L’intruso

Atto unico di

Antonio  Sapienza


Personaggi:

Il Cabarettista
L’ Intruso


In scena c’è il cabarettista, illuminato con l’occhio di bue, il quale fa come se volesse parlare oppure no. Infine si decide e parla. Alla sua destra nell’oscurità, seduto ad un tavolino, c’è l’Intruso.  

-E va bene...Insomma...l’Intruso...l’argomento è delicato...ma, tanto per parlare...ecco, prendiamolo da lontano, da molto lontano.  Abbiate pazienza:
Orbene, ogni anno ricorre “Il giorno della memoria”, (appunto il giorno, che in TV diventa una settimana, con buone dosi di rigetto) che ci ricorda la barbarie nazista commessa ai danni degli Ebrei. E chi non ha provato orrore per lo sterminio di tanti innocenti nei campi di concentramento nazisti? E chi, non ha seguito, con trepidazione la formazione dello stato d’Israele? (vedi il famoso film “Exodus” che ne mostrava il travaglio del suo embrione); ma nel contempo, con compassione e preoccupazione, per lo sfratto dei palestinesi dalle loro terre.
Appunto si diceva: una settimana per ricordare quei fatti nefasti. Ma, vedete, qualche volta mi salta la mosca sul naso e penso e ripenso sul “caso”: E sapete perchè? Perchè ritengo che sia stia esagerando nelle dette commemorazioni, trascurando altri fatti e misfatti- che riguardano tragedie di altro genere, sia ben chiaro- ma sempre ci fu lutto, quindi morti, distruzioni, fame, malattie, oltraggio e via di seguito. Insomma istituire  
LA GIORNATA IN MEMORIA DELLE VITTIME CIVILI DELLA GUERRA. Ecco l’ho detto!
Comunque sia, ecco ora cosa vi dico: Di recente, ho trovato una memoria scritta dalla buonanima di mio padre, che mi brucia tra le mani, con la quale ha espresso la sua opinione postuma che coincide quasi pedissequamente con la mia. ( mostra dei fogli, mentre l’Intruso sembra interessato)  Egli infatti, scrive pensando a tutti quelli come lui, i quali durante la guerra erano ragazzini; poi a quei genitori alle prese con la fame, la miseria, le distruzioni, le malattie, e i bombardamenti- notturni e diurni – con vittime innocenti fra i civili- delle quali vittime innocenti, nessuno ricorda più- dimenticati – e per i quali nessuno fa una seppur misera commemorazione.                                                                                                          E nessuna giornata per ricordare il proprio zio morto sul Caucaso? E il cugino disperso in Russia, e il padre disoccupato per sette anni per non aver voluto prendere la tessera de P.N.F.? E il fratello, soldato, che venne da Napoli a Siracusa a piedi, dopo l’otto settembre, comminando sulla cresta degli appennini per sfuggire ai tedeschi e agli Alleati, arrivando a casa come un Gesù Cristo in croce, e con indosso solo una misera tuta di lavoro - perché gli abiti li aveva lasciati ai contadini che gli davano qualcosa da mangiare – le scarpe, per ultimo, le dette al pescatore che lo traghettò in Sicilia. E delle sorelle insidiate dai signori Alleati, i quali quando le vedevano passare dicevano loro: “Segnorita, gig, gig?” - il cui significato vi lascio immaginare. 
Ma ora è giunto il momento di far parlare direttamente lui. (grande pausa teatrale, poi legge, infine recita a memoria)  
...E il sottoscritto, bambino affamato - sbatacchiato nei rifugi antiaerei, nelle grotte, nelle strade piene di macerie causate dai bombardamenti soprattutto notturni, sui civili, che nessun tribunale ha mai osato giudicare e condannare, loro e i loro mandanti, come criminali di guerra, per quei genocidi- il quale faceva collezione di… schegge di bombe che gli aerei sganciavano sulla città; ed ero un esperto e un valente collezionista: infatti riconoscevo il rumore degli aerei, sia in arrivo che in partenza e uscivo dai ripari prima che la sirena suonasse il cessato allarme, per raccattare i pezzi più pregiati (naturalmente con la disperazione di mia madre).  E ancora sempre bambino, corre in piazza dove, tra le arcate del convento di Santa Lucia, erano stati ammucchiati una ventina di cadaveri di vecchietti -vittime di una spezzonata, che a mezzogiorno stavano prendendo un po’ di sole in piazza - per vedere se tra quei cadaveri di poveretti straziati nelle carni, ci fosse mio padre, che in quel periodo aveva nelle vicinanze, il suo laboratorio di ...disoccupato. 
No, per noi niente giornate, o settimane, del Ricordo. Ma che dico: Mi basterebbe annualmente un semplice articolo di giornale, un accenno ai telegiornali, nulla più. E invece no! tutto tace. E allora ho deciso di scrivere questo memorandum per i “posteri”, affinchè possano sapere, di primamano, quello che fu la sofferenza di un popolo, l’italiano appunto, allo sbando – con gli occhi di un banbimo, d’un adolescente – affinchè si ricordi quel periodo, che è stato dimenticato, trascurato, spesso trattato con insolenza, e fastidio, e raccontato soltanto attraverso alcuni film neorealisti... 
Cabarettista- Per la precisione, anche se di recente, è stato riproposto, quel periodo, da film con riferimenti sulla condizione femminile e...amen.    
Allora, riprendiamo, ma vi avverto che egli continua a raccordare i fatti come li visse...( indeciso) Vi annoierete? Forse direte: “Sono cose risapute? Niente, abbiamo altro da fare! E che cavolo!”  Bene, io adesso, qui, con voi, voglio dar voce a lui e proprio per questo motivo, e a chi eventualmente non piaccia ascoltare- qui in teatro- si può sempre alzare e andarsene; mentre chi lo interpreta, in questo caso il sottoscritto, vuol dire che chiude il copione e va a prendersi un hamburger, e una birra, nel vicino MacDonald.  
Detto ciò. senza ombra di presunzione, gentilmente vi prego di seguitemi...(sventola il foglio)  
...nel 1936 nacqui in una casa di borgata, a cinquanta metri dalla scogliera, dopo che mio padre – clandestino per dieci anni negli Stati Uniti, fu prelevato dalla polizia dell’immigrazione e spedito, sul Rex, nell’Italia fascista- arrivò a Siracusa con il vestito grigio, il cravattino a farfalla le scarpe bicolore e la lobbia calzata in testa, e qualche dollaro in tasca. E si trovò nell’allora “Terzo mondo”, dove invece della cucina a quattro fornelli, il lavello con acqua calda e fredda, il frigorifero, trovò il fornello a carbone, l’acqua fredda, e la dispensa con la rete metallico per conservare i cibi…che non c’erano. Infatti, come dicevo sopra, a causa della testardaggine di non voler aderire al Fascismo, stette sette anni semi disoccupato. Ma nacqui io, per errore o per volontà non saprei dirlo. So solamente che mi misero nella “Naca a vento”- (due occhielloni fissati nelle pareti sopra il lettone dei miei genitori, una coperta legata con funi ai detti occhielli, una corda per dondolarmi, dove io e il mio destino dormivamo insieme…e via così.). E la fame si tagliava col coltello, e mia madre mandava  mia sorella minore da una mia zia che aveva sposato un Pilota di Porto – peraltro preso di mira dai fascisti con abbondante olio di ricino e percorse perché non volle mai gridare : “Viva il Duce” (che lui tentava di aggirare gridando in dialetto “Viva u ruci”, cioè il dolce, facendo incazzare gli squadristi - grande lo zio Giovanni) a prendere l’avanzo della pasta che mia zia metteva in pentola per i loro pranzo, aggiungendo qualcosina in più. Bella umiliazione, che ne pensate? E mia sorella maggiore. Che faceva l’apprendista sartina presso una sartoria per donna, quando si staccava per il pranzo, arrivava a casa, constatava che a tavola non c’era nulla, si faceva una cantata e tornava in sartoria. E mio fratello maggiore, quindici anni più di me- infatti egli e le mie sorelle nacquero prima dell’andata di mio padre in America, invece io al suo ritorno- che andava dalla pizzicagnola a chiedere una “vastedda”, di pane, che poi per pagare sarebbe passato mio padre. Ed egli facendo l’apprendista idraulico, con la miseria che gli dava il “principale”, provava a fare ciò che poteva per aiutare la baracca traballante.  Mentre i parenti di mia madre- che avevano avuto ampi prestiti in dollari (che mio padre spediva a sua moglie), e che poi restituirono a fine conflitto con moneta svalutata – anche a causa della perenne mala annata, non aiutarono più di tanto la baracca suddetta. Anzi, si, l’aiutarono: Nel periodo dei bombardamenti più violenti, ci ospitarono nelle loro masserie in affitto, dove dormivamo nelle grotte, insieme alle vacche. E qui devo citare un episodio: Eravamo in una grande grotta che dividevamo con gli animali, e che era separata da un muro fatto di fascine di tralci di vite. E una notte, i buoi incominciarono a grattarsi le corna nelle suddette fascine, e quelle ci crollarono addosso. Ora noi dormivamo, io, mia madre e le mie sorelle, con tutti i parenti nell’altra metà della grotta, con i lettini addossati alla parete delle fascine -noi quattro- mentre gli altri avevano i loro lettini di fortuna, addossati alla parete dell’altra metà grotta. E dormivano tutti col lenzuolo che ci copriva interamente, a causa delle zanzare; quindi le fascine che ci arrivarono addosso ci impedivano di muoverci e di respirare. Ci aiutarono coloro che dormivano nel lato opposto. E mentre mia madre tentata disperatamente di farmi ponte per lasciarmi respirare, essi ci liberarono e, quando qualcuno accese una luce, vedemmo tre o quattro San Sebastiani: Erano “lazzariati” escoriati, graffiati e sanguinanti.
La località in cui si trovava grotta, era il promontorio Plemmirio, che chiudeva a sud-ovest il porto della città, e dove era stata piazzata una batteria contraerea che aveva due finti cannoni di legno e uno vero, e con quello dovevano contrastare l’invasione aerea e navale di Luglio. Ma, meno male che il Comando Marina, non osò sparare u colpo di cannone, perché un giorno, all’alba, quando io mi alzai e andando in cerca d’avventure nella zona, vidi il porto strapieno di navi, tale che neppure una barca a vela avrebbe trovato posto. E pensai: se avessero sparato un solo colpo di cannone ciascuna nave, avrebbero raso al suolo la città.  
E, dopo l’invasione, quando inciampai in una mano di un cadavere mal sepolto, le mie avventure furono quelle di trovare i cadaveri dei soldati caduti nel promontorio, nella spiaggia e di segnalarli al parroco. Ora vi racconto un episodio significativo: Si era verso la fine del 1942, stavamo ancora in città, e i bombardamenti erano quotidiani, le case dei nostri vicini, giorno dopo giorno, erano solo macerie. Di notte andavamo a dormire nei ricoveri scavati nella roccia arenaria: pensate anche voi cosa sarebbe successo se solo una bomba lo centrava?  Allora una volta decidemmo di andare a dormire presso una grotta, vicino al convento dei cappuccini, nei pressi della latomia che prende proprio quel nome. Ma in quella grotta ci andavano a dormire tutti i mendicanti della zona, per cui erano infestati di pidocchi, pulci e cimici. Le mie sorelle, quando se li videro addosso, urlarono chiedendo a mio padre di uscire immediatamente da quella grotta e di ritornare a casa, e, sarebbe successo quello che doveva succedere, ma in quel luogo non ci vollero restare un minuto in più. I miei genitori avevano aderito controvoglia, adducendo il fatto che c’era anche il coprifuoco. Infatti una pattuglia ci fermò, ma mio padre, che era in licenza, in quanto richiamato in servizio in Esercito, malamente li mandò a quel paese dicendo: Ma che cazzo di spie state cercando? non vedete che siamo una famiglia che torna a casa dopo aver passato ore d’incubo nella grotta delle latomie?   
Orbene, dopo la predetta invasione, finì la fame: Gli alleati ci abbuffarono di gallette, tanto che mi prese il disgusto a sentirne solo l’odore. Mentre io e i miei compagni sparavamo alla lucertole coi moschetti mod. 91, abbandonati dai nostri soldati, durante la loro fuga verso la salvezza dalla prigionia, dal rastrellamento dei tedeschi, della fucilazione. Per poi trovare un divertente gioco: prendevamo gli “spaghetti” – cioè la polvere da sparo dai proiettili inesplosi, e li scagliavamo tra le gambe delle ragazze, le quali fuggivano terrorizzate ( o fingevano). Quindi tra gli scogli facevamo le nostre bombe riempiendo i piccoli bidoni di benzina vuote e con una miccia facevamo il finemondo (– finchè un mio amico ci rimise tre dita e mezza natica). E, intanto, mio padre, finalmente, lavorò facendo l’interprete agli americani.
Ma poi gli Alleati lasciarono l’Italia, mezza distrutta, mezza umiliata, mezza affamata, e mio padre iniziò un’altra via crucis: la disoccupazione che era così fitta che si poteva tagliare col coltello. E ripiombammo nella miseria e nella fame. Quella volta non potendo avere un paio di scarpe, mio padre mi costruì un paio di zoccoli con i quali andavo correndo per la strada acciottolata, inseguendo i miei compagni. E un giorno caddi e mi scheggiai un incisivo appena spuntatomi. 
Vi racconto questo per farvi capire come fu la mia adolescenza: Quindi, questo sfregio alla bocca mi perseguitò per tutta l’adolescenza, facendovi avere un senso s’inferiorità rispetto agli altri ragazzi e mettendomi in disagio con le ragazze. Sapete, una volta, nell’aula di chimica, mentre aspettavano l’insegnante, ci mettemmo a scherzare tra di noi ragazzi allo schiaffo del soldato. Al gioco si vollero aggiungere pure le ragazze, e la cosa divenne interessante: io avevo trovate e battute di spirito gradite alle fanciulle, insomma “papariavo” fra di esse. Un mio compagno, preso dall’invidia o della gelosia, mi apostrofò pesantemente chiamandomi “sgangalato” – sdentato-. Bene gli mollai un manrovescio che lo mandò a sbattere sullo scaffaletto dei vetrini, con buona pace della lezione di chimica applicata. E, quindi, anche il mio handicap si aggravò: non sorridevo più, ero scontroso e solitario. Tutto si sistemò quando, già in Aeronautica, a diciotto anni, mi feci fare una protesi che mise fine al mio senso d’inferiorità. Ma era già il millenovecento cinquantaquattro, e ne passarono delusioni, nel frattempo.  
Ma torniamo ai giorni dell’occupazione alleata. Vedete, quando arrivarono i nuovi padroni, questi requisirono le ville dei signori costruite vicino al mare e nelle relative terrazze, vi piazzarono un cannoncino a due canne, coi quali fecero capire ai tedeschi (ci provarono una sola volta) che da quelle parti non c’era” trippa per gatti”: Infatti c’era un cannoncino ogni duecento metri. Naturalmente la truppa d’occupazione, requisiti le ville, vi insediarono i loro soldati che manovravano i cannoni. Uno di questi, un autista per la precisione, ogni volta che mi incontrava, mi mostrava la sua…dentiera, visto che ne ero letteralmente terrorizzato per quella stregoneria di togliersi i denti con la punta della lingua, per poi rimetterli. 
 “ Mandatelo a lavorare!” dissero a mio fratello quando mi presi la licenza elementare. E mio padre prese un terno al lotto, avrebbe avuto, finalmente, un figlio che lo seguiva nel mestiere, visto che mio fratello non ne aveva voluto sapere di fare il “Mastru d’ascia”. Io, invece, purtroppo per lui, volevo continuare a studiare, grazie alla complicità di mia madre. 
E ebbe iniziò il mio calvario scolastico vero e proprio. E qui mi fermo, perchè vi dirò più avanti come finì la questione.
Eppoi arrivò l’intrallazzo. Si intrallazzava tutto, specialmente le sigarette americane. Cosa c’entrai io con l’intrallazzo delle sigarette? E velo dico subito: Fu lo sparti acque tra due vie: la possibilità che frequentassi elementi malavitosi – con relative conseguenze, e la vita normale di onesti cittadini. Le due possibilità si intrecciarono e si separarono nel giro di pochi giorni. Mi spiego meglio: Eravamo nel ’45 o ’46, non ricordo bene, quando dal treno in corsa, arrivò ai miei piedi un sacco di juta stracolmo di sigarette americane. Devo premettere che la ferrovia passava a un centinaio di metri, da casa mia, ed era nel versante ovest, cioè il parco giochi di noi ragazzini, in quanto accessibile, tra tutte le case che sorgevano lungo il percorso, che si allungavano, dopo l’uscita del treno da uno stretto passaggio tra la roccia, fino alla stazione. Quel giorno, verso le ore pomeridiane, dal treno furono scaraventati diversi sacchi pieni di dette sigarette americane. Uno mi arrivò quasi addosso. Io mi guardai attorno, perplesso, ma nessuno dei vari complici degli intrallazzisti si mosse per raccoglierlo, quindi con indifferenza, mi caricai il sacco sulle spalle e andai via alla chetichella. Sapete perché venivano gettate dal treno in corsa i sacchi? Perché alla stazione c’erano i carabinieri che controllavano i bagagli. Preso il sacco, scesi nella scogliera e lo nascosi dentro una grotta che serviva da sede dei “carusi” della scogliera. Ritornai su, e me ne stetti tranquillo ad aspettare il momento opportuno per trovare a chi vendere il malloppo, magari ad un ragazzo più grande che già si adoperava nel campo dell’intrallazzo. Ma, invece del ragazzo, si presentò don Mario, boss (come si dice ora) locale, che mi prese per la collottola e mi chiede di consegnare la “merce”. Ma come fu? Scoperto dopo appena un‘ora? Fu che il legittimo proprietario del sacco, giunto dalla stazione, ne chiese conto al complice, il quale si difese dicendo  che a lui, dal treno in corsa, non era arrivato un bel nulla; anzi, ne era arrivato uno che fu gettato ad un ragazzo, il quale lo aveva raccolto e se lo sera portato via. “ Bestia! Quello era il mio!” urlò l’intrallazzista, e partì la caccia del ragazzo. Della questione fu interessato don Mario, il quale, dopo una breve indagine (c’ero solo io in zona), e conoscendo i suoi polli, e mio padre che egli sapeva alieno dal losco traffico, e quindi impossibile che io avessi portato il malloppo a casa mia, trovatomi a bighellonare nei pressi, con grande intuito, mi prese, come dissi, per la collottola e mi mormorò minaccioso: “Ora portaci al luogo dove lo hai nascosto.” Preso in castagna, mogio mogio li condussi nella grotta, essi presero il sacco e anzicchè rifilarmi un sacco di botte, mi fecero un complice occhialino. Ma quale, ma dove, ma chi! Io mi ero preso una tale fifa la quale mi consigliò sensatamente di stare lontano da quella…professione, e d’intraprendere altre vie. 
E l’altra via mi fu aperta così: Tra mi miei compagni, c’era anche un ragazzino figlio di un medico, nipote di un medico e futuro medico egli stesso, il quale se ne stava alla larga della “banda”, per volere paterno, nonnerno e zierno. Ma la madre, che non era siciliana, e che voleva dare un compagno di giochi al figlio, decise che essendo il fratello della sartina, che cuciva i vestiti alle cognate zitelle, ero idoneo allo scopo. Tale frequentazione si rivelò, per me opportuna, sia per il buon esempio, buona lettura, buoni principi, e perchè si instaurò una amicizia che durò moltissimi anni, e che le vie del mondo dispersero. 
In quel tempo i genitori del mio amico, gli avevano regalato l’abbonamento ad un giornalino che si chiamava “Il Vittorioso” che era una rivista “edificante”. E in effetti per me lo fu. Da essa conobbi Kipling e il suo Kim, seppi dei campi di calcio verdi di tappeto erboso (quello della mia città era di terra battuta), conobbi Jacovitti, valente e longevo fumettista, ecc. ecc. e, quindi, mi fu aperta una finestra su un altro mondo. Mondo che apprezzai e in cui volli vivere. (Ma presto me ne pentii: lì, non ci fu mai spazio per uno proveniente da un mondo diverso. Nascesti lì? E li devi morire! Ma, vi assicuro che forse non era del tutto sbagliato). Comunque sia, mi fece prendere una visione diversa della vita- conobbi la cultura, mio pane quotidiano. E in una mia poesia scrissi: “Nacqui proletario, il Caso dormiva con me nella “naca a vento”, poi volli diventare borghese e quasi subito me ne pentii …”
Ora, concludendo, dato che non sono più di questo mondo, vi dirò che non rinnego quello che sono stato, quello che ho fatto di buono o di sbagliato o se sarò ricordato per ciò che ho scritto oppure obliato – non importa. e per coloro che mi volessero giudicare, o ai critici cavillosi, consiglio di leggere un pensiero di Luigi Pirandello il quale afferma:  “ A coloro che volessero giudicare me o il mio carattere, dico: Mettetevi prima le mie scarpe e percorrete le strade che ho percorso io, fate gli errori che ho fatto io, provate i dispiaceri, le delusione i dolori gli amori, le gioie che ho provato io, cadete dove sono caduto io, e alzatevi, come ho fatto io. “                                   
( lunga pausa)
Cabarettista - Ordunque, adesso, per entrare in argomento “Intruso”, ( fa cenno all’uomo seduto) che come tale si deve trattare, devo ancora ricorrere agli appunti di babbo.
Quindi, come non parlare dell’argomento “studio”, che indirizzò tutta la sua vita? per cui, per completezza, mi riporto alla sua 

Banalissima storia di studio, di disagio e di lotta continua.
( lunga pausa, poi agita il foglio e finge di leggere) 
Ma, perdonatemi, ora, sperando di non annoiarvi, dovrò riferirmi ancora una volta, a ciò che  egli scrisse più sopra, ma partendo da lontano, molto lontano, cioè dal 1943, ma non vi spaventate, saranno si e no dieci minuti di...monologo-  quello che ha scritto in proposito. 
 Ecco i fatti, dunque : 
...quando mi bocciarono, in seconda elementare, forse per le troppe assenze- dimenticandosi, chi di dovere, che c’era in corso una guerra mondiale- e che cadevano le bombe dal cielo su una popolazione terrorizzata – la quale viveva sfollata nelle campagne o nei rifugi antiaerei.
Nel 1947, dopo altri due anni di guerra e due di dopoguerra caratterizzato da distruzioni e di fame, in quinta elementare, come sapete, il maestro Floridia disse a mio fratello maggiore, che era andato per informarsi sul proseguimento dei miei studi: Lo mandi a lavorare! ecc. ecc.- punto. Ma io volevo ancora studiare, cosicchè, saltati gli esami d’ammissione alle scuole medie (allora obbligatorie), mio fratello-vice padre, mi fece iscrivere all’Avviamento professionale. 
Superai i primi tre anni e mi iscrissi, poi, alla Scuola Tecnica Commerciale, durata due anni, che superai benissimo conseguendo il diplomino di “Computista Commerciale”. Cosicchè fine degli studi. Dopo tentazioni di espatrio (preferivo l’Australia), a imitazione di altri compagni, mi l’arruolai “volontario” negli specialisti dell’A.M. 
1953- Sul traghetto che mi portava a Caserta per il corso di marconista operatore (RT), composi una poesia che è la seguente:
“Sicilia mia Sicilia bella,
Lontano da te mi par di morire,
vorrei essere una rondinella 
per rivederti, per rigioire.”
E quando mai avevo avevo avuto dimestichezza con l’italiano, come mai, istintivamente, feci endecasillabe, sillabai e rimai? Boh!   
Nel 1955, ripresi a studiare infatti feci il III anno degli studi commerciali, in un corso serale; il IV anno in un istituto parificato, di pomeriggio, e il V anno, di mattina, continuando la serie degli studenti –lavoratori, presso l’Istituto Tecnico Commerciale Statale Gemmellaro di Catania. (A questo proposito devo dire, purtroppo per me, che vigeva, allora, una circolare ministeriale la quale esentava dal lavoro i militari iscritti all’ultimo anno delle Scuole Superiori. Fu ignorata dal Comando. Mi fu concesso soltanto “il privilegio” di lavorare di pomeriggio e ...di domenica).
Come si può facilmente arguire, furono tre anni di sacrificio con studi un pochino raffazzonati, e coi risultati agguantati coi denti, ma bastevoli per darmi un Diploma e di partecipare e vincere il concorso per Ufficiale in Spe del Commissariato Aeronautico. Però, per raggiungere tale scopo, fu necessaria affrontare- in aggiunta-  un’adeguata  preparazione, la quale mi fu data, tramite lezioni private, da due professori, uno di Ragioneria e Tecnica, l’altro di Italiano.
E fu quest’ultimo ( il prof. Coppola, che cito per gratitudine) che mi rigenerò culturalmente: Da lui imparai non solo a scrivere bene, ma anche la logica, quindi a pensare, a ragionare, a distinguere, ad approfondire- tutto ciò tramite lunghissime “chiacchierate” di letteratura e di argomentazioni storiche e filosofiche (tra l’altro mi fece conoscere Epitteto). 
Comunque, nel frattempo, dopo il diploma, mi ero iscritto in Economia e Commercio. Ma, dopo due anni, e alcune materie superate, nel 1962, come dissi più sopra, vinsi il concorso per Ufficiale in SPE, e venni trasferito, prima a Firenze, dopo a Lecce. Fine degli studi a causa degli impegni di Ufficiale, e, in seguito, anche dal matrimonio e poi dalla nascita dei miei primi due figli; ma, soprattutto, dalla impossibilità di frequentare le lezioni di presenza presso l’Università di Catania, laddove, nella Facoltà che avevo scelto, la detta frequenza era obbligatoria.

Cabarettista - Avrete già capito che adesso parlerà di lui adulto, della sua vita intensa intesa ad acculturarsi per  recuperare quello che non potè raggiungere, afferrare, impadronirsi, alimentarsi e dispiegare, seguendo gli studi regolari. Ed io aggiungo: Ecco iniziare una vita. vissuta sempre da “scomodo” - per così dire. Bene a lui la parola.

... E seguirono, quindi, anni di intense letture, grazie alla fornitissima biblioteca della Scuola di Volo di Lecce ( dove prestavo servizio), e dalla quale attinsi cultura dalle opere di narrativa, ma, lessi e infine studiai anche moltissime opere di drammaturgia di notissimi e valenti Autori, iniziando dai Tragediografi greci fino ai nostri giorni- che poi meditai e interiorizzai. Quindi fu la volte delle  opere di autori italiani, in primis  “ Le maschere nude “  cioè tutte le  opere teatrali di Pirandello, e, pertanto, posso affermare categoricamente, che studiando tali opere, presi la “passionaccia” per il Teatro attivo e diventai un devoto “discepolo” del grande Maestro, del quale, senza pudore, mi sono sempre professato allievo putativo.  
Continuo: Nel 1981, da ufficiale superiore, mi dimisi dall’A.M., ( i motivi furono vari che, in questa sede, non cito) e mi rivenne la voglia di ricominciare a studiare; ma non più le discipline economiche, ma quelle sociali. E mi iscrissi in Scienze Sociali. Ecco che anche in quella occasione, dopo due anni e con tante materie già superate, per “colpa” della detta passionaccia per il Teatro di cui sopra, e delle difficoltà  per la solita obbligatorietà della presenza, abbandonai gli studi e mi dedicai anima e corpo alla scrittura, alla pittura e al teatro sulle tavole cimentandomi quale regista teatrale.
E feci la gavetta! 
Infatti, negli anni, scrissi quasi centoquaranta testi teatrali completi, sessanta corti (e più di venti romanzi): roba da matti! ero diventato, forse, l’autore più prolifero.
Passarono altri decenni, e mi rivenne (mamma mia! direte) la voglia di cimentarmi negli studi, e, con la comparsa nel mondo universitario delle Università telematiche, senza l‘obbligo della frequenza, decisi di iscrivermi in una di esse, e conseguendo la laurea triennale in Filosofia Classica Italianistica- indirizzo Lettere Moderne , poi, in seguito la laurea Magistrale in Filologia e lettere moderne  (indirizzo, ovviamente, drammaturgico).”
Infine, per concludere questa mia piccola storia personale, e dato che sono vicino alla “dipartita,” essa può essere condensata così:
Nacque sugli scogli dell’Ionio,
visse tra la lava dell’Etna,
morì disperso nel mondo.

Cabarettista - Bumm! e fine della banalissima storia delle memorie paterne .(L’attore, fa ancora una lunga pausa, poi riprende) 
Adesso, mi pare giunto il momento di presentarvi...l’Intruso.

Ecco come fu l’inverosimile ” incontro”, scritto dal drammaturgo dilettante qui presente:
(si indica, ancora una pausa di concentrazione)
Fu sbalorditivo: Una notte egli entrò, in camera mia (o lo sognai). Egli era una figura vestita con un pigiama a strisce, come lui (lo indica) che mi dice (entra nel cono di luce l’Intruso).
Intruso - Stanotte ho letto quei appunti di tuo padre e che or ora ho sentito pronunciate da te: Allora ti chiedo: Sei sicuro che non ci sia differenza tra te e me? 
Cabarettista -Tra te e me? E che c’entra? Quello lo scrisse mio padre. Ma chi sei, cosa giudichi, cosa vuoi?
Intruso - Sono uno di quelli dei quali tu...
Cabarettista- ... mio padre...
Intruso - ... tuo padre, si, ma anche tu, se non erro. perchè anche tu ti sei stancato di udirne le storie.  
Cabarettista - Ah, ho capito: sei un ebreo…-
Intruso - …dei campi di sterminio.
Cabarettista - Ah, benissimo, mi dispiace, ma non capisco cosa desideri ancora? Ti lamenti forse di cosa scrisse mio padre? Okey. Ma senti, bello, di te sappiamo già tutto! Su di te sono stati scritti fiumi di parole, centinaia di film, decine di libri, e decine di opere teatrali. Tu sei come gli eroi dei film western: le tue storie, anzi le vostre, perchè foste migliaia e migliaia le vittime, non si esauriscono mai. Ed è bene ricordarle per non ricascarci. Ma quelli di mio padre che hai appena sentito, sono altrettanto storie vere, certo non precisamente come le tue, forse meno cruente, ma altrettanto terribili e che riguardano anche milioni di famiglie italiane, per un motivo o per un altro. 
Intruso - Perfetto! E lo sai perchè le rievocazioni delle nostre storie non si esauriscono mai! Eh? Sai perché?
Cabarettista- No, dimmelo tu...sapientone...
Intruso - ... Perchè eravamo milioni e milioni di casi e  perdonami, non migliaia  come le vostre storie, e quindi per le atrocità subite da noi, esse devono  rappresentare un monito per le future generazioni, affinchè non si ripetano mai più! – ecco perchè devono essere ricordate...le nostre storie.
Cabarettista – Migliaia, ma che sei matto? furono milioni, e se fossero stati migliaia, l’orrore sarebbe lo stesso. Comunque, e sia... insomma. però le vostre storie mica sono tanto divertenti. Eppoi sono tutte uguali: C’è l’ebreo buono e il nazista cattivo. Insomma, capiscilo, la migliore zuppa, se continuamente presentata, prima o poi incomincia a stufare...
Intruso - ...Lo ammetto! Ma le storie- e i massacri che purtroppo ci sono stati- sono tutte vere.
Cabarettista – Perfetto, niente da obiettare...però, però...insomma allora tenetevi il sovrappiù esclusivamente per voi! Perbacco! A noi ci è bastato conoscerne cento per farci l’idea della vostra vera sofferenza…
Intruso - ...del nostro martirio, della nostra atroce morte…-
Cabarettista - …e sia anche questo. Cosa credi che non capisca? che sono un mostro? che sono filo nazista? Attento, sai! (poi addolcendosi) Però, un giorno all’anno, un film all’anno, un dramma all’anno, sono più che sufficienti per non dimenticare, non ti pare? 
Intruso - Sarei d’accordo se non vedessi pesanti nubi di razzismo all’orizzonte.
Cabarettista - E lasciali venire, non ti curare, perché ormai la nostra società possiede gli antidoti giusti per debellarlo. Il vento della giustizia soffia forte! Vedi me? chiacchiero tanto, ma diventerei una furia contro chi li facesse accadere nuovamente.
Intruso –Ti credo. Già. Speriamo mai...Ma bisogna sempre restare vigili...certo con l’aiuto un po’ di tutti gli uomini di buona volontà. (lunga pausa guardando il cabarettista il quale fa un movimento come per dire: non esageriamo, l’Intruso annuisce) Intanto sappi che ti sono vicino per le sofferenze di tuo padre da bambino… 
Cabarettista - … e da ragazzo e poi, da adulto: perché ce ne furono ancora di sofferenze, materiali e morali. Sappi caro amico che l’umiliazione, l’emarginazione, la derisione, il sarcasmo,  l’impotenza, la supponenza- verso chi non entra in certi ambienti dalla porta principale, ma dalla finestra- feriscono più della tortura fisica. E non c’è giustizia per questo, per questo...dileggio muto, ma pesante. E mio padre li ha vissuti parecchi, a volte ribellandosi e subendone le conseguenza, altre volte con la rassegnazione, non dei vinti, ma dei prudenti... e ciò che ho cercato di dirvi. Vi giuro, sono i suoi ricordi... ricordi che - quando era di umore giusto -egli me li raccontava con voce calma, senza dimostrare rimorsi, rassegnazione, risentimenti, delusioni, con una vena di ineluttabilità, ma dando spazio alla fatalità, ...o alla sua stiddazza come soleva dire ironicamente. Ma, allora, io non capivo... 
Intruso- Comprendo e sarei solidale con tuo padre. E, comunque, tu lo sai no? può capitare a tutti.
Cabarettista- (riflettendo, poi sottovoce) Già, a tutti...
Intruso – Amen.
Cabarettista – E sia! Amen. ( scuotendosi, come se si risvegliasse da un intorpidimento) Oh, alla malora! Ma ora basta così, amico, stiamo scivolando nel patetico. ( lunga pausa, avvicinandosi all’Intruso)  Caro Intruso, abbiamo fatto una bella e lunghissima chiacchierata, ora datti pace, tornatene da dove sei venuto, amico mio, e... si!  datti pace. 
Intruso - Addio… e coraggio. 
Cabarettista – Addio.

Cabarettista - E come venne sparì. E va bene, miei cari pazienti spettatori– vediamo un po’ quanti siete. Luci in sala prego, Tre! Ecco siete rimasti in tre-  meglio di niente. Grazie amici miei siete degli eroi…( intanto fa cenno verso l’Intruso che era rimasto a guardare scuotendo il capo, quindi, lentamente esce di scena, voltandosi solo quando sta per entrare tra le quinte, come a volersi congedare, guardato dal cabarettista che scuote il capo) E adesso vi devo farvi una confessione: amici mie, perdonatemi. Di cosa mi dire/Iscrizione SIAE 68460   IP 124504704    te? Di tutto, perchè ciò che vi ho testè recitato, è inutile! Insomma, vedete, questo lavoro è stato scritto nel 2021, poi, come sappiamo, nel 2022 c’c’ la guerra in Ucrania e nel ’23 quella di Gaza. E volete che il mondo non sappia degli orrori che gueste guerre scaraventano addosso al popolo innocente?  Altro che giornata del ricordo...(poi avvicinandosi al proscenio e indicando gli spettatori) Insomma, mi è passata la voglia di continuare Addio anche a voi, amici. 
Esce di scena lentamente, facendo cenno con la mano come per dire “Ci si rivede”.