NIPOTINI e FIGLIE

Monologo di 

Salvino Lorefice


Personaggi: Avventore di un supermercato che narra la vicenda.

Scena: un carrello del supermercato al centro della scena.

Scena 1.

Entrando, l’Avventore prende il carrello e lo porta davanti a sé, sul boccascena. Parla al pubblico.

AVVENTORE: Il supermercato era affollato, come sempre il sabato pomeriggio. Davanti al bancone della macelleria aspettavo di essere servito e, come di solito capita, mi guardavo intorno, forse cercando facce da riconoscere, da salutare, qualcuno con cui scambiare delle battute. Accanto a me c’era una giovane coppia con una bambina di circa due anni sul passeggino. La bambina sembrava annoiata, stava quasi per piangere, era disattenta, stanca di aspettare. La mamma cercava di distrarla offrendole un ovetto di cioccolata, ma la bimba le allontanava il braccio e guardava il suo papà, cercando sostegno.
Ad un certo momento si avvicina un anziano signore, dimostrava più di settanta anni, con una mano si appoggiava ad un bastone, nell’altra teneva una busta di plastica, di quelle che danno nei negozi, dove infilano i giocattoli dopo averli acquistati.
“Ciao, piccola,” dice l’anziano signore sorridendo alla bambina. La bambina smette di mostrare il supplizio dell’attesa e guarda con curiosità il nuovo arrivato materializzatosi nel piccolo assembramento. Il vecchietto si rivolge ai genitori della piccina e domanda se può fare un regalino alla bimba. I genitori si scambiano uno sguardo d’intesa e rispondono con un sorriso e acconsentono. Il vecchietto apre il sacchetto e dice alla bimba: “Ti faccio un regalino, prendilo tu stessa.” La bimba fa una smorfia e si volge dall’altra parte, declinando l’offerta. L’anziano signore non demorde e prende dalla busta un piccolo peluche, un pupazzetto che raffigura un orsetto, e lo offre alla bimba. I genitori cercano di giustificare la bimbetta dicendo che è annoiata e stanca. Il vecchietto estrae quindi un altro peluche raffigurante un leoncino, anch’esso con etichetta e, mostrando i due animaletti, chiede alla bimba di scegliere il regalino. La bimba lo ignora e guarda la sua mamma, scuotendo la testa, altro modo di declinare il dono. A questo punto il vecchietto porge alla mamma uno dei due pupazzetti e le dice di darlo alla bimba quando saranno rientrati a casa. La mamma ringrazia e il vecchietto sorridendo si congeda dicendo: “Me lo dai un bacetto?” E si china a baciare la bimba che si copre il viso, per difendersi, finché lancia un lagna che voleva dire: no.

Scena 2.

L’Avventore sposta il carrello facendo due o tre passi indietro, verso il centro scena.

AVVENTORE: Mentre si allontana, il vecchietto mi sfiora e io ne approfitto per rivolgergli la parola. “È una sua nipotina?” gli domando.
Il vecchietto mi guarda, mi sorride, e scuote la testa amaramente, come per dirmi no, non è mia nipote. “Mi piacerebbe – risponde – ma non ho nipotini.” Si guarda intorno, come se cercasse qualcuno, forse la moglie, penso, un parente, un figlio… Solo successivamente avrei capito chi cercava veramente.
“Quei regalini li ha comprati?” domando ancora con la curiosità dell’archeologo della vita qual io mi definisco.
“Oh, no. Me li hanno regalati – risponde. - E siccome non ho nipotini, quando vedo un bimbo gliene faccio dono. Ma non tutti accettano, sai? A volte sono i genitori stessi che rifiutano l’omaggio e non mi fanno nemmeno avvicinare. Forse pensano che io sia un venditore… Tu hai dei bambini?”
“No, ho figli grandi – rispondo con naturalezza. - Uno è sposato e ho un nipotino.”
“Oh, un nipotino! Che bello. È grande?” domanda lui.
“Tre anni.” Rispondo.
“E dov’è?” insiste.
“A casa, con i genitori.”
“Oh! Se era qui gli regalavo anche a lui il pupazzetto.” È amareggiato, sbaglia i tempi verbali.
Il vecchietto continua a guardarsi intorno, scrutando nelle corsie visibili, tra gli scaffali. Nel frattempo, arriva il turno per farci servire e mia moglie sorride al macellaio e fa le ordinazioni. Dopo cinque minuti ha comprato quattro ossibuchi, quattro costate di vitellino, un bel pezzo di muscolo con osso da fare bollito e un po’ di carne macinata, per le polpettine coi piselli. Per una settimana eravamo a posto. Così, carica tra le braccia, deposita le confezioni di carne nel carrello che trattenevo (dondola avanti e indietro il carrello) e, avendo lei capito che ero preso dalla interessante conversazione, mi lancia uno sguardo di fuoco, mi strattona il carrello e mi dice che sta continuando il favoloso giro tra le corsie. 
(L’avventore Lancia il carrello verso la quinta laterale.) Che donna!
Il vecchietto, col bastone in una mano e col sacchettino nell’altra, mi dice che è sposato e ha due “figlie femmine”. Mi dice che una delle due convive, e che l’altra non è né sposata e né convive, ma forse è fidanzata. Nessuna delle due gli ha dato il piacere di un nipotino, o nipotina. “Mi sarei accontentato anche di una femminuccia, sai?” mi dichiara.
“Lavorano?” domando io.
“Certo!” mi apostrofa, e prendono entrambe un bello stipendio. “La grande, quella che convive, lavora per una multinazionale e guadagna più di ottomila euro al mese. Ma mi ha detto che non si possono permettere un figlio. Figurati che il suo compagno, anche lui dirigente nella stessa multinazionale, guadagna meno di lei.”
“E perché non si possono permettere un figlio?” accentuo la domanda, oltre la curiosità.
“Ma è perché vivono in affitto!” Si meraviglia della mia stupida domanda. “E sai quanto costa un affitto a Milano? Eh, Eh!  E… Comprare un alloggio? Manco a pensarci.”
“Ho capito, quindi non abitano qui in città, in Sicilia.” Lo sprono per farlo parlare e lui è lieto.
“Ma no, per carità! – Mi dice. - La grande non vedeva l’ora di andare via. Devo scappare da questo paese, diceva. E così ha fatto: è andata all’università, alla Bocconi di Milano, a diciotto anni, e lì è rimasta. Adesso è dirigente delle Risorse Umane… Le Risorse Umane, sai? Quelle che una volta si chiamavano Uffici del personale; e gira per tutti gli stati, soprattutto in America, dove la sua ditta - chiamiamola ditta – ha le sedi principali, precisamente a Pittsburgh e a Paterson. Ma lei va anche in Giappone, in Germania, in Francia… Dappertutto, insomma… Ah, va anche in Russia… Non ricordo il nome, è un nome difficile, inglese… una ditta di colori, di coloranti…”
“E quanti anni ha, la grande?” Continuo a fargli domande: eh, son curioso. 
“Quarantuno… quasi quarantadue.” Tace riflettendo; o forse tace per riprendere fiato, poi continua. “Gliel’ho detto, l’età avanza, sei al limite, ma sei ancora in tempo a fare un bambino.”
“E lei che dice?”
“Lei s’arrabbia… sapessi come s’arrabbia!”
“Credo che sarebbe meglio non immischiarsi, in questi casi. Magari non possono averne, non riescono…”
“Ma no, possono, possono. È che non vogliono, e non pensano a un nonno che prima di morire vorrebbe avere il piacere di… Mah! Ho ottant’anni, a chi potrei dare il mio affetto?”

Scena 3

AVVENTORE: Il vecchietto continua a guardarsi intorno. Sembra smaniare, quasi sbatte il bastone a terra, come se quel gesto facesse scorrere il tempo più in fretta, una forma di ansia repressa. “Oggi ci sono pochi bimbi,” dice guardando in giro. “Eppure, stamattina c’è stato uno sciopero, non so di cosa, ma uno sciopero grosso. Vuoi vedere che le mamme hanno lasciato i loro figli ai nonni? Adesso, quest’ultimo pupazzetto a chi lo regalo?”
“Carini, questi peluche. Dove li ha comprati?”
“Non li ho comprati, me li hanno regalati. Vado spesso a comprare giocattoli per i miei nipoti – quando ne avrò e SE ne avrò. Compro i giocattoli e li metto da parte. Siamo pensionati, io e mia moglie, i soldi non ci mancano. Eppure, io e lei litighiamo spesso; dice che non sa più dove mettere quei giochi. Sono piene, le camerette, sai?! Le stanze che erano delle nostre bambine… Sì, bambine… ormai… sono cresciute.”
“Quanti anni ha tua figlia? La piccola.”
“Oh, Giorgina ne ha trentanove, quasi quaranta. Ma dico: che aspetta, cosa aspetta? Non è sposata, è vero, ma oggigiorno… Anche lei, come la grande, ha una specie di compagno; solo che lui vive a Venezia. Lei dice: come facciamo a fare un figlio, lui lì ed io qui? Come lo cresciamo? A pane e pomodori, come da voi? Eppure, ha un po’ di ragione anche lei. Ma i divorziati come fanno? Dico io. Fate finta che siete divorziati, dico io. Magari lo cresciamo noi nonni. Anche mia moglie sarebbe felice di avere un nipotino, sai?”
“E Giorgina, dove lavora?” continuo a scavare nella sua vita.
Il vecchietto sorride, ma con un’espressione di delusione. “Ah, anche lei… non ti dico.” E muove un braccio come per dire lasciamo perdere. “Lavorava a Milano; sì, anche lei, ha seguito la sorella; Giorgina è laureata in Filosofia, fa la segretaria in una scuola. Un bel posto, buon stipendio, però era Milano, capisci? … Inutile che ti dica i problemi… Poi ha vinto un concorso a Roma, al Ministero. Non so quale Ministero. Dopo sei mesi di prova ha lasciato ed è ritornata al vecchio lavoro, a Milano, una tranquilla segreteria di un istituto scolastico, un Liceo.”
“Perché ha mollato? Il posto al Ministero era un bel posto.”
Il vecchietto si avvicina al mio orecchio, come per rivelarmi un segreto inconfessabile. “Papà, mi ha detto una volta al telefono. Papà, ti confido che ai Ministeri di Roma siamo noi semplici impiegati amministrativi, quelli che sgobbiamo e ci facciamo un mazzo così; i capi non fanno un cacchio e i politici si prendono il merito del nostro lavoro. E poi, al Ministero non c’erano orari da rispettare, quando mi chiamavano dovevo correre. Ti sembra giusto?” Si allontana dal mio orecchio e si ricompone, continuando a parlare. “Ecco perché dopo sei mesi ha lasciato; per fortuna l’hanno ripresa nella vecchia scuola.”

Epilogo.

Il vecchietto si guarda intorno, come al solito. Ad un tratto noto che gli brillano gli occhi per la contentezza, come un pescatore che ha tirato su la lenza con un pesce da un chilo. Faccio appena in tempo a dirgli “in bocca al lupo per i nipotini” e lui senza darmi retta mi lascia e si dirige verso una giovane coppia con un bambino di tre anni che trotterella attorno a loro. Io guardo la scena.
“Posso fare un regalo al bambino?” domanda affabile ai due giovani genitori; rispondono di sì.
“Bambino, vieni qui: lo vuoi un regalino?” Il bimbo sorridente fa cenno sì con la testa e guarda i suoi, che hanno un’espressione consenziente.
“Vieni, prendilo, è in questo sacchetto.” Il bimbo guarda curioso dentro il sacchetto vede il peluche, sorride, infila il braccino e lo prende. Tira fuori il pupazzetto e sorride, mentre lo mostra ai genitori. “Ringrazia il signore”, dicono al bambino.
“Me lo dai un bacetto?” il bimbo lo accontenta, felice. “Sapete, io non ho nipotini e vorrei tanto averne uno… ho due figlie, ma abitano lontano e non sono sposate…”
Io mi allontano tra gli scaffali, in cerca di mia moglie che, a sua volta, mi cerca e mi aspetta alle casse. (Si muove lentamente, in cerca della moglie. Poi la vede e si avvia lesto ad uscire.)

BUIO