L’ultima notte di Antonio

di

Mariano Dammacco

© 2011. Tutti i diritti sono riservati

 

 

Personaggi:

Antonio
Lei
Coro

 

 

Primo Quadro

LEI: Dopo il funerale
la mamma di Antonio mi ha chiesto di andare a casa da loro.
Ho fatto sì con la testa
e, in silenzio, li ho seguiti alla macchina.
Sono entrata in auto mentre i parenti vari,
con la faccia di “meglio a te che a me”,
continuavano la loro opera di conforto,
inutile ma bella.
Arrivati a casa la signora ha insistito fino a offrirmi un caffè.
Non era arrabbiata, me lo ha detto,
mi ha chiesto di spiegarle che cosa fosse successo in quegl’ultimi tre o quattro anni
e io non ho saputo dire niente,
ho detto solo che Antonio li amava moltissimo
e mi sono messa a piangere.
Anche la signora si è messa a piangere.
Poi mi ha invitato a cena
e allora mi sono arresa e ho parlato.
Ho parlato un sacco.
Il padre di Antonio ha visto che parlavo,
quello aveva un gran bisogno di fare ordine,
stava crepando di confusione,
e allora mi ha chiesto se poteva farmi delle domande:
com’è che si comincia,
perché alcuni sì e altri no,
se avevano sbagliato loro qualcosa.
Quando ha detto così la signora quasi ha gridato
tanto che io mi sono spaventata:
“non dire queste cose”, ha detto.
Avrei voluto ripartorirglielo io Antonio,
lì, subito e basta.
Non avevo dispiacere per Antonio.
Erano loro che mi facevano venire da piangere,
tutta la loro vita significava all’improvviso tutta un’altra cosa,
quelli erano due del secolo scorso,
gente che per trentacinque anni era andata in ufficio nello stesso posto,
con gli stessi orari e altro che routine:
si erano comprati una casa,
avevano allevato due figli
ed erano felici.
E io?
Cosa gli dovevo dire?
Cosa gli dovevo spiegare?

 

Secondo Quadro

CORO: Care bambine e cari bambini,
oggi vi raccontiamo una storia che ebbe inizio tanto tempo fa.
Il principio di questa storia ci è stato tramandato da Garcilaso de la Vega
grazie ai suoi Comentarios Reales,
una testimonianza dei viaggi di questo esploratore nelle Americhe
scritta addirittura nel 1609.
Un mito con protagonista il primo leggendario re inca divinizzato,
Manco Cápac.

Durante un periodo di grande carestia e di grande miseria tra le tribù inca,
Manco Cápac, erede del trono del Sole,
gettò uno sguardo attento sui suoi figli delle Ande Occidentali.
Vide grande sofferenza, e più ancora lacrime,
che per la loro abbondanza
umettavano il suolo sotto i loro piedi.

Capite bambine e bambini?
Quelle persone erano così infelici,
e piangevano così tanto
che sotto di loro si formavano
delle pozzanghere di lacrimucce.

Allora il dio Manco Cápac inviò al suo popolo un presagio,
fatto da una cometa rossa e scintillante,
che illuminava la terra con i suoi lampi.

Provate un po’ a immaginare,
bambine e bambini, la cometa rossa e scintillante
e ascoltate quali altre mirabilie accaddero.

Lo stesso dio si trasportò fino al Palazzo del re Montana
il quale si precipitò a riverire l’oracolo
e allora vide dio sotto forma di una foglia di coca in fiamme.

Immaginate bambini:
una grande, grandissima, enorme e psicoattiva foglia di coca in fiamme
sospesa nell’aria davanti a voi!

Quando il fuoco si spense,
il re Montana si chinò per raccogliere
ciò che il dio aveva abbandonato dietro di sé
e comprese subito il messaggio.
Manco Cápac aveva indicato il cammino agli uomini.
Grazie alla foglia di coca,
nessuno avrebbe più patito
né la fatica, né la fame.

 

Terzo Quadro

ANTONIO: Verso le sei di mattina
comincio a sentire freddo
allora mi rassegno a tornare a casa.
Vado in tutte le stanze di casa mia,
chiudo tutte le finestre,
abbasso tutte le tapparelle
poi mi infilo nel letto,
accendo una sigaretta e aspetto.
Aspetto di poter dormire.
È a questo punto che con la lingua passo in rassegna tutte le ferite dentro la mia bocca,
allora mi dico: “Antonio, non concentrarti sulle ferite,
non concentrarti sulla fame,
non lasciarti aggredire dai cattivi pensieri,
cerca di rilassarti”,
allora cerco di ricordare i rudimenti di yoga acquisiti in gioventù
per calmare il respiro,
per fermare la tachicardia,
per fermare il cuore,
allora spengo la sigaretta
e provo a dormire.
Sul fianco destro,
sul fianco sinistro,
sul fianco sinistro tenendo il cuscino tra le gambe
pancia all’aria,
poi col cuscino sulla testa, ma niente!
Io sono l’uomo che vuole dormire
ma non può dormire.
Allora quando il paradiso lascia il posto all’inferno mi alzo dal letto,
vado alla finestra, tiro su la tapparella
e guardo fuori, li vedo, eccoli: sono lì, sono tutti lì, sono tutti lì, e io no.
Allora tiro giù la tapparella,
mi siedo ai piedi del letto
e mi maledico, mi maledico e penso “Antonio, questa è l’ultima”.

Ma chi di noi non ha sognato,
almeno per una volta,
di andare su Marte?

Chi di noi non ha sognato, almeno per una volta,
che il proprio cane o gatto,
così, all’improvviso, come se niente fosse,
cominciasse a parlare?

Chi non ha sognato,
nel buio di un bosco, di una spiaggia o di un appartamento vuoto,
di incontrare un marziano?
O un fantasma?
E quello ti parla e ti rivela qualcosa,
lo rivela solo a te.

Chi, spintosi fino a Lourdes,
non vorrebbe vedere un paralitico, uno qualsiasi,
alzarsi dalla sedia a rotelle e gridare “miracolo”?

Ebbene, il cane ha parlato,
lo storpio ha danzato,
l’alieno è venuto alla mia porta
e aveva i miei occhi.

 

Quarto Quadro

LEI: L’ultima notte comincia sempre con i conticini.

ANTONIO: Conto i giorni:
20, 21, 22.
Se arrivo a Natale sono 42, 49 a Capodanno
e se poi resisto per un intero anno sono 49 più 365, sono 414,
se poi resisto per 10 anni sono 4140 giorni
se resisto per 1 secolo sono 41.400 giorni
se resisto per 1000 anni…

CORO: L’ultima notte tanto finisce sempre con una telefonata:
“E dove state? e cosa fate? e vi raggiungo”.

LEI: L’ultima notte Antonio vorrebbe lasciare andare il suo corpo in spasmi incontrollabili
ma ha imparato il gioco,
guida il suo corpo come fosse una macchina.

CORO: Una macchina dal grande potenziale, inesplorato,
e Antonio ha imparato a divertirsi nel controllare tutto questo po’ po’ di fenomenologia dell’essere alterato.

ANTONIO: La cosa funziona.
Il miglior umore del mondo,
il più grande stato di benessere che si possa provare è qui con me
e mi abbraccia, mi stringe,
mi stringe forte.
E io mi sento come dissetato,
finalmente dissetato da un’arsura assassina
e io sono un uomo contemporaneo felice.

CORO: L’ultima notte Antonio adora fare pubbliche relazioni.

LEI: L’ultima notte Antonio si trasforma sempre in un pesce.

ANTONIO: Vado avanti e indietro nella folla per molti moltissimi chilometri.
Cerco di mandare a bersaglio il numero più alto possibile di occhiate sexy,
sentendo riaffiorare in me il gene primordiale dello squalo,
il pinna nera, il più elegante tra gli squali,
la macchina predatoria perfetta
e io adoro sentirmi lo squalo pinna nera,
adoro dominare la scena senza fermarmi mai.
Adoro andare al bar, adoro fare la coda alla cassa.
Adoro comprare una miscela di superalcolici
dal nome esotico, affascinante, irresistibile, indimenticabile,
che sembra un titolo
e me lo riaccarezzo in mente sei o settemila volte:

CORO: “Long Island Ice Tea, Long Island Ice Tea, Long Island Ice Tea”.

ANTONIO: Adoro con un pizzico di fantasia collocare mentalmente il mio genitale ovunque,
nel décolleté di quella lì,
sulla guancia destra della sua amica, in fronte a quell’altra, e via così
come un trasferello.

CORO: L’ultima notte Antonio si innamora sempre di qualcuno.

LEI: L’ultima notte Antonio si innamora sempre di qualcuna.

ANTONIO: Poi, tutto è chiaro, la barista vestita di blu.
Io l’amo,
come si può amare solo qualcuno che mai entrerà a far parte della nostra vita,
io l’amo come si ama la donna senza volto sognata, appena risvegliati al mattino,
io l’amo come si ama la nostalgia delle cose che non ebbero mai cominciamento,
io l’amo in modo struggente.
Io, sopra ogni altra cosa al mondo,
vorrei possedere la barista!
E allora la mia anima si illumina di fioca luce esistenzialista e io mi struggo,
ah come mi struggo.

LEI: Antonio si strugge.

CORO: Si strugge Antonio.

ANTONIO: Questo turbamento amoroso non va bene:
mi fa pensare quelle cose lì, che sono un fallito,
che non ho un figlio,
che non ho una famiglia,
tutti i miei amici ce l’hanno un figlio,
io farò mai un figlio?

CORO: ’Nghéé, ’nghééé, ’nghéééé…

ANTONIO: La barista si avvicina.
Mi guarda dritto negli occhi e dice:

CORO: “Cosa desideri?”

ANTONIO: “Un figlio nostro!” penso,
e le dico: “Un Long Island Ice Tea, per cortesia”.

LEI: L’ultima notte Antonio non balla più,
non festeggia più.

CORO: La cosa non funziona più.

LEI e CORO: L’ultima notte Antonio non è più felice!

 

Quinto Quadro

LEI: Mi ero lasciata con Antonio da più di un anno
e non l’avevo più visto per nove mesi esatti.
Poi mi ha chiamato
e mi ha chiesto di vederci.
Mi ritrovo davanti un altro Antonio:
più magro,
agitato,
che non mi ha chiamato perché si è finalmente accorto di amare me, solo me,
non se ne accorgerà mai
e io, povera illusa, che mi sono truccata e vestita per lui.
Dice che mi ha chiamata per chiedermi consigli perché un suo amico è nei guai.
E comincia a espormi il problema di questo amico
parlando quasi tecnicamente,
sforzandosi di usare le parole con misura,
ma io non sono scema, forse povera illusa, ma scema no.
E ho capito che il suo amico era lui.
Mi è venuto un colpo,
mi veniva da ridere per l’agitazione,
ecco: ero incredula,
mi sembrava di stare in un film.
Ero incredula,
Antonio poi,
che non beveva nemmeno
in pizzeria io la birra e lui la…
Va be’, insomma, andiamo a casa sua
e si mette a piangere,
la smette di parlare del suo amico,
dice che si accorge che sta diventando brutto ma non vuole
e piange come un bambino.
Dice che si rende conto.

ANTONIO: Mi rendo conto…

LEI: Ammette le difficoltà
ma è sicuro che il futuro sarà migliore.

ANTONIO: Il futuro sarà migliore, ne sono sicuro.
Vedrai, vedrai, te lo prometto.

LEI: Abbiamo fatto l’amore,
come si dice?
Come se fosse l’ultima volta,
o si dice “come se fosse la prima volta”?
Quella notte ho sognato di avere un figlio da Antonio
e che era bello, uguale a lui,
ma senza naso,
cioè con un buco al posto del naso,
allora il sogno è diventato un incubo
e il bambino diceva la sua prima parola ma non diceva “mamma”,
diceva “coca”,
allora io cominciavo a chiedere alle persone
che cosa volesse dire
se, insomma, il bambino era cocainomane per ereditarietà,
una specie di mutante,
e poi mi sono svegliata.

 

Sesto Quadro

ANTONIO: Cosa è successo al mio cervello?
Cos’ho fatto al mio cervello?
Tornerà come prima?
Cervello in pappa, cervello spremuto secco seccato, cervello in imbarazzo, cervello scemo, cretino e deficiente, vuoto, cervello cancellato, cervello distrutto demolito, cervello brutto, cervello cattivo, cervello incenerito congelato ibernato, cervello buttato via, cervello inutile, cervello malato, cervello debole, cervello fragile fragilissimo, cervello schiacciato, denutrito decomposto, cervello morto spento, cervello rattrappito, cervello svenuto addormentato, cervello spaccato rotto bruciato inutilizzabile, cervello in pappa.
Voglio un cervello nuovo amore, questo non funziona più, amore.
Amore, il cervello è alla deriva, sì amore, alla deriva,
devo tuffarmi amore, per andare a riprenderlo,
perché il cervello è importante, è importantissimo,
allora mi tuffo, vedrai, vedrai
e nuoto forte, controcorrente,
lo vedo tra le onde, amore, il mio cervello va su e giù tra le onde tutte blu,
amore nuoto, nuoto forte,
è sempre più vicino, lo raggiungo, amore, mi ricongiungo con il mio cervello:
alé! Me lo metto sulla spalla e torno a riva, amore.
Eccomi a riva amore, il cervello non sta molto bene,
il cervello ha bisogno della respirazione artificiale, amore,
ma io non trovo la bocca, che sciocco, che sciocco,
il cervello ha bisogno del massaggio cardiaco,
ma non trovo il cuore, amore, amore, cuore, amore,
il cervello ha solo cervello, il cervello ha solo cervello, lo stiamo perdendo, amore.

CORO: Lo stiamo perdendo lo stiamo perdendo lo stiamo perdendo…

ANTONIO: Sì amore, soffiagli dentro le parole,
forse qualcuna attecchirà, forse mi ricrescerà il cervello, mi ricrescerà amore,
mi ricrescerà il cervello?

 

Settimo Quadro

CORO: Care bambine e cari bambini,
vi ricordate Dumbo?
Dumbo, l’immaginario elefante volante dei cartoni animati?
Ve lo ricordate?
Certo che ve lo ricordate,
che bellezza Dumbo!

Vi ricordate che nel film cade in un barile di alcool
e, in conseguenza di ciò, vede elefanti rosa che danzano nell’aria?

Che bellezza, bambine e bambini:
gli elefanti rosa che ballano nell’aria!

Ebbene, quell’immagine origina dalla conoscenza scientifica
che in natura questi pachidermi si ubriacano.

Sapete cosa significa ubriaco, bambine e bambini?
Certo che lo sapete.

Bene, da tempo è nota la passione che hanno certi elefanti per l’alcool.
In Africa, questi pachidermi sono golosi dei frutti di diverse specie di palme.
Quando maturi, questi frutti tendono a fermentare, velocemente,
alcuni quando sono ancora attaccati all’albero.
Gli elefanti si cibano dei frutti in fermentazione già caduti al suolo,
e poi agitano e colpiscono l’albero con la proboscide
e con il corpo per farne cadere altri.
Perché il processo di fermentazione del frutto
produce alcool etilico, alcool etilico in concentrazioni sino al sette per cento.

Come una birretta, bambini.

Gli elefanti si ubriacano
e questa appare essere una conseguenza tutt’altro che accidentale.
Essi ricercano l’effetto inebriante di questi frutti.

Capite, bambini?
Agli elefanti piace ubriacarsi.

Se sono in gruppo,
la competizione fra gli elefanti
fa sì ch’essi mangino una maggior quantità di frutti nel minor tempo possibile.
Mentre il branco è solito percorrere nella foresta
non più di una decina di chilometri al giorno,
nel periodo della maturazione di quei frutti,
i maschi adulti possono staccarsi dal branco
per percorrere in un giorno distanze ben superiori ai dieci chilometri
fino a raggiungere il luogo di crescita di quegli alberi.

Gli elefanti ubriachi diventano ipereccitati.
Si impauriscono facilmente e ciò li rende aggressivi.
Un branco di elefanti ubriachi è considerato un serio pericolo per gli uomini.

Capite, bambine e bambini?
Andare a procurarsi il frutto fermentato dalle bizzarre e piacevoli proprietà
per vedere gli elefantini rosa danzare nell’aria
è naturale, è da tutti,
meglio se maschi adulti,
ma ricordatevi:
solo ogni tanto,
sennò rischiate di diventare un po’ tristi o nervosetti.

 

Ottavo Quadro

ANTONIO: L’ovvietà
della
mia vita
è
quello che mi sconforta
più di tutto,
l’ovvietà
di tutte le mie azioni,
l’ovvietà dei miei pensieri…
Come sono scontato,
banale;
pensieri e azioni ovvie,
comuni a tutti,
si può generalizzare per quanto riguarda me, ma
quello che maggiormente mi turba
è non avere neanche
sentimenti originali.
L’ovvietà della mia vita mi sconforta;
a volte mi eccita,
mi sovraeccita
e mi lascio prendere da impulsi
come se la più stupida
delle mie ragioni
o magari dei miei torti
fosse
l’Amleto di Shakespeare.
Tutta la città,
la regione,
il mondo,
l’Europa intera
potrà essere spettatrice
di questi misfatti
così ovvi,
scontati
eppure…
L’ovvietà dei miei pensieri, delle mie azioni
è quello che mi schiaccia
contro un muro,
contro un pavimento,
mi fa aderire alla tazza del cesso
o a qualunque utènsile, utensìle o lavastoviglie umana o antropomorfa
contro cui io mi metta in relazione; d’altronde
anno
dopo
anno
la verità
schiacciante
di questa
ovvietà
e di questa
caricatura
di tutta la mia
esistenza
è stata
sempre più
evidente.
Pur tuttavia mi lascio eccitare,
sovraeccitare dalle mie pulsioni, passioni,
istinti primordiali
e affetto con la mia faccia di coltello l’aria della mia città
come un moderno eroe che deve svolgere…
Quello che soprattutto mi fa soffrire
è la possibilità di sentirmi dire dagli altri
quanto sia scontata e logica e banale e si può generalizzare a proposito
della mia esistenza, senz’altro
e so di non avere diritto
a offendermi.
Questo mi schiaccia
pur tuttavia mi lascio eccitare, sovraeccitare addirittura da questa…
ovvietà dell’essere
e svolgo le mie operazioni di pulizia esistenziale con la lucidità e la fermezza
di un eroe moderno e contemporaneo
ma legato profondamente alla tradizione
e fendo
l’aria
delle vie
della mia
città
come se la mia faccia di coltello
fosse poi lanciata…
verso la schiena,
meglio ancora che il petto,
dei miei nemici.
I miei nemici
sono forse la cosa più
ovvia e più scontata
ma i miei nemici sono anche
la cosa più cara
che abbia al mondo:
le catene, gli esseri umani,
le persone
ovvie come me,
specchi insopportabili,
intollerabili
ma c’è una via,
un modo, una strada per la lucidità: io la troverò,
io la prenderò!
Ma chiuso in questa casa di Asterione,
dire che me la meno e me la rimeno da solo
è veramente un eufemismo.

 

Nono Quadro

LEI: L’ultima notte Antonio torna a casa e lei è lì che lo aspetta.
Deve ancora aprire la porta di casa
ed è già tutto agitato.

CORO: Entra in casa, la vede e al solo vederla, guardarla
ad Antonio viene la tachicardia.

ANTONIO: Come il cane è felice quando vede che hai le borse della spesa,
come è felice il gatto quando sente i suoi croccantini rumoreggiare nella scatola,
tu sei felice al solo vederla.
Al solo sentirla nominare.
Al solo pensarla.

LEI: L’ultima notte Antonio va sempre in gita di piacere
alla ricerca di qualcosa di straordinario.

ANTONIO: C’è un passaggio a livello
superato il quale si entra in un territorio ricco di fascino e mistero
dove vive una sparuta ma animosa comunità di chimere.
Animali fantastici,
attraenti e spaventosi al tempo stesso,
le chimere si affacciano a piccoli gruppi,
su questo pezzo di strada dopo il tramonto
e all’alba già sono sparite
lasciando l’irragionevole dubbio di non essere mai state lì.

CORO: E tu come lo sai?

LEI: Antonio e tu come lo sai?

CORO: Eh? Come lo sai?

LEI: Eh? Come lo sai Antonio? Eh?

ANTONIO: L’ho letto da qualche parte.

CORO: Hic sunt Chimeras!

ANTONIO: Oh! Guarda che ali, che becco, che coda!
Sembra che tu non abbia mai visto una chimera.
Solo in televisione, in quei programmi che le reclamizzano.
Dai, conduci la trattativa!
Buonasera, guardi,
io sono un po’ teso,
sono timido,
e poi sa? È la prima volta.
Ecco, insomma come funziona?

CORO: 50 talenti d’oro quaggiù sotto la luna,
100 talenti d’argento nella mia chimerica dimora
e 150 nella tua.

ANTONIO: 50, 100, 150…
E cosa possiamo fare… insomma?

CORO: Io sono leggera e allegra!
Rivelo agli umani
meravigliose prospettive con paradisi nelle nubi e felicità lontane.
Io verso nelle loro anime perenni follie,
progetti di felicità,
propositi per l’avvenire,
sogni di gloria,
giuramenti d’amore e decisioni virtuose.
Spingo ai viaggi arrischiati e alle grandi imprese.
Io cerco profumi nuovi, fiori più grandi,
piaceri non ancora provati.
Se scopro in qualche luogo un uomo tranquillo nella sua saviezza,
gli piombo sopra e lo strangolo.

ANTONIO: Se con lo strangolo viene sempre 150,
io andrei a casa mia.

LEI: L’ultima notte Antonio esce sempre di casa una volta di troppo
e avvista la luce spezzata azzurra delle milizie.
Allora si morde le labbra e aspetta che arrivi il panico. Eccolo.

ANTONIO: Se mi fermano è un disastro,
se mi fermano mi guardano in faccia e mi fanno l’applauso.
Mi faranno scendere dal mezzo,
guarderanno i miei documenti,
mi lasceranno friggere nell’attesa bollente
mentre loro andranno a chiedere via radio se sono un terrorista
o un mafioso o un serial killer.
Poi mi faranno un test, due, tre test,
sperimenteranno su di me l’ultimo ritrovato in materia di alcool test, drug test,
mi faranno anche l’ecografia e,
in meno di cinque minuti, sarò arrestato.
E poi sarò denunciato per una serie di reati molto più numerosa di ogni ragionevole previsione
e sbattuto in cella.

CORO: L’ultima notte Antonio ha sempre un po’ paura della polizia.

LEI: L’ultima notte Antonio mette sempre la tuta spaziale più bella ed esce.
Fatica a trovare la terra sotto i suoi piedi
ma poi entra in macchina ed è a posto.

ANTONIO: Metti in moto, accendi l’autoradio e parti.
Parti per andare a bere qualcosa,
ma poi tiri dritto fino alla tangenziale.
Poi, decidi di bere al benzinaio
e ti fermi,
fai il pieno e te ne vai.
Poi, decidi di andare a ballare fuori città,
scegli dove, ma poi tiri dritto
e prendi l’autostrada.

CORO: L’ultima notte si finisce sempre ad Ancona.

ANTONIO: L’ultima notte, verso le tre, me ne sto tranquillo sul mio balcone,
mi godo il venticello fresco tipico delle notti marziane.
Fumo una sigaretta e penso che ho fatto proprio bene a venire su Marte.
Questo è il momento perfetto,
è questo che mi ammazza.

 

Decimo Quadro

LEI: E poi mi sono svegliata,
ho aperto gli occhi, ho capito.
Io credevo che quello di Antonio fosse un modo di dire
un modo di nascondersi, o uno scherzo, o non so che,
che parlava in terza persona come Maradona.
Mi diceva sempre:
“Ero con Antonio ieri notte…
Antonio ha fatto,
Antonio ha detto,
Antonio così
e Antonio cosà”.
Ma poi ho capito e mi sono davvero spaventata,
non ho saputo dire niente,
ho pensato di non vederlo più…
figuriamoci…
Poi un giorno appena ha cominciato a dire “Antonio così Antonio cosà…”,
l’ho fermato,
l’ho interrotto,
gli ho messo una mano sulla bocca
e gli ho detto:
“Antonio, Antonio sei tu,
non c’è un tuo amico che fa tutte queste cose.
Antonio, tu non stai bene,
quant’è vero che ti amo, credimi.
Nella tua mente ti sei fatto l’amico immaginario,
ma ora devi crescere, devi andare oltre questa cosa,
andiamo da qualcuno, facciamo tutto quello che dobbiamo fare,
lo facciamo insieme, Antonio bello mio”.

 

Undicesimo Quadro

CORO: Care bambine e cari bambini,
lo sapevate che,
anche nella Parigi mondana e libertina della fine del diciannovesimo secolo,
la cocaina era oltremodo apprezzata non solo come droga da salotto,
ma anche da sesso?

Che bellezza il sesso, bambine e bambini.

In Germania, ci si concentrò maggiormente
sul potenziale di prestazione della droga
e i medici militari prescrivevano la sostanza
come mezzo di innalzamento delle capacità fisiche e mentali.

Durante la prima guerra mondiale,
i soldati tedeschi ne facevano un uso massiccio in trincea,
nelle lunghe marce
e negli attacchi aerei notturni.

Che bellezza, bambine e bambini, gli attacchi aerei notturni.

In tutta Europa negli anni ’20 la cocaina era considerata veramente chic.
Gli artisti dell’espressionismo, gli intellettuali,
i seguaci della via Bohème,
i giocatori d’azzardo,
le prostitute, i piccoli criminali: tutti cedettero al fascino della cocaina.
Ma la crisi economica e le proibizioni
misero rapidamente fine a quella variopinta tribù.
Secondo le ricerche degli storici, però,
l’élite nazista al potere sarebbe sempre stata ben rifornita di coca.
È da quel momento che, per giungere alla cocaina,
si sarebbe dovuto avere una buona
connection.

 

Dodicesimo Quadro

ANTONIO: E davvero sono io il pellirossa appiattito sul pavimento
per ascoltare i discorsi dei vicini del piano di sotto?
E davvero sono io il violento che urla contro Monica, 29 anni, di Bergamo,
anzi della provincia?
E davvero sono io il ricchione che prega la creatura transessuale,
per altro rinomatamente velenosa, di andare con lui anche se ha finito i soldi?
E davvero sono io il pinna nera nella vasca dell’acquario?
E davvero sono io il cretino incapace di frenare, di gestire?
E davvero sono io il caso umano o ictus o infarto?
E davvero sono io il bambino che telefona dopo un’ora e dove stai, che stai a fare, ti raggiungo?
E davvero sono io il turista che entra nella gabbia della tigre per farle una foto ricordo?
E davvero sono io il detenuto che piange nella sua cella?
E davvero sono io il mistico che ha visto Dio e non era Gesù e non era Manco Cápac?
E davvero sono io il libertino che ha conquistato la libertà del giocattolo, la libertà del cane?
E davvero sono io l’uomo che guarda davanti a sé e vede se stesso?

 

Tredicesimo Quadro

LEI: Verso le sei di mattina mi telefona Antonio
e io così, istintivamente o forse conoscendolo,
mi alzo e col telefono tra l’orecchio e la spalla comincio a vestirmi.
Mi dice che sta al mare,
che sta davanti al mare,
sugli scogli,
gli dico che lo vado a prendere
e di spiegarmi dove sta.
Me lo spiega e gli dico di non muoversi.
Esco di casa,
fuori è chiaro
e continuo ad ascoltarlo al telefono.
Delira, delira come sempre,
è meno agitato del solito
o di più, non lo capisco.
Ce l’ha col suo cervello
che non lo trova o comunque mi racconta tutta una storiella.
Prendo la tangenziale e l’autostrada,
corro con la macchina,
io che non corro mai,
poi esco dall’autostrada e prendo la litoranea,
lo vedo in lontananza,
sì, è lui, va avanti e indietro
goffo, sugli scogli
mentre straparla con me al cellulare.
Poi mi infilo tra le case basse
e lo perdo di vista.
Cade la linea, ho finito il credito anch’io, ma ci sono.
Parcheggio, chissà stavolta che ha fatto
ed ecco il mare, gli scogli,
è fresco, c’è vento,
non lo vedo,
sono sugli scogli,
lo chiamo:
grido “Antonio, Antonio, Antonio”.
Antonio non c’è,
mi fermo davanti al mare e faccio una SOS ricarica al cellulare,
ho freddo,
ecco squilla,
squilla proprio, la sua fessissima suoneria è alle mie spalle,
mi sciolgo, sorrido, mi giro,
un pescatore con un telefono in mano mi guarda
e mi dice: “Signorina,
il ragazzo era amico suo?”

 

Fine