Lucrezia B.
di
Alberto Milazzo
Avvertimento
Così scriveva Felice Romani per introdurre il suo libretto operistico, “avvertimento”.
Al di là del felice gioco linguistico che sollecita a stare in guardia, che avverte dell’imminenza del pericolo prima che si sollevi il sipario, il timore dell’autore, di ogni autore che si confronta con la vita di Lucrezia Borgia, è legittimo.
Per l’ampiezza del tema, per la difficoltà dell’intreccio, per gli illustri precedenti narrativi, per le continue riletture storiche.
“Lucrezia B.” nasce da una fascinazione.
Ho guardato a lungo i ritratti veri e supposti di Lucrezia e ho aspettato che mi parlassero, ho letto alcune biografie, visto il melodramma, spulciato fra le carte. Poi la scoperta dei piccoli indizi del quotidiano: la possibilità che Lucrezia fosse bruna e tingesse i suoi capelli di biondo, mi ha fornito il destro drammaturgico per iniziare a scrivere.
Il tentativo è quello di fare emergere le recenti letture critiche della figura storica, ponendole a contrasto con l’immagine di “negrezza” che ha sempre accompagnato la nostra protagonista.
Lucrezia B. mette un nostro contemporaneo, un giornalista della peggiore schiatta televisiva a “caccia” di scoop, a confronto con l’Eterna Lucrezia.
Il tipo di domande, quelle che aprono ogni scena soprattutto, sono le stesse che Truffaut fece ad Hitchcock nel suo libro intervista, perché l’acume si dimostra nella semplicità dell’approccio e perché solo Hitchcock avrebbe potuto ridestare il fascino ambiguo della Borgia. Alcune sequenze sono ispirate a Psycho, a Marnie, a The Birds, a The Rope, perché volevo che una sensibilità criminale a noi vicina contaminasse omicidi lontani nei secoli e che difficilmente avrebbero eccitato la nostra fantasia.
Il sottotesto è affidato alle letture critiche di Camille Paglia sulle bionde non naturali nella storia dell’arte e del costume occidentale, e all’”Unico e le sue proprietà” di Stirner.
L’impianto generale, invece, ricalca la mitica vicenda di Diana e Atteone nell’interpretazione degli “Eroici Furori” di Giordano Bruno, dove il “cacciatore” si trasforma in preda e viceversa.
Alla fine, ho cercato di fare anch’io il mio ritratto da aggiungere ai tanti imprecisi della galleria lucreziana. Ciò che ho dipinto è l’enigma della colpa, che ci riguarda anche quando supponiamo di esserne lontani, come in Giobbe.
La mia Lucrezia è un piccolo sole, biondo e malato, attorno al quale ruotano una miriade di pianeti ammantati di morte, di sciagure. Lucrezia è il motore immobile, sembra non fare nulla, ma è il centro di attrazione gravitazionale che regge l’intero sistema.
Il resto al pubblico.
Alberto Milazzo
Personaggi:
Lucrezia Borgia
Greg Orovius: Intervistatore
(nella realtà Gregorovius è il primo compilatore di una biografia di Lucrezia)
Santino: Estetista di Lucrezia
(nella realtà Santino è il buffone di corte di Lucrezia)
Ettore: Cameraman e assistente di Greg
(Personaggio di fantasia)
Tempo
Oggi… ma anche ieri. E prima ancora.
Luogo
Uno spazio indefinito in casa di Lucrezia Borgia
Prologo
Quando il pubblico si sarà sistemato in sala e prima che le luci calino, dalla scena buia giungono rumori di colluttazione. Oggetti che cadono, sedie che si trascinano, porte che sbattono.
Battute a soggetto fra una donna e un uomo.
Non si distinguono bene le parole. Alcuni no strozzati, dei perché, adesso ho capito, etc.
Poi un breve silenzio.
Quindi un urlo di donna.
L’urlo deve far raggelare.
Un tempo
Lentamente le luci di sala scemano e si accendono quelle sul palcoscenico. Non c’è alcuna traccia di quello che il pubblico ha sentito.
Tutto è calmo, sospeso.
La Scena
Un buio procelloso, abitato.
Centro palco e leggermente di tre quarti una pettineuse, piccola ma zeppa di oggetti, con una sedia girevole. Soprattutto ampolle di vetro, come alambicchi da alchimista. Uno specchio a ribalta, pettini, profumi, trucchi.
Vicino alla pettineuse, un tavolino sul quale svettano tre teste di manichino che sorreggono tre acconciature.
Una testa con una reticella d’oro, come nella medaglia de “L’amore bendato”.
Una con il turbante del ritratto del Pinturicchio, “La disputa di Santa Caterina”.
Una con la coroncina di olivo e il diadema del ritratto di Bartolomeo Veneto, “Flora”.
Fra le teste c’è anche una copia esatta del reliquiario di Pietro Bembo, vuoto.
Il fondo del palco è interamente occupato da un telo di plastica su cui gronda acqua. Con un gioco di luci l’acqua sembrerà sangue, pioggia, una doccia etc.
Lucrezia è seduta alla pettineuse. Ha i capelli lunghi e biondi che le pesano, bagnati, sulla schiena nuda.
La vediamo di schiena. I capelli bagnati sgocciolano in un catino di zinco come fosse una grondaia che piscia dopo il temporale. Lucrezia osserva la sua immagine allo specchio. Vediamo il suo volto nell’ovale dello specchio.
Santino le ronza intorno, correggendo l’acconciatura. Notiamo che indossa un paio di guanti di plastica trasparente, di quelli che usano i parrucchieri per le tinte.
Ai loro piedi, gettati alla rinfusa, memorie della vita di Lucrezia Borgia: il triregno del padre, l’abito delle prime nozze, le lettere agli amanti, ai figli, ritratti e anche cose di poco conto, una bambola, una scatola…
Durante lo spettacolo Lucrezia dà vita agli oggetti per terra. Li tira su, sottraendoli all’oblio della fossa comune, e li fa parlare. Una sorta di burattinaia, senza marionette.
Greg è in proscenio, fra Lucrezia e il pubblico. Sta decidendo con Ettore, il cameraman con la telecamera a spalla, l’inquadratura iniziale per l’intervista.
Nota all’edizione nel Teatrino delle Sei:
Una fonica capace dovrebbe amplificare il gocciolio del Teatro.
Atto I – “L’Amore Bendato”
Scena prima
Santino: (Fra sé) Fate una lisciva di cenere di bosso. Prendete una paglia di orzo e fate bollire per un giorno.
Greg: (Ad Ettore) Comincerei da qui. Seduto? In piedi? Meglio seduto. (prende una sedia e si siede) Così. La impallo? Direi che potresti riprendere il suo volto allo specchio.
Santino: Fate una seconda lisciva con quest’acqua e questa cenere. Gettatele dentro del fiore di noce e qualche foglia d’albero.
Greg: Vorrei che la cornice dello specchio non si vedesse. Deve sembrare che stai riprendendo il suo vero volto. Poi allarghi l’inquadratura e scopriamo che è un’immagine allo specchio. Sveli le sue spalle… e i capelli, ovviamente.
Santino: Lasciate in infusione per tutta la notte. L’indomani lavatevene la testa e avrete capelli biondi.
Greg: Poi stacchi su di me.
Ettore lo guarda
Greg: No, Ettore. Ti prego, non ricominciamo. Lo so che già Hitchcock… e che non sto inventando niente. Ma se non citiamo i maestri…?
Santino: Lasciandoli asciugare al sole. Il sole è la parte più importante. Certo, poi c’è il pericolo di nevralgie. Emicranie furibon…
Lucrezia, fino a questo momento immobile, solleva la mano di scatto e zittisce Santino. Poi, lentamente si volta verso il pubblico. Lo fa rimanendo seduta sulla sedia girevole.
Greg è colto alla sprovvista, fa segno ad Ettore di riprendere. Ha capito che non riuscirà ad ottenere le inquadrature che aveva previsto.
Ettore punta la telecamera a spalla su Lucrezia.
Il volto della donna compare sui muri del teatro. Moltiplicato. Ci si sente circondati dalla sua presenza e dal fascino magnetico di Lucrezia.
Quindi, quando Ettore si volta per inquadrare anche Greg, l’immagine del volto di Lucrezia sparisce dalla sala che torna in un buio desolante.
Greg e Lucrezia sono immobili, uno davanti l’altra. Si studiano. Si stupiscono quasi di trovarsi veramente a confronto. Non trovano nella memoria e nella logica spiegazione alcuna o giustificazione perché siano entrambi nello stesso posto allo stesso momento.
Greg: Io…
Lucrezia: Voi…
Greg: Io… sono.
Lucrezia sorride
Greg: Greg Orovius.
Lucrezia: Gregorovius?
Greg: Per l’intervista.
Lucrezia: Una inter… vista.
Greg: Domande. Risposte. Poche domande. Alla telecamera. Ettore riprende. Io faccio le domande. Il pubblico fa le domande.
Lucrezia: Volete risposte.
Greg: Lei non ha letto le domande. Prima. Lo fanno tutti. Censurano. Correggono.
Lucrezia: Tutti.
Greg: Gli altri. Trecento interviste in sei mesi di programmazione. Non lei. Le ho preparate. Lo faccio sempre. Non le dispiace?
Lucrezia: E non vi spaventa?
Greg: Fare domande?
Lucrezia: Ascoltare le risposte.
Ettore si avvicina con la telecamera.
Greg: (Ad Ettore) Aspetta. Non ancora. Io comincerei…
Lucrezia: Avete già cominciato. Non ve ne siete accorto? Bisogna stare attenti. Alle domande che si fanno. E le risposte. Sono imprevedibili per natura.
Ettore: Sto girando.
Greg: Io comincerei… con qualcosa di semplice. Dall’inizio. Madonna Borgia lei è nata a Subiaco il 18 aprile 1480.
Lucrezia: Non c’è niente di semplice nel principio. In verità il principio è un grosso pastiche che chiamiamo mistero, solo perché ci lusinga più l’idea di discendere da un mistero che da un pasticcio.
Lucrezia fa segno a Santino di riprenderle una ciocca che le dà noia. Santino esegue.
Greg: Della sua infanzia conosco solo un episodio, quello della Torre di Nona. E’ una storia vera?
Quattro. Cinque anni? Con sua madre Vannozza, a Roma.
Lucrezia: Quartiere Ponte. La Torre di Nona sorge lì vicino. Trasformata in un carcere per condannati politici. La signora madre mi manda lì con una lettera, accompagnata da uno dei miei fratelli. Il rettore del carcere legge, fa allontanare mio fratello e mi rinchiude in una cella. Da sola.Un rovescio di clessidra. Eterno. Quando chiude la porta, mi guarda dritto negli occhi: “Ecco che cosa si fa ai bambini cattivi”.
Greg: Cosa aveva fatto per meritare il carcere?
Lucrezia: Mio padre mi chiama “la mia piccola cerva bruna”. Mia madre dice che ho una sguardo indecente.
Greg: Genitori severissimi.
Santino: In realtà, molto teatrali. Vivono per i bagni di folla. Anche in privato, agiscono come ci fosse sempre qualcuno ad annotare le loro azioni eccezionali e comunicarle al pubblico. E (sorride) qualcuno c’è. Dicono che abbiamo il diavolo per copista.
Greg: Teatrali. Suo padre, il papa, soprattutto.
Lucrezia: Alessandro VI è padre di tutti, dell’umanità intera in Cristo. Ho sempre pensato a Cristo come ad un mio fratello di sangue.
Greg: Uno strano amore quello di Dio per suo figlio. Alessandro VI la amava allo stesso modo?
Lucrezia: Il Papa ama tutti.
Greg: E sua madre? Amava anche lei, Lucrezia?
Lucrezia: E’ più facile soddisfare un padre. Per la signora madre il mio primo seno è inopportuno. Tutto ciò che è acerbo, dice, è sfrontato. Mi manda a studiare nel convento di S. Sisto, vestita come una monaca. Il velo mi nasconde i capelli…
Greg: Una studentessa modello?
Lucrezia: Studio per paura.
Greg è ansioso dello scoop e pensa di averne trovato uno. Vediamo la sua anima vampiresca guizzare dietro lo sguardo, fremere sotto la pelle.
Greg: Usano ancora punizioni corporali? Questo è uno scandalo. (alla telecamera) Bisogna che l’opinione pubblica sia informata.
Lucrezia: Non la frusta. E’ l’immagine del mio corpo nei loro occhi. Sono il male. Certo. L’aspetto monacale che mia madre mi impone non cambia le cose. Frugano con lo sguardo sotto le pieghe della mia veste e mormorano esorcismi e novene.
Santino accidentalmente fa cascare un’ampolla per terra che si rompe.
Lucrezia: (sobbalzando) Te maledicunt.
Santino: Perdono.
Lucrezia: (a Santino) Cos’era?
Santino: Nulla di importante.
Lucrezia: Sei sicuro?
Santino: Sì, Madonna Lucrezia. Non era niente.
Lucrezia: Sento che stai mentendo. Dovremo rifare la tinta. Lo so. Hai rovinato tutto. Era qualcosa di fondamentale. Un fissante o qualcun’altra delle tue sante diavolerie. Di che colore verranno adesso?
Santino: Saranno biondi come l’oro. Come sempre, Madonna.
Lucrezia: Ramati.
Santino: Come sempre.
Lucrezia: Giuramelo. Giuramelo, Santino.
Santino: Era profumo. Solo profumo. Ne ho dell’altro di là. Stanno già asciugandosi. Bisogna che la lisciva sgoccioli bene e lasci la sua scia luminosa. Saranno perfetti.
Lucrezia lo fissa
Santino: Sono stato maldestro. Vi chiedo scusa. Quel ragazzo con la telecamera. Averla puntata addosso innervosisce.
Lucrezia: (A Greg) Avete notato il colore?
Greg: Come avrei potuto non farlo? Il colore dei suoi capelli lo notano tutti. E’ una leggenda. Una moda che non sfiorisce. Da secoli.
Lucrezia: Il colore dell’acqua che gronda dai miei capelli.
Santino…
Santino prende il secchio di zinco e lo avvicina ai due
Greg: Posso?
Santino: Tuffi le mani nell’acqua. La raccolga. Ammiri la tinta.
Greg: (Alla camera) Chissà quanti vorrebbero essere al mio posto.
Greg tira su un po’ d’acqua e poi la lascia ricadere nel secchio. E’ densa, rossastra. Sembra sangue.
Lucrezia: Non c’è traccia della mia biondezza, lì dentro.
Greg: E’ rosso.
Lucrezia: Rosso sangue.
Ettore allunga un fazzoletto a Greg.
Greg: Grazie, Ettore.
Lucrezia: Non le servirà.
Santino: Macchie dannate. Un giorno di risciacqui per lavare la pelle. Noi stiamo molto attenti (mostrando i guanti di plastica trasparente che indossa). Ma La testa di Madonna Lucrezia…
Lucrezia: Dalla mia testa cola sangue.
Lucrezia sorride
Greg tenta nervosamente di pulirsi le mani col fazzoletto di Ettore. Non ci riesce.
Santino: Giel’ho detto. E’ inutile. Per qualche strana alchimia non rimane traccia di quel rosso vivo nei suoi capelli. Sembrano incorruttibili. Più il liquido cola denso, grumoso e scuro, più la sua biondezza è immacolata.
Greg: (Innervosito) Madonna Lucrezia, quando lasciò Roma per Ferrara, impiegò 27 giorni per il viaggio. Si disse che lei obbligò la corte a fermarsi ogni cinque giorni: perché potesse lavarsi la testa.
Santino: (Mentre raccoglie i cocci di vetro) Buon Dio, quel viaggio. Lei sa cosa vuol dire preparare una tinta in aperta campagna?
Lucrezia: Il giorno che dimenticherò di lavare la testa, sarà il giorno della mia morte.
Santino: Saranno tutti questi lavaggi ad ucciderla, Madonna.
Lucrezia: Al contrario.
Santino: Emicranie leggendarie.
Greg: Crede che la tinta le sia dannosa?
Santino: No.
Lucrezia: Santino mi sta avvelenando da anni. Mi uccide lentamente.
Santino: Buon Dio, no. Lei non crederà… ha registrato quello lì? Non vorrete diffondere anche questo?
Lucrezia: Sei lo strumento della mia passione.
Santino: Madonna…
Lucrezia: La mia corona di spina.
Greg: Vuole fare una confessione pubblica? Sarebbe geniale: L’estetista di fiducia di Lucrezia Borgia confessa: La volevo tutta per me. Per questo l’ho uccisa. Con uno shampoo.
Santino: Perdonatemi.
Santino esce
Lucrezia: L’avete spaventato. E’ un uomo sensibile. Naturalmente la tintura è innocua. Non c’è traccia di veleno alcuno.
Greg: Come fa ad esserne certa?
Lucrezia: Adesso è di là a tremare in un angolo. Braccato. Una bestiolina ferita.
Greg, impaurito, riprova a pulire le mani
Lucrezia: Naturalmente, esistono veleni che penetrano attraverso la cute. La pelle è una spugna. Altri, potentissimi, si respirano nell’aria.
Greg: (fissando le macchie sulle mani) Non volevo fargli paura. Credo di avere bisogno di un bicchiere d’acqua.
Lucrezia: Sostanze che uccidono solo per contatto. Alcune nel tempo di un gloria altre lentamente, con la cadenza di una novena.
Pater noster
Audio el suplicio de noi poveri
Greg: Ho la gola secca.
Lucrezia: Crudelmente siamo stracciati
Deh, non guardar ali nostri peccati
Greg: La saliva.
Lucrezia: Qui es in cielis…
Quando elli vegnano nella casse nostre
Tanto pratossi et honesti se fanno
Che parono chon soi officij et per nostri
Santificetur
Greg: Un sorso d’acqua.
Lucrezia: Et poi che in cassa nostra sono entrati
Paron leoni et orssi scatenati
Greg: Maledizione. Ho la gola in fiamme. Cristo.
Lucrezia: Biestemon come fanno renegati
Nomen tuum…
et nos inducas in temptazione
sed libera nos, signor juste et clemente
da questa bestial et crudel gente
che te consuma et liberace al presente.
Greg: (Gridando) Posso avere un bicchiere d’acqua?
Lucrezia: Santino? Porta un bicchiere. Meglio il vino. Un bicchiere del miglior rosso per i nostri ospiti.
Greg: Ettore, taglia qui.
Ettore appoggia la telecamera a terra
Ettore: (A Greg) Non ti senti bene?
Greg: Vorrei lavarmi le mani.
Lucrezia: Non vi servirà. Immergerete le mani in un catino con dell’acqua bollente, sale e cenere di camino. Brucerà. Fate molti risciacqui.
Greg: Perché ha voluto che mi sporcassi le mani?
Greg mostra a Lucrezia le macchie, come di sangue
Lucrezia: Io sono abituata. Il mio corpo è abituato. Il corpo fa l’abitudine prima della mente. Le vostre mani, non sembrano turbate. Ma la vostra mente metterà del tempo per riconoscerle.
Entra Santino con due calici di vino
Santino: Sagrantino di Montefalco.
Lucrezia: (Fra sé) L’Umbria, la mia amatissima Umbria. Rosso. Forte. Pregiato. Vitigni antichi. Illustre genealogia. Degno dell’ultima cena.
Lucrezia prende un calice dalle mani di Santino, lo guarda in controluce, annusa il bouquet. Ha modi da messa.
Lucrezia: Aggiungiamo un pizzico di cannella.
Santino si avvicina alla pettineuse. Apre una scatola, tira fuori una presa di cannella in polvere e la scioglie nei due calici.
C’è un fremito nell’aria. Greg ed Ettore si guardano. Non riescono a vedere la spezia che Santino aggiunge al loro vino. E questo li rende nervosi.
Lucrezia, che ha una migliore prospettiva su Santino, gli fa segno di servire
Lucrezia: (propone un brindisi) Alla mitezza. Delle prede.
Greg: (prendendo tempo) Colore… come un rubino prezioso. Il profumo… di spezie. Di grani d’incenso, quasi.
Ettore, incuriosito, si avvicina a Greg
Greg: (Ad Ettore) Avrei preferito un bicchiere d’acqua.
Santino: (Ad Ettore) Ce n’è uno anche per lei…
Ettore: Ettore.
Santino: Ettore!
Santino: (A Greg) Voi dimenticate che siete in casa di Lucrezia Borgia. Ho una cantina degna del re di Francia.
Ettore: Grazie (prendendo il calice dalle mani di Santino).
Lucrezia osserva in silenzio.
Ettore guarda Greg prima di bere.
Poi, butta giù, d’un fiato.
Greg sembra irrigidirsi. Forse avrebbe voluto impedire al suo assistente di bere. Ma non sarebbe stato educato.
Ettore, finito di bere, alza il bicchiere verso Greg, come per brindare con lui.
Greg, esitante, beve.
Un tempo.
Lucrezia: (Sorridente) Credo sia ora, Santino.
Santino si affretta a farle indossare la sua acconciatura.
Lucrezia: Mi fa pudica e regale, come Diana al bagno. Santino? In mancanza delle ninfe.
Greg: (Ad Ettore) Riprendiamo.
Santino ferma sulla testa di Lucrezia l’acconciatura dell’”amore bendato”
L’immagine di Lucrezia, come nella famosa moneta, compare sui muri del teatro.
Buio.
Nel buio sentiamo la voce di Santino.
Santino: Santino. Come una ninfa. (Santino sorride gaio) E Madonna Lucrezia… come Diana al bagno. E Greg? E Ettore? I cacciatori della favola?
Un giorno Atteone lascia indietro i suoi compagni e si addentra nel folto del bosco. All’improvviso s’imbatte in una visione proibita. Non solo ai mortali come lui, ma perfino agli dei. Diana, stanca della caccia, che immerge le membra febbrili in una fonte purissima. Le ninfe l’aiutano a lavarsi. (Santino sorride di nuovo). La casta dea, furente, schizza con quell’acqua limpida il bel volto del giovane cacciatore e, all’istante, Atteone si trasforma in un cervo, schiumante di terrore. Infelice Atteone. Finì divorato dai suoi stessi cani che lo scambiarono per una facile preda. (Santino sorride ancora. Ma questa volta c’è qualcosa di sinistro nella sua voce).
Scena seconda
Lucrezia, con la rete di fili d’oro sul capo, ricompare in scena, avanzando dal fondo. Ha un mazzo di tarocchi in mano.
Sembrano passati solo pochi minuti dalla scena precedente.
Lucrezia: Sono il mio svago preferito. Ho passato molti anni a giocare con le carte.
Lucrezia mostra il mazzo a Greg
Greg: I famosi tarocchi ferraresi. I più antichi che si conoscano.
Lucrezia: (Sedendo alla pettineuse) Dicono che sia stata io a commissionarli. Che li abbia perfino inventati. Non ricordo. E’ come se ci giocassi da sempre.
Greg: Si possono anche interrogare. Per leggere il futuro.
Lucrezia: Sì, conoscevo una donna…
Ettore fa segno a Greg che è pronto per cominciare a registrare. Greg assume una posa più “televisiva”.
Greg: Sono in molti a chiedersi se Lucrezia Borgia sogna? Cosa sogna?
Lucrezia: Hypnos era fratello gemello di Thanatos. Ricordate? Il Sogno, gemello della Morte.
Greg: Ci vuole raccontare un suo sogno?
Lucrezia: Gioco lungo il Tevere, con la mia amica Giulia. Adriana ci sorride da lontano. Corriamo, raccogliamo fiori. Io accarezzo la mia bambola.
Greg: Tutto qua? Nient’altro? E’ questo il sogno ricorrente della Borgia?
Lucrezia: A parte il Tevere.
Greg: Il Tevere.
Lucrezia: E’ un lungo serpente gelido. Con scaglie luminose che guizzano all’improvviso, occhi che ti scrutano, spire pronte a ghermirti. Il Tevere è un fiume maledetto.
Greg: Crede?
Lucrezia: Scegliete una carta.
Greg: Come?
Lucrezia: Ho risposto ad una vostra domanda. Siate cortese e provate a scegliere una carta.
Greg prende una carta dal mazzo. La osserva. La dà a Lucrezia
Lucrezia: La torre. Coincidenza?
Santino: L’episodio della Torre di Nona deve esservi rimasto impresso.
Lucrezia: Prendetene un’altra.
Greg: D’accordo, ma prima la domanda.
Lucrezia: E sia.
Greg: Uno dei suoi fratelli, Juan, fu recuperato morto dalle acque del Tevere.
Lucrezia: Questa non è una domanda. Ma conosco la trappola. No, facevo quel sogno già tempo prima.
Greg: Facciamo due conti. Il dodici giugno del 1493 lei sposa il suo primo marito, Giovanni Sforza.
Lucrezia: Giugno è il mese adatto.
Lucrezia poggia i tarocchi sulla pettineuse. Raccoglie da terra il suo abito da sposa. Lo tiene su davanti alla sua figura come per riandare con la memoria a quei giorni. Poi, mette il vestito in grembo e liscia le pieghe.
Greg: Dopo quattro anni il matrimonio è dichiarato nulla. E’ il papa stesso, suo padre, a sciogliere le nozze perché non consumate. Il suo corpo è sottoposta ad esame. E’ dichiarata “Virgo Intacta”.
Santino: Quella dizione. Virgo Intacta!
Lucrezia: Pura come la Vergine Maria. La madre di Cristo e la figlia del suo vicario sulla terra.
Greg: Giovanni fu accusato di impotenza. Ed obbligato a dimostrare la sua virilità.
Lucrezia: Come può un uomo dimostrare la sua virilità?
Greg: Come può, piuttosto, non dimostrarla, avendo la fortuna di diventare suo marito?
Lucrezia: Devono avervi riferito che mi piacciono i complimenti. Santino: Un piacere tale che supera anche le gioie del sesso.
Greg: Gioie che le furono negate dal suo primo marito.
Lucrezia: Virgo Intacta.
Lucrezia ricaccia per terra il suo vestito da sposa. Fa un sospiro e riprende i tarocchi.
Lucrezia: Sapete come si distingue una vergine?
Greg: Credo di sì.
Lucrezia: Molti credono di saperlo, ma i più lo ignorano. Una carta, prego.
Greg, un po’ contrariato sceglie. Di nuovo, la passa a Lucrezia
Lucrezia: L’appeso. Figura un morto per impiccagione, o soffocamento. Volete illustrarmela voi?
Greg: E’ una scelta casuale.
Lucrezia: Il caso?
Greg: Sì, il caso.
Lucrezia: Una visione consolante della vita.
La certezza di lasciare questa terra senza colpa alcuna. Assolti.
Greg: Qualcosa di simile.
Lucrezia: (Fra sé) Qual’era la colpa di Atteone?
Lucrezia raccoglie una pergamena dove è tracciato il suo oroscopo e lo confronta con il responso dei suoi tarocchi.
A me raccontarono di uno Scorpione che faceva guerra a Marte tentando di pungergli il tallone, e questo guastava il mio sangue. Dissero che il giorno della mia nascita Diana, in forma di Luna, corteggiò l’alato Mercurio che si mutò in Ariete pur di mantenersi casto. Difendere la famiglia era il consiglio da trarre. Quel giorno, dissero che il Sole era tramontato fra le corna di un Toro per fare di me una guerriera d’antica stirpe.
Il cielo in forma di quadrato, i segni delle stelle…
Sembra che tutto sia già scritto. Gli oracoli cavano un oroscopo al giorno e lo inviano a mio padre.
Greg: Il papa… leggeva l’oroscopo?
Lucrezia: Le biblioteche vaticane non hanno confini.
Santino: (contenendo il dolore della memoria) Alla morte del papa bruciarono tutti i testi alchemici. La loro sapienza… perduta.
Lucrezia: Fu come il rogo d’Alessandria, come l’incendio della casa dei papiri ad Ercolano.
Greg: Torniamo alle sue nozze non consumate.
Lucrezia: La sete del sapere.
Greg: Il suo primo marito, oltraggiato da Alessandro VI, accusò lei di essere l’amante di suo padre, il papa, e di suo fratello, Cesare Borgia.
Lucrezia: La virilità è il vostro bene più prezioso.
Greg: Non sono accuse da poco.
Un tempo
Lucrezia: (Fissa Ettore) Come vi chiamate?
Greg: Ettore.
Lucrezia: Ettore. Aitante come vuole la vostra onomastica.
Greg Guarda Ettore
Lucrezia: Vi conoscete bene?
Greg: Un po’.
Lucrezia: Portare quel peso deve irrobustire i muscoli. Quanto è prestante il vostro Ettore?
Greg: Dovremmo chiederglielo.
Lucrezia: Somiglia al nudo Antinoo come lo vide l’imperatore Adriano? O le sue membra hanno già la posa di un Ercole barbuto…
Greg: Non… non…
Lucrezia: Non capite o non volete capire? Raccontatemi di Ettore. O dovrò interrogarlo io stessa.
Greg: Non c’è niente da chiedere e nemmeno da raccontare.
Lucrezia: Avete imparato l’arte di fare domande, ma sconoscete il sottile piacere delle risposte.
Greg: (balzando in piedi e irrigidendosi) Ettore è una ragazzo fidato, capace e il nostro rapporto… professionale si è consolidato negli anni.
Lucrezia: Contegno, Greg Orovius. Contegno. Cosa intendete fare? Saltarmi al collo? Seguire il consiglio dei miei tarocchi? E impiccarmi?
Greg: Io la prego…
Lucrezia: Ecco come reagisce un uomo quando si mette in dubbio la sua virilità. Vi surriscaldate in fretta. Troppo in fretta… Tornate a sedervi.
Greg in silenzio si siede.
Greg: Ma erano accuse precise quelle che le mosse suo marito.
Lucrezia: Parole, flatus vocis.
Greg: Parole, bisbigli, forse, ma di Roma intera. Dell’Italia tutta.
Lucrezia: Mio padre mi fa sedere sulle sue gambe. E’ una cosa del tutto innocente.
Lucrezia si alza. Raccoglie il triregno del padre da terra. Incorona Greg.
Poi prende la sua bambola e avvicinandosi a Greg gliela pone sulle gambe.
Lo osserva, sorride.
Questa sequenza ha la lentezza del sogno.
Greg: E’ in quello stesso anno che viene ritrovato il cadavere di suo fratello nel Tevere.
La battuta disturba Lucrezia che recupera la sua bambola e raggiunge la pettineuse.
Lucrezia: Mio fratello Juan mi somiglia. E’ così fragile.
Greg: (Togliendosi la tiara) Come si può essere fragili e insieme comandare le milizie papali?
Lucrezia: Le contraddizioni possono uccidere. Il Tevere lo ha vomitato come un serpente con un boccone indigesto.
Lucrezia raccoglie una spada da terra.
Lucrezia: (guardando la spada) Non c’era traccia della sua bellezza.
Greg: Lei lo amava?
Lucrezia: La bellezza muore, per prima.
Greg: Lo amava.
Lucrezia: D’uomini pescator noi ti crediamo
Papa fra tutti i preti
Perché il figliol pescare ti vedemmo
Colle tue stesse reti.
Greg: Lo amava?
Lucrezia: E’ mio fratello.
Greg: Come Cesare, come Jofrè. O di più?
Lucrezia: Non è mai Cesare che uccide.
Greg: Perché lei amava più Juan di Cesare. E questo lo fece impazzire. Il vostro era più che amore fraterno. Nacque un figlio dalla vostra unione incestuosa che il popolo chiamò l’Infante Romano. E Cesare volle lavare la vergogna con il fratricidio.
Lucrezia: Sono miei tutti i figli illegittimi.
Greg: Come l’Infante Romano?
Lucrezia: Un fratello ucciso e un matrimonio stravolto non sono abbastanza? Il dolore vi seduce a tal punto? C’è chi vive e chi giudica. Dio abbia pietà dei secondi.
Greg: Un anno dopo lei era già moglie di Alfonso d’Aragona.
Lucrezia: (Tornando a fissare Ettore. Lucrezia continua a guardare Ettore mentre risponde alle domande di Greg, dando la sensazione che il suo interlocutore sia solo Ettore) Il suo Ettore somiglia al mio Alfonso.
Greg: Amò anche lui?
Lucrezia: Solo.
Greg: Alfonso la abbandonò.
Lucrezia: La mia reputazione mi precede. Alfonso non si è concesso il tempo di conoscermi.
Greg: Cosa avrebbe scoperto col tempo?
Lucrezia: Che amo, come ogni donna.
Greg: E odia come qualsiasi altra donna.
Lucrezia: Perché l’odio dovrebbe essere una colpa più grave in me che in tutte le altre donne?
Greg: Cosa odia Lucrezia Borgia?
Lucrezia: L’uomo libero.
Greg: E’ un sentimento naturale. In lei. Strumento di lotte di potere.
Lucrezia: (A Greg) Fraintendete. Come ogni schiavo anche voi avete un’opinione distorta della libertà.
Greg: E cos’è la libertà per Lucrezia Borgia?
Lucrezia: Humani nihil a me alienum puto. L’immenso Terenzio.
Sono un uomo. Fino in fondo.
Greg: Se per l’uomo tutto è lecito, si diviene peccatori alla svelta.
Lucrezia: Il grado del mio peccato rivela la misura della mia libertà.
Greg: Di quali peccati si è macchiata Lucrezia Borgia?
Lucrezia: Vedete, cambiano con le mode. Ditemi voi quali hanno turbato il vostro sonno.
Greg: Lei ha profanato la sacralità della Chiesa.
Lucrezia: Profanare. Chiesa. Sacralità. Usate parole più grandi di voi. Io posseggo le mie idee, le fissazioni invece ci posseggono. Voi non possedete le prime e siete posseduto dalle seconde.
Greg: Lei non crede nella santità del papato?
Lucrezia: Il papa è mio padre. La sua santità è secondaria. Io stessa sono vicaria del papa in sua assenza. Questo fa di me una santa?
Greg: Lei è una vittima, per molti. (guardando Ettore) Per alcuni una santa.
Lucrezia: Ci sono abbastanza santi in questo paese. Si può benissimo fare a meno di santa Lucrezia Borgia. Ma non credo che sia questo l’argomento che vi sta tanto a cuore. Ve lo leggo negli occhi. Avete passato le ultime ore a pensarci. Le ultime notti forse. Le confessioni di quali peccati volete ascoltare? Tenete sant’Agostino accanto al letto? Cosa vi eccita della mia vita, signor Greg Orovius? Per quale motivo siete venuto fino qui? Il mio nome? Lucrezia Borgia? E’ bastato a trascinarvi? O è di qualcos’altro che avete bisogno? Incesto, simonia, omicidio, stregoneria, culti orgiastici?
Sapete quanti anni avevo quando sposai il mio terzo marito?
Greg fruga fra i suoi appunti
Lucrezia: Ventidue. Bastano ventidue anni per impersonare i mali dell’umanità? A Cristo non ne bastarono trenta per lavarli via tutti.
Greg: Ogni divorzio le valse un titolo nobiliare. Vicepapa, duchessa di Spoleto, di Nepi, di Ferrara. Una singolare serie di coincidenze?
Lucrezia: Io sfuggo al potere, travestendolo.
Greg: Ma quei titoli.
Lucrezia: Poca cosa. Una donna vale un regno intero. Prendete un’altra carta.
Greg non se lo fa dire due volte. Deve sembrare vieppiù incantato dal fascino della donna
Lucrezia: La morte.
Santino: Mio caro, ma la vostra è una “fissazione”.
Buio
Atto II – “La disputa di Santa Caterina”
Scena prima
In scena Greg e Ettore.
E’ un momento di un pausa fra una ripresa e l’altra.
Intuiamo che Lucrezia è andata a cambiarsi e che sta per ritornare. Una musica del tempo giunge dall’altra stanza.
Greg: La prossima inquadratura la vorrei dal basso verso l’alto. Che il pubblico la senta, la subisca. Che giganteggi.
Ettore: Piccola. La immaginavo così piccola.
Greg: Anche un po’ mobile, non voglio una ripresa statica. Muoviti attorno al suo viso, bisogna avere uno stile giovane, fresco.
Ettore: Con spalle da uccellino.
Greg: Mi stai ascoltando?
Ettore: Io? Ti ascolto… lei ti ascolta. Tu? Tu, Greg, stai ascoltando? No, tu sei quello delle domande. Non riuscirei a parlarle come le parli tu.
Greg: Mi pagano per questo. Io faccio le domande che nessun altro intervistatore si sognerebbe di fare. Sono le mie prede. Finiscono tutte nel mio carniere.
Ettore: Lei… è diversa. C’è qualcosa in quella donna. I suoi capelli…
Greg: Non ti lascerai incantare anche tu dai suoi capelli? Sei grande abbastanza, Ettore.
Ettore: Hanno dei riflessi… che ti ci perdi dentro. Vedrai le riprese. Buca, Greg. Buca lo schermo.
Greg: Ti senti bene, Ettore?
Ettore: Sì, bene.
Greg: Non è che il vino… a proposito…
Greg si avvicina alla pettineuse e prova a frugare fra le ampolle.
Ettore: Greg? Sei ammattito? Tornano da un momento all’altro.
Greg: Una presa di cannella. Nel vino. A te sembra normale tenere della cannella in una pettineuse?
Ettore: C’è di tutto lì su. Santino deve usarla per preparare profumi. O qualcos’altro. Adesso, però, allontanati da lì. Greg?
Greg: E’ soprattutto colpa tua, Ettore. Tu hai bevuto per primo. E mi hai costretto a seguirti.
Ettore: Che dovevo fare? Hai visto come mi guardava? Ascolta, la musica sembra stia finendo.
Greg: Di che colore è la cannella?
Ettore: Miseria, Greg. Marrone? Rossa? Credo. Che importanza ha?
Greg: Qui è tutto marrone e rosso.
Ettore: Pensiamo all’inquadratura. Stanno tornando. Greg?
Greg: Aspetta. Forse l’ho trovata.
Greg solleva un ampolla con della polvere marrone scuro. Nello stesso istante entra Lucrezia acconciata con un turbante, come nella disputa di Santa Caterina. La segue Santino.
Greg nasconde l’ampolla in una tasca della giacca.
Santino: Ettore, tesoro, chiudi quella bocca. Non è elegante la tua reazione.
Ettore: Sono… incantato.
Santino: Lo prendo come un complimento.
Greg: Santino ha fatto un eccellente lavoro con l’acconciatura.
Lurezia: Di cosa parlavate in mia assenza?
Ettore: Delle riprese. Saranno bellissime. Sono già bellissime.
Lucrezia: Ho ricordato dove ho messo la lettera.
Lucrezia si fa passare la lettera da Santino
Santino: Non dovete leggere le pagine del Bembo, Madonna. Se non vi sentite.
Greg: Ha ragione. Solo se ne ha voglia. Ma ovviamente sarebbe importante che lo facesse.
Lucrezia: Starò in piedi.
Ettore: Perfetto.
Lucrezia: E non la terrò in mano.
Ettore: No, certo.
Greg guarda Ettore. Santino recupera un leggio di legno, alto a sufficienza ma che non le copra il viso.
Lucrezia si avvicina al leggio e posa la lettera, sistemandola al meglio per la lettura.
Lucrezia: Io sono pronta.
Lucrezia legge la lettera.
Lucrezia:
Da che io vivo
Nessuna lettera
Mi ricorda che io ricevessi giamai
Così dolce
come quella fu che
V.S.
Mi diè al partir mio
Nella quale mi dimostravate che io
Nella vostra grazia vivea
Dico che avete a sapere
Che la prima volta che
io
Vi vidi
M’entraste in sì fatto punto dell’animo
Che mai
Per nessuna cagione
Uscir ne siete potuta
M’è stato uopo
Solo nel mio afflitto
E arso cuore
Restringere le mie fiamme
E
Come questa disavventura
Mi sia ora contraria
Più che giamai
Pure ella non mi spaventa
Né spaventerà
Sì che io
Suo malgrado
Non v’ami
E sempre non vi tenga per sola e cara
Di me
E della mia vita
Donna
E
Che io
Non riserva con tutta quella
Pura
E calda
Fede
Con che può uno animoso e mobile amante
Quella donna
Che egli sopra tutte le umane cose ama e onora
Servire
Ben priego io
Voi
Che non vi mutiate
O attristiate in questo amore
Perciò che molte cose contrastino
E a verse a nostri desideri sieno
Come vedete
Anzi
Pensiate di tanto più accendervi
Ad amare
Quanto più dura la vostra impresa
Esser vedete
E
Considerate
Che ognuno sa amare
Dove ogni cosa è prospera
E favoreggevole
E seconda
Ma dove
Sempre
Mille cose dure e disagevoli
Che sono allo ‘ncontro
Mille lontananze
Mille steccati
Mille muri
Quivi
Non sa ciascuno amare
O se sa
Non vuole
O
Se vuole
Non persevera
E allora ci sia caro e dolce
Ricordarci di esser fermi e costanti
Amanti stati
E parracci d’esser
Pur solo per tal memoria
Felici
Con ciò sia cosa che le vittorie più sudate
E più faticate
Fanno il trionfo
E maggiore e più caro
E poscia
Che ad ogni modo
Si muore
E diece anni o venti
E più e meno
Non fa
Che tuttavia una volta non si lascia questo cielo
Più dolce mi sarebbe
Oggi
Voi servendo e a voi piacendo
Morire
Che privo della vostra grazia
Vivere ancora lungo tempo
Per che
Se voi conoscete che io sia bono
In dover fare cosa che di piacer vi possa essere
Vi priego che
Senza risparmio alcuno
Della mia vita
La m’imponiate
E
S’io potessi
Morto
Volarvi intorno con lo spirito
Non vorrei più vivere
Sopra tutto
State pregata ad avere cura che nessuno sapere possa
E scoprire
I vostri pensieri
Né vogliate di persona fidarvi
Sia chi ella vuole
Infin attanto che io
A voi non venga
Il che
Ad ogni modo
Sarà fatto a Pasqua
Se io sarò in vita
Ora bascio
Quella dolcissima man vostra
Da cui il mio cuore è distretto
E oltre acciò
Se mi date tanto ardire
Basciovi
L’uno di que’ due leggiadrissimi
E scintillanti
E dolcissimi
Occhi vostri
Che m’hanno tanto piegata l’anima
Prima e bella cagione
Ma non sola
Del mio foco
Ricordivi
Alle volte
Che io nessuna cosa penso
Miro
Onoro
Se non voi
Né altra felicità voglio in questa vita
Che voi
Della mia travagliata nave
Porto
E riposo dolcissimo
L’inchiuso Agnusdei
Che io ho un tempo al petto ho portato
Vi degnerete di portar
La notte
Voi
Alcuna volta
Per amor di me
Se il dì portar nol potrete
Acciò
Che quel caro albergo del vostro prezioso cuore
Il quale
Poter basciare
Una sola volta
Lunga ora
Patteggerei al prezzo della vita
Sia almen tocco da quel cerchio
Che ha lungamente tocco l’albergo del mio.
Su “Agnusdei” Santino tira fuori da una tasca lo scapolare del Bembo e mimando la lettera, lo poggia al suo petto.
Intanto, Ettore è rapito dalla figura di donna che ha davanti. Dalle parole d’amore trattenute che Lucrezia legge.
Greg se ne accorge e gli va vicino.
Greg: Sei sicuro di stare bene?
Ettore: S’io potessi morto volarle intorno con lo spirito, non vorrei più vivere.
Greg: (Tira fuori l’ampolla dalla sua tasca e la metta in quella di Ettore) Non fare il matto. Chiedi di allontanarti e gettala via. Torna subito.
Buio
Scena seconda
La scena è improvvisamente buia e vuota.
Una luce illumina il fondale di plastica, da dietro.
L’acqua scorre, sembra una doccia.
Vediamo l’ombra di un ragazzo che si muove, esitante.
In qualche modo capiamo che è Ettore.
Un guizzo biondo si intrufola dietro il sipario d’acqua.
Si sente la musica di Psycho.
Si intuisce che il guizzo biondo ha un coltello.
Il ragazzo afferra il polso col coltello che gli si sta scagliando contro.
Resiste.
Cede.
Seguono pugnalate ritmiche, come da marionetta, esattamente sugli strilli dei violini.
L’acqua si tinge di rosso.
Buio.
Brano musicale: A Narrative for Orchestra, from Psycho, di Bernard Herrmann.
La sequenza dell’omicidio è così composta sul minutaggio:
- ultima battuta di Ettore e buio.
- Su questo buio si manda il brano da minuti 4, 28
- Da minuti 4, 28 a minuti 6, 30 vediamo il ragazzo dietro la tenda, l’acqua che scorre e la figura bionda entrare ietro la tenda. Vediamo anche la prima pugnalata fermata dal braccio del ragazzo.
- Da minuti 6, 30 a minuti 7, 00 vediamo le pugnalate che vanno a segno, ritmiche, che assecondano i violini.
- Da minuti 7, 00 a minuti 7, 18 vediamo l’acqua sul telo di plastica diventare rossa mentre il corpo del ragazzo scivola lentamente per terra e quello della donna rimane in piedi, col pugnale in aria, come se dovesse dare ancora un altro colpo. Intanto la luce decresce fino a buio.
- Il buio completo è a minuti 7, 18, quindi ci sono 18 secondi per temporizzare da luce a buio.
Scena terza
In scena Lucrezia e Greg.
Sembrano annoiati. In attesa.
Lucrezia è seduta, abbandonata allo schienale. Gioca con le sue carte. Greg passeggia nervosamente.
Lucrezia: (Bevendo un bicchiere di vino rosso) Il Vin’ de’ Borgia. Leggendario. (Sorseggia) E a buon diritto. Quel Giambattista della Porta è un genio. Il miglior farmacista di palazzo che si conosca. Avete apprezzato il carattere del nostro vino?
Greg: Come? Scusi, Lucrezia. Sono impensierito.
Lucrezia: Questa casa ha più stanze che servitori. Se non la abitassi da tanto, temo mi smarrirei anch’io.
Greg: Non è da lui.
Lucrezia: Santino saprà ritrovarlo. Conosce il palazzo meglio di me.
Greg: (Guardando l’orologio da polso) E’ passato un quarto d’ora.
Lucrezia: Le mie stanze disorientano. Quasi un labirinto. (alludendo alle carte che ha in mano) Volete giocare con me?
Greg: No, grazie. Potrei andare a cercarlo, forse.
Lucrezia: E la mia lettera…
Greg: Bene, credo bene. Sicuramente bene. Ettore era entusiasta.
Lucrezia: Dite?
Greg: Entusiasta. E confuso. Ripeteva le parole della lettera. S’io potessi morto volarvi intorno con lo spirito…
Lucrezia: …non vorrei più vivere.
Greg: Si può desiderare a tal punto l’altro da voler annullare se stessi?
Lucrezia: La poesia nelle sue vette più alte dialoga con la filosofia. Ma sono picchi arditi, signor Orovius.
Greg: Credo la amasse.
Lucrezia: E’ la prima volta. Farsi spiare. Esserne coscienti eppure dissimulare l’imbarazzo. (Fra sé)Diana, al bagno, sapeva.
Greg: (Guardando ancora l’orologio) Era perfetta.
Lucrezia: Soprattutto nei momenti più… riposti della lettera. Ettore mi fissava, come dovesse sorreggermi.
Greg: Sì, la fissava. L’ho notato anch’io. La lettera lo ha turbato. Deve essere così. Da che mi ricordi non ha mai interrotto le riprese.
Lucrezia: Siete sicuro che Ettore non avesse altri motivi…
Greg: …per allontanarsi? Che motivi?
Lucrezia: Ditemelo voi.
Greg: Se allude alla pettineuse, io stavo soltanto…
Lucrezia: La pettineuse?
Greg: Vado a cercarlo.
Lucrezia: Volete perdervi anche voi?
Greg: Da che parte…
Entra Santino
Un tempo
Lucrezia: Ebbene, Santino. Cos’è questo silenzio?
Santino: Niente. Sembra svanito nel nulla.
Lucrezia: Sciocchezze. Sarà uscito in giardino.
Greg: Lei ha guardato ovunque?
Santino: Ovunque è impossibile. Non basterebbe un giorno e una notte per girare l’intero palazzo. Ma molte stanze sono inchiavardate. Probabilmente tornerà quando ne avrà voglia.
Greg: Sono desolato.
Lucrezia: Giovani. Ci sono cose che i secoli non cambiano.
Santino: Mi piacerebbe tanto usare quella.
Santino indica la telecamera di Ettore
Greg: La telecamera?
Santino esita.
Greg: Un’inquadratura fissa. Deve solo stare fermo.
Lucrezia: Vedrete, tornerà presto.
Greg, esitante, accende la telecamera e la mette in spalla a Santino. Pi si avvicina a Lucrezia
Greg: Potrebbe tenere più alto il bicchiere?
Greg prende fra le sue la mano di Lucrezia Borgia e la porta più in alto.
Essere toccata rende Lucrezia improvvisamente furente.
Una erinni, come la vuole certa tradizione.
Perché il quadro successivo funzioni, suggerisco di esasperare i toni come in un brutto film in bianco e nero, di quelli in costume come “Le notti di Lucrezia Borgia” di Sergio Grieco, o “L’amore di Pietro” di Hans Hinrich.
Lucrezia: Non toccarmi. Stammi lontano. Chi mi si avvicina muore. Non lo sai? Lo sanno tutti.
Il mio sangue è veleno. Eppure chi non ha voluto berlo?
Anche tu vuoi il mio sangue?
Il sangue del mio ventre è il più prezioso. Un graal, una coppa che dispensa la morte. Vogliono mischiare il sangue del mio ventre al loro seme. Ancora e ancora.
La morte.
Otto gravidanze. Mi hanno costretto a sgravare un figlio dietro l’altro.
La luce di sala cresce e illumina progressivamente il pubblico.
Otto in quarant’anni. Non un momento di pace. Le gravidanze spezzano il respiro, fiaccano la schiena, gonfiano le gambe. Una donna gravida è un mostro. I capelli si sfibrano, perdono vigore. Stoppa sulla testa. Il colore svanisce.
Per le alleanze. Per le alleanze? No. Per piegare la mia volontà. Perché non fossi mai una. Sola. Io.
Volevano che il loro dominio si mostrasse anche sul mio corpo.
Mi hanno divisa, come uno stato. Conquistata. Vangata.
Ero terreno di caccia, possedimento da spartire.
E sempre gravida.
Un essere a metà. Che non si appartiene. Mai.
La luce di sala illumina il pubblico.
Lucrezia: Santino! Santino!
Siamo circondati. Chi è quella gente? Santino, dove sei? Santino.
Vogliono possedermi. Vogliono unirsi a me. Tutti. Lo leggo nei loro occhi. E’ un lezzo nel respiro che sa di cupidigia e di brame di potere. Un tanfo che riconosco. Si posa sul collo e non va via, per giorni.
Sono stanca. Il mio ventre è stanco. E prosciugato. E’ una tomba. Non sento più il mio ventre.
Chi li ha mandati?
Che tornino da dove sono venuti. Sono sterile. In eterno, sterile. Un proclama. Che tutti sappiano. Non c’è maschio focoso abbastanza che possa coprirmi e vederne i frutti. Anche le peggiori cagne smettono di sgravare prima o poi.
Santino poggia la telecamera per terra e, lentamente, le si avvicina e le tocca la mano.
Lucrezia: Santino. Caro. Chi è quella gente?
Santino fa per rispondere ma Lucrezia lo previene.
Lucrezia: Niente questue, oggi. Non vedono in che stato sono? Molto stanca. Sono molto stanca. Falli allontanare.
Subito. O dovrò fare da sola e allora si pentiranno due volte di essere venuti. Rimpiangeranno l’ardire di presentarsi al mio cospetto.
La luce sul pubblico lentamente svanisce.
Lucrezia: Oh, Santino. Sei qui. Almeno tu. Non lasciarmi più da sola.
Quell’uomo. Chi è quell’uomo?
Santino: Greg. Greg Orovius, è qui per l’intervista.
Lucrezia: Gregorovius? Non ho nulla da dichiarare. Quell’uomo… ha tentato di toccarmi. Mi ha afferrato il polso. Dobbiamo necessariamente tenerlo in casa, Santino? Il morso della tagliola non conosce la preda. Chi è? Un messo, una spia… di mio padre?
Santino: Volete che lo faccia allontanare?
Greg: Ma Lucrezia…
Lucrezia: Hai sentito? Che insolenza. Con che tono si rivolge a me. Nemmeno mia madre. Una lettera di Madonna Vannozza.
Santino ne prende una da quelle in terra.
Lucrezia: (leggendo) Alla Illustrissima et Excellentissima Signora et Figliuola mia Observandissima la Duchessa di Ferrara. Mia madre. Lucrezia, mai.
Santino: Sì, Madonna.
Lucrezia: Ho lavato il capo, oggi, Santino?
Santino: Stamane. E’ il miglior colore che abbia mai ottenuto.
Lucrezia: (A Greg) Siate cortese, buon uomo, non stiate in disparte. L’ombra non giova, abbiamo tutti bisogno di luce. Volete porgermi lo specchio?
Santino gli fa segno di prendere quello sulla pettineuse.
Greg si avvicina con lo specchio in mano.
Lucrezia: Si avvicina con passo da cacciatore. E da preda, insieme.
Greg allunga lo specchio a Lucrezia che si ritrae terrorizzata.
Santino prende lo specchio e mostra a Lucrezia la sua immagine.
Greg fa un passo indietro.
Lucrezia: (A parte, a Santino) Deve essere una spia dei francesi. Riconosco il ghigno dietro lo sguardo sereno.
Santino: Dove le ciocche prendono la luce, risplendono come grano.
Lucrezia: (Carezzandosi i capelli) Dobbiamo fare finta di non sapere. Sapere è l’inizio di ogni male. Fai attenzione a quello che dici, Santino. Qui tutti hanno domande, e pretendono riposte. I miei dolori alla testa, finiranno per uccidermi. E’ ancora qui quell’uomo?
Santino: Sì, Madonna.
Lucrezia: Ha un bell’aspetto, non trovi?
Santino: Madonna ha bisogno di riposare, adesso.
Lucrezia: So convivere con le mie emicranie. Fallo avvicinare.
Un gioco di sguardi fra Santino e Greg. Quest’ultimo si avvicina, cauto
Lucrezia: Vi sembro bella?
Greg: (esitante) La donna più bella al mondo.
Lucrezia: (A Santino) Le lusinghe, Santino. Sono il primo indizio. E quest’uomo sa come corteggiare. Vedo le sue trappole disseminate nel folto del mio bosco.
Lucrezia: (A Greg) Siete un uomo di lettere, voi? Ho ascoltato i lusinghieri versi di Ariosto e letto le commedie di Macchiavelli. Anche se quel saccente preferì mio fratello, il duca Valentino, a me. Pietro Bembo in persona si nutrì di me per ridare vigore alla nostra antica lingua italica. Ascolterò una vostra lirica, se credete. E’ un privilegio. Fatene buon uso.
(A Santino) Tenera coi nemici e dura con chi ti sta a cuore, Santino. Ci sono spie pontificie, ovunque. Perfino in convento ho avuto il sentore di non essere sola. Completamente sola, se capisci cosa intendo. Ah, essere braccati. Come un cervo, che schiuma in silenzio.
Greg: Madonna Borgia, ho una confessione da farvi.
Santino: Non è un poeta, Madonna. E’ qui per… annotare la vostra biografia.
Lucrezia: (a Santino) Peccato, mi piacciono le confessioni. Ma questa è deludente. Il biografo di corte, dunque. (A Greg) Annoti ciò che dico, e stia attento ad infiorettare. Dietro ogni licenza si nasconde un inganno per i posteri.
Greg: (A parte a Santino) Forse è il caso di smettere.
Santino: (A parte a Greg) Vi prego. Assecondatela.
Lucrezia: Abbiamo offerto il nostro vino al buon biografo?
Santino: Sì, Madonna.
Lucrezia: Non lo vedo bere. Che beva.
Santino mesce dell’altro vino per Greg.
Lucrezia: E aggiungi una presa di cannella.
Greg volta la testa di scatto verso Santino.
Santino cerca la cannella e non la trova. Si volta e fissa Greg.
Deve essere chiaro l’imbarazzo e la tensione di Greg alla richiesta di Lucrezia di aggiungere cannella. Lui sa che Santino non la troverà.
E’ come se si capissero. Poi Santino si avvicina a Greg.
Santino: (A parte, a Greg) Lei non annoterà nulla di quello che ha visto. Mi dia la sua parola.
Greg: (Afferrando il bicchiere come per togliersi dall’imbarazzo) Certamente.
Santino: Spero di potermi fidare. Soprattutto, non racconterà quanto ancora deve vedere. Signor Orovius?
Greg: E’ una minaccia.
Santino: Io sono un semplice buffone. Aiuto Madonna Borgia ad essere contenta di sé, perché continui ad amare la sua immagine allo specchio. In questo palazzo ci sono altri uomini preposti alle minacce. Le sconsiglio di incontrarli.
Lucrezia: Ancora un istante e mi vedrete molto seccata. Quali discorsi sono necessari per convincere un uomo a bere?
Greg: (Sollevando il secondo calice) A madonna Borgia (beve d’un fiato).
Lucrezia: Un bicchiere per la tavola, due per le danze, tre per il letto.
Buio
Scena quarta
Lucrezia è seduta alla pettineuse.
Santino alle sue spalle le toglie la pesante acconciatura della scena precedente. La ripone sulla sua testa di manichino.
Poi, armeggia con gli alambicchi della pettineuse. Versa il contenuto di alcune ampolle in una scodella di rame. Raccoglie una spugna e la immerge nel composto.
Si volta verso Lucrezia e le pettina i capelli
I gesti sono lenti. Il silenzio è denso, significante.
Lucrezia: E’ il giorno in cui lavo i miei capelli, Santino?
Santino: Sì, Madonna Lucrezia.
Lucrezia: Che strano? Giurerei di averli lavati qualche ora fa? Più sono lunghi più hanno bisogno di cure. Vero, Santino?
Santino: Laviamo la bellissima testa di Madonna.
Lucrezia: Lavami la testa, Santino. Vuoi?
Santino: Laviamo via anche i brutti pensieri.
Lucrezia: Di’ a quell’uomo di fare la prima domanda.
Santino: (Prendendo la spugna inzuppata e poggiandola sulla testa di Lucrezia. Il liquido cola e le bagna il volto) Faccia la sua domanda, Greg.
Lucrezia chiude gli occhi e si abbandona all’impacco di Santino.
Greg: Madonna Lucrezia Borgia, il suo primo marito, Giovanni Sforza, finì umiliato davanti al mondo. Il suo secondo marito, Alfonso d’Aragona, morì strangolato nel letto. Il suo terzo marito, accrebbe la sua fama di libertino al posto che nasconderla dopo le vostre nozze. Il suo primo amante Ercole Strozzi, fu ammazzato. Perfino suo padre, il papa Alessandro VI, fu calunniato per causa sua, “Lucrezia: figlia, moglie e nuora del papa” si recitava nei corridoi del Vaticano. Pare che gli uomini che le si avvicinano abbiano tutti da perdere qualcosa. Chi la credibilità, chi l’onore, chi la vita,. Lei odia gli uomini?
Lucrezia non risponde. Tiene gli occhi chiusi.
Santino: Speravo che fosse più magnanimo. Ho fatto male a fidarmi.
Greg: Mi ha detto lei di fare la mia domanda.
Santino: Giovanni Sforza venne costretto ad accoppiarsi con questa donna davanti ad una commissione di prelati, per dimostrare la sua virilità.
Greg: Non accettò.
Santino: Chi avrebbe accettato? Lei ha idea di come si sentì Madonna Lucrezia in quei giorni? Prima che arrivasse la notizia del rifiuto di Giovanni. Se lui avesse accettato, la mia signora avrebbe dovuto stendersi nuda su un catafalco in Vaticano e farsi possedere da un uomo che ormai la odiava. E tutto questo davanti ad una teoria di preti e vescovi, messi lì, come guardoni di stato.
E il secondo, Alfonso d’Aragona, era così bello che Madonna Lucrezia si commosse la prima volta che lo vide. Lo amò come si ama a vent’anni. Con ogni fremito dell’adolescenza, con lo stomaco squassato e la preghiera che fosse l’amore della sua vita.
Pregai anch’io per quell’uomo. Perché la sua falcata da cervo non lasciasse più le nostre stanze.
Invece lo ammazzarono. Due volte. Tentarono una prima e quasi ci riuscirono. Ma Alfonso era forte e giovane, e si stava riprendendo quando lo strangolarono nello stesso letto dove Lucrezia aveva concepito il loro primogenito.
Il terzo marito Alfonso D’Este, era un cane. Si accoppiava come un cane. E come un cane sbavava per tutto ciò che si agita sotto la cintola. Non la guardò mai in faccia. Non come una donna vuole essere guardata. Il papa gli impose di dormire tutte le notti nello stesso letto della figlia, lasciandolo libero di grufolare per la città di giorno, marchiando gli angoli dei palazzi dove fornicava con il lezzo del suo piscio canino. E così fece. Questo, che per molte donne sarebbe motivo sufficiente a desiderare la morte del marito, fu accolto invece come un sacrificio ragionevole dalla mia signora, purché la si lasciasse alle sue lettere, ai suoi ritiri in convento, ai suoi…
Greg: Amanti.
Santino: Dello Strozzi non so nulla, se non che i suoi versi non mi piacevano e che il suo cognome aveva un’eco nefasta che non giovava alla nostra salute mentale. Quanto al Bembo…
Lucrezia: E’ tornato il caro Ettore?
Santino: Madonna Lucrezia. No. Ma siete tornata voi.
Lucrezia: Fallo cercare, Santino. Dai la voce a tutti i servi, les femmes de chambres, i valletti, i lacchè, gli stallieri. Bisogna trovare quel caro ragazzo.
Santino: Ma, Madonna. Vi… sentite bene?
Lucrezia: Sto benissimo. Adesso vai a far cercare il caro Ettore.
Santino esce, ma prima toglie l’impacco dalla testa di Lucrezia e scambia alcuni sguardi con Greg.
Lucrezia: Mi guardate come se mi vedeste per la prima volta.
Greg: Non riesco ad immaginare che fine possa avere fatto Ettore.
Lucrezia: Per quanto larghe siano le maglie della mia sorveglianza, uno straniero non dovrebbe passare inosservato. Qualcuno lo troverà. Magari armeggia sotto la gonna di una cameriera incontrata per caso.
Greg: Già.
Lucrezia: Ebbene?
Greg: Avevo pagine di appunti, un copione in testa da seguire. Ma adesso… andrò un po’ a caso.
Lucrezia: La vostra filosofia del caso. D’accordo. Sposiamola.
Greg: Una donna che legge una lettera…
Lucrezia: La forza della parola scritta la si impara nel tempo. Greg: Una donna che legge una lettera.
Lucrezia: Siate più chiaro.
Greg: Le parole, il modo in cui le pronunciava. Incantavano. Sembrava che pregasse, che recitasse un sortilegio. Lucrezia, lei lascia una scia di parole come le fiere lasciano tracce nel bosco.
Lucrezia: Dimenticate che sono le parole di un grande poeta. E’ una scienza inanellarle le une alle altre e riporre fra loro segreti invisibili ad una prima lettura. Armonie che risuonano e che solo col tempo cominciamo ad apprezzare.
Greg: Cos’è che la rende speciale? Perché questa eco? Perché non ci si può sottrarre a Madonna Borgia?
Lucrezia: Nessuno vi obbliga a rimanere. E a memoria mia nessuno vi ha mai veramente invitato qui.
Greg: Io… non ricordo… come sono arrivato fin qui.
Lucrezia: Versatemi un’altra coppa di vino, Greg.
Greg esegue
Greg: Dove si nasconde il segreto di Lucrezia?
Lucrezia: Segreti. Rispondo a tutte le vostre domande, e non ne temo alcuna.
Greg: (Passandole la coppa di vino e tenendone un’altra per sé, in mano) E’ nei capelli il mistero? L’arte biondeggiante di Santino?
Lucrezia: Dov’è Santino?
Greg: (Beve) Ettore sapeva.
(Fra sé) Forse è lo stesso segreto di Marylin? Della Marnie di Hitchcock? Persino la Gorgone avrebbe amato apparire bionda come Apollo. Piccoli soli femminili attorno a cui ruotano universi di dolore e di morte.
Lucrezia: Esagerate. Non mi piace la luce che avete negli occhi.
Greg: La luce. Nei tuoi capelli, Lucrezia.
Lucrezia: Avete preso a parlarmi in modo enigmatico. Dov’è Santino? (Chiamandolo) Santino…
Greg: (Avvicinandosi lentamente a Lucrezia)
S’io potessi
Morto
Volarvi intorno con lo spirito…
Lucrezia: Santino…
Greg: E’ la caccia d’amore. E a questo che mi spingi. Mi affami con l’intuizione della tua carne, mi ecciti con la traccia del tuo afrore, di femmina. Sfuggi e ti mostri. Brami un corteggiamento animale. Perché mi sento nudo in tua presenza? Un animale nudo e affamato, Lucrezia.
Lucrezia: Voi eravate seduto là e io…
Greg annusa i capelli di Lucrezia, ferino.
In sala si diffonde un odore acre, come quello delle tinture per capelli.
Greg: Cosa mette Santino nei tuoi capelli? Hanno un odore speciale i tuoi capelli, Lucrezia?
Lucrezia: Non ne fa certo mistero. Ve lo stava raccontando proprio quando siete entrato.
Fate una lisciva di cenere di bosso. Prendete una paglia di orzo e fate bollire per un giorno.
Greg: Sì, io stavo scegliendo l’inquadratura. Con Ettore. Dov’è Ettore…
Lucrezia: Fate una seconda lisciva con quest’acqua e questa cenere. Gettatele dentro del fiore di noce e qualche foglia d’albero. Tornate a sedere, Greg.
Greg: E mi arrivò l’odore. Lo notai, una leggera accelerazione del battito cardiaco, una pulsione alle tempie. E anche Ettore se ne accorse. Il mio Ettore.
Lucrezia: Lasciate in infusione per tutta la notte.
Greg: Biondi. Luminosi. Il loro profumo e il loro colore ti rende irresistibile, Lucrezia. E’ una chimica che copre l’odore dei cadaveri… e qui, ci sono cadaveri ovunque. Queste stanze trattengono i gemiti, gli ultimi respiri, lo sguardo atterrito di chi vede in faccia la morte. E la riconosce.
Guardami, Lucrezia. Guardami in faccia.
Lucrezia: L’indomani lavatevene la testa e avrete capelli biondi.
Greg: Biondi. Biondi. Maledettamente biondi. Non riesci a pensare ad altro. Non vedi altro che i tuoi capelli.
Lucrezia: Lasciandoli asciugare al sole. Il sole è la parte più importante. Poi, il pericolo di dolori alla testa.
Greg: Guardami, Lucrezia.
Lucrezia: Emicranie furibonde.
Greg: Scuse. Sono solo scuse. Guardami, adesso. Non c’è Santino. Siamo solo io e te. Greg Orovius e Lucrezia Borgia. Non ci sono tinte, alambicchi, trucchi da profumiere.
Lucrezia: Emicranie che mi tormentano. Mi danno la nausea.
Greg: Lucrezia Borgia. E’ te che sto toccando. Guardami.
Lucrezia: (crollando, lo guarda) Eccomi.
Greg, che fino ad adesso ha cercato il suo sguardo, scopre l’orrore in quegli occhi. Il delirio. Scruta nel pozzo dell’animo di Lucrezia e quell’acqua torbida diviene specchio della sua intera vita.
Greg: Cos’hai fatto? Cosa mi hai fatto? Cosa mi hai obbligato a fare? Io. Cos’ho fatto?
Greg la abbraccia.
Le tira su le gonne. Prova a svestirla. Slaccia il cordone che Lucrezia indossa in segno di penitenza sotto gli abiti e, forzandola, la bacia sulla bocca.
Lucrezia riesce ad allontanarlo.
I due si guardano.
Lucrezia: Santino è responsabile. Pagherà per questo.
Greg: Santino?
Lucrezia: Rendetemi il mio cilicio.
Greg solleva in aria il cilicio e lo tiene sospeso davanti il volto di Lucrezia.
Buio
Atto III – “Flora”
Scena prima
Nel buio si deve intuire un altro omicidio.
Il sipario di plastica trasparente sembra adesso una finestra. Scariche di luce come lampi e pioggia che gronda.
Vediamo una figura bionda che si appoggia al telo. I capelli premono sul telo. Vediamo che tiene in mano qualcosa. E’ il cilicio della scena precedente. Una corda robusta, non troppo lunga.
I lampi illuminano Santino che entra dietro il fondale di plastica.
Pochi istanti e il guizzo biondo strangola Santino.
Bisogna citare The Rope di Hitchcock.
Dopo l’omicidio cresce una musica.
Musica: Every time we say goodbye, suonata da una viola da gamba.
Scena seconda
Quando la luce cresce svela Lucrezia, da sola, col volto rigato di lacrime, il trucco disfatto. I capelli in disordine.
E’ in piedi. Al centro della scena.
Dal buio intorno giungono delle voci. La viola continua a suonare.
Voce uno: Lucrezia piange.
Voce due: E’ una vedova.
Voce uno: Piange il bambino. Gliel’hanno strappato dal seno.
Voce uno: Piange i suoi crimini.
Voce tre: Un vecchio trucco, per attirare l’attenzione di suo padre. Quando Madonna Lucrezia Borgia piange, sta mettendo gli occhi su un altro pezzo d’Italia.
Voce due: Finirà per possederli tutti. Basta possedere tutti gli uomini che valgono. E in questo Lucrezia non ha rivali.
Lucrezia raccoglie da terra una bambola e la stringe al petto, continuando a piangere
Voce uno: Cos’ha da piangere? Chi potrebbe temere?
Voce due: Le attenzioni di suo padre.
Lucrezia: …la mia piccola cerva bruna…
Voce due: O di suo fratello.
Voce tre: Al contrario. Non fa che cercarli. Questi spagnoli non hanno morale. Avete visto come siede Lucrezia sulle gambe del papa?
Voce uno: Pare che passi la notte a ballare nuda fra i corridoi deserti del Vaticano.
Voce due: Pare che conosca a memoria il Malleolus Maleficarum e che lo usi a proprio vantaggio.
Voce tre: Pare che il suo passo sul marmo risuoni come uno zoccolo di capra.
Voce uno: Che sua madre nasconda gli aborti della figlia in un pozzo.
Voce due: Nel convento di Lucia da Narni.
Voce tre: Quella povera santa ha dovuto farsi venire le stimmate per espiare i peccati che si commettono sotto i suoi occhi.
Voce uno: Difformità morale.
Voce tre: Per la via di Spoleto erta e fiammante
Nel sol d’agosto lenta cavalcava.
Voce due: Difformità.
Voce tre: Donna Lucrezia fra un corteo raggiante
Di preti e gentiluomini. La flava
Bellezza della sua chioma abbondante
Voce uno: Difformità morale.
Voce tre: Il lume dei socchiusi occhi la ombrava,
mentre in cadenza, al passo, il palafreno
secondava la molle onda del seno.
La musica cessa.
Lucrezia: la morale. Aria, fantasma, idea, sogno. La morale non ha corpo. Come può essere difforme quello che non possiede un corpo? Difforme è uno storpio, un albero malato. La morale? Difforme? Che sottile perversione: prima dare un corpo a ciò che non lo ha per natura, e poi pensarlo difforme.
Se la morale ha un corpo, non può che essere difforme.
Maledette emicranie.
Si tocca le tempie. E si asciuga le lacrime, fiera. Osserva la sua bambola.
Basta una bambola a fare una bambina? Quando il Tevere ti striscia accanto con i suoi cadaveri?
Si massaggia la testa.
Lucrezia: Giulia non sembra impaurita. Sta a fissarlo per ore. Lento. Grosso. Regala a me la sua bambola.
Mette la bambola a sedere su una sedia, di fronte al pubblico.
Lucrezia: Si siede su un sasso e si diverte a contare le carogne che passano, strizzando i suoi piccoli occhi blu. Un’alluvione e il Tevere raggiunge i piani nobili. Si gonfia. Immobile. Verde marcio. Emergono corpi di cani, di uomini, di uccelli. Putrefatti. E poi spariscono ringoiati dalla melma.
Solo la tinta dei miei capelli mi scherma dal puzzo.
Si accuccia per terra. Tiene la bambola stretta e le parla
Lucrezia: Accadono cose. Molte cose. Ne accadono da che mi ricordi. Da ancora prima che riesca a ricordare.
Queste emicranie mi fanno sentire cose. Vedere cose. Mi capita di avere la nausea. Improvvisamente una folla di pensieri, un lampo rosso e una nausea da vomito. Potessi vedermi. Sono ancora bella, sai? I miei capelli sono il mio vero orgoglio.
Li sto toccando. Frusciano come seta. Mi piace passarci le dita in mezzo. Avresti voglia di toccarli? Splendono come l’oro.
Devi starmi accanto. O mi perderò di nuovo. Chi ci sarà accanto a me quando mi perderò di nuovo? Vuoi? Tu? Sei mia amica, tu?
Sh, potrebbero sentirti. Hanno messo spie ovunque. Perfino dentro… Tu… anche tu… sei una spia? Come posso fidarmi? Stupida! Sono stata stupida! Dovevo capirlo che anche tu vuoi solo spiarmi.
Lucrezia squarta la bambola alla ricerca di una spia che non trova.
Quando la furia omicida passa, si volta a guardare il corpo disfatto della bambola sulla sedia. Le volta le spalle.
Ti ho fatto male? Io… ho solo un gran mal di testa. Hai sentito? No? Veniva da lì… Puoi chiamarmi Santino? Non riesco a trovarlo. Credo di avere i capelli in disordine. Non c’è mai quando ho bisogno di lui. Non tollero dovere aspettare. Santino? Tutti si perdono. L’illusione di un sorriso e svaniscono. Ettore aveva un magnifico sorriso.
Voce uno: Lucrezia fotte come una cagna.
Voce due: Lucrezia è una vacca, come è vero che il bue è lo stemma dei Borgia.
Si avvicina alla bambola.
Lucrezia: Vogliono carezzarmi i capelli. Vogliono che io mi segga sulle loro ginocchia.
Mette la bambola sulle sue ginocchia. La testa del giocattolo pencola da un lato, il ventre squarciato, la stoppa fuoriesce come interiora di mummia.
Lucrezia: Giocare. Anch’io voglio giocare. Non desidero altro.
Vuoi giocare con me? Sh. Zitta. Se fai silenzio sentirai anche tu. Le cose. Che accadono. Si possono sentire. In silenzio.
Mi sono persa. Ad un certo punto, da qualche parte, mi sono persa. Sento il buio che respira intorno a me. Il fruscio delle tende mi ascolta, le porte accoste spiano. Da ogni parte, devo difendermi. No sai mai da dove possano sbucare.
L’unica difesa è il mio nome. Per il mio nome mi fanno guerra e con il mio nome mi difendo. A chi si avvicina troppo lo ripeto, come un amuleto, come un incantesimo. Io sono Lucrezia Borgia, io sono Lucrezia Borgia, io sono Lucrezia Borgia.
Si sente un rumore in quinta.
Lucrezia: Santino, sei tu? Non stare nell’ombra. Avvicinati.
Lentamente entra in scena Greg.
Lucrezia: Greg, siete voi. Credevo fosse Santino. Ormai sarà di ritorno. Devo avere un aspetto mostruoso.
Lucrezia nasconde la bambola fra le macerie per terra. Rimuove le carte e gli oggetti come a cercare il luogo adatto dove seppellire la bambola e, da sotto i detriti, emergono pezzi di corpi umani: teste, braccia, mani, piedi.
Lucrezia sembra non farci caso. Li tratta come tutti gli altri oggetti che ha intorno.
Finalmente seppellisce la bambola.
Poi, va a sedersi alla pettineuse. Si guarda allo specchio.
Greg: Juan…
Lucrezia: Cosa siete costretto a vedere, caro Greg.
Greg si avvicina.
Greg: Cesare…
Lucrezia: Volevate la verità? L’avete avuta.
Greg: Alessandro VI…
Lucrezia: La verità. La Nuda Veritas. Volevate provare il delirio di guardare negli occhi la verità. Coraggio. Raccogliete il vostro occhio meccanico e guardate la vera Lucrezia Borgia. Fate vedere al mondo la verità. Del mio volto.
Greg: … mio padre.
Lucrezia: Perché non vi avvicinate? Non desiderate più il mio corpo? Non state lì. Aiutatemi con l’acconciatura.
Lucrezia indica a Greg l’acconciatura del terzo manichino. Fa un gesto perché lui gliela metta sul capo. E il turbante di Flora, come nel quadro di Bartolomeo Veneto.
Greg: L’appeso.
Lucrezia: Senza Santino sono perduta. Detesto dover dipendere da qualcuno. E per tutta la vita non ho fatto altro.
Lucrezia prende un paio di forbici. Taglia una ciocca e la ripone nel reliquiario, copia di quello del Bembo.
Greg: I miei tarocchi.
Lucrezia: Ecco, prendete. E’ per voi, Greg Orovius. In verità non posseggo altro che i miei capelli. Nemmeno il mio corpo mi appartiene. I capelli. Su di essi solo esercito il mio potere.
Lucrezia passa il reliquiario nelle mani di Greg.
Greg: I miei capelli.
Buio
Scena terza
Finalmente riviviamo la stessa sequenza di rumori nel buio che ci ha accolti all’ingresso in sala.
Dalla scena buia arrivano dei rumori di colluttazione. Oggetti che cadono, sedie che si trascinano, porte che sbattono.
Battute a soggetto fra una donna e un uomo. Non si distinguono bene le parole. Arrivano alcuni no strozzati, dei perché, adesso ho capito etc. Poi un breve silenzio.
Luce sulla pettineuse. Come nella prima scena scorgiamo un busto di donna bionda di schiena. Lentamente si volta e rivela il corpo immobile e quasi sorridente di Greg Orovius con la parrucca bionda di Lucrezia in testa.
Deve citare la scena finale di Psycho.
Subito una seconda luce inquadra Lucrezia, in piedi. Ha i capelli bruni e corti, arruffati. La faccia sconvolta.
E’ lei che urla, come ad inizio spettacolo.
Associamo quell’urlo ad un volto.
L’urlo deve far raggelare.
Fine