Death watch - Pane e lacrime

di

Aquilino



Questa è la messa in scena del monologo pubblicato da Lampi di Stampa come vincitore del Premio Gerundo 2012. Il personaggio Zaccheo è presentato da tre interpreti (Gilberto, Giovanni e Nicola), con due musicisti (Carlo alla chitarra e Lorenzo al computer).

*=leggio
1. PIANETA VENDETTA
GIL
La mia casa. Centoquaranta centimetri per due metri e dieci. Un water, un lavabo, una branda, una porta. Tutto in acciaio. La porta traforata per tenermi sempre d’occhio. Anche mentre faccio i bisogni. Il water senza coperchio. Se l’acqua non ha pressione, rimane sporco.
N
La puzza di fogna si mescola al tanfo perenne di sudore, sperma, vomito. Tutto sa di rancido, selvatico, acido, paura. La mia casa è abitata anche da topi, scorpioni, scarafaggi, blatte, ragni, grilli, cavallette, mosche, falene, zanzare, moscerini, formiche. Escono di notte. Per mangiarmi vivo.
G
La mia casa è silenziosa solo da mezzanotte alle tre, poi per ventun ore è un inferno di…
GIL – N
… porte sbattute, urla, altoparlanti, sibili, tonfi, cigolii, ordini, deliri e soprattutto imprecazioni e minacce:
G
sono i guerrieri di cella che fanno rissa con gli altri guerrieri di cella.
GIL
La mia casa è un loculo sotterraneo. Sette metri sotto la superficie. Sepolti vivi. A me piace pensare che siamo l’attico dell’inferno.
N
Nella mia casa non vivo, resisto. Ma ogni giorno mi arrendo un poco di più. Ogni giorno può essere quello buono: giustiziato, sgozzato, suicida.
GIL
Questo non è un posto come gli altri. Si trova su un altro pianeta. Il pianeta Vendetta. Le guardie sono alieni con l’aspetto di esseri umani. Si sentono il braccio di Dio. Un braccio armato e spietato, com’è giusto che sia. Così dice la loro Bibbia. Un dio cattivo, il loro. Io non credo in Dio, per fortuna. Se ci credessi, il mio sarebbe un dio buono. Buono come il pane.
G
Sul pianeta Vendetta all’inizio ti arrabbi.
N
Ehi, sono un terrestre! Non potete tenermi qui! Sono umano! Se resto qui, divento come voi! E dopo muoio! Muoio male! Infelice e malvagio come voi!
G
Ma loro sono alieni, non capiscono la mia lingua. Nemmeno io capisco la loro. Quando parlano, sembrano maiali che grufolano. Più cinghiali che maiali. Quando caricano, fanno male.
N
A differenza dei cinghiali, godono quando ti fanno male. Godono se tu piangi, se te la fai addosso, se li supplichi, se strisci ai loro piedi. Cinghiali alieni, sia chiaro. Tra gli umani non possono esserci bestie così.
Ci vuole tempo, per adattarsi. Bisogna imparare a dire sempre sì. Anche quando dentro di noi gridiamo no! no! no! e invece bisogna dire sì.
G
Zaccheo, stenditi sul pavimento e pisciati in bocca.
GIL
Sì.
G
Zaccheo, masturbati che ti riprendo con il cellulare.
GIL
Sì.
G
Zaccheo, lecca il tuo vomito.
GIL
Sì.
2. VIVO E PSICOTICO
N*
Ai visitatori è vietato vestirsi di blu e di arancione. Di arancione perché le nostre tute sono di questo colore. Fin qui è facile: approfittando del colloquio, fracasso con un pugno la barriera di acciaio e vetro antiproiettile, mi libero della guardia che mi tiene incatenato, spezzo la catena con i denti, esco fingendo di essere la mia mamma vestita di arancione, sbaraglio la squadra antievasione, raggiungo la superficie arrampicandomi su per il condotto dell’ascensore, scanso i proiettili delle mitragliatrici, abbatto a calci i cani lupo, supero le barriere di filo spinato, batto in velocità i mezzi corazzati…
G
L’unica via di fuga dalla cella è lo scarico del cesso.
GIL
Prima o poi tento un’evasione fognaria.
G
Impossibile.
GIL
È impossibile anche fare jogging in una cella di tre metri quadri.
G
Eppure mi hai visto, no?
GIL
Mi hai visto come corro sciolto e senza fiatone!
G
Faccio dieci chilometri al giorno in questi tre metri quadri.
GIL
Mi tengo in forma perché siamo tutti vivi, prima di morire.
G
Soprattutto noi del braccio della morte.
GIL
Sono vivo, no?
G
Sono vivo sì o no?
GIL
Qualcuno mi dica che sono vivo, per favore!
G
Quanto sono vivo, io?

N*
Ma il blu, dico io, il blu? Trent’anni fa le tute erano blu. Adesso sono arancioni, ma prima erano blu. Ecco perché è vietato vestirsi di blu.
Qui tutto è possibile, tutto. Devo ringraziare i farmaci psicotropi, se tutto diventa possibile.
Manda giù, manda giù che è buono! mi dice la guardia con un ghigno. Io mando giù. Le pillole per i disturbi mentali mi fanno venire la psicosi e alla lunga la psicosi è una comodità. Con la psicosi posso fare dieci chilometri di corsa in tre metri quadrati e tante altre cose.
Per esempio, sento le voci.
G
Sento la voce di me quando non ero ancora nato. Una voce fetale. Mi dice di stare attento ai luoghi chiusi, perché prima o poi non ne esco più.
GIL
Dovevi dirmelo prima, voce!
G
Ma prima non prendevo sette pastiglie al giorno e non avevo i disturbi mentali.
GIL
Dovevi dirmelo prima, idiota di un neonato!
N
Me lo vedo lì, seduto sul water, che fa un getto di pipì lungo due metri. Mi allaga la cella, il piscialletto.
G
Portatemi il secchio e lo straccio!
N
La pipì di neonato è come quella dei cani. Ce n’è già abbastanza, di puzza, qui.
G
Guardia, voglio un secchio e uno straccio!
N
Ma lui è già scomparso. Sono stato io che ho pisciato sul pavimento, chissà perché.
GIL
Se prendo le pastiglie, sto male.
Non dormo, mi gira la testa, mi bruciano gli occhi, mi brucia tutto, non riesco più a parlare, e subito dopo invece parlo per due ore senza fermarmi e chissà che cosa dico.

N
Se non prendo le pastiglie, sto meglio, ma penso a che cosa ci faccio qui e sbatto la testa contro la parete.
GIL
Allora prendo le pastiglie.

GIL
Quando vedo i muri della cella avvicinarsi per schiacciarmi, mi metto a piangere. Picchio i pugni contro la porta, ma non mi fanno uscire.
N+G
Arriva la guardia. Ride e urla minacce.
GIL
Mi accuccio spaventato. Se entra, mi massacra con il manganello elettrico.
G+N
Vedo anche i serpenti uscire dal water. Sono grossi, di tutti i colori. Non sono un’allucinazione. Mi mordono e sento dolore.
GIL
Vieni a massacrarmi di botte fottuto alieno vieni ad ammazzarmi vieni a bastonarmi in testa!
GIL+G+N
Mi chiamo Zaccheo. Significa colui di cui Dio si ricorda. Bella ironia. Come faccio a conoscere tante cose? Il blu, il significato del mio nome, il pianeta Vendetta… I libri della biblioteca. Prima che i senatori eliminassero le biblioteche. Sono animali psicotici, dicono.
Abbiamo già le voci, a che cosa ci servono i libri?
3. LA DOCCIA
N+GIL+G
Mi faccio una doccia perché non mi piace tenermi addosso il sudore di dieci chilometri di corsa. La doccia è appena a un metro e mezzo dalla cella.
G
Seguo la procedura.
GIL
Detenuto Zaccheo pronto per la perquisizione!

G
Sono gentili a battere con i manganelli sulle porte, mi avvisano che arrivano. Le guardie pestano i manganelli contro le porte, i muri, i carrelli… e i detenuti, se sono nelle vicinanze.
N*
Mi spoglio nudo! Mi piego in avanti! Allargo le natiche! Mostro le piante dei piedi! Alzo le braccia! Mi passo la mani fra i capelli! Spalanco la bocca! Sollevo i testicoli! Allaccio le mani dietro la schiena per farmi ammanettare! Tengo lo sguardo basso! Non ascolto insinuazioni, umiliazioni, insulti! Mi lavo con la saponetta che deve durare un mese! Mi asciugo scuotendo via l’acqua! Distolgo la mente dal senso di soffocamento che dà il cubicolo di un metro e mezzo per due, che puzza di sudore, sperma e merda di topo! Aspetto al freddo! Aspetto per un quarto d’ora, per mezz’ora, per un’ora tremando di freddo! Saltello tra gli scarafaggi! La guardia apre la porta! Mi piego in avanti! Allargo le natiche! Mostro le piante dei piedi! Alzo le braccia! Mi passo le mani fra i capelli! Spalanco la bocca! Sollevo i testicoli! Allaccio le mani dietro la schiena per farmi ammanettare!

4. IL CIBO
N
Mi sveglio alle tre e trenta, per la colazione.
G
Due pezzi di pane fritto e grasso, due cucchiai di avena gialla al sapore di muffa, del latte, bustine di tè e caffè in polvere da sciogliere nell’acqua di rubinetto che sa di cloro.
GIL
Oppure un uovo bruciato, due biscotti, un pugno di cereali serviti in un contenitore di plastica che puzza di cherosene.
N
Mai frutta. Verdura poca, marcia.
G
Ci ingozziamo delle schifezze dello spaccio: patatine e tortine. Ci vogliono obesi, diabetici, con problemi cardiovascolari.
GIL
Manzi da ingrasso, così la gente dice: guarda come li mantengono bene, guarda che bella vita che fanno, i fottuti criminali.
N
Il cibo per noi è la cosa più importante. Ci compensa degli affetti che non abbiamo più. Per questo io ho scelto di cucinare. È un gesto d’amore. Quando preparo un hamburger per l’ultimo pasto di un condannato, penso che lui dice:
GIL – G
Com’è buono!
N
Poi muore, ma prima di morire dice:
GIL – G
Com’è buono!
N
E pensa a me, perché sa che gliel’ho cucinato io. Sa che non l’ho fatto per dovere o per guadagnarci qualcosa, ma solo per dargli una cosa buona. Un gesto affettuoso. Non ne fa parola con nessuno, perché gli affetti qui sono segreti e imbarazzanti, ma si sente meno solo.
GIL
Tutti sono soli davanti alla morte, ma qui la solitudine è speciale, con un pubblico che scruta la tua morte come in un teatro. Tu reciti nudo e in più ti torturano. Tu sei una cosa sbagliata che bisogna cancellare. Anzi, sei una schifezza che bisogna smaltire perché inquina.
N – G
Sul pianeta Vendetta non c’è solo la mancanza di pietà a farti tremare come un bambino di fronte all’orco. C’è anche il disprezzo. C’è l’odio di chi vuole una soddisfazione violenta. Se i condannati li facessero squartare vivi, i familiari delle vittime sarebbero più soddisfatti.

GIL
In una prigione riescono a sfamare i detenuti con trenta centesimi al giorno. I loro cani costano quattro volte di più.
N
Tu, uomo, vali meno di un prezioso cane addestrato a sbranarti.
G
Sei carne da macello, disgustosa carne viva che bisogna fare a pezzi in fretta e poi nascondere sottoterra in una tomba senza nome, con solo un numero.
N
Detenuto Zaccheo, la colazione.
G
Sì.
GIL
Mettiti in ginocchio in fondo alla cella, le mani dietro la schiena, la testa bassa.
G
Sì.
N
E la lingua fuori. Dimmi, come fa il cane mentre aspetta il cibo dal suo padrone?
G
Fa così.
GIL
Mettiti a quattro zampe.
G
Sì.
N
Mangia, cane.
G
Sì, padrone.
GIL
È buono?
G
Buono, sì.

5. IL CORTILE
N
La mezz’ora d’aria in cortile. Un diritto. Ci rinuncio. Le guardie sanno che preferisco starmene da solo nel box. Io e la pallina di gomma. La faccio rimbalzare contro il muro.
GIL – N* - G
Mezz’ora di rimbalzi. To toc to toc tototoc totoc totoc… Facciamo a chi fa più rimbalzi tra io e me. To toc to toc tototoc totoc totoc… Sbagliato. Tocca a me. To toc to toc tototoc totoc totoc… Che ne dici di una partita a pelota? Ti do tre punti di vantaggio. Forma fisica e riflessi, ragazzo. Guardati, sei obeso e lento come un detenuto. To toc to toc tototoc totoc totoc… Vittoria! Ho vinto contro di me.
GIL
Ma le guardie sono burlone.
Mi preparo, mi spoglio, rimango in mutande, sono pronto… le mani la bocca i testicoli le chiappe… il metal detector, potrei nascondere un mitra nel culo… e invece di scortarmi al box le guardie mi fanno lo scherzo di sbattermi in cortile, con altri venti detenuti.
N
I muri sono butterati. Non per una brutta malattia, per i colpi di fucile delle guardie. Sono là, appostate sopra di noi, invisibili. Aspettano che scoppi una megarissa, poi fanno il tiro al piccione.

G
Ci sono detenuti la cui unica aspirazione è scaricare su qualcuno la violenza che gli hanno costruito dentro, giorno dopo giorno, ora dopo ora.
GIL
Le guardie fanno anche le scommesse: quanto ci mettono ad ammazzarsi a pugni calci morsi e dita negli occhi?
N
Prima sparano per ferire, ma se ci scappa il morto pazienza: rivolta sedata. Poi lanciano i gas: mace, israeli fogger, al peperoncino… Ecco gli alieni, maschere antigas, divise imbottite, scarpe chiodate, guanti con borchie, manganelli ferrati, e picchiano picchiano picchiano…
GIL
Non sono capace… non sono capace di reggere il confronto con quelli che mi danno una spinta e mi dicono: adesso ti spezzo in due. Non so che cosa rispondere, non so difendermi, non so picchiare, non so nemmeno insultare. So solo subire. Uomo da poco, lo so.
N
Me ne sto nella mia cella e conto gli scarafaggi. Sono loro i veri padroni del pianeta Vendetta.
G
Tutti soffrono, tutti muoiono, anche quelli che si illudono di essere i privilegiati. Pensano solo a se stessi, producono sofferenza e ingiustizia, sono spietati, non conoscono solidarietà e rispetto.
GIL
Ma non sono felici. Nessuno è felice, qui. Né dentro né fuori le celle.
N
E allora perché tanto accanimento?
6. JEFFERSON
G
In ogni angolo della cella si apre un canale di comunicazione con un’altra cella. Qui, proprio qui, di fianco al water, c’è il posto di Jefferson. Se ne sta sopra di me, in una cella identica.
GIL
Jefferson, ci sei?
N
Scrive articoli sulla giustizia e sull’uguaglianza. Lo chiamano il Predicatore. Una volta era schizofrenico. Poi uno psichiatra carcerario ha deciso di curarlo. Le pastiglie l’hanno fatto diventare un uomo di Dio.
GIL
Jefferson, novità?
N*
Il suo avvocato ha ottenuto la revisione del processo. Quando ha ammazzato la bambina, ha detto, era schizofrenico, quindi non imputabile. Ma ora è guarito, gli ha risposto il giudice. Ora è responsabile delle proprie azioni, quindi compatibile con la pena di morte. L’avvocato ha tenuto duro e infine ha ottenuto un accordo. Se Jefferson continua a prendere le pastiglie e quindi è in grado di ragionare, la condanna a morte va eseguita. Se smette di curarsi e ridiventa schizofrenico, la pena di morte è commutata in vent’anni.
GIL
Che cosa hai deciso, Jefferson?
N*
Non vuole ridiventare schizofrenico per altri vent’anni. Sa che non ne uscirebbe più. Continuerà a curarsi. Si cura per essere messo a morte e intanto predica agli altri l’amore e il rispetto e la fede in Dio.
GIL
Tieni duro, Jefferson! Non mollare! C’è di sicuro una terza via! La vita non è fatta solo di due opzioni! Ci dev’essere una terza via! Cercala!
G
Cercala anche per me, Jefferson, cercala per tutti noi.
N*
È buono come il pane, Jefferson. Se lo giustiziano, la mamma della bambina viene ad assistere. Dice che dopo averlo visto crepare, lei e la sua bambina ammazzata trovano la pace.
CARLO+LORENZO
Ore 4. Controllo detenuti e colazione.
Ore 5. Ritiro vassoi e posta in uscita.
Ore 6. Cambio turno, controllo celle.
Ore 7. Cortile, controllo detenuti.
Ore 10. Pranzo.
Ore 11. Ritiro vassoi e controllo detenuti.
Ore 12. Doccia e controllo detenuti.
Ore 14. Cambio turno e controllo celle.
Ore 16. Cena.
Ore 17. Ritiro vassoi e controllo detenuti.
Ore 19. Detenuti puliscono i corridoi. Chi si ferma davanti a una cella è punito.
Ore 20. Posta in arrivo.
Ore 21. Controllo detenuti.
Ore 22. Cambio turno e controllo detenuti.
Ore 23. Pulizia corridoi e controllo celle.
Ore 24. Cambio biancheria intima.
N
Dall’una alle tre si può dormire.
7. LA MADRE
GIL
Mamma! Che cosa ci fai, qui?
N
Non dirmi che potrei tenere più pulito, per favore. Mamma, non ho detersivi. Non ho stracci. Non ho nemmeno scottex o kleenex. Non posso chiederli, mamma. Non me li danno. Ci pensi tu? Pensi che a te li diano? Perché sei una mamma? Va bene, non arrabbiarti, va’ pure a parlare con le guardie. Anche con il direttore. Ma non minacciarlo, qui ci sono cose che non si possono fare.
G
Ma come hai fatto a sapere…. Chi ti ha detto che io… Non ti ho avvisata perché doveva essere una sorpresa. Dovevi saperlo dopo. Sarebbe stato meglio. Così, invece…
GIL
Adesso, però, mamma, va’ via. Non è posto per una madre, questo. Qui una madre non deve metterci piede, mai. Una madre, qui, è una contraddizione.

N*
Tutte le mie proprietà sono contenute in quattro scatole. Tre scatole conservano i documenti legali, quelli che dovrebbero aiutarmi nelle revisioni dei processi, negli appelli, nelle domande di grazia… A me, ormai, non servono più. Quando un detenuto viene liberato o giustiziato, le prove e i documenti vengono distrutti. Se è stato condannato a morte innocente, nessuno lo può più dimostrare. Nella quarta scatola tengo i miei effetti personali.
Cose senza valore. Nemmeno alle guardie fanno gola. Le butteranno nella spazzatura. Le guardo e penso: sono io, queste cose. Io e loro, cose senza valore.
G
Una vita in una scatola di cartone buttata nel bidone della spazzatura. Ai detenuti rilasciati danno la buonuscita. Ci puoi pagare un albergo per un giorno. Con questi soldi, ti dicono, rifatti una vita.
GIL - N
Seduto sulla branda! Contro il muro braccia aperte gambe larghe! A pancia in giù sul pavimento! In ginocchio!
G
Che cosa volete? Se dovete perquisire la cella, fatelo.
GIL - N
Silenzio pezzo di merda!
G
Perché mi prendete a calci? Che cosa cercate? Io stanotte me ne vado. Che cosa volete ancora da me?
GIL - N
Perquisizione della cella numero…
G
Un numero infinito di volte me l’hanno perquisita. In certi periodi tutti i giorni, e anche più volte al giorno.
G
Svuotano le scatole dei documenti. Leggono quello che ho scritto e ridono. Non mancano mai di spaccare qualcosa.
GIL - N
Non ho nascosto la droga! Io non faccio uso di droga! Quella non è roba mia. Ce l’avete messa voi la dose di cocaina nella scatola dei documenti!

G
No, no, non picchiatemi. Non ne posso più di prendere botte. Non datemi la scossa! La scossa no!
GIL
Mi accovaccio in un angolo, me ne sto zitto e fermo, ma voi non fatemi del male. Ridono perché piango, ma io piango lo stesso. Questo è il mio ultimo giorno, doveva essere un giorno speciale. Io piango, loro ridono. Alieni.
N*
Un uomo umano non ride mentre un altro piange. Invece, un uomo umano continua a piangere anche se gli altri ridono. Piange per se stesso e piange per quelli come lui, che sono tanti, che sono ovunque. Piange per gli alieni che hanno comunque madri, mogli, figli… e se loro sono così, se le famiglie sono così, se hanno posti rispettabili, se hanno posti di comando, se sono loro a fare le leggi, se sono loro ad applicarle… allora per noi umani non ci sono davvero speranze. Siamo destinati a soccombere sempre. L’ho detto che non so combattere. Sono un uomo da niente. So solo piangere.
GIL
Mamma. Non ti ho chiesto di andare in albergo? Non mi ascolti mai. Lo vedo che c’è disordine. Dopo metto tutto a posto. Ma che cosa vai a pensare? Non ho nessun problema, mamma. Nessuno vuole farmi del male. Lo sai che mi tengo lontano dai pasticci.
Ho messo la testa a posto. Ho capito tante cose.
N
Ho capito che capire non serve a niente. La verità va bene per gli alieni. Loro sanno come manipolarla. Noi siamo troppo ingenui.
GIL
Adesso, mamma, te ne vai. Qui non puoi stare. Si fa buio, non voglio che te ne stai in giro con il buio. C’è un mucchio di brutta gente, là fuori.
G
Mamma, non metterti a piangere, per favore. Prima di domani è tutto finito. Non dovrai più fare duecento chilometri per vedermi.
Addio, mamma.
8. L’ULTIMO PASTO
N*
Quindici anni fa. Ho quasi finito di scontare la pena per la rapina che non ho commesso. Quindici anni fa c’erano ancora le attività di riabilitazione. Frequento un corso di cucina. Scopro che mi piace e che sono bravo, il più bravo di tutti.
G
Non è facile cucinare con la scarsità di ingredienti, ma io imparo a utilizzare tutto, perfino gli insetti.
GIL
Non lo dico ai compagni. Non sono schizzinosi, ma odiano gli insetti. Se gli spiego come mai le patate sono così croccanti e gustose…
N
Un giorno, muore il cuoco della prigione. Sgozzato con uno dei suoi coltellacci. Purtroppo, anche tra di noi si fanno le vendette. Ci dava cibo avariato, quello fresco se lo vendeva alle guardie.
G
Viene il direttore e mi chiede di preparare l’ultimo pasto di un condannato a morte. Accetto.
A una condizione.
GIL
Che riferisca al condannato che deve fidarsi di me.
N
Non voglio che il suo ultimo pasto siano hamburger e patatine, cibo alieno. Oppure salatini soffiati, kit kat, coca cola, merendine, frullati, gelati… tutto cibo alieno.
G
Il condannato è un omone nero che ha rapinato una farmacia.
N
Nel braccio della morte si arriva per rapina, di solito, perché gli alieni sono molto agguerriti nella difesa della proprietà privata.
G
Il budget è limitato, ma io ormai so fare i miracoli dei pani, dei pesci e di tutto ciò che è commestibile.
GIL
Sono emozionato. Dapprima penso solo che voglio renderlo soddisfatto. Offrirgli l’ultimo piacere. Poi penso a lui, non al piacere che proverà mangiando.
N
E lui sta per morire.
G
In un modo orribile.
GIL
Quale piacere posso mai offrirgli?
N
Farà fatica a deglutire.
G
Sentirà tutto amaro. Tutto tossico, gli sembrerà il mio cibo.
GIL
Devo fare qualcosa di più, ma che cosa?
N
Mi metto a piangere.
G
Le lacrime cadono nella ciotola in cui sto sbattendo le uova.
GIL
Ecco che cosa posso fare per lui.
N
Dargli le mie lacrime.
G
L’omone nero condannato a morte si chiama Glorioso.
GIL
Il nome gliel’ha dato una madre ottimista.
N
Nel cibo che ti mando, Glorioso, ci sono le mie lacrime.
G
Le mie lacrime dentro di te, Glorioso.
GIL
Ecco che cosa faccio per glorificare la tua morte.
N
Chissà che non ti aiuti a sentirti meno solo.
G
I farmaci ti impediscono di piangere.
GIL
Piango io, per te.
9. LA GUARDIA AMMAZZATA
N
Un giorno arriva una guardia nuova.
G
Trasferita da un carcere di massima sicurezza.
GIL
Quando trasferiscono un alieno, il motivo è uno solo: non è solo alieno, è anche bastardo.
N
Mi prende subito di mira.
GIL
Mi spoglio nudo! Mi piego in avanti! Allargo le natiche! Mostro le piante dei piedi! Alzo le braccia! Mi passo la mani fra i capelli! Spalanco la bocca! Sollevo i testicoli! Allaccio le mani dietro la schiena per farmi ammanettare! Tengo lo sguardo basso!
N
Che cazzo è quel coso?
GIL
Il mio fornello regolamentare!
G
Che cazzo ci fa qui quel coso?
GIL
Ho il permesso del direttore!
N
Tu in quel fornello ci metti la cocaina per fare il crack.
GIL
Faccio notare che…
G
La nuova guardia picchia forte. Mi frattura la mascella. Il manganello non è di legno, è di ferro.

N
Ti credi il migliore? Niente isolamento, tu? Niente death watch?
G
Prende il fornello e sta per fracassarlo contro il muro.
GIL
Mi tuffo su di lui, lo butto a terra, afferro il fornello, me lo stringo al petto, cerco una via di fuga, non c’è, scappo in piedi sulla branda, se si avvicina gli volo ancora addosso.
N
Non è un atleta. Ha una pancia come un otre. Gambe e braccia tozze. Ma ha una pistola. Si rialza ansimante, la estrae e me la punta contro. Sulla faccia un ghigno spaventoso. Ha il pretesto per ammazzarmi. Mi si avvicina, non vuole sbagliare mira.
GIL
Io non prendo nessuna decisione. Non sono io a fare un balzo su di lui, è il mio corpo, è la mia mente che urla: non farti ammazzare!
Rotoliamo sul pavimento, parte un colpo, lui rimane immobile.
G
È morto.
GIL
Si è ucciso con le proprie mani, ma il colpevole sono io.

10. L’ESECUZIONE
N*
Per quindici anni aspetto che la sentenza di morte venga eseguita. A volte stabiliscono la data e poi invece decretano la sospensione e il rinvio. A me capita cinque volte.
G
Tre ore prima, alle nove di sera, consumo il mio ultimo pasto. Poi faccio la doccia e indosso la tuta per l’esecuzione, che non è più arancione, ma grigia.
GIL
Due guardie non mi perdono mai d’occhio. Annotano quello che faccio e che dico. Viene un prete, non importa di quale confessione religiosa, il primo che hanno sottomano. Grazie, no. Io sono nato per l’inferno.
N
Soddisfatte le esigenze del corpo e dello spirito, il direttore mi legge il mandato di esecuzione:
G*
…si ordina che la condanna a morte pronunciata contro il detenuto Zaccheo dovrà essere eseguita tramite somministrazione per via endovenosa di una o più sostanze in quantità letale sufficiente a provocare il decesso, a meno che al detenuto sia concessa la possibilità di scegliere tra iniezione o gas letale.
GIL
Quando mancano quindici minuti a mezzanotte, mi conducono nella stanza della morte. Scortato da sei guardie, tre per parte. Una guardia controlla, le altre cinque mi legano su un lettino da camera operatoria da cui si allungano due supporti per le braccia.
N
Visto dall’alto, è una croce.
G
Mi coprono con un telo bianco. Il sudario.

GIL
A questo punto sono invitato a dire le mie ultime parole. Io non ne ho.
N*
Le tende delle vetrata dietro la quale si trovano i testimoni vengono chiuse. Devono infilarmi gli aghi nelle vene e sono successi troppi incidenti perché si lasci che familiari e giornalisti assistano al macello. Mi infilano un ago nel braccio destro e uno nel braccio sinistro. Sono connesso a un monitor che registra l’attività cardiaca. Gli aghi vengono collegati a due bottiglie con una soluzione salina. Monitor e bottiglie sono dietro una tenda, dove si trovano i paramedici che introducono le sostanze chimiche nella soluzione salina.
G
Si riaprono le tende. Ora tutti possono vedermi steso sulla croce. Anch’io posso vederli.
Posso vedere mia madre.
GIL
A mezzanotte mi iniettano il pentotal che dovrebbe rendermi incosciente.
N*
Poi è la volta del pavlon o del pancuronio. Mi rilassano i muscoli, mi paralizzano il diaframma. Non posso più respirare. I veterinari ne hanno vietato l’uso sugli animali, ma per gli umani vanno più che bene. Infine, il cloruro di potassio mi arresta il cuore.
G
Forse faccio un profondo, ultimo respiro, forse tossisco, forse riesco a mettere nello sguardo l’enormità del dolore e dell’angoscia che provo. Il mio cervello mi racconta ogni dettaglio, ma la mia faccia sembra avere un’espressione serena.
GIL
Mettono la maschera alla morte. È morto senza nemmeno accorgersene.
G
Non è vero.
N
La tenda viene chiusa. I testimoni lasciano la stanza. Mia madre lascia la mia vita. Quale causa del decesso, sul certificato di morte il medico scrive: omicidio.

11. LA SENTENZA
G
Il mio avvocato riesce a farmi partecipare a un incontro con il giudice. Pensa che io sia d’accordo con la sua proposta: trent’anni invece della pena capitale.
GIL
Signor giudice, tutti i giorni muore una quantità enorme di persone in ogni parte del mondo. E sa la cosa strana? Che tra quelle persone ci sono anche giudici e guardie. Questo non è il pianeta Vendetta. Questo è il pianeta della morte.
Io non resto per altri trent’anni nelle vostre prigioni disumane.
N
Il vero crimine non è nella pena di morte in sé, ma nelle procedure giudiziarie che non hanno niente a che fare con la giustizia. Il crimine legalizzato che voi sbandierate come frutto di civiltà è una vergogna. Un’offesa alla parola umanità.
Voi applicate la giustizia per difendere i privilegi di cui godete.
G
Nelle prigioni non c’è niente di casuale. Tutto è studiato dalle vostre intelligenze malate affinché ai detenuti venga distrutta la capacità affettiva.
GIL
No, signor giudice, io non ci sto. Patteggio la pena di morte. In cambio, le chiedo questo.
N
Non voglio essere trasferito in ricreazione individuale, come la chiamate. Non voglio stare in isolamento i quindici giorni che precedono la mia morte. Non è giusto che si metta un uomo di fronte alla propria fine nella più completa solitudine. Niente oggetti personali, niente libri, niente radio, niente tivù, perquisizione ogni trenta minuti, sonno impedito, così uno desidera solo di morire, e la morte ce l’ha in testa minuto dopo minuto, e la testa la picchia contro il muro.
G
Siete malvagi.
GIL
Non voglio il death watch, il controllo visivo ventiquattro ore su ventiquattro. Sto per morire, voglio farlo con dignità.
N
Infine, voglio cucinare da me il mio ultimo pasto.
GIL
È la prima volta che una macchina del pane entra in una cella. L’avessi avuta prima! Tutti i condannati avrebbero chiesto il mio pane e lacrime, ne sono sicuro.
N
Caldo, fragrante, profumato.
G
Lo sentite, lo sentite il profumo del pane?
GIL
Lo stesso profumo della mia liberazione.
N
Tra poco me ne vado e sarà per sempre. Questo mi consola. Sapere che mai più potrò ritornare in un posto come questo è una gioia infinita.
LORENZO
Cinquecento grammi di farina Manitoba, la migliore. Trecento millilitri di latte di riso. Dolce e leggero, aiuta la lievitazione e rende il pane morbido come una brioche. Dieci grammi di burro di qualità e dieci di zucchero di canna. Sale, poco. Quindici grammi di lievito di birra. Una manciata di uvetta, qualche pinolo, un pizzico di maggiorana.
GIL
Lo sentite il profumo? Un profumo di vita.
N
Vorrei condividerlo con i compagni di morte, ma cemento e acciaio ci separano.
Lo spezzo con le mani, così.
G
Ecco, questo è il mio pane.
GIL
Non contiene le mie lacrime. Non ne ho per la mia morte.
N
Me ne vado sereno.
G
Mi sarebbe piaciuto, però, vivere.
GIL
Mi sarebbe piaciuto vivere.
GIL – N - G
Ecco. Questo è il mio pane. Mangiatelo in memoria di me.