avete sempre vista come una donna minacciosa vicino al vostro figlio masculo, per te e per mia suocera; lei poi lasciamo stare, le uniche cose che sono riuscita mai a dirle sono “sì”, “no” e “so tessere la tela”; non parla con me la signora, pensa che io le abbia rubato il cuore del figlio; ma sai qual è la verità? Eh? La verità è che la colpa è di noi donne, di come li cresciamo ’sti masculi, dovrebbero imparare a rispettarle queste donne sin da piccoli e non a considerarsi già grandi davanti a noi; la colpa è delle madri, che li proteggono e li coprono come tu copri Ulisse, come tu copri Laerte, non capisci che non finirà mai se non impariamo anche a perderli… Telemaco vuole partire, e io lo lascio fare, non sarò sottomessa al suo volere, che vada pure…
EURICLEA ~ Parte? Ma dunni va? Ora mi sente, ci fazzu ’a viriri, ci rugnu du’ buffazzuna[52] altro che lasciarlo partire…
PENELOPE ~ Lascialo andare, vuole trovare suo padre; se non ha rispetto per la propria madre, non avrà mai rispetto nemmeno per se stesso; crede forse che in questa situazione io stia bene; li sento ogni notte fino a tardi, sento i loro commenti su di me, li sento come cani rabbiosi alla porta; e cosa fa mio figlio? Va alla ricerca di suo padre, che magari gli avrà già regalato un fratello da qualche parte. È inutile che mi guardi così, se non ti va bene quello che dico puoi anche uscire.
EURICLEA ~ ’U sai succu mi dicia sempi me matri: chi una matri po’ campari centu figghi ma centu figghi ’un ponnu campari una matri, una madre può crescere cento figli ma cento figli non sapranno stare vicino ad una madre. Ma cu ci pensa a ’sti cosi. Ti ricordi quannu era nico chi gioia, appena riria mi sintia scoppiare ’u cori, beddru beddru comu lu suli.
PENELOPE ~ Attaccato a te e a me, le sue mamme. Ti ricordi la ninna nanna che gli cantavo per farlo addormentare?
EURICLEA ~ No picchì m’addummiscia prima io.
PENELOPE ~ (canta) “Ninna nanna sette venti”…

Parte una musica.

E ti ricordi quando ha iniziato a camminare? Ci scappava a destra e a sinistra e si nascondeva sempre e perdevamo intere giornate a cercarlo (incomincia a cercarlo e a chiamarlo). Ti ricordi Euriclea?

Il volume della musica aumenta.

EURICLEA ~ Pi favuri mi scattava ’u cori. (Anche lei chiama Telemaco)

Cercano insieme il ragazzo, corrono, ridono e continuano a cercarlo finché, stanche, Euriclea si butta sul letto mentre Penelope s’inginocchia in proscenio e ricomincia la ninna ninna sulla musica fattasi lenta.

PENELOPE ~ Va’ da lui.
EURICLEA ~ (con fatica) Ah, sì, ora ci ni rico quattro.
PENELOPE ~ No, va’ da lui fagli preparare una barca, sii amorevole come sempre; il suo cuore deve essere leggero e la sua partenza quieta, capirà da solo al ritorno quanto sarà stato importante il suo viaggio.

Euriclea la guarda strana.

PENELOPE ~ Va’. (Si avvicina allo specchio e fa scivolare la propria veste. Canticchia) “Ninna nanna sonnu e venti, ca lu figghio aspetta e senti”… C’è un posto dove il cuore trova pace? Quando sono arrivata in quest’isola pensavo di aver cambiato la mia vita, di aver trovato una casa, di aver finalmente deciso per me, è stato un approdo felice, un concedermi a te mio signore Ulisse. Che inganno l’amore, che invano cerca di correggere gli sbagli, ma come si fa ad accettarli. L’amore non può permettere questo, io non posso permettermi questo, è questa smania di voler per forza appartenere a qualcuno che ci rende fragili, questa voglia di costruire qualcosa; e se poi il vento porta via tutto? Come un castello di sabbia, quale altra bugia ci racconteremo, quale mistero mi lega ancora a te, non è un figlio che può impedire questo, lui sarà tuo e sarà mio per sempre, è questa paura di non saperti più qui? Eppure non ci sei già da tempo, ci unisce la volontà di esserci, e io sto sopravvivendo a me, alla tua assenza, alle mie notti, ai miei sogni visionari… e a te lontano da questo corpo, io sempre più sola…

«Cà veni cà Telemaco, curri, che è scuro e lu scuro agghiutti li pinzeri e poi non ti trovo più. Cà veni cà Telemaco, lassa stare, cangiati che è tardo, ’un n’iucare cu’ tempo, lu tempo nun t’aspetta, fa finta, lu tempo arrubba, arruba lu tempo, ioca cu’ mia, ioca cu’ to’ matri, cà Telemaco veni cà!»

… Quando sono arrivata in quest’isola, credevo di aver trovato tutto, la forza in uno sguardo amorevole, le tue carezze, l’amore che si fa tra le lenzuola come tra complici amanti, e ho riposto in te le mie speranze e ho risposto alle mie attese e ti ho seguito in ogni tua avventura. Ho conosciuto l’essenza ed era con te che volevo ripartire per dimenticare e per guardare, oltre il sogno, una realtà bellissima. Quanto mi hai ripagato delle mie attese. E quanto amore ha conosciuto questo letto. E a questo corpo, adesso, che non si sente più un corpo? Che voglia di donarsi… È un involucro questo corpo, asciutto, privo di sensazioni. E adesso non concedersi e aspettare è solo un modo per farsi male, e rinnegare la propria femminilità; e sono solo seni e sono solo mani vuote, e sono solo cosce strette, chiuse. La mente geme e non teme più il pudore perché una donna deve sentirsi tale sempre, altrimenti diventa secca come un ramo da estirpare. E a che serve essere paziente se per quasi vent’anni questo corpo è stato paziente; e immagino adesso che cosa si possa provare ad essere ancora per qualcuno carne viva, se alla fine questo corpo non è più nemmeno mio.

Intermezzo delle Parche.

ATTÌA ~ Dice…
CUTITALÌA ~ Cu è cu rice?
RISETTO ~ La gente cu è cu rice?
ATTÌA ~ Che Telemaco partìo.
CUTITALÌA ~ Dunni io, dunni io?
RISETTO ~ A ciccare a so’ patri.
ATTÌA ~ ’Stu figghio gira pi perdisi, so’ patri nun lu trova.
CUTITALÌA ~ N’ca certo, chiddru astura va pi burdelli.
RISETTO ~ Fimmini a destra e fimmini a sinistra, minni, cula e sticchio e quasetti i sita[53].
ATTÌA ~ Dice che c’è una maga che lo tiene fermo.
CUTITALÌA ~ Ma quali maga.
RISETTO ~ Ogni fimmina è maga.
CUTITALÌA ~ E ogni fimmina si voli tenire l’omo fermo.
ATTÌA ~ E Penelope?
RISETTO ~ Cu’ tutti ’sti beddri omini chi aspettano eo un pensiero mu facisse, chi dici ci provo io?
CUTITALÌA ~ Attìa aspettano…
ATTÌA ~ A mia?
CUTITALÌA ~ A iddra, no attìa[54]… Voi mettire stare su un’isola china china di fimmini chi t’allisciano, unico uomo, sole mare, cavalcate, cosce allegre, quale uomo dicissi di no, no?
ATTÌA ~ E lei aspetta paziente.
RISETTO ~ Cusi e scusi, cusi e scusi… Aspe’ mi cunfusi, nenti ’stu punto a croce non mi viene…
CUTITALÌA ~ E lei aspetta paziente?
ATTÌA ~ Te lo spiego?
CUTITALÌA ~ Ma chi sta aspittanno?
RISETTO ~ Cusi e scusi, cusi e scusi, sula senza figghio, senza marito.
CUTITALÌA ~ Cusi e scusi, cusi e scusi… Aspe’ mi cunfusi.
ATTÌA ~ Aspetta…

Si chiude l’intermezzo.

EURICLEA ~ Chi ran casino tinto… Ma quanto ancora ava a’ durare, ma tutti ’sti masculi ancora ca sannu a stare? Chi, piccarità!, tuttu ’stu ormone di masculo taurino mi crea un certo sconquasso e accaldamento, ma comu si fa a staricci d’appresso… pisciano, mangiano, roimmino[55], si scannano: ma pozzu stari tutti li iorna a puliziare? E chi camurria! Chi poi voglio dire ancora piacente sono… potrei fare ben altro… L’amore? Ma quale amore, ma ancora si criri a ’sta minchiata dill’amore. L’amore è un’invenzione pi farini schiavi, la vita è bella e una s’ava addivettire finché può… “Giovanotto… la vuole vedere una cosa bella”…
PENELOPE ~ Euriclea?
EURICLEA ~ Penelope, coippo di sangu, accussì si more…
PENELOPE ~ Notizie di Telemaco?
EURICLEA ~ No.
PENELOPE ~ Notizie di Ulisse nemmeno a pensarle…
EURICLEA ~ Ehm, no.
PENELOPE ~ Euriclea?
EURICLEA ~ Chi fu?
PENELOPE ~ Hai mai aspettato una cosa così tanto che credevi fosse tua e alla fine invece non lo è? Saper aspettare è un dono; riuscire a far scorrere la propria vita con la consapevolezza dell’attesa, di qualcuno o di qualcosa, è un inganno; e quanta fiducia c’è in questo attendere, ma quando questa fiducia finisce l’atteso è sempre più lontano.
EURICLEA ~ Ci voli ’a pacenza da fimmina pi fari crisciri lu masculo, la fimmina si sa è chiù matura, l’omo pi discendenza avi sempi la smania di superarisi, di superari a se stesso. La vita è chissa: si aspettano i momenti boni, si aspettano chi passano i momenti tinti, si aspetta… Aspetta, tornerà, assicuterà a tutti ’sti masculi drocu fora chi parino arraggiati[56] e tutto continuerà comu a prima… tutto qua…
PENELOPE ~ Aspettare significa stare fermi, se stai ferma la vita ti passa veloce e non resta che un ricordo di ciò che non è mai stato. Lo capisci?
EURICLEA ~ Eh certo cu capiscio.
PENELOPE ~ Volevo solo essere felice.
EURICLEA ~ La felicità sta nell’altra riva e non arriva mai.
PENELOPE ~ E se prendessi una barca e provassi a raggiungerla quella riva?
EURICLEA ~ Senti tu chi ti sonni, cristiani, fimmini e maghi intorno a Ulisse, ’u sae soccu mi sogno io, sempre, ricorrente cà na me testa, ’u sae?
PENELOPE ~ No.
EURICLEA ~ Di anniare, di morire affogata, di sprofondare giù, di essere risucchiata da questo mare che tu vedi come una fuga. Si tinni voi ire vattini, c’è nella vita chi si accontenta e ghieo sugnu cà e cà vogghiu stare. Lu mari non è uguali pi tutti, cu ci viri la vita e cu ci viri la morti.
PENELOPE ~ Dovremmo imparare ad essere come le onde in continuo movimento (si avvicina amorevole alla donna) e a sfidarlo questo mare, perché solo lasciando andare la zavorra e il peso che ti lega al passato si possono issare le vele.
EURICLEA ~ Figghia tu la luna vuoi… e a niatri fimmini mancu li stiddri n’attoccano[57]… veni cà ca ti cuntu la nuvena di ’stu munnu di cu è chi nata e di cu è chi va a funnu.
Niatri fimmine petri semo, picchì quannu ni etti a mari culamu a picco? No.
Picchì pisamo? No. Picchi un semo nenti, petri senza valuri? No.
Picchì ni pisano i pinzeri, picchi pesanti su i responsabbilità chi n’attoccano, nascemo accussì, petri pronte pi esseri costruzione, pi esseri chiantate n’terra a edificari famigghie, e l’omini su coccia r’acqua supra ’sti petri roventi[58], ’un ti fari astutare, pigghia ’sti petri e pisali, ’un ti fari anniare na ’stu mari di pinseri. Rapiti l’occhi cogghini ’u senso.
PENELOPE ~ Grazie. (L’abbraccia ed esce)

Altro intermezzo.

ATTÌA ~ Vinni!
RISETTO ~ Cu è chi vinni?
CUTITALÌA ~ Stamatina
RISETTO ~ Cu vinni?
ATTÌA ~ Odisseo.
RISETTO ~ Cu è?
ATTÌA ~ Ulisse.
CUTITALÌA ~ Cu tu risse?
RISETTO ~ La gente.
ATTÌA ~ Stamatina arrivao, scavato e sicco comu n’anciddra.
RISETTO ~ Dicino chi puzzava di piscio.
CUTITALÌA ~ ’Un c’è chiù nenti di cogghire.
ATTÌA ~ Lassaci ’u tempo d’assistimarisi.
CUTITALÌA ~ Camina ma ’un ti talìa.
ATTÌA ~ Arrivao il re.
RISETTO ~ Chi ran faccia r’anciova.
CUTITALÌA ~ Ci cangiao l’espressione di l’occhi.
ATTÌA ~ È nivuro come la pici.
CUTITALÌA ~ E Iddra?
RISETTO ~ Tutta nervosa era.
CUTITALÌA ~ Dici?
RISETTO ~ Cu tu rici?
CUTITALÌA ~ La gente.
ATTÌA ~ Avia lu vilenu nall’occhi.
RISETTO ~ Cangiao di culuri na faccia.
CUTITALÌA ~ Aspettava chisso.
ATTÌA ~ Che lui tornasse.
CUTITALÌA ~ S’arricampao.
RISETTO ~ E ora comu finisce.
CUTITALÌA ~ Iddra sempre femmina è.
RISETTO ~ Iddra sempre femmina è.
ATTÌA ~ E lu masculu si sa di queste cose si fa ragione.

Lo salutano tutte e tre: «Bentornato Odisseo».

Non credevamo più di rivederti.
CUTITALÌA ~ E come facevi a scordarti di questa terra?
RISETTO ~ Quando in questa terra nasci o in questa terra cresci.
ATTÌA ~ Questa terra è tua.
CUTITALÌA ~ Ti appartiene.
ATTÌA ~ Dice che non ha mai scordato la sua donna.
CUTITALÌA ~ Povera Penelope.
RISETTO ~ Cu è…
CUTITALÌA ~ Sempri Ulisse ciù risse.
RISETTO ~ E l’oracolo, l’oracolo chi disse?
ATTÌA ~ Che dovrà ripartire.
RISETTO ~ Ma como!
CUTITALÌA ~ Con quale cuore lascerà ancora Penelope.
ATTÌA ~ Bentornato Odisseo.

Fine del secondo intermezzo.
Poi, una voce: «Cà veni cà, Penelope, curri, che è scuro e lu scuro agghiutti li cristiani e poi non ti trovo più. Cà veni cà, Penelope lassa stare, cangiati che è tardo, ’un n’iucare cu’ tempo, lu tempo nun t’aspetta, fa finta, lu tempo arrubba, arruba lu tempo, ioca cu’ mia, ioca cu’ to’ matri, cà Penelope veni cà!».

PENELOPE ~ (ricomparsa) Mamma!
EURICLEA ~ (idem) Una parola dolcissima!
PENELOPE ~ Euriclea.
EURICLEA ~ Altrettanto dolce, direi; buongiorno Penelope, incubi?
PENELOPE ~ Sì, come sempre, che ore sono?
EURICLEA ~ Quasi vent’anni fra mezzora.
PENELOPE ~ L’hai visto?
EURICLEA ~ Mangia bive e sinni futte, comu tutti l’omini.
PENELOPE ~ Ti ha chiesto di me?
EURICLEA ~ Certo, mi ha chiesto di guardargli la testa e di dirgli cosa vedevo.
PENELOPE ~ E tu cosa hai visto?
EURICLEA ~ Un picurune scurnato, fituso e puzzolente di piscio, forse però oggi si lava! Tu? Cosa pensi di fare? Ti susi, ti movi, devo cambiare le lenzuola e trovarne di belle per il ritorno del re.
PENELOPE ~ Le lenzuola più belle sono queste!
EURICLEA ~ Male incominciamo male.
PENELOPE ~ Lo aspetto qui, ancora una volta, in questo letto…
EURICLEA ~ Certo, dici, tanto fitinzia pi fitinzia…
PENELOPE ~ … Ancora paziente per un giorno, ancora sua per un giorno…
EURICLEA ~ Non accogli il tuo sposo?
PENELOPE ~ La mia assenza per un giorno equivale alla sua per vent’anni?
EURICLEA ~ È una mancanza di rispetto, lo sai?
PENELOPE ~ Rispetto? Cos’è?
EURICLEA ~ Senti figghia, eo trasì na ’sta casa chi avia vint’anni e l’unica cosa chi sapia fare era calari ’a testa.
PENELOPE ~ Non è cambiato niente quindi.
EURICLEA ~ Sentila a ’sta vecchia: conzati annicchia, truccati fatti i capiddri, sistemati fatti viriri di to’ marito cuntenta; chista è la vita; chi penzi chi era megghiu nasciri schiava? Si unnu voi fare pi iddru, fallo pi tia e pi to’ figghiu; porta avanti tutto con rispetto.
PENELOPE ~ Fingere e compiacere.
EURICLEA ~ No, no: fingere con piacere! Allestiti, moviti che è tardo. (Fa per uscire)
PENELOPE ~ Sarà sempre tardi per chi non vuole più aspettare… Euriclea?
EURICLEA ~ Chi fu?
PENELOPE ~ Ci sono ancora le barche di Telemaco sulla riva?
EURICLEA ~ Sì, ci manca sulu chi ha spostare puro li varche.
PENELOPE ~ Le spostiamo insieme.
EURICLEA ~ Ma picchì ’un ci su i masculi pi chisso?
PENELOPE ~ Perché pensi chi ’sti manu di fimmina non lo possono fare?
EURICLEA ~ Io penso chi tu hai le farfalle na testa, e si Ulisse s’innadduna semu persi.
PENELOPE ~ Brava: come le farfalle, bisogna volare e la farfalla è femmina; conosci forse il nome maschile di farfalla?
EURICLEA ~ Mmm aspetta… non era ‘farfallone’?
PENELOPE ~ No, e noi dobbiamo cominciare ad essere libere… ecco cosa significa il mare de La Magnifica: la libertà di riprendersi se stessi per partire, senza essere condizionati da nessuno, perché nessuno può limitare ciò che sei. Tu pensi che questo possa esser stato amore? Fino a quando, fino al primo vagito di Telemaco? Forza prenditi le tue cose…
EURICLEA ~ Ma lui ora è qui… ammazzao a tutti, fici piazza pulita, s’abbrazzao cu’ so’ figghio; Argo mischino moisse, ci vinne un coippo[59]; io sono qui, tu sei qui… ti vio ammaraggiata
PENELOPE ~ Lui è qui, per chi? Per me? Chi è adesso per me Ulisse e chi sono io per lui? E quanto abbiamo vissuto?
EURICLEA ~ Ma ora c’è tuttu ’u tempo… ma picchì a’ fari accussì?
PENELOPE ~ No non c’è piu tempo. Non si può aspettare ancora, a quel punto si perde tempo: «Lu tempo nun t’aspetta, fa finta, lu tempo t’arrubba la vita, arruba tu la vita a lu tempo».
EURICLEA ~ Ma tu chibboe astura di mia? Io dunni agghire a ’st’età[60].
PENELOPE ~ Non c’è età che non consenta di ricominciare.
EURICLEA ~ Ma cu cui a ricominciare, tu si foddre… e ’a fuddria è fimmina! E puru lu scantu, chi dittu d’accussì però pari masculo… lu scanto!
PENELOPE ~ Ma di che cosa hai paura?
EURICLEA ~ Di perdere li cosi chi haio, di non sentire più Telemaco chi mi chiama, di non sapire che c’è un pasto pronto, di non sentire Ulisse chi vucìa, di lassariti iri sula pi ’stu mare chi t’abbrazza quannu voli ma chi sapi puru scaravintariti nu funnu.
PENELOPE ~ E da quel fondo si risale per forza…
EURICLEA ~ Mi scantu.
PENELOPE ~ La Magnifica mi diceva che io avevo lu scantu, per questo non riuscivo a prendere le decisioni…
EURICLEA ~ E comu si leva?
PENELOPE ~ Non ci pensare… è tutto nella tua testa.
EURICLEA ~ Na me testa c’è sulu una confusione astura…
PENELOPE ~ Prendi le tue cose, vieni con me…
EURICLEA ~ Nooo iu resto cà, vai figghia un ti fari priari chi li partenze mi mettino ran tristizza, va’ moviti ’u tempu nun è paziente, ’u tempu passa, ’un ti pentiri curri ’un mi taliari… va’…

Penelope se ne va.

No eo chi haio nisciuto mai di ’sta tana? Staio tanto bona cà, chi poi chi mi manca? Iddra sinni va, dunni va? Chi si n’coccia tempo brutto viri chi ran maraggiate. Chi poi sempre qua sono stata, bella ’sta casa, non ho mai chiesto niente; pulizio, sistemo, conzu ’u letto, cucino, apparecchio, sparecchio, stenno, stiro e arrisetto, faccio quello che voglio io, va’… quello che voglio io… (Pausa) Penelopeee… chi c’è posto na ’sta varcuzza??? (Esce)

Epilogo.

ATTÌA ~ Sembra ieri e passaru vint’anni.
CUTITALÌA ~ Vint’anni lo leggo nelle tue rughe.
RISETTO ~ Cusi e scusi, cusi e scusi…
CUTITALÌA ~ Ma non glielo diciamo che possiamo smettere?
ATTÌA ~ È convinta mi fa tenerezza.
RISETTO ~ Cusi e scusi, cusi e scusi, aspe’ aspe’…
CUTITALÌA ~ Si cunfusi? (Guardando Attìa)
RISETTO ~ No, stavota mi vinni, ho finitooooo tagghia ’stu filo!
ATTÌA ~ È finita Risetto, abbiamo finito, Penelope è andata via.
RISETTO ~ Come via?
ATTÌA ~ Ha lasciato l’isola e si è lasciata tutto alle spalle.
CUTITALÌA ~ E ’sta tela chi ni facemo?
RISETTO ~ Comu sinnio? Avi vint’anni chi cuso e scuso e ora mi lassa cu’ ’stu linzolo n’mano.
ATTÌA ~ Adesso lei cerca altro, cerca la sua libertà.
RISETTO ~ E ’a libertà mia? Avi vint’anni chi cuso e scuso, cuso e scuso, e mi lassao ’stu linzolu n’mano?? Eh no, Penelopeee regina mi lassi accussì, ma poi dico mi lassaste cu’ ’stu coso n’mano; che ne so potevi fare una vela, talia che è bella, teni droco (fa tenere un lembo a Cutitalìa); ora che sei andata, ti potevi ricordare di noi, una vela per la tua barca, un lizoleddro per coprirti quando fa freddo, una tovaglia di tavola, un fazzoletto che ne so, un mantello, una sottana, una gonna, Penelooopeee…
ATTÌA ~ Lasciala andare.
RISETTO ~ Andare?? La mia vita se ne è andata a via di cusire e scusire…
CUTITALÌA ~ Buon viaggio Regina.
ATTÌA ~ Buon viaggio Odissea.

 

 

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Note di parafrasi


1 Secco come un’anguilla.

2 Non ha più niente di buono.

3 Guarda.

4 Il re è arrivato. Trascorsi vent’anni, Ulisse è tornato a Itaca dopo aver combattuto a Troia con le schiere guidate da Agamennone e avere affrontato un lungo e avventuroso viaggio di ritorno.

5 Che gran faccia d’acciuga.

6 E lei?

7 Questo.

8 È tornato.

9 Che. Il termine siciliano “chi” con valore di “che”, “cosa”, allorché viene parafrasato in italiano. Accezione spesso presente in altri luoghi del testo.

10 Inghiotte.

11 Ti alzi.

12 Io entrai in questa casa.

13 Un pochino.

14 Cuci e ridisfa.

15 Suo padre la lasciò in mare.

16 Che gran seccatura!

17 Muoio, che bella questa piccolina.

18 Non ti vergognare, non ti nascondere, paura non avere, la vita è una menzogna per cui si teme e ci si vergogna.

19 Cattiva, brutta.

20 Che vuoi?

21 Eppure mi tengo ferma nei fianchi.

22 Adesso.

23 Il piccolo con i cornini (come un satiro) che partoristi e che il mare si prese era di tuo padre, non mi dire di no.

24 Sorda.

25 Grazie ai solchi delle rughe so cosa mi vuol dire questa faccia.

26 Vergognare.

27 Che la paura tua, lo scandalo, è nel parlare.

28 Mi dice questa candela spenta.

29 Cambia.

30 Te ne devi andare.

31 Con una mascella grande così.

32 Un pochino.

33 Lei cerca solo i soldi.

34 Da poco.

35 Di gallina.

36 Non ti accorgi.

37 Non si accende.

38 Cade e si rialza.

39 Chi è che la vuole.

40 In questa strada.

41 Tette cadenti.

42 Seduta in questa sedia, ferma in questi fianchi.

43 Calmare.

44 Lasciando le pene e cambiando i pensieri, nacque La Magnifica.

45 Che non ci vedo…

46 Là.

47 Uomini, staremo a vedere.

48 Andiamo, che ci vuole?

49 Figlia mia, cosa ti ha sconvolta?

50 È impazzito.

51 E ne gioivo.

52 Schiaffi.

53 Tette, culo e fica e calze di seta.

54 A lei, no a te. Lo scambio di battute tra le Parche gioca sull’omonimia fra il nome di una delle tre e l’espressione che, resa in italiano, significa appunto “a te”.

55 Dormono.

56 Caccerà tutti questi uomini che paiono violenti.

57 A noi femmine neanche le stelle ci spettano…

58 E gli uomini sono gocce d’acqua sopra queste pietre roventi.

59 Il povero Argo (mitico cane di Ulisse, accortosi subito del padrone rientrante dalla sua Odissea) è morto, gli è preso un colpo.

60 Ma tu che vuoi adesso da me? Io dove vado a questa età.