Il  grande O

commedia in due atti di

Maria Letizia Compatangelo



Personaggi

L’Autore
Il Narratore
Il Personaggio
Il Macchinista
Il Piccolo Principe
La Rosa
Il Re
Il Vanitoso
L’Ubriacone
Il Lampionaio
Il Serpente
La Volpe
La Regina
Astaroth
Lilith
Il Matto
Zvanì
Argo
Acuto
Ottuso
Scintilla (invisibile)


Atto Primo
L’azione si svolge in un ampio teatro all’italiana. Non c’è scenografia: il fondale del palcoscenico è scuro, ordinario. Sono visibili quinte, ingressi, luci dei camerini. In proscenio a sinistra un tavolo ingombro di carte, bottiglia e bicchiere, con una sedia. Il palcoscenico vero e proprio è nudo, tranne che al centro, ove troneggia un elemento di forma rotonda che nel corso dello spettacolo sarà libro, pedana, pianeta, pozzo... Due piccoli riflettori flou sono puntati sulla “cosa” al centro del palcoscenico. Musica in crescendo. L’uomo seduto al tavolo si alza e, come un direttore d’orchestra, si pone al centro del palcoscenico, di fronte alla “cosa”. Segue e sollecita con ampi gesti il crescere delle luci e della musica. Un cenno e dall’ombra sale una voce calda ed avvolgente, mentre la “cosa” si apre pian piano, come la copertina di un libro. Rimane infine completamente aperta in due parti, spessa ed ondulata, di forma in complesso rotonda come... un mondo, inclinata leggermente verso il pubblico. Sulle due parti, ovvero sulle due pagine, proiettati con diapositive dall’alto i disegni del serpente boa.

VOCE:   Un tempo lontano, quando avevo sei anni, vidi in un libro sulle foreste primordiali un magnifico disegno. Rappresentava un serpente boa mentre inghiottiva un animale. C’era scritto: «I boa ingoiano la loro preda tutta intera, senza masticarla. Dopodiché non riescono più a muoversi e dormono durante i sei mesi che la digestione richiede.». Riflettei a lungo sulle avventure della giungla. Poi tracciai il mio primo disegno e mostrai il mio capolavoro alle persone grandi, chiedendo loro se la figura li spaventava. “Spaventare?! – risposero – E perché mai uno dovrebbe spaventarsi per un cappello?” Il mio non era un cappello, ma il disegno di un boa che digeriva un elefante! Allora disegnai anche l’interno: bisogna sempre spiegare tutto, ai grandi... Mi risposero di lasciare perdere il boa sia dal di fuori che dal di dentro e di applicarmi invece alla matematica, alla geografia e alla storia. E fu così che all’età di sei anni io rinunziai a quella che poteva essere una brillante carriera di pittore. In seguito imparai a pilotare gli aerei e nella mia vita ho incontrato molte persone importanti e passato molto tempo in mezzo ai grandi. Quando ne conoscevo uno che mi sembrava di mente aperta, tentavo l’esperimento del disegno numero uno, ma chiunque fosse rispondeva: “E’ un cappello”. Allora lasciavo perdere i boa, le foreste, le stelle e parlavo di tennis, di politica e di cravatte, e loro erano molto contenti di aver conosciuto un uomo tanto sensibile. Così ho trascorso la mia vita da solo, senza nessuno con cui poter parlare... sino a sei anni fa, quando ebbi un incidente con il mio aeroplano nel deserto del Sahara...
AUTORE:   (l’uomo in scena) Alt, stop, basta così! Sì, mi sembra che vada bene. Voglio rivedere rapidamente l’azione scenica e poi proseguiamo. Vieni pure fuori.

Si accendono le luci di servizio e dalla buca del suggeritore si tira fuori a fatica un uomo con un libro, il Narratore. Contemporaneamente entra dal fondo il Personaggio.

PERSONAGGIO:   Proseguire? Su questo tono? Ma non vi sembra già abbastanza? Quanto credete che reggano ottocento persone messe insieme qua dentro un supplizio del genere prima di addormentarsi?
AUTORE:  (glaciale) Nessuno ha chiesto il vostro parere. E poi, ottocento persone... siete ottimista, caro signore... oltre che villano.
PERSONAGGIO:   Cosa?!
AUTORE: Questo è uno spettacolo per bambini espressamente commissionatomi. E poiché è tratto da un romanzo, dal MIO romanzo, per l’esattezza, è più che plausibile che certe parti narrative vengano raccontate.
PERSONAGGIO: (sinceramente scandalizzato) Ma questo non è possibile in teatro! Qui tutto deve essere azione, parola “detta” da qualcuno che sta qui, in faccia al pubblico... espressione, rappresentazione!
AUTORE:   (sempre imperturbabile) Una delle qualità che rende valido il mio romanzo e che lo fa piacere è il raccontare ironicamente delle semplici cose... o meglio raccontare semplicemente delle cose grandi, con effetto finale ironico.
PERSONAGGIO:   “... egli ridacchiò con fare sardonico...” e poi magari arrivo io e faccio “Ihaaauuuh”. Vuole spiegare anche questo?
NARRATORE:   Lei non faccia troppo lo spiritoso! Il romanzo... il racconto è una delle più efficaci espressioni artistiche!
AUTORE:   Andiamo, signor Narratore, non mi sembra adesso il caso...
NARRATORE:   (si avvicina al centro del palcoscenico, con il suo libro stretto sotto il braccio) Ah, no! Questo tipo qui arriva, insulta, sputa sentenze... e devo pure starlo ad ascoltare senza dir nulla! Senta un po’ lei, bel tipo, questo è un romanzo, no? E allora che diavolo va cercando di “espressione! rappresentazione!”, quando poi siete proprio voi a venire a frugare qui dentro! (il Narratore esegue la sua arringa sbattendo in continuazione in faccia al Personaggio il suo libro, quasi fossero le Tavole della Legge) Non c’è più nessuno che scriva per il teatro, ve lo dico io! Non interessa più a nessuno. Il teatro è morto!

Il Narratore si appoggia al libro-scena che sussulta, come animato.

NARRATORE:   Be’, insomma, è in crisi... (si riappoggia ed il libro-scena risussulta) Viva il teatro. (bianco per lo spavento)
PERSONAGGIO:   Poveretto. Ma vediamo questo romanzo, “Il Piccolo Principe”... sì, ci deve essere della roba buona. Vediamo... Qui, per esempio, quando parla dell’astronomo turco...
AUTORE:   Ma lei chi è, scusi, che vuole?
PERSONAGGIO:   Io? Ah, sì, è vero... ho dimenticato di presentarmi: io sono uno di questi luoghi... un personaggio. Un corpo con una faccia, una voce... faccio parte della rappresentazione e lei di me. Permette? (gli tende la mano) Saint-Exupéry.
AUTORE:   (contemporaneamente) Piacere, Saint-Exupéry.
PERSONAGGIO:   (al Narratore, porgendo la mano) Saint-Exupéry.
NARRATORE:   (in cagnesco) Saint-Exupéry.
AUTORE:   (stupito) Mon Dieu, che coincidenza eccezionale!
NARRATORE:   (ancora più ingrugnato) Sin troppo.
PERSONAGGIO:   (allegro) Bene! Ora che siamo qui riuniti ed... ehmm... apparentati... permettetemi di riprendere il copione... il testo, insomma. Per esempio, qui è narrato dell’Asteroide B612, la patria del Piccolo Principe, scoperto da un astronomo turco che nessuno si filava così come era vestito, alla turca, appunto, sinché non arriva un dittatore che impone l’abito occidentale ed il nostro astronomo - in tight - fa la sua fortuna. No, così non si può... niente didascalie, blah!
NARRATORE:   (inferocito) Quella è la mia parte, è compito mio e non permetto a nessun Saint-Exu... a nessuno insomma, di mettere bocca!
PERSONAGGIO:   Ma bravo il raccontatore!
NARRATORE:   “Narratore” se non le spiace.
PERSONAGGIO:   Bravo il Narratore! Lo vede, cosa fa, respirare la polvere del palcoscenico? Si cominci sempre così... la parte è mia e non si tocca! Bene, bene... e chi gliela vuol toccare? Venga un po’ qua, venga!
NARRATORE:   Che vuole fare?
PERSONAGGIO:   Vediamo un po’... (cerca di acconciargli dei pantaloni a sbuffo con il sipario) Magari con dei baffoni all’ingiù... Perfetto!
NARRATORE:   Cosa! io! Ma no, lasci stare.
PERSONAGGIO:   Ma lasci fare, piuttosto! Sa, lei ha un fisico importante... ah, è fondamentale e, in teatro! Presenza scenica! Ecco il suo cannocchiale (gli dà un foglio arrotolato) Perfetto!
NARRATORE:   Cosa! Vuol farmi recitare?!!
PERSONAGGIO:   Perché no? Ah, stia tranquillo, succede di peggio e poi... lei ha il giusto impaccio dell’uomo di scienza, dello studioso onesto e schivo costretto a parlare in pubblico... Cosa ne dice? (rivolto all’Autore)
AUTORE:   Bene, signor...Saint-Exupéry. Visto che dovremo lavorare insieme, la prego di stare al suo posto, di non strafare e di non impicciarsi di ciò che non le compete. L’Autore sono io, capito? (si guarda intorno compiaciuto)... ed anche il regista.
PERSONAGGIO:   (come un toro che vede improvvisamente un panno rosso) Ah, lei regista?
AUTORE:   Già. Siete tutte persone mie.
PERSONAGGIO:   Già...
NARRATORE:   Ah si?
PERSONAGGIO:   Ma guarda!
AUTORE:   Signori, vogliamo metterci al lavoro...
PERSONAGGIO:   Come no. La prima parola spetta all’autore, la seconda al regista, ed anche la terza... e la quarta...
NARRATORE:   Sì, mi sembra che possa sbrigarsela da solo.
PERSONAGGIO:   Già, fa tutto lui...
NARRATORE:   Infatti. A che serve il Narratore, per il romanzo?
PERSONAGGIO:   E poi è uso comune recitare senza personaggi... Dev’essere una moda recente.
AUTORE:   (imbarazzatissimo) Andiamo signori...
PERSONAGGIO:   (volgendo le spalle, il naso per aria) E’ nato prima  il personaggio o l’autore?
NARRATORE:   (imitandolo) Prima il racconto o il narratore?
AUTORE:   (esasperato) Animale, vegetale o minerale?!! D’accordo, siamo tutti molto importanti! Ma adesso vogliamo metterci al lavoro?
PESONAGGIO:   (squadrando con sufficienza il Narratore e ricambiato con uguale simpatia) Oh, “tutti” poi!
AUTORE:   Bene, visto che ora abbiamo il protagonista, io direi...
NARRATORE:   (ancora col cannocchiale in mano, attaccato al sipario) E l’astronomo?
AUTORE:   Eh? Ah, sì... vedremo, vedremo. Non è fondamentale per adesso: bisogna imbastire, imbastire! Abbiamo pochissimo tempo. Lei, comunque, potrebbe recitare?
NARRATORE:   Io? Mai! (fa per riinfilarsi nella buca e per poco non si ammazza. Ci ripensa, prende una sedia e si siede da una parte a guardare, offesissimo)
AUTORE:   Dunque, dopo il racconto d’introduzione la scena si illumina e noi scorgiamo l’aviatore nel deserto, intento a riparare il suo aereo. Il suo aereo... Già, bisognerebbe...
PERSONAGGIO:   (batte tre volte le mani) Avanti l’aereo!

Entrano sbuffando e sudando due macchinisti che scaraventano pezzi di un piccolo aero biposto di epoca passata davanti all’autore esterrefatto, ed escono senza dire una parola. L’azione è sottolineata da un’improvvisa marcetta musicale.

PERSONAGGIO:   (all’autore allargando le braccia, sorridendo) Cose che possono succedere, amico!
AUTORE:   Eh?! Ehi, voi due! Fermi, tornate indietro! E... un vulcano! Ci vorrebbe anche un vulcano, anzi, no: tre vulcani dell’asteroide del principe, che poi sono tutto il suo pianetino... (i macchinisti non compaiono, l’Autore si volge con aria di sfida al Personaggio) Si può avere TUTTO UN PIANETINO?
PERSONAGGIO:   (sorride) Lei è abituato alla carta stampata, caro amico, al suo libro... Che bell’oggetto, un libro! Piccolo così... o anche così, vero? E può racchiudere un mondo. Foreste, montagne, alberi e grattaceli... nulla è impossibile. Un piccolo coso di carta. Eccolo, se lo è portato anche qui. (accarezza il libro-scena) E ha ragione. E’ un bel congegno. Magico. Puff! pagina 20: eccoci in barca sulla Senna... Puff!! pagina 7; siamo nell’800! Ed ora nel 1980, pagina 10!

L’Autore si rilassa, è nel suo elemento; il Narratore ha assunto un’aria rapita.

PERSONAGGIO:   Da noi, invece, è tutto concreto, reale... o illusione di un’illusione. Perché no? Verità o apparenza di una menzogna... Eccoci qua. A teatro. Ma... vedrete, vedrete... anche qui succedono cose magiche. Ed è ancora più difficile! Tutti i giuochi finiscono qui, in questo spazio. E questo limite è la sua vera forza. Tutto ciò che è qui dentro è se stesso e il contrario di se stesso. Concreto e pure altro... Questo è un libro? No, signori: è un pianeta! Un vulcano! Un aereoplano, un fiore!! (mima vorticosamente tutte le cose che nomina. Quindi si calma, dolcissimo) Ma... vedrete, vedrete...
AUTORE:   (resta per un po’ in silenzio, soprappensiero; sfiora con la mano il libro-scena, torna al suo tavolo e si siede) Dunque, l’aviatore sta cercando di riparare il suo aereo, quando sente una vocina... Dov’è il piccolo? Antoine! Piccolo Principe!!!
MACCHINISTA:   (si affaccia da dietro le quinte) Qua dietro non c’è nessuno.
AUTORE:   Non e ancora arrivato... Ah, che cosa terribile lavorare con i minorenni, i genitori, i permessi speciali! Senta caro Saint-Exupéry, anzi... le dispiace se la chiamo signor Narratore, sa, così...  per non far confusione.
NARRATORE:   (con orgoglio) Si figuri!
AUTORE:   Senta, le spiacerebbe, lei, che era così bravo prima come attore... le spiacerebbe per adesso fare lei la parte del piccolo?
NARRATORE:   Io?!! Recitare così, su due piedi, la parte di un moccioso?
AUTORE:   Del Piccolo Principe, prego! E comunque non dovrà recitare. Basta che legga, come può: almeno così si esercita il signor Sain... il signor Aviatore. Se permette (al Personaggio) la chiamerò così d’ora innanzi. (il Personaggio si inchina)
NARRATORE:   Se è così... non avrò certo problemi a leggere.
AUTORE:   Perfetto, incominciamo. Dunque, lei gli arriva di spalle: l’aviatore, distrutto dall’ansia, dalla fatica e dal sole cocente, sta riparando il motore dell’aereo. - Ecco, tenga, legga.
NARRATORE:   Mi disegni una pecora, per favore?

Il Personaggio, accanto all’aereo, sussulta per la sorpresa di udire una voce nel  deserto, si volta di scatto, guarda il Narratore... e scoppia a ridere.

NARRATORE:   Cosa c’è da ridere, non andava bene?
AUTORE:   No, no, splendido, mon amì! Continuiamo, riprenda la battuta. (al Personaggio) E lei si trattenga, diamine! E’ tutto per far provare lei!
NARRATORE:   Mi disegni una pecora, per favore?
PERSONAGGIO:   (balza in piedi) Ma che cosa fai qui?
NARRATORE:   Per piacere, disegnami una pecora...

Il Personaggio gira intorno con fare dubbioso. Poi ha un idea: lo prende per mano e lo conduce davanti al libro-scena, ove campeggiano i due disegni).

NARRATORE:   No, no, no!  (con una vocina tale che per poco il Personaggio non scoppia nuovamente a ridere)  Non voglio il boa con dentro l’elefante! Dove vivo io e tutto così piccolo... Disegnami una pecora, per favore, ne ho bisogno!
PERSONAGGIO:   Non so disegnare. Ho smesso a sei anni.
NARRATORE:   Prova lo stesso! (il Personaggio disegna un librone) No, questa è malaticcia... Ma questa ha le corna, è un ariete! Questa è troppo vecchia.
PERSONAGGIO:   (disegna una scatola con tre buchi) Ecco qua. La pecora che volevi sta dentro.
NARRATORE:   Oh, grazie! Proprio come la desideravo... Ehi, guarda! si è messa a dormire.
PERSONAGGIO:   (scruta dentro la scatola. Non vede nulla ma cerca di dissimulare. Preoccupato sbircia di nuovo, senza farsi scorgere e senza successo) Devo essere invecchiato.
NARRATORE:   Che cos’è questa cosa?
PERSONAGGIO:   Non è una cosa. E’ un aeroplano. Vola.
NARRATORE:   Allora anche tu sei caduto dal cielo!
PERSONAGGIO:   Cosa?!! Ma... da dove vieni, ometto? Se me lo dici ti darò anche una corda per legare la tua pecora.
NARRATORE:   Legarla? Che idea buffa!
PERSONAGGIO:   Perché? Potrebbe perdersi...
NARRATORE:   E dove vuoi che vada?
PERSONAGGIO:   Mah... non so... dritto davanti a sé!
NARRATORE:   (triste) No... non può andare molto lontano...
PERSONAGGIO:   Vuoi dire che il tuo pianeta è grande come una casa?!
NARRATORE:   Un pochino di più... Ha anche tre vulcani, due attivi e uno spento, ma ogni giorno spazzo anche quello... non si sa mai...
PERSONAGGIO:   Spazzi?
NARRATORE:   Certo! Se i camini sono puliti per benino bruciano piano piano, senza pericolo di eruzioni... non fate anche voi così?
PERSONAGGIO:   Beh, no... ma sarebbe una buona idea.
NARRATORE:   Senti, le pecore mangiano gli arbusti?
PERSONAGGIO:   Sì, certo...
NARRATORE:   E se la pecora mangia gli arbusti, mangia anche i fiori?
PERSONAGGIO:   (risponde distrattamente, si è rimesso a lavorare e non riesce a svitare un bullone) Mangia quello che trova...
NARRATORE:   Anche se hanno le spine?
PERSONAGGIO:   Sì.
NARRATORE:   E allora le spine a che servono?
PERSONAGGIO:   (spazientito) A nulla. E’ pura cattiveria da parte dei fiori.
NARRATORE:   Oh, non ti credo! I fiori sono deboli e ingenui: si rassicurano con le loro spine, si sentono terribili!
PERSONAGGIO:   Se questo pezzo resiste ancora lo butto giù a martellate!
NARRATORE:   Senti, pensi che i fiori...
PERSONAGGIO:   No! Non penso a niente! Non me ne importa nulla! Mi occupo di cose serie, io!!!

L’Autore si alza e si avvicina. Fa cenno in cabina di spegnere le luci di servizio e mettere delle luci tenui. Poi ci ripensa e le fa cambiare, mettendo un riflettore di taglio.

NARRATORE:    Di cose serie! Parli come i grandi...

L’Autore fa cenno al Personaggio-Aviatore di girarsi di spalle, poi si rivolge al Narratore, dirigendolo come un orchestrale. Il Narratore lo guarda interrogativo, quindi si lascia andare, facendosi guidare.

NARRATORE:   Da migliaia di anni i fiori fabbricano le spine e da migliaia di anni le pecore li mangiano lo stesso e non è una cosa seria cercare di capire perché i fiori si danno tanto da fare per fabbricarsi delle spine che non servono a niente?!! Non è importante la guerra tra pecore e fiori?!!... E se io conosco un fiore unico al mondo, che esiste solo sul mio pianeta e che può essere distrutto così, d’un colpo... da una pecora che non sa quello che fa... Non è importante questo! (la luce sui due diventa sempre più forte e tagliente. Il Personaggio si volta, colpito dalle parole del Narratore-Piccolo Principe). Se qualcuno ama un fiore, l’unico in mezzo a milioni di stelle, ed è felice quando lo guarda e pensa “Il mio fiore esiste... è in qualche luogo”. Ma se la pecora mangia il fiore è come se tutte le stelle si spegnessero! E non è importante!!!

Come da copione, il Narratore scoppia a piangere davanti all’Autore che si blocca, imbambolato. Il Personaggio con qualche difficoltà prende in braccio il Narratore e lo culla.

PERSONAGGIO:   No, non aver paura, il tuo fiore non è in pericolo... Io disegnerò una museruola per la tua pecora... anzi, costruirò una corazza per il tuo fiore, io... io...

Lo culla, mentre a poco a poco si spengono i riflettori e si riaccendono le luci di servizio. Come risvegliandosi da una trance, i due si ritrovano nella buffa posizione. L’Autore torna al suo tavolo.

PERSONAGGIO:   Complimenti, collega! Per poco non facevi piangere anche me!
NARRATORE:   Io... io volevo solo fare una cortesia, poi il signor regista qui, e le luci...
PERSONAGGIO:   Ma no, via, non fare il modesto! Hai stoffa, si vede. Posso darti del tu?
NARRATORE:   Certo, prego... dici che potrei fare l’attore?
PERSONAGGIO:   Sicuro!
NARRATORE:   No... no. Non saprei mai imparare tutto a memoria... e poi ripeterlo, ogni sera, e poi... E’ strano. E’ come se non fossi più tu, che so io... sono tutto turbato.
PERSONAGGIO:   Ci sei proprio dentro, amico! Dài, dì che ti piace... E’ bello vivere per un po’ un’altra vita!
NARRATORE:   Io?! Scherzi?... Io non posso essere che Io, lo capirai. E poi il teatro è affascinante ma è un modo così... così...
PERSONAGGIO:   Strano? (il Narratore annuisce) Effimero? Pazzo, immorale e cattivo? Oh, per carità, basta con i luoghi comuni! Anche tu! Sì, d’accordo, come in tutti i luoghi comuni magari c’è anche un briciolo di verità... ma talmente affogato nell’ignoranza che ormai è morto, marcio e puzzolente! (cambia tono) E’ tutto molto più semplice: una piccola clessidra di vita. Stop! E’ finita. Basta rivoltarla e si rimescolano di nuovo i granelli... E quale sarà adesso il giusto mosaico? Una cosa è certa: tutto qui dentro è ordine, anche la follia.
NARRATORE:   Come in un rom...  
PERSONAGGIO:   ... e sai cos’è che tiene tutto insieme?! Il principio ordinatore?
NARRATORE:   No
PERSONAGGIO:   E’ lo spazio, amico mio! Questo piccolo grande spazio polveroso!
NARRATORE:   (si illumina) In un romanzo è il racconto, il Narrator...
AUTORE:   (alza la testa di scatto dalle sue carte) Eh no, caro signore! Non esageriamo! E’ l’Autore, persona ben diversa: colui che immagina, ordina, scrive e rivede... che “crea”, insomma!
NARRATORE: Ma niente affatto!!! L’Autore è solo il principio... anzi, no: il pretesto! Ciò che tiene tutto saldo insieme è...
PERSONAGGIO:   (trionfante) Il Personaggio, l’Eroe!
NARRATORE:   Ma no, no! E’ il racconto... il filo della storia detta da qualcuno che non è l’Autore, ma che non è neanche il Personaggio... è... è lo Spirito del racconto! (in lontananza si sentono suonare delle campane din-don dolce, molto cadenzato) E’ quello che tesse le favole, che da secoli spinge gli uomini a narrare la propria storia, a ripeterla e ripeterla sempre più vera, sempre più vicina... per ricordare a se stessi che esistono.
AUTORE:   (conquistato) Sempre la stessa storia... l’eterno ritornello... e sempre diverso.
PICCOLO PRINCIPE:   E’ permesso?
AUTORE:   (scuotendosi) Che cosa... oh! E’ arrivato Antoine! Vieni, vieni piccolo, entra! Coma va?
PICCOLO PRINCIPE:   Bene, grazie.
AUTORE:   Allora, sei pronto? Ahi studiato, eh?
PICCOLO PRINCIPE:   (candido) Che cosa?
AUTORE:   (smarrito) Ma... la parte, no?
PICCOLO PRINCIPE:   (sorridendo) Non ho bisogno di studiare... io sono il Piccolo Principe.
AUTORE:   Ahaaah! Eccone un altro!
PICCOLO PRINCIPE:   (imperturbabile) Io non sono Antoine. Sono il Piccolo Principe. Sbrighiamoci, per favore, perché devo tornare dal mio fiore.
PERSONAGGIO:   Ma questo benedetto fiore com’è?
AUTORE:   (turandosi le orecchie e andando a rifugiarsi dietro il suo tavolo) Non voglio sentire altro! Ci mancava solo lui! Il Piccolo Principe! Sicuro, come no!
PICCOLO PRINCIPE:   (riprendendosi dallo stupore dello strano comportamento dell’Autore) Oh, è tanto bello... e così diverso dagli altri! (sorride) All’inizio stava chiuso nel suo bocciolo e non si apriva mai, diventava sempre più grosso, non ne avevo mai visti così. Sceglieva i suoi colori... Poi, un giorno, si è mostrato. Com’era bella! La mia rosa!
PERSONAGGIO:   Una rosa?! Tutto questo rumore per una semplice rosa!
LA ROSA:   Sì... mi hai svegliata... Scusa, sono tutta spettinata...

Da dietro il libro-scena appare la Rosa: si leva lentamente, con grazia e civetteria, e si pone a sedere sul libro-scena, dal quale sono scomparsi i disegni dei due serpenti boa. Il Narratore, seduto sulla sua sedia a destra del palcoscenico, non si scompone e segue con interesse. Il Personaggio è molto curioso e partecipe: tra lui e il Piccolo Principe si è già stabilito un legame. L’Autore invece, al suono della voce della Rosa, balza di nuovo in piedi come colpito da una schioppettata, quindi si avvicina guardingo.

PICCOLO PRINCIPE:   Come sei bella!
LA ROSA:   E’ vero. Ti piaccio? Ammirami pure, non ti preoccupare, te lo permetto. E sono forte anche, sai? Con le mie spine posso difendermi da mille tigri!
PICCOLO PRINCIPE:   Non ci sono tigri sul mio pianeta...
LA ROSA:   Ah no? Già... Non ci sono tigri ma ci saranno allora sicuramente i bruchi, quegli orribili animaletti che mi assaliranno per succhiare i miei petali ad uno ad uno!
PICCOLO PRINCIPE:   (dolcissimo) Ti difenderò io.
LA ROSA:   Ah, non è possibile, sono abituata in ben altro modo, io! Da dove vengo io...
PICCOLO PRINCIPE:   Fiore, tu sei venuto qui come seme, come puoi conoscere...
LA ROSA:   (colta in fallo)   Basta così. C’è un vento terribile, ed io ho orrore delle correnti d’aria! Per favore, procurami qualcosa per ripararmi, un paravento, che so io... E sbrigati, corri! Non vedi? Ehmm ehmm... già tossisco! (la Rosa si ritira)
AUTORE:   (si avvicina al libro-pianeta, cogitando) Uhmm... avrei dovuto creare una rosa un po’ meno arrogante, questa è proprio antipatica.
PICCOLO PRINCIPE:   (con passione) No! Non sono le parole che bisogna ascoltare nei fiori! La mia Rosa profumava e illuminava tutto il mio pianeta, e io non ho saputo indovinare la sua tenerezza dietro le sue piccole manie. Non avrei mai dovuto lasciarla, ma allora non sapevo amare...
AUTORE:   Va bene, va bene, ne parleremo poi. Vediamo allora proprio la scena dell’addio. (si allontana per poter seguire meglio l’azione) Tu sei molto triste e vai da lei. Timido come sempre e un po’ timoroso, perché non si sa mai come reagirà. Le giri intorno, la guardi, e poi la saluti... piano piano...

Il Piccolo Principe esegue, anticipando però lievemente le indicazioni che l’Autore gli suggerisce: sembra sappia già da sé, perfettamente, cosa deve fare. Ritorna quindi nel punto in cui era apparsa la Rosa.

PICCOLO PRINCIPE:   Addio.

La Rosa in risposta tossisce; il Piccolo Principe si precipita a sistemarle il paravento davanti.

LA ROSA:   Sono stata una sciocca. Scusami... e cerca di essere felice. (il Piccolo Principe si blocca, stupito) Ma sì, ti voglio bene... e tu non l’hai mai saputo per colpa mia! Lascia stare il paravento, non lo voglio più.
PICCOLO PRINCIPE:   Ma il vento, gli animaletti...
LA ROSA:   Dovrò pure sopportare qualche bruco, se voglio conoscere le farfalle! Sennò... chi mi terrà compagnia, quando sarai lontano? E non stare così! Se hai deciso di partire, vai! Va’ via!

La Rosa sparisce. Il Piccolo Principe si allontana mogio mogio, mentre l’Autore si avvia al suo tavolino, inseguito dal Personaggio.  

PERSONAGGIO:   Scusi, signor Exupéry... Durante questa scena io dove mi metto?
AUTORE:   Accanto all’aereo.
PERSONAGGIO:   Al buio completo?
AUTORE:   Perché, dove vorrebbe stare, abbracciato alla Rosa o a dormire sul serpente boa?
PERSONAGGIO:   Noo, ma io dico... se devo stare in palcoscenico, allora forse è meglio che ci stia dichiaratamente... in luce, insomma! Magari solo un piccolo faretto, sa... per dare un senso di circolarità all’opera: un tutto organico in cui i vari elementi si incontrano, si combinano e si separano, un mondo nel mondo!
AUTORE:   (spazientito) E lei sta su un altro mondo! Sulla Terra, appunto! Il principino invece è sull’Asteroide B612, quello scoperto dall’astronomo turco che nessuno si filava per come era vestito eccetera... (il Narratore si fa avanti speranzoso) Chiaro? E stia accanto al suo aereo. Al buio! Pausa, signori. Dieci minuti.

L’Autore raggiunge il suo tavolo, aggiusta delle carte, fa dei cenni al datore luci, quindi si sbraca a bere su una sdraio in quinta, con il copione in mano.

NARRATORE:   (al Personaggio) Non mi sembri molto soddisfatto, collega...
PERSONAGGIO:   C’è poco da sfottere. Non capisce niente, quello lì.
NARRATORE:   Ma è l’Autore! E anche il regista...
PERSONAGGIO:    Appunto. Una persona assolutamente incomprensiva.

Il Personaggio va verso l’aereo e comincia a smartellare senza motivo.

NARRATORE:   (un tono sopra, visto il rumore) Ah, molto meglio un bel racconto! Tutto molto più calmo, più tranquillo...
PERSONAGGIO:   Vuoi farmi credere che nel tuo mondo non ci sono problemi?
NARRATORE:   Battaglie, di carta... tantissime, come no! Ogni tanto arriva qualcuno  che decide di cambiare tutto, di spostare tutto, di... Chissà! E invece sposta solo una pagliuzza: cambia la figura, magari, ma tutto rimane là, nella scatola magica. Ogni mossa è prevista. Il caleidoscopio intatto.
PERSONAGGIO:   Il libro!
NARRATORE:   Già. Non c’è niente da fare, è tutto un altro stile. Voi altri teatranti, invece... sempre lì, esasperati, in guerra, a disperarvi!
PERSONAGGIO:   (smette di smartellare) Ti sbagli. Noi “teatranti” siamo come i pescatori. Li hai mai visti, tu, i pescatori a terra? Te lo dico io come sono: piccoli, impacciati, anneriti dal sole... Ma appena saltano su una barca, ecco che cambiano all’improvviso: eccoli là, fieri, dritti, agili come gatti! Così siamo noi. Un attore è se stesso solo qui, quando lavora. Ed è felice. Tu... ma guardati! Scommetto che non sai neanche ridere.
NARRATORE:   Ridere? Io? Mah, non so... veramente non ci ho mai pensato.
PERSONAGGIO:   Una bella risata di quelle che fanno tremare i lampadari. Una bella, grassa risata! Così ah! Ah! Ah!
NARRATORE:   Embé?
PERSONAGGIO:   Fai così perché non sai ridere. Non sai cosa può accadere con una risata. Vera. Chiassosa. Piena.
NARRATORE:   Ma io...
PERSONAGGIO:   Prova!
NARRATORE:   Ah a – no, non posso... e poi non capisco perché...
PERSONAGGIO:   Prova!!!
NARRATORE:   Aaa a  - mi vergogno.
PERSONAGGIO:   Dài, insieme! Ah... forza! Ah ah ah! Su, dài, spingi, butta fuori l’aria... Ma che fai? Uh uh ah ah! Ma così ti metti a piangere! No no, non ti fermare, non ti preoccupare! (sempre ridendo) E’ il primo stadio, ah ah! Sono due cose molto vicine, il riso e il pianto uh uh uh! Non è mica facile, sai arrivare alla risata! Dài!

Piano piano il Narratore vince la vergogna e si sforza di riuscire a ridere. Gli vengono prima le lacrime. Poi sta quasi per vomitare. Infine, a poco a poco, comincia anche lui: sempre più forte, più forte, più forte... I due si sbellicano adesso dalle risate, quella dell’ uno aumenta quella dell’altro, si tengono le mani sulla pancia, si abbracciano come ubriachi dandosi delle gran manate a vicenda sulle spalle, saltellando per tutto il palcoscenico arrampicandosi come scimmie dove capita, chiamandosi e rispondendosi l’un l’altro a suon di risate da una parte all’altra della scena.

PICCOLO PRINCIPE:   (arrivando calmissimo al centro del palcoscenico) Vi dispiace, signori, per favore... Signori, per favore! Io devo continuare il mio viaggio!
NARRATORE e PERSONAGGIO:   (tra le risate) Eh? ah ah! che c’è?
PICCOLO PRINCIPE:   Devo continuare il mio viaggio.
PERSONAGGIO:   (scende, sempre ridendo,  da una delle scalette sul fondo che portano in soffitta) Ah ah! E dove devi andare?
PICCOLO PRINCIPE:   Dalla mia rosa.
PERSONAGGIO:   (cominciando a calmarsi) E noi?
PICCOLO PRINCIPE:   Voi mi servite. Per finire il viaggio.
NARRATORE:   Ah ah ah ah!
PERSONAGGIO:   (serissimo, va a prendere un copione, lo sfoglia arriva alla fine) Bene. Ecco le battute finali. Forza, siamo noi due di scena.
PICCOLO PRINCIPE:   (garbato ma deciso) No, non è possibile. Deve compiersi tutto il percorso prima... perché io possa ritornare dal mio fiore.
PERSONAGGIO:   Autore! C’è il piccolo che c’ha un problema... Ehi... autore, regista, Saint-Exupéry!

L’Autore, che si era appisolato si alza di scatto e si dirige, reprimendo gli sbadigli, con aria professionale verso il suo tavolino.

PICCOLO PRINCIPE:   Grazie, signori... signori?
PERSONAGGIO:   Saint-Exupéry.
NARRATORE:   (ancora scosso da singulti di riso) Saint-Exupéry.
PICCOLO PRINCIPE:   Piacere, Saint-Exupé...?
PERSONAGGIO:   (strizzando l’occhio, complice, al Narratore) Non farci caso, piccolo... è normale.
AUTORE:   Dunque: il Piccolo Principe, approfittando di una migrazione di uccelli selvatici, parte dal suo pianeta e giunge sull’asteroide del Re. Ma succede che... Insomma!

Un macchinista posta in scena un mucchio di palloncini colorati a forma di uccello, legati tra loro. Contemporaneamente cala dalla soffitta un trapezio al centro della scena. Il macchinista dà lo spago dei palloncini in mano al Piccolo Principe e va via serissimo, senza dire una parola, passando dinanzi all’Autore rimasto a bocca aperta.

PICCOLO PRINCiPE:   Sono pronto. (sale sul trapezio, che si solleva subito a mezz’aria e aggancia alla corda di questo il mucchio di palloni. Un segui-persona isola il principino in alto, mentre le luci di servizio si spengono lentamente).
AUTORE:   (riprendendosi dallo stupore) Sì... bene. Mi raccomando, avete gli attacchi delle battute? Il Re, dov’è il Re? Ah, eccolo, è arrivato per fortuna. Signor Aviatore... ed anche lei signor Narratore, venga qui, ci dia una mano. Mi raccomando: deve essere tutto un continuo. Il segnale lo darà la luce. Rosso per il Re, verde per il Vanitoso, viola per l’Ubriacone, giallo il Lampionaio (nel nominarli assegna le parti: al nuovo arrivato il re ed il Lampionaio, al personaggio il Vanitoso, al Narratore l’Ubriacone). Bene, partiamo. Via con la musica.

Parte il nastro di “Jeu de Cartes” di Strawinsky, e la prova ha subito inizio. Mentre il principino resterà sul trapezio, i vari personaggi saranno isolati con luci adeguate in diversi luoghi del palcoscenico, anche per aria, con altrettanti trapezi, ove la parte lo consenta: il Vanitoso e il Re, per esempio,  mentre il Lampionaio con il suo lampione potrà stare sul libro-scena e l’Ubriacone in un canto con il bicchiere e le sue bottiglie. Trattandosi di prove non sarebbero necessari, a rigor di logica, i costumi: ma qui si rappresenta l’allestimento di una favola, e un allestimento evidentemente sui generis... sarà bene dunque che il Re abbia il manto e la corona, il Vanitoso un bel cappello piumato, il Lampionaio la sua divisa e l’Ubriacone un giacchettone malconcio e un cappellaccio sghembo.

RE:   Bene, ecco un suddito!
PICCOLO PRINCIPE:   Come può riconoscermi, se non mi ha mai visto!
RE:   E’ semplice: per un Re tutti gli uomini sono sudditi. Avvicinati. (il Principe sbadiglia) E’ contro l’etichetta sbadigliare in faccia ad un monarca. Te lo proibisco.
PICCOLO PRINCIPE:   Non posso farne a meno. Sono stanco e ho fatto un lungo viaggio.
RE:   Allora ti ordino di sbadigliare. Avanti! E’ un ordine.
PICCOLO PRINCIPE:   Non posso! Mi avete intimidito.
RE:   Ummhm... allora ti ordino di sbadigliare un po’e un po’.
PICCOLO PRINCIPE:   Posso sedermi?
RE:   Ti ordino di sederti.
PICCOLO PRINCIPE:    Sire, posso chiedervi...
RE:   Ti ordino di interrogarmi.
PICCOLO PRINCIPE:   Sire, su cosa regnate?
RE:   Su tutto.
PICCOLO PRINCIPE:   Su tutto?!! E le stelle vi obbediscono?
RE:   Certo. Non ammetto l’indisciplina.
PICCOLO PRINCIPE:   Oh, Sire, potrei vedere un tramonto? Io adoro i tramonti, sono così belli, ma per vederli sul mio pianeta devo sempre spostare in avanti la sedia! Un giorno ho visto il tramonto 43 volte! Sapete, quando si è tristi i tramonti... Vi supplico: ordinate al sole di tramontare!
RE:   L’autorità riposa, prima di tutto, sulla ragione. Se tu ordini al tuo popolo di andare a gettarsi a mare, nove su dieci ti fa la rivoluzione. Io ho diritto di esigere l’ubbidienza perché i miei ordini invece sono ragionevoli.
PICCOLO PRINCIPE:   E il mio tramonto?
RE:   Lo avrai. Quando le condizioni saranno favorevoli.
PICCOLO PRINCIPE:   E quando?
RE:   Dunque, vediamo... pressappoco stasera alle sette e quaranta. Sarò obbedito a puntino, vedrai!
PICCOLO PRINCIPE:   (sbadiglia) Me ne vado. Non ho più niente da fare qui.
RE:   Ti nomino Ministro della Giustizia.
PICCOLO PRINCIPE:   Ma se non c’è nessuno da giudicare!
RE:   Non si sa mai. Non ho ancora fatto il giro del mio regno: mi stanco troppo a camminare e non c’è posto per una carrozza.
PICCOLO PRINCIPE:   Ho già visto io, non c’è nessuno.
RE:   Allora giudicherai te stesso. E’ la cosa più difficile. Se ne sarai capace potrai giudicarti un saggio.
PICCOLO PRINCIPE:   Ma io posso giudicarmi ovunque... vi saluto, Sire. Se volete darmi un ordine ragionevole... per esempio di partire entro un minuto... mi pare che le condizioni siano favorevoli... (il Re non risponde) Addio.
RE:   Ti nomino mio ambasciatore! (e scompare nel buio)
PICCOLO PRINCIPE:   Ah, sono ben strani i grandi! (arriva sul pianeta del l’Ubriacone) Che cosa fai?
UBRIACONE:   Bevo.
PICCOLO PRINCIPE:   E perché bevi?
UBRIACONE:   Per dimenticare.
PICCOLO PRINCIPE:   Per dimenticare che cosa?
UBRIACONE:   Che ho vergogna.
PICCOLO PRINCIPE:   Vergogna di che?
UBRIACONE:   Vergogna di bere. (scompare anche lui con la sua luce)
PICCOLO PRINCIPE:   Oh, i grandi sono proprio molto, molto bizzarri!
VANITOSO:   Aàh! Ecco la visita di un ammiratore!
PICCOLO PRINCIPE:   Buongiorno. Che cappello buffo!
VANITOSO:   E’ per salutare quando mi acclamano, ma sfortunatamente non passa più nessuno... Batti le mani una contro l’altra! (il Principe esegue ed il Vanitoso si inchina, scappellandosi con molta eleganza)
PICCOLO PRINCIPE:   E’ molto più divertente che la visita al Re! (il Vanitoso continua) Ma che bisogna fare per far cadere il cappello?
VANITOSO:   (non raccoglie) Mi ammiri molto, vero?
PICCOLO PRINCIPE:   Che vuol dire “ammirare”?
VANITOSO:   Vuol dire riconoscere che io sono il più bello, il più ricco e intelligente di tutto il pianeta.
PICCOLO PRINCIPE:   Ma se sei l’unico qui!
VANITOSO:   Per favore ammirami lo stesso!
PICCOLO PRINCIPE:   (perplesso, ma di buon cuore) Ti ammiro. (il Vanitoso si scappella un’ultima volta e scompare inghiottito dal buio) Decisamente i grandi sono proprio molto, ma molto strani!!!
AUTORE:   Stop! Ferma la musica! Luce! (la musica cessa e si accendono le luci di servizio) Allora piccolo, che vogliamo fare? Queste battutine alla fine di ogni scena non ci sono nel copione, non ci sono!!! “I grandi qui... i grandi là...” Non c’è, nel copione!
PICCOLO PRINCIPE:   E perché non lo posso dire?
AUTORE:   Perché no! Ma certo... tu non studi la parte, non ne hai bisogno! Una volta passi, due anche, ma tre no!
PICCOLO PRINCIPE:   Perché?
AUTORE:   Perché non devi dire nulla sui grandi! Hai capito?
PICCOLO PRINCIPE:   (irriducibile, sgambettando per aria con aria di sfida) Va bene. Allora lo PENSO TRA ME E ME!
AUTORE:   Bravo. Così ragioniamo. E poi, in fondo, forse non è sbagliato. Pensalo! Sì, tutto sommato dà l’idea del bambino che si sente estraneo al modo degli adulti, diverso... Ma... ma cosa mi fai dire! Non ha senso! Non lo sai che qui siamo a teatro? E’ tutta un’altra cosa dallo scrivere! Ho deciso. Stai zitto.
PICCOLO PRINCIPE:   Perché!
AUTORE:   Perché lo dico io e basta!
PICCOLO PRINCIPE:   Ma perché lo dite...
AUTORE:   (sta per scoppiare) Perché...perché gli “a parte” non si usano più, va bene?!
PICCOLO PRINCIPE:   E come mai?
PERSONAGGIO:   (felice di intervenire, è il suo campo) Be’... perché è una convenzione caduta in disuso. Già con il Goldoni...
PICCOLO PRINCIPE:   (interrompendolo) Che cos’è una convenzione?
AUTORE:   (intervenendo a denti stretti) Senti tu, va bene che il Piccolo Principe è un rompicoglioni che quando fa una domanda non ci rinunzia neanche se lo ammazzano, ma adesso tu sei in un teatro, anzi, per l’esattezza, sei appeso in aria su un trapezio... Sei un personaggio che vive, capito? VI-VE! (il Personaggio si gonfia di soddisfazione, il principino guarda l’Autore come un pazzo)... ma che NON può parlare se non con le battute che stabilisco IO, capito? (il Personaggio si sgonfia)
PICCOLO PRINCIPE:   Ma perché...
AUTORE:   Silenzio!
PICCOLO PRINCIPE:   Voi grandi siete proprio strani.
AUTORE:   AAAAH! Basta! Okay. Voi grandi siete bizzarri, strani, perversi! Dilla e non se ne parli più! Riprendiamo. Lei, signor Narratore, si tenga pronto. (si spengono le luci, nella breve frazione di buio si sente l’Autore che borbotta) Devo trovare il modo di far dire qualcosa di cattivissimo sui bambini. Certo. Magari dalla volpe, o dal serpente?
PICCOLO PRINCIPE:   Buongiorno. Perché spegni il tuo lampione?
LAMPIONAIO:   E’ la consegna.
PICCOLO PRINCIPE:   Che cos’è la consegna?
LAMPIONAIO:   Di spegnere il lampione. Buonasera. Accendo.
PICCOLO PRINCIPE:   Perché accendi? Non ci sono né case né persone...
LAMPIONAIO:   E’ la consegna.
PICCOLO PRINCIPE:   Non capisco.
LAMPIONAIO:   Non c’è niente da capire. Ah, faccio un mestiere terribile! Prima no, era diverso: spegnevo al mattino e riaccendevo la sera e il resto del tempo potevo riposarmi... dormire...
PICCOLO PRINCIPE:   E poi? E’ cambiata la consegna?
LAMPIONAIO:   No! Questo è il guaio! Il pianeta ogni anno ha girato sempre più in fretta e la consegna non è cambiata! Spengo.
PICCOLO PRINCIPE:   E allora?
LAMPIONAIO:   Allora fa un giro al minuto ed io non ho più un attimo di riposo! Accendo.
PICCOLO PRINCIPE:   Che bello! Tu... tu puoi vedere millequattrocentoquaranta tramonti in ventiquattro ore ... dev’essere bellissimo!
LAMPIONAIO:   Non è bellissimo proprio per niente. Lo sai che stiamo parlando da una settimana?
PICCOLO PRINCIPE:   Da una settimana?!
LAMPIONAIO:   Sì. Sette minuti uguale sette giorni. Buonasera. Accendo.
PICCOLO PRINCIPE:   Sai, forse conosco un modo per farti riposare. Io lo uso per vedere i tramonti. Sai, quando si è tristi i tramonti...
LAMPIONAIO:   Per favore, dimmelo subito! Buongiorno. Spengo.
PICCOLO PRINCIPE:   Non hai che da camminare piano piano, in modo da rimanere sempre al sole. Il tuo pianeta è così piccolo che ti basta una passeggiatina lenta lenta per far durare il giorno quanto vuoi.
LAMPIONAIO:   Accendo. No, non serve. Io desidero soprattutto dormire.
PICCOLO PRINCIPE:   Non sei fortunato.
LAMPIONAIO:   No. Buongiorno, spengo. (spegne il suo lampione e con esso scompare nel buio)

Una luce azzurrina isola il Narratore seduto al suo solito posto, sulla destra del proscenio. Il libro sulle ginocchia, tutto compunto e compreso d’importanza, comincia a narrare, con una lieve musica in sottofondo.

NARRATORE:   Il settimo pianeta fu dunque la Terra. Oh, la Terra non è un pianeta qualsiasi! Per darvi un’idea delle sue dimensioni vi dirò che, prima dell’ invenzione dell’elettricità, bisognava mantenere, sull’insieme dei sei continenti, una vera e propria armata di 462.511 lampionai. Visto un po’ da lontano faceva uno splendido effetto, i movimenti di quest’armata erano perfettamente regolati come quelli di un balletto all’Opera. Prima c’era il turno di quelli che accendevano i lampioni della Nuova Zelanda e dell’Australia...

Il Personaggio, vestito da Lampionaio, attraversa impettito il palcoscenico con un lampioncino acceso. Il Narratore ha un attimo di sbigottimento, non se l’aspettava, quindi riprende. Anche l’Autore, seduto immobile al suo tavolino sino a quel momento, dà segni di stupore.

NARRATORE:   ...Dopodiché questi, avendo acceso i loro lampioni, se ne andavano a dormire. Allora entravano in scena quelli della Cina e della Siberia. Poi anch’essi...

Il Personaggio rientra da dove era uscito e riattraversa il palcoscenico, mimando il passo cerimonioso d’un mandarino cinese, sempre con il suo lampioncino acceso, al quale ha appeso un festoncino colorato. A tal vista l’Autore balza in piedi, fa per intervenire ma ci ripensa e resta accanto al suo tavolo a guardare incuriosito. Il Narratore, indispettito, accelera sempre più il ritmo del racconto.

NARRATORE:   ... Poi anch’essi se la battevano fra le quinte. Allora veniva il turno dei lampioni della Russia e delle Indie...

Il Personaggio trafelato ricompare e riattraversa il palcoscenico con il lampione acceso, quindi scompare di nuovo dietro le quinte.

NARRATORE:   ... Poi quelli dell’America del Sud...

Il Personaggio “vola” verso l’altra sponda del palcoscenico, cercando, pur nell’affanno, di accennare qualche passo di samba.

NARRATORE:   ... E MAI che si sbagliassero nell’ordine di entrata in scena! (placa ora il ritmo e riprende un andare maestoso) Era grandioso! ... Solamente l’uomo che accendeva l’unico lampione del Polo Nord, e il suo collega dell’unico lampione del Polo Sud, conducevano una vita di ozio e spensieratezza: lavoravano solo due volte l’anno!

Il Personaggio, con indosso un giubbotto da eschimese, riattraversa calmo il palcoscenico. Si ferma al centro, con l’inseparabile lampioncino, e, con un sorriso smagliante, si inchina più volte al pubblico.

NARRATORE:   No! NO! (chiude con rabbia il libro, si alza, lo sbatte sulla sedia. A grandi passi minacciosi raggiunge il Personaggio e lo affronta petto a petto, impedendogli di avanzare). Tu la devi finire!
PERSONAGGIO:   (allegrissimo) C’è qualcosa che non va, collega? Non ero sincronizzato con le battute?
NARRATORE:   NO! Cioè sì, che importa?... e non sono tuo collega! Tu hai rovinato tutta la mia prova con le tue buffonate!
PERSONAGGIO:   Quali buffonate?
NARRATORE:   Fai pure lo gnorri!... Entrare di qua... uscire di là... rispuntare fuori con il lampioncino colorato! Ma cosa credi di fare? Non avevi già sfogato abbastanza la tua libido esibizionistica recitativa con le prove di prima?!!
PERSONAGGIO:   (seccato, ma sincero) Io volevo solo collaborare... proporre un’idea, nient’altro. Lei, signor regista, cosa ne pensa?
AUTORE:   Mah, non saprei... non era previsto, certo, ma forse potremmo tenerla...
NARRATORE:   No! O questo qui sta al posto suo o io me ne vado! Vuole solo mettersi in mostra, non gliene frega niente del resto! (affannato, va a prendere il libro sulla sedia) To’, guarda! (al Personaggio) Vedi una sola battuta di dialogo in questa pagina? No? Allora questo è un racconto, siamo d’accordo: appartiene a me, tu non c’entri niente!
PERSONAGGIO:   Ma non vedi che tutta la scena è un capolavoro di ironia? Non hai un briciolo di spirito.
NARRATORE:   Io non vedo... io non ho... io SONO lo spirito!!! Sei tu che non comprendi... (si sforza di stare calmo e di trovare le parole giuste) Va bene: il racconto è ironico, come dici tu. Ma il divertimento deve venir fuori dal contrasto! Tra il tono solenne, la terribilità di questo immane squadrone in movimento... e l’assurdità del fatto che siano dei lampioni sincronizzati da una parte all’altra della Terra!
PERSONAGGIO:   Appunto. Da tutte le parti della terra!
NARRATORE:   Ma tanti, TA-N-TI!

L’Autore gira dubbioso intorno ai due contendenti, come un padre che osservi vigile i figli litigare, senza tuttavia risolversi a dar ragione all’uno o all’altro, sperando in realtà che se la sbrighino da soli.

PERSONAGGIO:   E allora? Che succede, che delitto commetto se faccio vivere quello che tu – bla bla bla – racconti nel vuoto?
NARRATORE:   (cerca affannosamente le parole) Tu... tu sei povero! Non riesci a capire... Sei UNO, mi segui? Piccolo, insufficiente! Non puoi, neanche se ti caricassi di mille luci, rendere un’idea... l’immagine di un’enorme massa in movimento! Puoi solo ridicolizzarla, sminuirla!
PERSONAGGIO:   Davvero? E se qui ci fossero cento, mille persone, credi che sarebbe diverso? Andrebbe meglio? Il teatro non ha bisogno di essere “uguale” a un’idea nella realtà! E poi... che vuol dire “uguale”? Basta un gesto, un segno... ed ecco che io ho riempito lo spazio di mille lampioni, di dieci, centomila esseri che portano la propria luce!
NARRATORE:   Balle! Guardati. Sei schifosamente di carne e ossa: due gambe, due braccia... una testa... (si avvicina al libro-pianeta) E questo coso qui è di legno! Questa è corda, e questa è cartapesta... e questa qui stoffaccia colorata! (si cominciano a udire strani scricchiolii all’interno del teatro) Oh, sì... forse il teatro riuscirà a rappresentare qualche cosa...
PERSONAGGIO:   Qualche cosa!
NARRATORE:  Cosetta, cosuccia! Piccole situazioni striminzite! Ma non può, non potrà mai racchiudere un mondo! (gli scricchiolii adesso sono dei veri e propri colpi, forti, incalzanti: il Narratore deve quasi gridare per farsi sentire) Solo la parola, la parola LIBERA, può evocare le immagini dell’Universo!

Un fragoroso scroscio metallico, come una violenta saetta, interrompe il Narratore. L’interno del teatro è improvvisamente sconvolto da un’inspiegabile, repentina bufera: il vento ulula e fischia impazzito, cigolano le porte sui cardini, le quinte vibrano, cadono le corde dalla soffitta... Autore, Narratore e Personaggio si guardano interrogativi l’un l’altro, smarriti. E’ un attimo, ed ecco che dal fondo, dalle gallerie laterali, dalle quinte, dalla soffitta e dalla buca stessa del suggeritore fanno la loro inattesa, misteriosa comparsa degli strani esseri: animali, giullari, diavoli... Astaroth, Lilith, il Matto, Zvanì, Argo, Scintilla (invisibile), Acuto e Ottuso si sono impadroniti subito di tutto lo spazio... o meglio,  sembra proprio che essi stessi SIANO lo spazio del teatro, pieno ora solo dei loro canti, urli, danze, risate.
Oltre le parole, è molto importante come si muovono e come si presentano questi esseri, le loro pantomime.

LILITH:  è  bellissima, aggressiva, succintamente vestita. E’ femminilità scatenata. Il suo viso è uno strano connubio di gioventù e vecchiaia. I capelli sono lunghissimi e scomposti. Il suo passo è leggero e saltellante, i suoi gesti sempre sinuosi e provocanti, la risata acuta e penetrante.

ARGO:  è  una specie di animale. Non precisamente un cane, non certo un uomo. Esce scodinzolando e ringhiando dalla buca del suggeritore: in genere procede a quattro zampe, ma sa anche camminare eretto. Il suo non si capisce se è pelo, mantello o vestito a brandelli, il colore è indefinibile. Si comporta come se vedesse anche alle sue spalle.

ASTAROTH:   è uomo, è gatto, è diavolo. Elegante, è nero vestito, sottile, suona l’ottavino e si muove solo danzando. Tutto ciò che è specchio o che può assolverne le funzioni lo affascina: l’acqua, il vetro e la stessa luce, che proietta la sua ombra sulle superfici intorno. Sebbene la sua attenzione sia rivolta esclusivamente a se stesso, è anche il più intelligente e efficiente del gruppo. Quando parla sibila, preferisce suonare ed esprimersi con le note dell’ottavino. Si adira se lo distolgono dalla sua attività preferita, l’auto-contemplazione. Fa un’eccezione solo per la Regina, verso la quale nutre una rispettosa devozione e della quale è l’aiutante. Ama lisciarsi, leccarsi come un gatto: maniaco della pulizia, odia il disordine ed è disgustato da Argo.

IL MATTO:   dice sempre cose sconclusionate che gli altri prendono per enigmi, quando non parla per enigmi... che gli altri prendono per parole sconclusionate. Figurativamente è il “Matto” dei Tarocchi: sul berretto ha dei campanelli, il bastone da viandante, le scarpe sfondate, le brache calate: la sua risata è fragorosa, grassa, al contrario la voce è tagliente e nasale... anche in questo assolutamente contraddittorio. Tra lui e la Regina c’è un intesa indecifrabile appunto perché cifrata, fatta di  occhiate e gesti ad altri incomprensibili. Indipendente e solitario, è facile al soliloquio e alla cantilena, ma spesso sorprende tutti intervenendo, magari dall’altra parte del palcoscenico, con le sue frasi sibilline e folli.

ZVANI’:   il nome è quello dell’antenato di Arlecchino, e Zvanì è un po’ l’uno e un po’ l’altro. Sul suo vestito, casacca e calzoni larghi, marroni, compaiono qua e là sprazzi colorati del vestito di Arlecchino. E’ tardo e lento, incurvato e ignorante. Ha sempre fame. Al contrario di Argo, è un essere umano un po’ bestia, si scuote solo se gli sembra che ci sia qualcosa da mangiare. Non parla: urla e grugnisce. Il suo unico momento bello è quando canta: solo il Matto sa indurlo a cantare, ed è il solo a trattarlo bene.

ACUTO e OTTUSO:   sono complementari, una  specie di gemelli siamesi. Procedono sempre in coppia. Il loro incedere non è esattamente un ballo, bensì un continuo esercizio geometrico nello spazio: si muovono per angoli, ruote, quadrati, incroci, sempre in coppia, l’uno con l’aiuto dell’altro. Acuto parla solo per impartire gli ordini degli esercizi. Ottuso invece è un’ eco ripetitore: ripete brandelli di parole del fratello o degli altri, senza un nesso, in una cantilena ossessiva, sinché Acuto non interviene a bloccarlo, concludendo i suoi conati di parole e impartendogli altri ordini, che Ottuso ripete ed esegue insieme a lui. Procedono così all’infinito tra esercizi ginnici, echi, ripetizioni, cesure.

Essendo le entrate in scena dei sette personaggi descritti simultanee, le battute all’interno dei gruppi I, II, III, IV devono essere lette come la partitura di un orchestra, cioè verticalmente, come se fossero sovrapposte e simultanee.

I

ACUTO:   (entrando dalla galleria di destra) Avanti salto!
OTTUSO:   (entrando contemporaneamente dalla galleria di sinistra) ... Alto! (saltano in avanti)
ARGO:   Oh! OH! Ahu! (esce dalla buca)
LILITH:   (entra dalla quinta di destra) Ah, sììì! Mi sento tornare al mondo!
MATTO:   (avanzando dal fondo della platea) Evviva! (si ferma) No. Ricomincio. (torna indietro)
ZVANI’:   (entra dalla quinta di sinistra) Ohi! UH! Che fame!

Argo come impazzito o come liberato da una lunga prigionia, scorazza per tutta la scena, annusando ogni cosa, mugolando e ringhiando. Astaroth, perfettamente diritto, composto e senza sforzo si cala con una corda dalla soffitta.

II

ACUTO:   Piroetta indietro a dritta!
OTTUSO:   Etro ittra! (eseguono)
LILITH:   Come va, signori?

Lilith è l’unica che dia segno di avvedersi della presenza di Autore, Narratore e Personaggio. Rasenta con il proprio i corpi dei tre ospiti – pietrificati dallo stupore – e guizza via con una risata acutissima. Astaroth tira fuori  da una tasca il suo ottavino e suona. Le note sono quelle dell’apparizione di Papagena ne “Il flauto magico” di Mozart ( Atto II, n.21, scena 29, batt. 415-424/619-627).

MATTO:   Un due tre! (corre in avanti) Oplà... correa tra l’erbetta... Op! (gioca a far ruotare il suo bastone)
ZVANI’:   (in proscenio, si siede in terra,  toglie gli scarponi e si massaggia i piedi, cantilenando tra sé) Sior padrone sì... sior padrone no... sior padrone sì, sior padrone no...

III

LILITH:   Uhuuuh! Che meraviglia! (si slancia verso il trapezio del Piccolo Principe e vi si arrampica) Da qui domino tutta la situazione... vi domerò tutti, mostri senz’ali!!! (ride e si dondola sul trapezio con oscillazioni sempre più ampie)
ASTAROTH:   (limandosi le unghie sull’ottavino, dopo essersi tolto i guanti) Stupida!... (scopre un riflettore, vi si pone dinanzi e comincia a giocare con la propria ombra)
ACUTO:   Tre salti avanti!
OTTUSO:   Anti, anti! (eseguono)
MATTO:   Perché signori... signori... si arriva a un punto in cui è d’uopo prendere e ricominciare... Sì! Ricominciare a contare. Anzi contare all’indietro del prima. Io farò così: meno 10.000 – meno 9.999 – meno 9.998 – meno 9.997... (si ferma, è quasi arrivato al palcoscenico, ritorna indietro) E perché non meno un milione? Dieci milioni? Allora ZERO!
ARGO:   (scopre, accanto al tavolo della regia, un secchio di ferro pieno di segatura: lo rovescia, vi si butta sopra e comincia a divorane con gioia il contenuto) Uhurugh! Mnnnh! Buona! Sì... Quanto... mhmm... quanto tempo che non ne sentivo il sapore!
ZVANI’:   (sente Argo masticare, drizza le orecchie e allunga il collo) Ooooò! Si mangia!!! (si riinfila di corsa le scarpe)

IV

LILITH:   Tu, povero sciocco Astaroth! Vedi solo la tua ombra! Io da qui... Iuhhuuhu!... vedo tutti... e tutti possono... vedermi e... (si dondola provocante, sembra che mimi un atto sessuale) ... o là là là... riempio tutto di me, Lilith! Tutto lo spazio!

Astaroth suona l’ottavino, non l’ascolta. Danza ora intorno ai tre ospiti i quali, come ubriachi, non sanno che fare né dove guardare.

ARGO:   Buooona! Buona!!!
ZVANI’:   Anch’io! Anc’a mì! Polenta! Booona! (si getta a corpo morto sulla segatura e la ingoia avidamente) Ahaah! Puuuhà! O povero mì! Puuuhò! Che schifo! Paureto mì... son stad  avvelenà!

Zvanì per la rabbia dà un calcione ad Argo che riesce a schivarlo, poiché vede anche dietro di sé, e restituisce il colpo con una zampata che invece arriva a segno.

ZVANI’:   Ohi, ohi, ohi!
ACUTO:   Capriola, salto, ruota!
OTTUSO:   Ola, alto, ota! (eseguono, arrivando così alla base delle scalette ai lati del proscenio)
MATTO:   Zero-quaranta, la gallina canta! Zero-quaranta, la gallina canta! (con tono da banditore sulla pubblica piazza) Ecco, così ho risolto tutti i vostri problemi! Signori e signore: ecco l’elisir di miglior vita! (si precipita verso il palcoscenico, si volge alla platea) E’ semplice, evviva! Ringraziatemi! Su!!! Voilà, ecco qua: basta anteporre a qualsiasi cosa diciate o facciate un rotondo, magnifico zero! Op! La terribile equazione è risolta. Zero-quaranta, la gallina canta... Provate, provate per credere, infedeli!

Sono adesso giunti tutti sul palcoscenico, e inizia il dialogo propriamente detto. Astaroth scopre il libro-pianeta al centro del palcoscenico, illuminato dall’interno in trasparenza, e ne è totalmente conquistato: una pedana luminosa tutta per sé! Vi monta su e fa una spifferata di gioia e poi di rabbia all’indirizzo di Lilith, che gli dondola proprio sul capo e che gli lancia giù, dispettosa, brandelli colorati del suo abito, rimanendo sempre più svestita. Lilith ride provocante, Astaroth comincia a danzare e suonare sulla pedana.

ACUTO:   Braccia avanti! Salto sul gradino – braccia indietro!
OTTUSO:   Braccianti! To! Dino! Dietro!
ACUTO:   Ancora uguale!
OTTUSO:   Ale!
ACUTO:   Ancora, op!
OTTUSO:   Anop!!! (Salgono così i tre gradini del proscenio e montano sul palco)
MATTO:   Il Zero! Lo Zero! Brevetterò l’invenzione. Acqua in bocca, signori! Il vostro amore è infelice? Due punti, correggete: il vostro zero-amore è infelice! Oplà! E adesso come va?... Tout va tres bien, ça va, ça va ! (sale anche lui in palcoscenico, e incappa in Zvanì) Ehilà, Zvanì! Come stai?
ZVANI’:   Male! Sono morto... ohi ohi ohi! Mi son avvelena’.
MATTO:   Davvero? E quando?
ZVANI’:   Adesso adesso... La xe stada la fame!
MATTO:   La zero-fame, Zvanì! Ti confido il segreto del brevetto che mi farà ricco e milionario! Ti confido... te l’ho già confidato... Allora?
ZVANI’:   (urla disperato) Ho fameee!
MATTO:   (imperturbabile) La zero-zero-zero-fame, Zvanì, impara! Avanti, canta, canta amico mio! Canta Zvanì!

Con un’insospettabile bella voce Zvanì intona il motivo di un coro bergamasco che continuerà a cantare sino all’ingresso della Regina, con impennate improvvise che scuotono tutti. Appena Argo scorge il Matto, come in un vecchio copione, gli si avventa per addentargli il sedere mezzo scoperto. Il Matto non si spaventa e lo caccia via con una pedata. Argo allora dedica la sua attenzione alle corde dei tiri, addentandole come ossi di prosciutto, alle quinte, alla carta dei copioni.

ACUTO:   Braccia conserte. Saluto!
OTTUSO:   Uto!
ACUTO:   Intrecciare le mani, avanti, marcia!
OTTUSO:   Arcia!

Acuto e Ottuso si intrecciano e camminano affiancati, D’ora in poi percorreranno tutto il perimetro del palcoscenico sempre appaiati, in un continuo esercizio geometrico nello spazio.

MATTO:   (al centro del palco, verso il pubblico) Benvenuti all’Albero Del Vescovo! Possiamo chiedere una cosa alla Signora del Vescovo? Dite, dite, replicò essa stessa...
LILITH:   Ah, ah, ah! Avanti, dài, Matto!
MATTO:   Siete mai andati cercando cespugli e mirtilli tra le bacche, scivolando una pertica all’insù e godendo un pochino su e per giù?
OTTUSO:   U er più!
ACUTO:   Su e per giù! Giro a sinistra!
OTTUSO:   Istria! (eseguono)
MATTO:   Allora? (si volta verso Autore, Narratore e Personaggio) Nemmeno voi, signori, lo sapete? (i tre negano con la testa – sembra siano impediti a parlare)
LILITH:   Ah, ah, ah! Vecchio Matto porcone! (si dondola freneticamente, scuotendo i lunghi capelli) Io lo so! Io lo so!
ASTAROTH:   E dilla, allora, piccola strega! (suona)
MATTO:   Forza, Lilith, vediamo!
LILITH:   Ecco qua: “No davvero! rispose indispettita... Vide un maschio, prese un tasso, strofina strofina... e il velluto si rovina!”
MATTO:   Bravissima!
OTTUSO:   Fina, fina, vina!
ACUTO:   Strofina strofina e il velluto si rovina! E adesso ruota combinata a due!
OTTUSO:   Bue!

Astaroth, flessuosamente disteso sulla pedana, suona il suo ottavino. Lilith ride senza fermarsi; Argo insegue il Matto che gli dà un altro calcio, e quindi torna alla sua segatura. Zvanì siede sconsolato e affamato sui gradini di destra del proscenio, continuando sottotono il suo canto, interrotto ogni tanto da qualche rumoroso grugnito di fame. A questo punto, dal fondo del teatro, appare la Regina, che avanza al centro del palcoscenico. Il suo portamento è dignitoso, autoritario, il suo abito a metà strada tra quello di una sacerdotessa e quello di una regina degli zingari, ricco di gioielli. Il suo viso è bello: non giovane, ma neanche appassito. Al suo comparire tutti si bloccano, come attendendo un ordine.

REGINA:   Signori, signori, prego! (batte tre volte le mani – silenzio generale) Dobbiamo andare, miei fedeli! La nostra ricerca deve proseguire.
ASTAROTH:   (balza in piedi scattante) Siamo pronti, Regina!
REGINA:   Bene. Il cammino è lungo (apostrofando con regale dignità i tre ospiti) Immagino, signori, che abbiate già fatto conoscenza con i componenti del mio seguito...
AUTORE:   (deglutendo a fatica) Sì, cioè, Signora... quasi...
REGINA:   (taglia corto e presenta i suoi seguaci, che ad uno ad uno, ciascuno a suo modo, si inchinano) Astaroth: musico, danzatore e mio valido luogotenente. Matto: poeta e fabbricatore di indovinelli. Lilith: forza creatrice e distruttrice, gioco dolcissimo e crudele. Zvanì: l’infanzia del nostro genere. Argo: meraviglia della natura, bestia e uomo, con gli occhi di entrambi. Acuto e Ottuso: instancabili giocolieri dello spazio... e Scintilla (un rapido lampo di luce si accende accanto alla Regina e poi scompare) ... sempre al mio fianco, è l’intuizione che ci guida. E’ troppo timida... preferisce restare invisibile.

Autore, Narratore e Personaggio si inchinano anch’essi, ancor più confusi. La musica di Strawinsky ha accompagnato le parole della Regina.

REGINA:   Io sono la Regina. Alcuni mi chiamano Papessa... altri Imperatrice... come preferite.
PERSONAGGIO:   (facendosi forza) Signora... ehmm... Signora Regina... prego... Non vogliate interpretare... non vogliate scambiare per cattiva edcazione quello che da parte nostra è solo... solo... un po’ di... ehmmm... stupore, ecco.
REGINA:   (sorridendo benevolmente) Voi dovete scusare la nostra invasione...
AUTORE:   E’ molto strano. I vostri seguaci sembrano conoscere perfettamente ogni angolo di questo luogo.
REGINA:   E’ così, infatti. Noi siamo le forme, gli spiriti del Teatro. Questo è il nostro mondo, la nostra casa.
PERSONAGGIO:   Voi... abitate qui?
REGINA:   No. Talvolta... quando sentiamo il bisogno di ristorarci, quando siamo stanchi, sfiduciati, ritorniamo... Quando ci sentiamo minacciati. Quando c’è bisogno di noi, allora ritorniamo, per poi riprendere il cammino. Per proseguire la nostra ricerca.
PERSONAGGIO:   Quale ricerca? (non ha più paura. è affascinato dalla Regina)
MATTO:   La zero-ricerca, Madama, La zero-ricerca!
ASTAROTH:   Silenzio, Matto!
REGINA:   (sorridendo) Astaroth, con la tua intelligenza è un vero peccato che proprio non riesca ad intenderti con il Matto.
ASTAROTH:   (colpito) Ma... Regina! E’ solo un povero mentecatto che dice solo cose sconclusionate!
MATTO:   Lo zero-universo è una teoria rivoluzionaria!
REGINA:   Ma non troppo lontano dalla verità, Astaroth... non troppo lontano.
NARRATORE:   (con uno scatto d’insofferenza) Oh, insomma!
REGINA:   Non ti spazientire, signor Narratore. Potrai riprendere la tua prova tra poco.
NARRATORE:   (interdetto) Lei mi conosce?
REGINA:   Certo, mio caro, certo. Molto bene, da molto tempo. Anche tu porti scritta su di te la tua storia... ed il tuo destino. Ora ci combatti, ma anche tu, come noi, sei costretto ad un eterno ritorno. No, non puoi intendermi, non credo. Sei ancora troppo preso da troppe guerre inutili... ed anche lui (indica il Personaggio) e lei ha troppa paura (rivolta all’Autore).
NARRATORE:   Quali guerre?
ASTAROTH:   Non interrompere la Regina!
LILITH:   (ride, dall’alto del suo trapezio) Ah, ah, ah! La parola libera!
OTTUSO:   Olìvera!
ACUTO:   Parola libera. Capriola!
OTTUSO:   Ola! (eseguono)
REGINA:   Dobbiamo andare, si fa tardi. Argo! Zvanì! Acuto, Ottuso! (tutti si avvicinano) Signor Autore, signor Personaggio, signor Narratore... addio!
AUTORE:   Dove andate?
REGINA:   Dobbiamo proseguire la nostra ricerca.
AUTORE:   Quale ricerca?
REGINA:   La ricerca... del grande O. E’ il nostro mistero, la nostra guida! Addio, signori.
NARRATORE:   (sbarrandole il passo) Quali guerre?!
REGINA:   (guardandolo negli occhi) Solo la parola, la parola  LI-BE-RA... ricordi? Ecco la tua guerra, signor Narratore. Ma ti dò un consiglio: cercati degli alleati.
NARRATORE:   E come? Quali alleati?
ASTAROTH:   La Regina ha parlato! Silenzio!
REGINA:   Andiamo.
OTTUSO:   Amo!
ACUTO:   Andiamo. Fianco sinistro, marcia!
OTTUSO:   Arcia!
PERSONAGGIO:   Ritornerete?!
REGINA:   Forse, quando avremo trovato il grande O... o se ci sarà ancora bisogno di noi.
MATTO:   Ci guiderà un boomerang, così saremo sicuri di tornare indietro!

Lilith scende dal trapezio, sfiora leggera e sensuale i corpi dei tre e scappa via, ridendo gioiosa. Astaroth si inchina, quindi si allontana suonando l’ottavino e danzando.

REGINA:   Scintilla! (il lampo si accende immediato e si spegne  accanto a lei) Resta al mio fianco... Zvanì, Argo! Non restate sempre indietro! Allora... in cammino, amici miei! (si inchina con regale maestà un’ultima volta ai tre ospiti che ricambiano, muti e impacciati) Arrivederci!

BUIO


FINE  DEL  I   ATTO


Atto Secondo
Il sipario si riapre sulla medesima scena dell’Atto precedente, salvo il fatto che sembra essere stata sconvolta da un improvviso temporale estivo, il quale, rapido e violento come è arrivato, così è passato, lasciando una gran baraonda dietro di sé. Accanto al tavolo della regia il secchio di ferro è ancora coricato, con la segatura sparsa tutt’intorno; i fogli del copione sono sparpagliati per tutto il palcoscenico, la sedia del Narratore rovesciata, il libro in terra. Una delle quinte è lacerata, forse da un morso di Argo... Il trapezio dondola sbilenco, con tutti i palloncini scompigliati: alcuni sono caduti giù e giacciono in qualche angolo della scena. Autore, Narratore e Personaggio, in silenzio, cercano di mettere un po’ d’ordine. Ognuno è profondamente assorto nei propri pensieri.

AUTORE:   (aggiustando le sue carte, dopo aver raddrizzato il secchio) Deve essere stato un corto circuito.
NARRATORE:   Già...
PERSONAGGIO:   Via! Non diciamo sciocchezze!
NARRATORE:   Già...
AUTORE:   E allora? Cosa è successo?
PERSONAGGIO:   (irritato) Perché, cosa vuol farci credere? Che è stato un sogno?!
NARRATORE:   Già...
PERSONAGGIO:   ... e che tutti e tre abbiamo fatto lo stesso sogno?!
AUTORE:   (evitando di guardarli in faccia) E’ possibile... uno stato di allucinazione collettiva.
NARRATORE:   (alza il suo libro da terra, lo sfoglia, lo spolvera, lo chiude con un colpo secco) NO. Non è stato un sogno.
PERSONAGGIO:   La Regina... Lilith!
NARRATORE:   Astaroth, il Matto, Zvanì! Ma chi erano? Eh? (al Personaggio, quasi prendendolo per il bavero) Chi erano!
PERSONAGGIO:   Calmati. Non l’hai capito? Erano gli spiriti del teatro. Le sue forme, gli oggetti...
AUTORE:   Sciocchezze!
PERSONAGGIO:   Ha visto come sono scomparsi! Plop! Buio... e nulla più.
AUTORE:   Stupidaggini... al buio... col buio... si esce sempre, in teatro.
NARRATORE:   (molto agitato) Ma ho chiesto! Qui fuori nessuno ha visto niente! (al Personaggio) Perché sono venuti? Cosa volevano da noi?
PERSONAGGIO:   (soprappensiero) Sono alla ricerca del grande O... Chissà cosa significa veramente. (al Narratore) Li hai chiamati tu: hai insultato il loro mondo e loro sono venuti.
AUTORE:   Adesso basta con queste assurdità, signori, per favore! Abbiamo già perso sin troppo tempo. Non so come abbiano fatto ad entrare qui, erano dei tipi piuttosto folcloristici e se vogliamo anche simpatici, curiosi... ma non esageriamo! Spiriti... che idiozia!
NARRATORE:   (veramente irritato) Perché, signor Autore, non ho capito... che cos’ha lei contro gli spiriti? IO SONO LO SPIR... (si trattiene a stento) Io qui, per esempio, rappresento lo Spirito del Racconto e... e insomma questo suo sarcasmo mi irrita moltissimo, proprio non lo concepisco e non vedo poi perché proprio lei, un autore, debba essere così scettico!

Il Personaggio interrompe ciò che stava facendo per ascoltare a bocca aperta l’improvvisa sparata del Narratore, una volta tanto non contro di lui. L’Autore, infastidito dall’eventualità di un’ennesima discussione, si affretta a far rientrare la situazione su binari più tranquilli.

AUTORE:   Ma sì, d’accordo. Cosa volete che importi? Ritiro ciò che ho detto e porgo le mie scuse sincere se ho offeso la sensibilità di qualcuno di voi. Ma certo, erano gli spiriti del teatro!  ... E perché no? Anche dei genietti, magari... e degli elfi! Va bene così? Ed ora credete che sia possibile rimettersi a lavorare?!!
NARRATORE:   (assumendo un aria glaciale) A vostra disposizione.
PERSONAGGIO:   Per me, sono pronto. (al Narratore, sottovoce) Ricordati la Regina: devi cercarti degli alleati!
NARRATORE:   (ironico) E tu chi saresti... un alleato?
PERSONAGGIO:   (sinceramente gioviale) Volontario!
NARRATORE:   (acido, credendosi preso in giro) Meglio soli che male accompagnati (va alla sua sedia, prende il libro e comincia a scarabocchiarvi qualcosa in margine).
AUTORE:   Antoine! Ah, no... Principe... Piccolo Principe!
PICCOLO PRINCIPE:   (entrando dal fondo) Eccomi!
AUTORE:   Ma dove ti sei cacciato?
PICCOLO PRINCIPE:   Vi ho fatto aspettare? Mi dispiace... Dovevo salutare degli amici.
AUTORE:   Amici?
PERSONAGGIO:   Ehi, ometto... Non credevo che conoscessi nessuno qui!
PICCOLO PRINCIPE:   Oh, sì! La Regina, e poi Atgo, e il Matto, e gli altri... Sono tutti così cari!
NARRATORE:   Tu... tu li conosci?
PICCOLO PRINCIPE:   Certo!
NARRATORE:    (sfoglia freneticamente il suo libro) Ma... ma qui non risulta... Non c’è scritto!
PICCOLO PRINCIPE:   (divertito) E come potrebbe esserci scritto tutto? (ci pensa su, serio serio) E poi, non so nemmeno se mi piacerebbe. Ognuno porta scritta su di sé la propria storia... e questo basta, no?
NARRATORE:    Tu... le parole... sono le stesse di... della Regina!
PICCOLO PRINCIPE:   (sempre più divertito) Sì? E che c’è di strano?
PERSONAGGIO:   (con una manata sulle spalle del Narratore) Caro collega! Come vedi anche il tuo libro non ce la fa a racchiudere un mondo!

Il Narratore, addolorato, non risponde. Gli volta le spalle e torna a scribacchiare qualcosa sul suo libro, affannosamente, appollaiato sulla sedia.

AUTORE:   (da dietro il tavolo) Allora, vogliamo proseguire?
PICCOLO PRINCIPE:   Sì, per favore! Ho ancora tanta strada da fare!
AUTORE:   (distratto) Prego? Ah sì, sì... dunque: il soggiorno sulla Terra del Piccolo Principe inizia nel deserto, ed è caratterizzato da due incontri molto significativi: il serpente e la volpe. Già, come al solito! Dove sono?! (affacciandosi dietro le quinte) Il Serpente e la Volpe! Siete pronti? Ma non c’è ancora nessuno?!

L’Autore torna indietro. Dalla quinta esce il Macchinista, piuttosto bellicoso.

MACCHINISTA:   Non esageriamo con le richieste, adesso! Ma guarda sì che soggetti! (quasi urlando) E’ troppo difficile portare in scena una volpe! Ed il serpente è troppo pericoloso!!! (all’Autore, esterrefatto) Ma non poteva accontentarsi di un cane? Cose da matti! trent’anni di carriera e non avevo mai incontrato un tipo simile. (esce senza dare il tempo di replicare)
AUTORE:   Nemmeno io! (finge di controllare le sue carte) Dunque, sì... dunque, il signor Trefalchi e la signora Fulgenzi dovrebbero essere già qui, intanto...
PERSONAGGIO:   Ci sono qua io! Potremmo provare qualche altra scena.
NARRATORE:   Non contate su di me.
SERPENTE:   (sgusciando fuori dalla buca del suggeritore) E’ permessso?
PICCOLO PRINCIPE:   (seduto sul libro-pianeta) Oh, sei arrivato, grazie!
AUTORE:   (si avvicina) Il signor Trefalchi?
SERPENTE:   Falchi? (fa per tornare indietro, terrorizzato) Sssscusssate, ho un impegno impressssscindibile...
PICCOLO PRINCIPE:   No, aspetta! Non ti preoccupare (al regista) Ecco quello che aspettavamo! Possiamo cominciare?
AUTORE:   Ma chi è? Allora?!
PICCOLO PRINCIPE:   Il Serpente!
AUTORE:   (con un balzo all’indietro) Il Serpente?!!!
SERPENTE:    Per sssservirla!
AUTORE:   Certo, ssssicuro! Ooh, che mi fate dire! Non ce la faccio più. Non capisco più niente!
PICCOLO PRINCIPE:   Allora, incominciamo?
AUTORE:   Ma certo, avanti: purché la finiamo, prima o poi! (tornando al tavolo) Ma come ho fatto, come ho fatto a scriverne di così grosse!

A un cenno dell’Autore le luci di servizio si spengono: restano illuminati solo il principino e il Serpente, ai suoi piedi.

PICCOLO PRINCIPE:   Salve!
SERPENTE:   Ssssalve.
PICCOLO PRINCIPE:   Su quale pianeta sono sceso?
SERPENTE:    Sssulla terra, in Africa.
PICCOLO PRINCIPE:   Ma non c’è nessuno qui? Dove sono gli uomini?
SERPENTE:    Qui ssssiamo nel desserto.
PICCOLO PRINCIPE:   Si è un po’ soli nel deserto.
SERPENTE:    Ssssi è sssoli anche con gli uomini. Cossa sssei venuto a fare sssulla Terra?
PICCOLO PRINCIPE:   Sul mio pianeta, lassù.. ho avuto delle difficoltà con un fiore.
SERPENTE:    Ah... capisssco.
PICCOLO PRINCIPE:   Sai che sei proprio un buffo animale? Sottile... non hai nemmeno le zampe!
SERPENTE:    Ma sssono più potente di un re! Posssso trasssportarti più lontano che un bassstimento... Colui che tocco lo ressstituisssco alla terra da dove è venuto.
PICCOLO PRINCIPE:   (rabbrividendo) Ho capito.
SERPENTE:   Ma tu sssei puro, vieni da una sstella.... Mi fai pena, cosssì fragile e indifesso ssu quessssta Terra di granito.... Posssso aiutarti? Un giorno, sse avrai nossstalgia del tuo pianeta...
PICCOLO PRINCIPE:   Grazie, ho capito. Ma perché parli sempre per enigmi?
SERPENTE:   Perché li risssolvo tutti.

Il Piccolo Principe e il Serpente rimangono per qualche istante uno di fronte all’altro, in silenzio. Pian piano il riflettore che li isolava al centro della scena si spegne. Prima che si riaccendano le luci di servizio si ode la voce del Serpente.

SERPENTE:   Allora... Adesssso, Piccolo Principe? Ssssei pronto? (si riaccendono le luci)
PICCOLO PRINCIPE:   No, non è ancora il momento! Devo prima completare il mio viaggio. Abbi ancora un po’ di pazienza, per favore.
SERPENTE:   Ssssicuro, ma tu... dimmi: ma cossa sssei tornato a fare ssssulla Terra?
PICCOLO PRINCIPE:   (dolcissimo) Oh, era inevitabile... mi hanno chiamato ed io sono venuto.
SERPENTE:   E ssssei felice?
PICCOLO PRINCIPE:   IO... io dovrò sempre tornare... ogni volta che mi chiameranno, ogni volta che avranno bisogno di me.
SERPENTE:    Ogni volta?!
PICCOLO PRINCIPE:   Sì... e anche tu, vedi? Sei tornato. E’ così. E’ una specie di promessa, ma è bello, in fondo, sai? E dopo è ancora più dolce tornare sul mio pianeta, dal mio fiore...
SERPENTE:   Ed ogni volta... per ritornare dal tuo fiore... avrai bissogno di me?
PICCOLO PRINCIPE:   (rabbrividendo nuovamente) Oh, sì! Non posso farne a meno... purché tu abbia del buon veleno, e non mi faccia soffrire troopo a lungo. Ma adesso è ancora presto, Serpente, non pensiamoci!
AUTORE:   Ma che presto e presto! Cosa diavolo vanno dicendo quei due? Questo dialogo non è in copione!
NARRATORE:   (addolorato, continuando ad annotare in margine al suo libro) No, non è in copione, è vero.
AUTORE:   (ai due in questione) Visto? Non c’è tempo per stare a sentire le vostre chiacchiere private!
PICCOLO PRINCIPE:   (per nulla intimorito) Non erano poi proprio chiacchiere: stavo spiegando al mio amico Serpente perché dovremo tornare qui ogni volta che ci chiamerete.
AUTORE:   Prego?
PICCOLO PRINCIPE:   Lo sa, lei... cosa è che ci obbliga a questo?
AUTORE:   Andiamo, Antoine! Ho appena detto che non abbiamo tempo! (il Principino attende una risposta) Beh, sarà... sarà il racconto, o meglio... il teatro stesso, per sua intima natura che... ma insomma! Cosa c’entra quest’argomento adesso?
PICCOLO PRINCIPE:   Allora lei non lo sa?
AUTORE:   Niente da fare, eh? Quando fai una domanda tu, non c’è verso di scamparla! (il piccolo non fiata, fissa sorpreso l’Autore, che si rabbonisce) Beh... non lo so. (accarezza la testa del principino) Ma sento che è una cosa molto, molto importante... e che ne sono felice.
PICCOLO PRINCIPE:   (si illumina) E’ una promessa! E come ogni promessa è un debito... non dite così voi sulla Terra?
SERPENTE:   Allora io asssspetterò.
AUTORE:   Aaaah! (si era dimenticato di averlo proprio ai suoi piedi) Sì, bene... ma si metta in quell’angolo, per favore, signor Serpente.
SERPENTE:   No, grazzzzie. Torno da dove sssono venuto, ma sssarò qui quando ssssarà il momento. (scompare nella buca del suggeritore)
AUTORE:   (sollevato) Adesso ci vorrebbe la signora Fulgenzi.
PICCOLO PRINCIPE:   La Volpe! (scruta in alto, come a controllare il corso del sole) Sì, è questa l’ora. Ma voi allontanatevi, potreste intimorirla.
VOLPE:    Principe?... (entra, cautissima) Oh, sei qui, come sono contenta!
PERSONAGGIO:   La signora Fulgenzi?

La Volpe scappa e si rifugia dietro il Principino.

PICCOLO PRINCIPE:   Stai tranquilla, sono amici. Sei al sicuro.
PERSONAGGIO:   Lei non è la signora Fulgenzi?
VOLPE:    No... e lei non è un cacciatore?
PERSONAGGIO:   Io? No! E lei?... Magari non è neanche un’attrice, vero?
VOLPE:    Io?!
PERSONAGGIO:   Ci avrei scommesso.
AUTORE:   Andiamo, signor Saint-Exu... signor Aviatore, non perdiamo tempo! Cosa fa? Proprio lei mi si meraviglia adesso?
PERSONAGGIO:   Io? Altroché! Non mi sono mai sentito tanto a casa mia come in questo momento! (al Narratore) Ehilà, collega, allegro! Non te la prendere... Nessuno è infallibile, neanche il tuo libro! (ride, tornando accanto al suo aereo)
NARRATORE:   (cupo) Se tu credi che io mi faccia impressionare da... da qualche piccola discrepanza... (gli volta le spalle)
AUTORE:   Dunque, vediamo: il Piccolo Principe sulla Terra ha incontrato un roseto ed ha scoperto che il suo fiore, che credeva l’unico in tutto l’universo, è invece identico a migliaia di altri. E’ quindi molto triste e sconsolato quando, ad un certo punto...

Mentre l’Autore parla, le luci di servizio si spengono, si leva una musica dolce ed una luce calda e rosata investe il principino e la Volpe.

VOLPE:    Buongiorno!
PICCOLO PRINCIPE:   Buongiorno! Come sei carino... vieni a giocare con me?
VOLPE:    Non posso: sono una volpe... e non sono addomesticata.
PICCOLO PRINCIPE:   Che cosa vuol dire “addomesticata”?
VOLPE:    Non sei di queste parti tu, che cosa cerchi?
PICCOLO PRINCIPE:   Cerco degli amici. Cosa vuol dire “addomesticata”?
VOLPE:    E’ una cosa da molti dimenticata. Vuol dire “unita da un legame”.
PICCOLO PRINCIPE:   E che cosa significa?
VOLPE:   Vedi, tu adesso sei per me un ragazzino come cento altri ed io per te sono una volpe come centomila altre volpi... ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro, e l’uno per l’altro saremo gli unici al mondo.
PICCOLO PRINCIPE:   Credo  di capire. Sul mio pianeta  c’è un fiore che deve avermi addomesticato.
VOLPE:    Sei di un altro pianeta? (il Principe annuisce) E ci sono cacciatori sul tuo pianeta?
PICCOLO PRINCIPE:   No.
VOLPE:    E delle galline?
PICCOLO PRINCIPE:   No.
VOLPE:    Non c’è mai niente di perfetto. (ci pensa un po’ su) Senti, perché non mi addomestichi? La mia vita è monotona, mi annoio molto: io dò la caccia alle galline e gli uomini danno la caccia a me. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata, il tuo passo, invece di farmi scappare, mi chiamerà come una musica! Vedi quei campi di grano? Io non ne mangio, per me sono inutili. Ma se tu mi addomestichi, ogni volta che li guarderò mi ricorderò di te, dei tuoi capelli color dell’oro... Per favore, addomesticami!
PICCOLO PRINCIPE:   Va bene, ma facciamo presto: ho molte cose da conoscere e devo scoprire degli amici.
VOLPE:    Si conoscono solo le cose che si addomesticano. Se vuoi un amico, addomesticami!

La musica cresce lievemente, mentre la luce rosata si attenua sino a scomparire. Si ode la voce calda del Narratore, e pian piano un’altra luce azzurrina sale sulla destra del palcoscenico, in fondo, scoprendo il principino e la Volpe l’uno di fronte all’altro.

NARRATORE:   “... e così il Piccolo Principe addomesticò la volpe. E la volpe insegnò al Principe che il suo fiore era veramente diverso da tutti gli altri fiori, perché era quello che aveva visto schiudersi... era quello che aveva innaffiato, che aveva riparato con il paravento: perché quella era la SUA rosa. E giunse infine il giorno della partenza...”
PICCOLO PRINCIPE:   Addio.
VOLPE:    Ah... piangerò!
PICCOLO PRINCIPE:   E’ colpa tua, volpe... tu hai voluto che ti addomesticassi.
VOLPE:    E’ vero.
PICCOLO PRINCIPE:   E che cosa ci guadagni?
VOLPE:    Ci guadagno... il colore del grano. Vai pure, ma voglio regalarti un segreto. E’ molto semplice. Ascolta: non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi.
PICCOLO PRINCIPE:   ...l’essenziale è invisibile agli occhi...
VOLPE:    E’ il tempo che tu hai perduto per la tua Rosa che l’ha resa così importante, ricorda!

La Volpe scompare sul fondo. La luce azzurrina si spegne e sul buio si ode il Piccolo Principe ripetere.

PICCOLO PRINCIPE:   E’ il tempo che ho perduto per la mia Rosa che l’ha resa così importante...

Si accendono le luci di servizio e si vede il Piccolo Principe seduto sul libro-scena, un po’ rannicchiato, assorto nei suoi pensieri.

AUTORE:   Benissimo, bravi! Anche lei, signor Narratore, si è inserito al momento giusto, e perfettamente in atmosfera, complimenti! Bene bene... io direi adesso di passare direttamente alla scena della sete nel deserto tra il Principe e l’Aviatore.
PICCOLO PRINCIPE:   (concludendo una sua riflessione silenziosa) Fa bene l’aver avuto un amico, anche se poi si muore. Io sono contento di aver avuto un amico Volpe.

Tutti rimangono in silenzio a guardarlo, colpiti dalla semplicità delle sue parole. Il Personaggio è il primo a scuotersi.

PERSONAGGIO:   Hai ragione, perbacco! Ma adesso tocca a noi. Ascolta: da otto giorni siamo qui nel deserto, ancora non sono riuscito a riparare il guasto al mio aereo... e la riserva d’acqua ormai è agli sgoccioli!

Una luce lunare trasforma il palcoscenico in un deserto irreale  e sconfinato. I due sono accanto all’aereo.

PICCOLO PRINCIPE:   Sulla terra c’è un mercante che vende pillole contro   la sete: una alla settimana e passa la voglia di bere... e si risparmiano cinquantatre minuti in sette giorni. Io, se avessi cinquantatre minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana...
PERSONAGGIO:   Grazie! Piacerebbe anche a me camminare, correre, strisciare verso una fontana! Ma qui siamo nel deserto! Capisci? Possibile che tu proprio non ti renda conto del pericolo?!!
PICCOLO PRINCIPE:   Anch’io ho sete. Cerchiamo un pozzo.
PERSONAGGIO:   E dove! Nel deserto? Senza una direzione? (siede in terra sconsolato. Il Piccolo Principe lo tira per un braccio, dolcemente) Hai sete anche tu?
PICCOLO PRINCIPE:   Un poco d’acqua può far bene al cuore... (restano in silenzio) Le stelle sono belle per un fiore che non si vede... Il deserto è bello perché nasconde un pozzo... in qualche luogo.
PERSONAGGIO:   (solleva di scatto la testa dai suoi pensieri, come illuminato da un ricordo lontano) Quando ero piccolo abitavo in una vecchia casa dove si diceva ci fosse un tesoro nascosto. Nessuno l’ha mai scoperto, o forse l’ha cercato mai... ma questo incantava tutta la casa. (si guardano) Hai ragione: una casa, le stalle, il deserto... ciò che fa la loro bellezza è invisibile.
PICCOLO PRINCIPE:   Sono contento che tu sia d’accordo con il mio amico volpe. (si accoccola e si addormenta accanto al Personaggio)
PERSONAGGIO:   (alzandosi e mettendosi in cammino con il piccolo tra le braccia) L’essenziale è invisibile agli occhi... (buio)

La luce rosata dell’alba scopre il libro-pianeta al centro della scena trasformato in pozzo, con carrucola, corda e secchio pronto sul bordo. Il Personaggio dal fondo si avvicina. Delicatamente adagia in terra il Piccolo Principe, vicino al pozzo. Si guarda intorno: non c’è nessuno.

PERSONAGGIO:   Strano... è tutto pronto... (cala il secchio nel pozzo)
PICCOLO PRINCIPE:   (si sveglia e si accorge del pozzo) Ho sete di questa acqua. Dammi da bere...

Il principino beve ad occhi chiusi, rapito. L’atmosfera è adesso molto dolce e vibrante: i due amici sono legati dalla loro sete, dalla ricerca, dalla scoperta del pozzo, dall’acqua buona che hanno bevuto insieme. La luce diafana dell’alba appena  trascorsa ed una musica lieve sottolineano questo momento di pace e ristoro. Tutto è semplice ed evidente. Ma ecco che il Narratore si alza dalla sedia, percorre in punta di piedi, con il libro in mano, tutto il proscenio e va a scuotere l’Autore, assorto a seguire l’azione. Parla prima sottovoce, poi sempre più alto e concitato, sino ad essere chiaramente udibile.

NARRATORE:   Ma no, ma no! Per favore signor regista, per carità, mi faccia intervenire! Ecco, vede: è questo il punto! (sfoglia il libro, indica una pagina)
AUTORE:   Ssssh! Silenzio... per favore, mon ami, rovini l’atmosfera... guardi, guardi! E’ perfetto!
NARRATORE:   (sulle spine) No! no! Mancano un sacco di cose, la prego!
AUTORE:   (fa cenno verso i tecnici: la musica cessa e si riaccendono le solite luci delle prove) Oh! Insomma!
PERSONAGGIO:   (si alza e raggiunge i due, il Piccolo Principe resta dov’è) Cosa c’è! E’ questa la maniera d’interrompere il lavoro degli altri? Non andava bene?
AUTORE:   No. Andava benissimo! Per cortesia, non ci si metta anche lei!
NARRATORE:   Ma vede signor Autore, qui è scritto... Qui, ecco: ci sono segnati concetti importanti, che danno senso a tutta l’opera! Lei non può tagliarli così senza pensarci, magari mettendoci una bella musica in sottofondo, credendo di aver risolto tutto!
PERSONAGGIO:   Insomma, qual è il problema?
AUTORE:   Niente, niente...
NARRATORE:   (partendo nuovamente alla carica) Ecco, qui, ascolti: (legge accaloratissimo) “...  e capii quello che il Piccolo Principe aveva cercato! Quest’acqua era ben altra cosa che un alimento! Era nata dalla marcia sotto le stelle, dal canto della carrucola del pozzo, dallo sforzo delle mie braccia... Faceva bene al cuore, come un dono.”
AUTORE:   Sì. E dunque? Conosco perfettamente il passo. L’ho scritto io.
NARRATORE:   Ma lo sta dimenticando! Il punto in cui ogni cosa si illumina di significato!
PERSONAGGIO:   Ma che dici! Tutto è chiarissimo sulla scena così com’è. La ricerca, la marcia eccetera... l’abbiamo semplicemente fatto.
NARRATORE:   (sempre più concitato) Aaah! Sempre tu! Sempre sulla mia strada, sempre con la solita solfa del “fare e non dire”! Sempre a controbattermi senza voler sentire ragione! (sfoglia convulsamente il libro) To’! guarda!! Il Piccolo Principe dice “ma gli occhi sono ciechi, bisogna cercare col cuore” e l’Aviatore pensa “ero felice anch’io, ma perché mi sentivo angustiato?” - Allora? Come lo “fai”? Eh?!!
PERSONAGGIO:   Non lo faccio. Ora basta. Tu non sei solo un isterico rompiscatole: sei un aguzzino.
NARRATORE:   No. Io sto qui perché sono stato chiamato! E dato che ci sto voglio fare il mio lavoro, e non farmi prendere in giro dal primo venuto!
PERSONAGGIO:   Ohè, signor Narratore! Anch’io qui ci sto SOLO perché mi hanno chiamato. Perché io sono necessario.
NARRATORE:   (si blocca, diventa glaciale) Già. Non è tua la colpa di questa situazione.
PERSONAGGIO:   Infatti.

Entrambi si voltano e fissano in silenzio l’Autore, il quale si sente penetrare dai loro sguardi. Si alza imbarazzato, restando però arroccato dietro il suo tavolo.

NARRATORE:   (rabbiosamente calmo) E’ sua la colpa di questa situazione.
AUTORE:   Ma che novità è questa! Cosa le salta in mente adesso?
PERSONAGGIO:   E’ vero. Lei ha fatto male.
NARRATORE:   E’ la sua ambiguità che ci ha messo in questo guaio!
AUTORE:   Ambiguità?!
NARRATORE:   Sì. Ha avuto bisogno di me... ha bisogno di lui... Non sa decidersi, lascia che siano le cosa a trascinarla!
PERSONAGGIO:   Giusto! Che bisogno c’era di fare tanta confusione? Un Narratore, un Personaggio... e pure lei, signor Autore, sempre in mezzo! Ma chi è che deve parlare qui, ora?
NARRATORE:   CHI deve parlare?
AUTORE:   Per cortesia signori calmatevi, riflettete! Capisco che siamo tutti molto affaticati, e molto nervosi...
NARRATORE:   NO! Io ho riflettuto: questa è la resa dei conti. Se non se le assume lei le sue responsabilità, lo devo fare io! Ho una storia da difendere!
AUTORE:   Cosa vuol dire?
NARRATORE:   (parla pesando le parole, con sforzo) Questo non è il mio posto. Ci ho pensato a lungo. Potrebbe fare a meno del signor Personaggio? No. E dunque: sono io che non sono necessario. (toglie la penna dal libro, lo chiude, lo poggia con amore sulla sedia. Si infila la penna nel taschino, si rassetta il vestito) Me ne vado. (al Personaggio) Hai vinto tu.
PERSONAGGIO:   Volevo essere tuo alleato.
NARRATORE:   Sì... forse avevi ragione. Ma intanto hai vinto tu. (sospira) Qui non ci posso più stare. (guarda, forse per la prima volta con amore, l’interno del teatro)  Addio. - Signori... è stato un piacere lavorare con voi. (esce a destra)
PERSONAGGIO:   E’ andato via....
AUTORE:   Non c’era altro da fare. In fondo è meglio così.
PERSONAGGIO:   Ha lasciato qui il suo libro... forse tornerà riprenderlo! (L’Autore non risponde, torna alle sue carte. Il Personaggio prende il libro, lo sfoglia) C’è scritto tutto... tutte le storie... ma... ma c’è anche la nostra! E la Regina, e il Serpente, la Volpe (sfoglia febbrilmente il libro avanti e indietro) e le risate insieme... (rimane assorto in un pensiero improvviso, quindi rimette a posto il libro, con cura, esattamente dove stava) Chissà...
SERPENTE:   (dietro il libro-pianeta, semi-nascosto, parla col Principe) Sssstai tranquillo, sssicuro: il punto esatto è quesssto.
PICCOLO PRINCIPE:   No, è qui che sono caduto sulla terra, un anno fa.
PERSONAGGIO:   (già piuttosto agitato per via della partenza del Narratore) Che succede?!! Ma cos’è questo fatto, parli con i serpenti?
PICCOLO PRINCIPE:   Vieni. Dobbiamo terminare. Hai aggiustato il tuo motore, lo so, sono contento. Potrai tornare dalla tua gente. Anch’io devo ritornare. Oggi è un anno esatto  che sono partito dal mio pianeta, e adesso è lì, proprio sopra di noi... Devo andare, capisci? Sono responsabile del mio fiore! Per favore... ricordi? Dovevi disegnarmi una museruola per la pecora che è nella cassetta. Perché non mangi la mia rosa, di notte.
PERSONAGGIO:   Ma che succede? Che voleva il serpente?
PICCOLO PRINCIPE:   Per favore, disegnami la museruola...

Il Personaggio disegna la museruola e consegna il foglio al Principe.

PICCOLO PRINCIPE:   Ecco, lo metto qui con l’altro. Adesso ho proprio tutto.
PERSONAGGIO:   Ma tu hai paura! Su, dimmi che è tutto uno scherzo!
PICCOLO PRINCIPE:   (ride dolcemente) Avrò più paura tra poco...
PERSONAGGIO:   Mi piace sentirti ridere, ometto!
PICCOLO PRINCIPE:   Sarà questo il mio regalo per te! Vedi quante stelle? C’è chi le studia, chi le conta, chi non le guarda mai. Ma tu avrai delle stelle come nessuno le ha: delle stelle che ridono!
PERSONAGGIO:   Che vuoi dire?
PICCOLO PRINCIPE:   Tu saprai che io abiterò in una di esse, e riderò, e allora tutte le stelle rideranno per te, e suoneranno come mille sonagli, quando penserai a me... ed io guarderò le stelle e tutte le stelle saranno per me come l’acqua buona del pozzo... Milioni di fontane che mi ricorderanno di te!
PERSONAGGIO:   Ma io non voglio che tu vada via! (rimangono in silenzio)
PICCOLO PRINCIPE:   (dolcemente) Non accompagnarmi, adesso. Sembrerò morto e non sarà vero.
PERSONAGGIO:   Non ti lascio.
PICCOLO PRINCIPE:   Sai, non posso portarmi dietro il mio corpo, è troppo pesante.
PERSONAGGIO:   Non ti lascerò!
PICCOLO PRINCIPE:   Ho paura per te, il serpente... Va bene che non hanno più veleno per il secondo morso. Ma tu non devi essere triste, sarà solo una scorza abbandonata, vuota, non devi essere triste per questo!

Si alza. Il Personaggio si alza anch’egli e lo segue verso il fondo. Ad un certo punto il Piccolo Principe lo ferma.

PICCOLO PRINCIPE:   Lasciami fare qualche passo da solo.

Il Personaggio si ferma. Si vede guizzare il serpente, si ode il suo sibilo sinistro, mentre il Piccolo Principe cade al suolo. Buio. Le luci di servizio si riaccendono. Sul fondo, un Personaggio sconvolto, ben oltre i limiti della parte. L’Autore è seduto al tavolo, con le mani intrecciate sotto il mento.

AUTORE:   Bene, Abbiamo finito.
PERSONAGGIO:   (si scuote, scatta in avanti, perlustra tutto il palcoscenico, si affaccia dietro le quinte) Piccolo Principe! Antoine! Ometto, dove sei? (all’Autore) Non c’è, è scomparso!
AUTORE:   Anche lui...
PERSONAGGIO:   E’ tornato al suo pianeta.
AUTORE:   Via, signor... signor...
PERSONAGGIO:   Saint-Exupery.
AUTORE:   Sì, certo... Saint-Exupery. Non esageriamo con la fantasia!
PERSONAGGIO:   Okay. E’ finita. (va alla sedia, prende il libro e legge) Ma... dovevo disegnare anche la correggia per la museruola! Così non potrà usarla!
AUTORE:   (comincia a mettere via le sue carte) Ebbene?
PERSONAGGIO:   La pecora potrebbe mangiare il fiore! Se il Piccolo Principe si distrae, se una notte si scorda di mettere la campana di vetro sulla Rosa! No! Bisogna tornare indietro!
AUTORE:   Ma è impazzito?
PERSONAGGIO:   E’ importante che la pecora non mangi il fiore!
AUTORE:   Non è pertinente ai fini dello spettacolo.
PERSONAGGIO:   Com’è possibile che lei non... (si accorge che l’Autore non intende ascoltarlo, guarda la sedia vuota del Narratore) Se ci fosse stato lui, lui avrebbe capito quanto è importante che il Principe salvi il suo fiore! Si sarebbe arrabbiato magari, come al solito, ma avrebbe capito! (ripone il libro sulla sedia, con la massima cura) In fondo... mi manca.
AUTORE:   Bene, mon ami, si consoli. Io vado a dormire. Le dò un consiglio: faccia come me.
PERSONAGGIO:   Cosa? Ah sì, sì... Andrò via anch’io. Non c’è più nessuno...
AUTORE:   Lieto di averla conosciuta. A presto. (esce con i suoi fogli sotto il braccio)
PERSONAGGIO:   A presto!

Il Personaggio fa un giro per il palcoscenico. Meccanicamente mette a posto qualcosa, riapre il libro-pianeta sui disegni iniziali del serpente boa dal di dentro e dal di fuori, come per la prova dell’indomani. Infine prende il suo copione, spegne le luci di servizio e se ne va.

Sale lentamente l’«Oiseau de feu» di Strawinsky: il pianissimo con cui inizia il finale della Suite.
L’oscurità è interrotta solo da un lieve chiarore che dalla quinta di destra si proietta sul palcoscenico, come per una porta lasciata aperta. Da quella quinta entra un’ombra silenziosa e furtiva: è il Narratore, che quasi per un suo destino ineluttabile torna al suo libro. Lo solleva con amore, si siede, lo apre ed inizia, con voce calda e avvolgente,  a narrare la storia... l’eterno racconto, il ritornello sempre uguale e sempre diverso: “Un tempo lontano, quando avevo sei anni, vidi in un libro sulle foreste primordiali...”.
Il Narratore continua a raccontare; la sua voce, quasi materialmente corporea, sale con la musica ed insieme permeano tutto il teatro.
Sul primo stacco della musica comincia a salire un controluce alle spalle del Narratore, quindi dietro di lui si stagliano, proiettandogli innanzi le loro lunghe ombre incrociate, le sagome dell’Autore e del Personaggio. Man mano che la musica cresce, essi si avvicinano sempre di più, sino a giungergli ai fianchi, solo un passo indietro. A questo punto comincia lentamente a schiudersi il grande fondale scuro, mostrando un vano illuminato a festa. Al centro di questo, sospeso nel vuoto, c’è solo un grande cerchio di ferro nero...
Sul successivo stacco musicale – la musica è un continuo crescendo, adesso non si ode nemmeno più la voce del Narratore – entrano da tutte le parti, correndo e saltando come nel primo atto, gli spiriti del teatro: La Regina, Astaroth, Lilith, il Matto, Argo, Zvanì, Scintilla, Acuto e Ottuso.
Corrono verso il grande O con delle fiaccole in mano e – seguendo il ritmo della musica – lo accendono. Tutto adesso risplende, la musica è fortissima, inebriante. Il grande O è finalmente raggiunto e fiammeggia al centro del palcoscenico, sul fondo. La musica, valicando il suo culmine, cessa. Si spengono tutte le luci.
Solo il grande O risplende nell’oscurità totale. Nel silenzio. Pochi secondi.
Cala la tela.

FINE