Le fotografie della nonna
Monologo sulla guerra giusta dei Napoletani in Brasile
di
Gianluca Papadia
Mia nonna le fotografie le teneva stipate dentro una scatola, tutte
ammonticchiate.
Mi divertivo a scorrerle cercando di indovinare chi erano i soggetti perché a
nessuno di quei volti riuscivo ad attribuire un nome. Ci sono foto di gruppo,
foto di feste, battesimi, comunioni, matrimoni.
Questi sono i guaglioni della paranza nolana, questo è il ritratto dello zio
Salvatore, qua è una festa a casa di Giuseppina, la figlia di zio Nicola... il
battesimo di Pinuccio, il compare di Paolino, la comunione di Mimì, il
matrimonio di Carmelina e Gioacchino, la parola di Lucia e Francuccio.
Ma la mia preferita era la più vecchia, quella che la nonna custodiva con più
cura. Era la foto di un reggimento di soldati che aveva almeno duecento anni.
“Questo è l'eroe di famiglia” diceva fiera mia nonna non appena gliela mostravo.
“Al suo paese c'è ancora la targa: Nicola Cacace morto eroicamente per liberare
il Brasile dal tiranno fiammingo” era l'incipit dell'ennesima storia
meravigliosa che si tramandava da almeno tre generazioni insieme a quella foto
ingiallita.
Storie di astuzie, di trovate geniali, di mille trabocchetti, di particolari che
in nessun libro di storia, né in Brasile, né tanto meno in Italia, avresti mai
potuto trovare. Racconti che raggiungevano l'apice con quel “Giovan Vincenzo
Sanfelice, Conte di Bagnoli” pronunciato con l'enfasi dell'oratore esperto che
sa che la parola Conte avrebbe spazzato via ogni dubbio sull'autenticità di
quella storia. E quello era l'effetto che suscitava in noi bambini, come se la
presenza di quel nobiluomo, giustificasse tutte le incredibili avventure legate
al nostro avo e al suo valoroso gruppo di combattenti napoletani.
Ognuno di noi, portava nel suo cuore quelle storie, ritrovandosi spesso a
viverle in prima persona nei suoi sogni. Anch'io, ascoltavo quelle storie con
attenzione, ripetendole mentalmente fino a sera. E di notte, ero io, e non il
mio antenato Nicola Cacace, al fianco del Conte di Bagnoli a combattere la mia
guerra contro l'oppressore. Ero io, che aiutato dagli indigeni del posto, che
nei racconti della nonna mi facevano più paura del nemico stesso, a costruire
trappole, a fare le imboscate, a difendere a costo della mia vita stessa quella
terra lontanissima che non avevo mai visto prima. Ma a differenza del mio
sfortunato avo, io non morivo in quella dannata battaglia di Salvador de Bahia,
ma ritornavo a Napoli a godermi l'onore dei vincenti, a prendermi la medaglia
dalle mani del mio Re.
Grazie ai racconti di mia nonna sapevo che il Re di Spagna si chiamava Filippo
IV e che questi aveva reclutato Sanfelice per correre in soccorso di quella sua
colonia lontana, nel Nuovo Mondo che Cristoforo Colombo aveva da poco scoperto.
Il valoroso condottiero aveva subito pensato a Nicola Cacace perché bisognoso di
uomini generosi, pronti al sacrificio e non dei soliti mercenari. Grazie a quei
racconti ero fiero di essere anche io un napoletano proprio come quegli 850
soldati salpati per il Brasile nel lontano 1623.
“Appena giunto in quel lontano paese”, raccontava mia nonna, “Niculino ebbe
subito modo di mettere in mostra il proprio coraggio, uccidendo il capo degli
olandesi. Il pericolosissimo e temutissimo Comandante Van Dorth. <<Nicola
Cacace>> gli disse la sera stessa il Comandate Sanfelice, davanti a tutti i
soldati, <<grazie a te, il Brasile è di nuovo libero dagli oppressori>>. E il
racconto si arricchiva dei particolari più agghiaccianti. “Gli indio che stavano
insieme a Niculino, come bestie, si lanciarono sul corpo del Comandante olandese
e prima gli tagliarono mani e piedi e poi la testa...” Così si concludeva sempre
il racconto del fulmineo successo con il quale quel gruppo di Napoletani aveva
subito riconquistato Salvador de Bahia , la capitale del Brasile che si era
arresa, senza nemmeno combattere, all'invasione olandese.
Un successo dovuto alla forza disumana e alla grande intelligenza di Nicola che
aveva prima attirato in un'imboscata il Capitano olandese per poi affrontarlo
senza paura in un corpo a corpo degno dei più avvincenti racconti di Salgari.
“Nella presa di Bahia, Niculino si era sempre esposto in prima persona con
totale sprezzo del pericolo, tanto che diverse volte fu ritenuto morto” diceva
la nonna usando un vocabolario non suo.
“Al suo ritorno, in paese ci fecero una festa bellissima. C'era pure il Papa ad
aspettarlo, per ringraziarlo” raccontava la nonna come se lei fosse stata
presente a quell'incontro.
“Il Papa?” chiedevamo noi bambini.
“Niculino aveva sconfitto gli amici dei giudei!” rispondeva subito la nonna.
E quando noi bambini, tutti in coro chiedevamo “Nonna, e chi sono questi
giudei?”, lei subito aggiungeva sottovoce, come se non volesse farsi sentire da
chissà chi, “Quelli che hanno ucciso Gesù”.
Così avevo scoperto che c'era qualcuno che li aiutava questi giudei. E dopo
tutte le storie che avevo sentito sul loro sterminio, questi olandesi mi erano
pure simpatici. Ma questo alla nonna non potevo dirlo. Io dovevo fare il tifo
per i portoghesi, gli spagnoli e i napoletani come Nicola Cacace fu Giovanni.
Se la storia dei Napoletani in Brasile fosse finita qui, mia nonna sarebbe stata
costretta a raccontarci sempre la stessa storia per tutta la sua vita, ma
l'Olanda, dopo questa prima sconfitta, diresse le sue attenzioni verso il Nord
Est del Brasile, verso una zona famosa per la produzione di canna da zucchero. E
così i valorosi uomini di Sanfelice, con il prode Nicola sempre in prima linea,
vengono richiamati un'altra volta in Brasile dopo cinque anni. Lì il nuovo
governatore portoghese Mathias de Alburquerque sta organizzando la resistenza.
I nostri eroi, anche questa volta, inferiori sia in numero che in mezzi,
dovettero inventarsi di tutto per impedire agli olandesi di fortificare le città
conquistate. E da qui sono nate le storie più fantasiose che io abbia mai
sentito. Storie di saccheggi per procurarsi il cibo, le munizioni, le materie
prime, i medicinali per curare i feriti che hanno come sfondo sia la terraferma
che l'oceano, campo di battaglia di epici scontri navali da far invidia ai
racconti pirateschi della stessa epoca.
Il nostro Nicola passava, come fosse niente, dalle imboscate all'esercito
olandese nelle assolate campagne del Brasile, all'arrembaggio delle navi della
temutissima flotta della Compagnia delle Indie Occidentali, dimostrandosi, al
tempo stesso abile soldato ed espertissimo marinaio.
Un altro scenario perfetto per le sue imprese è quel grande fiume che attraversa
tutto il Brasile.
“Un fiume così grande che da una riva è impossibile vedere l'altra.” raccontava
mia nonna mettendosi la mano sulla fronte come se stesse guardando veramente da
una riva all'altra e volesse proteggersi dal sole.
“Niculino attraversava quel fiume senza problemi, su piccole canoe costruite
svuotando gli alberi solo con l'aiuto di un coltello. Questa tecnica Nicola
l'aveva imparata dai poveri cristiani negri.” che era il modo in cui la nonna,
chiamava gli abitanti del Brasile.
“Fu lui, che era anche un grande ingegnere” raccontava la nonna dimenticando che
il nostro non era mai entrato in una scuola, “che suggerisce al Marchese di
Coprani, comandante supremo delle forze spagnole in Brasile, come costruire il
baluardo dell'Arrial, vero punto di forza nella resistenza agli olandesi.”
“Lo sapete chi c'era nella battaglia dove morì il grande Ammiraglio Olandese
Peter?” chiedeva ad un certo punto la nonna.
“Niculino” rispondevamo in coro noi bambini.
“Quello l'Ammiraglio, era un grande furbacchione. Quando avvistò la flotta
spagnola mandata in soccorso del Brasile, di notte, con le scialuppe, quatto
quatto, zitto zitto, assaltò il galeone spagnolo. Ma Nicolino non dormiva mai.
Così si accorge di tutto e dice al suo comandante di correre in soccorso del
galeone amico. Successe il quarantotto. Un groviglio di navi e soldati che
saltano da un ponte all'altro. Alla fine Nicola appicca l'incendio della nave
dell'ammiraglio Peter e tutta la ciurma di butta a mare e viene fatta
prigioniera. Solo l'ammiraglio non vuole arrendersi e affonda lui e la sua nave,
mentre Nicola cerca di convincerlo a salvarsi
I racconti della nonna erano accompagnati dai commenti entusiasti di noi bambini
che eravamo pronti a sottolineare i passaggi più salienti con applausi e grida
di consenso. La nonna, come se stesse recitando in un vero e proprio teatro,
sospendeva il racconto per riprenderlo dopo che le nostre urla si fossero
placate, per non farci perdere nemmeno una parola delle gesta eroiche del grande
Nicolino Cacace.
Ma la guerra di Brasile non fu solo rose e fiori. I Napoletani furono anche
costretti ad abbandonare interi villaggi, aiutando gli abitanti in veri e propri
esodi di massa.
“C'erano 8.000 persone che camminavano nella foresta con gli olandesi che gli
sparavo alle spalle. C'erano donne, vecchi, bambini, chi a piedi, chi sui carri,
chi trasportate in amache dagli schiavi, Nicola, mentre con la spada difende la
ritirata dei suoi uomini, trasportava sulla sua schiena scorte di viveri, donne
anziane che non ce la facevano più a camminare, bambini che piangevano, letti,
mobili e perfino maiali e mucche”
“Stavano tutti morendo di fame, dopo giorni e giorni di cammino sotto il sole. E
Nicola che fa? Si butta nel fiume e , a mani nude, cattura non so quanti
coccodrilli” diceva la nonna, trasformando, questa volta Nicola, nel primo
tarzan della storia.
Ma i racconti erano anche zeppi della sua generosità e della sua umanità.
“Nicolino, mosso da compassione, chiede al suo comandante, il Conte di Bagnoli
di accordarsi con i suoi nemici per uno scambio di prigionieri. Nicolino si, che
aveva un grande cuore...Quando gli olandesi fanno prigioniere le più ricche
famiglie del Brasile, lui chiede al Conte di Bagnoli di andare personalmente dal
governatore olandese a chiederne la liberazione...” si vantava a suo modo la
nonna , chiudendo sempre ogni racconto con un “Era fatto così...” .
Il racconto più raccapricciante è quello della cattura e dell'esecuzione del
traditore Calabar. Gli olandesi, infatti, riuscirono a riscuotere qualche
successo, grazie all'aiuto di questo indio che passò dalla loro parte. Grazie a
lui, gli olandesi ebbero nelle loro fila un esperto del territorio e ci volle
tutta l'astuzia dei napoletani per sconfiggerli anche in questo frangente.
“Nicola e i suoi compagni, in quel periodo, correvano da un posto all'altro del
Brasile per aiutare questa città o quella. Ma, grazie al traditore, il nemico
olandese, anticipava le loro mosse, rendendo infruttuosi i loro attacchi. Allora
Nicola decide che è il momento di scovare questo traditore. Si infiltra tra i
nemici e convince un altro traditore a rivelargli il nascondiglio di Calabar. “
“Nicolino aprì gli occhi a questo Francisco Santos che , anche lui, aveva
tradito i suoi per passare al nemico. Gli fece vedere in che stato erano ridotti
i suoi compaesani per colpa del traditore Cabalar. Allora Francisco si commosse
e svelò il nascondiglio di Cabalar a Nicola.” raccontava con la voce rotta dalle
lacrime nostra nonna. Noi la ascoltavamo impietriti e lei al momento giusto ,
dopo una pausa fatta apposta per aumentare il pathos, aggiungeva “Quando Nicola
consegnò il traditore alla folla, questi prima lo impiccarono e poi lo
squartarono a mani nude”. Ricordo ancora il terrore dipinto sul volto dei
bambini più piccoli.
Un'altra storia usata dalla nonna per educarci tutti quanti era quella della
punizione di Sanfelice a suo figlio. In Brasile infatti era arrivato pure il
figlio del Conte di Bagnoli, Marco Antonio.
“Questo ragazzo, si vedeva subito che era figlio del Conte. Era forte e
determinato ma in una battaglia disubbidisce ad un ordine di un suo superiore.
Il padre, appena sa questo fatto, corre subito da lui e prima gli toglie il
comando e poi lo manda in carcere in Spagna. Avete capito bene, in carcere!”
Dopo circa quindici anni, l'Olanda, decise che la situazione Brasile andava
risolta una volta per tutte e in inviò in quella terra Maurizio di Nassau con un
potente esercito al suo seguito. I napoletani devono ripiegare tutti , ancora
una volta, a Salvador de Bahia per fortificarla.
“Nicola disse a Sanfelice:<<Costruiamo delle trincee e dei fortini al di fuori
delle mura della città. Noi questa città l'abbiamo già presa cinque anni fa. Ora
ci troviamo dall'altra parte. Conosciamo questa terra come le nostre tasche, non
li facciamo arrivare proprio a Bahia>> Questa mossa si rivelerà azzeccata. La
lotta è dura e senza esclusioni di colpi, Nicola perisce in questa ultima
battaglia che i napoletani, nonostante siano inferiori in numero e mezzi ,
riescono ancora una volta a vincere”.
I racconti di Nicola che affronta a viso aperto i numerosi olandesi,
costringendo Maurizio di Nassau ad una fuga deplorevole, sono quelli che ancora
oggi preferisco.
Certo, a quell’epoca fare la guerra era quasi una cosa naturale. L’unica
soluzione conosciuta. L’unica spiegazione a tutto. Morire da eroe era un onore.
Morire per una causa giusta… Eh si, per loro quella causa era giusta… Due
potenze militari che si contendono una terra che appartiene a dei selvaggi era
una causa per cui valeva la pena morire. (Pausa) Roba d’altri tempi…
Il mio antenato aveva giurato fedeltà alla corona ed era pronto a morire pur di
far fede a quel giuramento. Erano eroi e il Re decideva per loro. E tutto quello
che diceva il Re era legge. Il Re era Dio in terra e non sbagliava mai. (Pausa)
Roba d’altri tempi…
Dio aveva deciso che il Brasile era della Spagna e se l’Olanda voleva
appropriarsene, allora era un’ingiustizia! (Pausa) Roba d’altri tempi…
Sono passati 400 anni.
(Alle spalle dell’attore vengono proiettate le immagini dei 19 soldati italiani
morti nell’attentato di Nassirya in Iraq del 12 Novembre 2003.)
(Mentre scorrono le immagini) Mi piace pensare che anche io ho dentro di me
quella fiammella di eroismo che al momento opportuno verrà fuori. Per combattere
la mia guerra contro le ingiustizie.
Quella fiammella che scaldò l'anima di tutti quei Napoletani in Brasile, e che
ancora oggi, dopo tanti anni, scalda i cuori dei nostri soldati.
(Quando le immagini finiscono di scorrere)Quella fiammella! Tocca a noi… non
farla spegnere mai.