Una fossa in comune
di
Carolina De La Calle Casanova
© 2012. Tutti i diritti sono riservati
PERSONAGGI (in ordine d’apparizione):
Salvatore, uomo sulla cinquantina
Mario, ragazzo sulla trentina
Custode del cimitero, uomo sulla sessantina
Un uomo
Una giovane giornalista
Un cameraman
NOTE:
La pièce è ambientata in un cimitero.
Una barra (/) indica il punto di intersecazione di un dialogo sovrapposto.
Questa non è la storia di una malattia;
non è la storia di un trauma infantile divenuto un cambio d’identità;
non c’è una vendetta da servire fredda, né un tiranno da far crollare.
Non c’è un disabile, un immigrato, una prostituta, un carcerato
né un mistero da risolvere nella periferia di una città.
È priva di conflitto generazionale,
di una particolare morte e di una travolgente storia d’amore.
Questa è la storia di due uomini
che, come tanti altri,
si scavano la propria fossa.
La scena è coperta di terra, erba e qualche pianta incolta. Dal terreno spunta una croce contrassegnata dal numero 33.
Entrano di corsa Salvatore e Mario, muovendosi freneticamente da una parte all’altra con un foglietto rosa e una pala tra le mani. Vestiti come dei penitenti, al posto del cappuccio indossano delle corone illuminate che, nonostante sia l’alba, fanno riflessi nello spazio. Appeso al collo, portano un fischietto.
I due controllano i loro foglietti, s’avvicinano in fretta alla croce e verificano il numero. Poi si guardano, buttano la pala a terra e iniziano a picchiarsi, a spingersi, a prendersi a calci. Nella lotta, Salvatore cade a terra e urla: qualcosa gli punge la schiena. S’alza e guarda sotto di sé: la croce numero 32.
Lentamente – guardandosi come felini – infilzano ognuno il proprio foglietto sulla rispettiva croce e, dopo essersi sistemati i costumi, si danno la mano.
Suona una sirena simile a quella delle fabbriche anni ’70. Afferrano le pale e corrono alle croci. Entra il custode del cimitero che li saluta togliendosi il cappello dalla testa e al quale rispondono entrambi. Il custode si ferma, guarda l’orizzonte poi timbra i foglietti rosa, saluta ed esce.
Salvatore e Mario riprendono ad affaccendarsi. Il primo si ferma, guarda l’altro e dopo per terra. Con la pala fa un disegno sul terreno: un rettangolo verticale. Si butta quindi all’interno del disegno per capire se riesce a starci dentro. Si alza e lo disfa per rifarlo un po’ più grande. Vi si ributta perciò dentro, ma di nuovo si alza e lo disfa per disegnarlo un po’ più piccolo. Ripete il tentativo di misurazione: troppo stretto. Disperato, stacca il suo foglietto dalla croce e lo legge, finché torna velocemente al proprio posto. Cancella con i piedi i disegni rimasti sul terreno.
Mario, invece, sta facendo un rettangolo preciso.
SALVATORE: Metri lineari.
MARIO: Eh?
SALVATORE: (indicando il foglietto rosa) Lì dice metri lineari.
MARIO: Certo.
SALVATORE: E una linea quanti metri sono?
MARIO: Faccia come se io non ci fossi.
SALVATORE: Io la faccio come nei film.
Si mettono a scavare, ma senza esperienza: buttano terra dietro, davanti e sul lato libero accanto. Senza rendersene conto, Salvatore ne butta un po’ sopra il rettangolo di Mario che – risentito – la riprende con la pala e la ributta nel rettangolo di Salvatore.
Salvatore sorpreso, si ferma e la ributta nel rettangolo di Mario, guardandolo in faccia nel mentre – affrontandolo nella sfida.
Alzano le pale l’uno contro l’altro e si fermano.
SALVATORE: Potrei denunciarla.
MARIO: Potrei ucciderla.
SALVATORE: (prendendo con la pala un po’ di terra e buttandola sul lato libero alla propria destra) Così.
MARIO: (come sopra) Così.
Passa di corsa un uomo vestito da penitente, con la corona illuminata e una pala in mano. Si ferma, saluta ed esce. Salvatore si guarda in giro.
MARIO: (togliendosi la corona) Maledetta corona!
SALVATORE: Sicuro?
MARIO: Perché? Lei si sente a suo agio?
SALVATORE: A ognuno il suo calvario.
MARIO: Appunto, mi lasci in pace!
SALVATORE: La possono vedere. Non si può.
MARIO: E chi lo dice?
SALVATORE: (indicando i foglietti rosa appesi alle croci) È scritto.
MARIO: Avevo dimenticato.
SALVATORE: Se vuole restare qui, veda di ricordarselo la prossima volta, perché io farò come se lei non ci fosse. (Si rimette al lavoro, mentre l’altro si sistema meglio la corona)
Passa l’uomo di prima.
UOMO: Avete visto la numero 40?
MARIO: No.
SALVATORE: Qui la 32 e 33. Deve essere di là.
L’uomo esce di corsa nella direzione indicata.
(A Mario) Mi deve un piacere per la corona.
MARIO: (va nel rettangolo di Salvatore, toglie con la pala un po’ di terra e infine torna alla propria fossa) A posto.
SALVATORE: A posto una minchia! Neanche questo si può, imbecille!
MARIO: Anche questo è scritto?
SALVATORE: Non s’avvicini più al mio spazio, intesi?
MARIO: Mi ero dimenticato, va bene?
SALVATORE: Lei ha un problema con la memoria!
MARIO: (indicando la fossa di Salvatore) E lei con le misure!
SALVATORE: A ognuno il suo calvario! (Si ferma a guardare per terra)
MARIO: Non ci si può fermare.
SALVATORE: Questo è e sarà un problema di tutti e due.
MARIO: E va bene, le faccio le mie scuse.
SALVATORE: Niente scuse; me ne deve due di piaceri! (Rifà il disegno per terra. È evidente che non sa come iniziare)
MARIO: (prende il foglietto rosa dalla croce di Salvatore) Le misure /
SALVATORE: (alzandogli la pala contro) Non s’avvicini a /
MARIO: (senza badare all’avvertimento) Le misure sono larghezza 0,80 ML – metri lineari – per lunghezza 2,20 ML per una profondità di 2 ML e una dall’altra devono distare 0,50 ML.
SALVATORE: Ma cosa mi rappresenta un metro lineare a me?
MARIO: Niente! In questo momento non rappresentano niente! Lei faccia 0,80 per 2,20 per profondità di 2 metri.
SALVATORE: E il “lineare”? Qui c’è scritto “metri lineari” /
MARIO: È lo stesso! Ci sono tanti tipi di metri! Al quadrato, al cubo, abitabili… Ma a volte i metri sono metri, e basta. Lei si attenga solo ai metri, metri semplici, metri!
SALVATORE: Ah. Nato con la camicia?
MARIO: (torna al suo posto e continua a lavorare) Ma va’ a cagare!
SALVATORE: Mi faccia vedere le mani.
MARIO: Da qui?
SALVATORE: Da lì.
Mario gliele mostra.
Ma… torni a casa sua, va’.
MARIO: Le piacerebbe, vero?
Silenzio.
SALVATORE: I metri non sono mai metri semplici. Le misure non sono una cosa da prendere sotto gamba. Soprattutto in casi come questo. Se si sbaglia la misura siamo fregati! Pensi ai poveri!
MARIO: Ai poveri?
SALVATORE: I poveri hanno sempre problemi con la misura: non hanno spazio per vivere, non mangiano abbastanza, sono sempre gli ultimi della fila e spesso muoiono nel corridoio di un ospedale, a pochi metri semplici di una stanza con finestra e fiori. (Parla tra sé mentre disegna attorno al piccolo buco di terra che ha scavato) Allora io sono alto… Più o meno… Sì… La pala è alta più o meno un metro… Si aggiunge, a occhio, una ventina di centimetri e via… (Fa il disegno per terra) Se poi dividiamo in due la pala abbiamo più o meno la larghezza… Togliamo un po’ qua… Dritta… Per la profondità facciamo dopo… (Si ferma soddisfatto. A Mario) Grazie.
MARIO: Prego.
SALVATORE: Adesso me ne deve uno di piacere. Non se lo scordi.
Iniziano a scavare.
MARIO: … Mario.
SALVATORE: Lei si chiama Mario?
MARIO: Sì.
SALVATORE: Mario, siamo a posto. Non mi devi nessun piacere ora.
MARIO: E perché?
SALVATORE: Mi hai fatto il piacere di dirmi il tuo nome. A posto.
MARIO: Dirle il mio nome è un piacere che io faccio a lei?
SALVATORE: Non è bello stare vicino a uno sconosciuto.
MARIO: Ma io per lei sono sempre uno sconosciuto.
SALVATORE: Di nome Mario.
MARIO: Di nome Mario.
SALVATORE: Marietto.
MARIO: Come?
SALVATORE: Ti chiamerò Marietto. Per arrivare a Mario ti manca ancora qualche callo sulla mano. E Marietto, se fai qualcosa che non va, mi disturbi o mi crei problemi, io so come ti chiami. Per il resto facciamo come se l’altro non ci fosse.
Passa l’uomo di corsa, lasciando a Mario le parole in bocca.
UOMO: Non sono in ordine! Bisogna cercare!
SALVATORE: (salutandolo) Buona fortuna!
MARIO: (salutandolo anche lui) Crepa!
Continuano a scavare.
SALVATORE: C’è chi la evita, c’è chi la cerca e c’è anche chi non ci pensa, ma nessuno di noi la scampa. Io mi chiedo chi sarà il povero cristo.
Scavano in silenzio per un po’.
MARIO: È dura, questa terra! (Dopo un po’ che prova) È dura! È dura! (Picchia con la pala per terra, con forza)
SALVATORE: Bravo, Marietto! Picchia, Marietto! Picchia! (Cambia tono) Ma non così, imbecille. Così (infila la pala nella terra dalla punta, come se fosse uno stuzzicadenti). Così, vedi? Non bisogna picchiarla la terra, bisogna stuzzicarla: come con le donne.
MARIO: Non dovrebbe aiutarmi.
SALVATORE: E chi ti dice che ti sto aiutando?
MARIO: Mi ha appena detto come iniziare.
SALVATORE: C’è una bella differenza tra stuzzicare e conquistare una donna, non ti pare?
Mario infila la pala nella terra un po’ di volte. Poi scava: va meglio.
Una volta mio padre mi aveva detto che la terra diventa più tenera man mano che ci si allontana dalla superficie.
MARIO: Come con le donne...
SALVATORE: Te non hai una donna, Marietto.
MARIO: E come lo sa?
SALVATORE: Dalle mani.
MARIO: (si guarda le mani. Con sarcasmo) Lei vede tutto dalle mani, eh?
SALVATORE: In superficie, Marietto, la terrà è dura. Tutta una vita a contatto con l’aria, il vento, il sole e l’uomo. A furia di calpestarla la terra s’indurisce. Da lontano la terra deve essere come una roccia dura, spigolosa, non come quell’immagine rotonda e perfetta che ci fanno vedere in tv. No, no. La terra vista da lontano non è rotonda, è… (Fa dei gesti con le mani, finché prende un sassolino da terra) È come questo sassolino qua. Piccolo e brutto. (Lo lancia dietro di sé)
Silenzio.
SALVATORE: È una bella giornata. È una di quelle giornate giuste per non fare niente.
MARIO: Però siamo qui.
SALVATORE: Chi te l’ha fatto il costume?
MARIO: L’ho preso da /
SALVATORE: A me l’ha fatto mia moglie! Mentre cuciva borbottava, ma è venuto bene, no? Soprattutto la gonna /
MARIO: Lei parla sempre?
SALVATORE: Fai come se io non ci fossi, se ti do fastidio.
MARIO: E come faccio se lei parla sempre?
SALVATORE: Quando mangio e dormo sto zitto.
MARIO: Meno male!
SALVATORE: Ma non siamo qui per mangiare e per dormire, mi pare.
MARIO: Infatti. Scavi.
SALVATORE: Scavo. Parlare si può?
MARIO: Non lo ricordo.
SALVATORE: Mia moglie dice che sono di compagnia, che mi ama per questo. Ti do fastidio?
MARIO: Non riesco a pensare.
SALVATORE: Non pensarci.
Silenzio.
MARIO: Devo pisciare.
SALVATORE: Mia moglie diceva che parlare fa bene al rapporto e che /
MARIO: Devo pisciare!
SALVATORE: Non ci si può fermare, ricordi? Scava.
MARIO: (saltellando sul posto mentre scava) Scavo, ma devo pisciare.
SALVATORE: E piscia.
MARIO: Qui dentro?
SALVATORE: Alzi la gonna e pisci. Mia moglie quando andavamo in camporella e aveva i suoi bisogni manco alzava la gonna; si metteva in ginocchio, apriva le gambe e via! Era bellissimo vederla pisciare.
MARIO: (mentre cerca una soluzione senza dare attenzione a Salvatore) Potevano pensarci prima! Dovevano dare una pausa ogni tanto per andare al cesso! La gente mica può fare i suoi bisogni davanti a tutti.
SALVATORE: Ma chi vuoi che ti veda? Sono tutti morti, Marietto! Cos’è? Sei… Come è che si dice bene? Sei gay?
Mario si allontana di poco mostrandogli il dito medio. Si gira e si alza il saio da penitente per pisciare, ma entra il custode del cimitero che porta in mano una corona spenta.
CUSTODE: (togliendosi il cappello) Buongiorno.
Mario si gira cercando di mettersi a posto in fretta. Saltella per la voglia di pisciare, mentre torna a scavare.
SALVATORE: Buongiorno!
MARIO: (scava e saltella sul posto) Salve.
SALVATORE: Scava, Marietto.
MARIO: (scava e saltella sul posto) Scavo.
SALVATORE: (al custode) Controllo di routine?
CUSTODE: (a Mario) Tutto bene?
MARIO: Fa freddo, mi scaldo.
CUSTODE: Le converrebbe scavare senza tanta scena; il freddo passa lavorando.
SALVATORE: Ma non la fame!
CUSTODE: Mangerete una volta che sarà tutto finito.
Silenzio. Suona una sveglia. Il custode ne tira fuori una dalla tasca dei pantaloni e la spegne. Si ferma, si siede, beve dalla sua bottiglia. Tutto ciò che fa, lo fa come un automa.
È l’avviso per la mia pausa. Ne faccio almeno tre durante la mattina. Lo dicono i dottori e i direttori di banca: dopo ogni ora bisogna prendersi almeno dieci minuti di pausa, così si lavora meglio. Rinfrescare la mente, distrarsi! Ma voi no. Voi non potete fermarvi. Voi dovete fare quello che si chiama un tour de force, una tirata sola.
SALVATORE: (vedendo che Mario continua a muoversi sul posto) Scava, Marietto.
MARIO: (scava e saltella sul posto) Scavo.
Silenzio. I due si guardano l’un l’altro.
(Come sopra) Di’, là c’è un po’ d’ombra…
CUSTODE: (guardando la sveglia) La pausa si fa dove suona la sveglia, ragazzo. Altrimenti tornerei alla mia postazione all’ingresso dove ho tutti i confort necessari. Ma cosa vuoi fare in dieci minuti? Ti siedi e guardi il tempo. (Guarda la sveglia) Ancora 7 minuti. (S’accende una sigaretta. Mario sbuffa) Io vi ammiro. Per me siete degli eroi. Davvero. Anzi, vi invidio anche un po’. Se non fosse che sono malato, avrei fatto la stessa cosa anch’io. Ma non posso; soffro di pressione alta. Io devo lavorare di testa. Il mio futuro sta nella testa, non nel corpo!
SALVATORE: Capisco.
CUSTODE: Anche se l’inizio di giornata è stato duro per me. È stato un inferno stamattina. Alcuni non trovavano il loro posto. C’è stato un po’ di casino con le assegnazioni. Ma alla fine tutto è tornato in ordine. È partita la sirena e via! (Fa una pausa riflessiva) Quanta miseria…
SALVATORE: Miseria?
CUSTODE: C’è stato uno che non aveva il foglietto e allora io l’ho mandato via. Era un signore in età, ma sveglio. Senza foglietto però qui non si entra. Le regole sono le regole. Si è messo in fila di nuovo, e di nuovo l’ho mandato via. (Di scatto, a Mario che si era fermato) Non si fermi!
SALVATORE: Scava.
MARIO: (sofferente) Scavo.
CUSTODE: L’ho mandato via con le buone maniere, spiegandogli il tutto, facendo anche ritardare l’ingresso degli altri. Poi vedo che si allontana dai cancelli e si incammina verso il muretto. Lo sapete quanto sono alti i muretti, no? Ma lui, niente; mi guarda, lancia la pala dall’altra parte del muretto, si tira su la gonna e s’arrampica sul muretto. E mentre s’arrampica, mi guarda.
SALVATORE: E poi?
CUSTODE: E poi nulla. Il muretto in alto è pieno di vetri attaccati al cemento. Lo sapete come sono fatti i muretti, no? Mica sono fatti per potersi arrampicare! È stato un inferno stamattina.
MARIO: (sofferente) L’inferno è adesso.
CUSTODE: Inferno che avete scelto, ragazzo.
SALVATORE: Scava.
MARIO: (fa molta fatica a tenersi, ha smesso di saltellare e stringe le gambe) Scavo.
CUSTODE: Adesso l’unica cosa che mi preoccupa è il funerale di oggi.
SALVATORE: Chi è morto?
CUSTODE: Uno giovane. Un’altra disgrazia.
SALVATORE: Se ne vanno sempre i migliori.
CUSTODE: Se ne vanno quelli che se ne devono andare. Qui passa di tutto. C’è chi arriva da solo e dietro il carro funebre ci sono io e la mia ombra; c’è chi ha un sacco di gente che piange, urla, bestemmia; c’è pure qualcuno di famoso in questo cimitero; allora, vedi dietro il carro anche i fotografi, le telecamere, che mi tocca sempre cacciare qualcuno che sale sulle croci per vedere meglio. (Rude, a Mario che si è fermato e al quale è evidente che gli è scappata…) Non si fermi, ho detto!
SALVATORE: Scava.
MARIO: (imbarazzato, si guarda il saio) Scavo.
CUSTODE: Alla fine del nostro passaggio in questa terra ciò che resta è il silenzio. Bisogna rispettare quel silenzio! E oggi quel povero ragazzo non troverà altro che rumore. Il vostro.
SALVATORE: (indicando la corona che ha in mano il custode) E quella?
CUSTODE: L’ho trovata per terra. Se non trovo il proprietario, qualcuno dovrà tornare a casa.
SALVATORE: Le regole sono le regole.
CUSTODE: È quello che dico sempre anch’io.
Suona nuovamente la sveglia. Il custode s’alza di scatto e la spegne. Tira fuori un timbro dalla giacca e timbra i foglietti rosa appesi alle croci.
Al lavoro! Ricordate: io vedo tutto. E tutto può cambiare se ciò che vedo /
SALVATORE: Non gli piace.
CUSTODE: Non a me, ma a chi fa le regole. Io sono solo un umile servitore. La mia opinione, il mio piacere non conta. Io faccio il mio lavoro e voi il vostro. Basta seguire con attenzione questa frase. (A Mario) È più morbida la terra adesso?
MARIO: (arrabbiato) No.
CUSTODE: Peccato.
MARIO: (come sopra) Come aveva le mani?
CUSTODE: Chi?
MARIO: Il signore che ha cercato di saltare il muretto.
SALVATORE: Scava.
MARIO: Scavo. Come aveva le mani?
CUSTODE: Come i colpevoli: piene di sangue. (Esce)
I due proseguono a scavare in silenzio.
MARIO: (è scosso; il suo saio è bagnato, si guarda le mani piene di terra, si siede abbattuto, trattiene le lacrime) Nato con la camicia… Dipende che camicia. Io l’ho comprato quel foglietto. L’ho pagato. L’ho prenotato prima di nascere. Me l’hanno tenuto da parte prima ancora di farli, questi maledetti foglietti! Io sono nato con una pala in mano!
SALVATORE: Scava.
MARIO: Scavo, scavo, chi si ferma? Non io, può starne certo. Meno male che è morto quel ragazzo, altrimenti non gli rimaneva che saltare muretti e aprirsi le mani da grande.
SALVATORE: Stai blaterando.
MARIO:(con lo sguardo a terra) Sa cosa vedo?
SALVATORE: Hai trovato una conchiglia? Prima qui c’era il mare.
MARIO: Vedo un enorme magazzino pieno di terra, radici e pietre. E poi c’è la polvere delle ossa. Tanta polvere.
SALVATORE: Polvere sei, e polvere diventerai, Marietto.
MARIO: È qui che mettiamo i nostri cari? In questo magazzino che non assomiglia per niente ai mausolei romani, almeno loro avevano stile! Qui è tutto pieno di fango, rifiuti, merda…
SALVATORE: È consolante tornare alla terra.
MARIO: No. È una lotta. Fuori e dentro. Per anni il tuo corpo lotterà con i vermi, l’umidità, la decomposizione fino a smettere di essere te.
SALVATORE: Si smette di essere se stessi quando si dà l’ultimo respiro.
MARIO: Siamo in un posto di merda! Se ne vuole rendere conto o no? Fuori e dentro!
SALVATORE: (illuminato) Anzi! Si smette di essere se stessi molto prima.
Pausa.
MARIO: (si asciuga le lacrime con le mani e la sua faccia diventa una maschera di terra) Non ci avevo pensato, prima.
SALVATORE: Marietto, fammi capire una cosa… Tu, dove vuoi stare? Qui sopra con i piedi sulla terra e la testa sotto il cielo o qua sotto tra radici, pietre e polvere?
MARIO: Ancora non lo so.
SALVATORE: E vedi di chiarirti, perché non c’è cosa peggiore che morire giovani e continuare a vivere.
MARIO: I giovani non sono quelli che parlano sempre della morte? È nella nostra natura parlarne, sa? Come i vecchi pensano sempre all’inizio. Vivono di ricordi.
SALVATORE: Non ci avevo pensato, prima.
MARIO: Ho paura dei posti chiusi.
SALVATORE: Ma sei ancora fuori.
Silenzio. Poi, in un crescendo di concitazione:
MARIO: Perché è qui?
SALVATORE: Cosa?
MARIO: Perché è qui?
SALVATORE: Voglio cambiare vita, ti basta?
MARIO: No. Anch’io.
SALVATORE: Devo pagare il mutuo altrimenti ci sfrattano!
MARIO: E io potrei perdere il negozio dei miei!
SALVATORE: Ho debiti di gioco!
MARIO: Sono un tossicodipendente!
SALVATORE: Mio figlio vuole tornare a camminare!
MARIO: Mio nipote vuole recuperare la vista!
SALVATORE: Sono malato! Sto morendo!
MARIO: Anch’io! Solo che io sono più giovane!
SALVATORE: Ma io ho vissuto poco!
MARIO: Mio padre ha bisogno di un fegato!
SALVATORE: E mia sorella ha un cancro ai polmoni!
Silenzio.
MARIO: Scava.
SALVATORE: Scavo. Mi chiamo Salvatore.
MARIO: Piacere, Salvatore. Adesso posso darti anch’io del tu?
SALVATORE: Solo se te la senti.
Scavano.
MARIO: (all’improvviso, alza lo sguardo e si ferma) La tv! Merda!
SALVATORE: Figurarsi se non veniva anche lei! Non muore mai,’sta tv!
Mario si gira di spalle ed esce dalla fossa. Va verso il fondo dello spazio. Salvatore non lo vede, sta osservando la troupe.
MARIO: Cosa fanno adesso?
SALVATORE: Stanno parlando con uno là in fondo. Fanno delle riprese.
Si sente la sveglia del custode. Dopo un po’ smette.
SALVATORE: Va’, come sorride il cretino del custode! Si lamenta che c’è troppo rumore per i morti, ma davanti alla tv si mette in mostra!
MARIO: Merda!
SALVATORE: (girandosi mentre scava) Che fai?
MARIO: (togliendo il foglietto dalla croce) Me ne vado. Basta! Merda!
SALVATORE: (prendendolo per il saio) Continua a scavare, cretino! Stai attento che ti può vedere quello là!
MARIO: Mollami, Salvatore. Continua a scavare.
SALVATORE: Perché te ne vuoi andare adesso? Sei a buon punto.
MARIO: Non ne vale la pena.
SALVATORE: Torna dentro!
MARIO: Sono stanco. Una possibilità in più per te, per tutti, no?
SALVATORE: (spingendolo dentro la fossa) Di cosa minchia parli? Tu stai qua!
MARIO: Mi vuoi lasciare andare o no? Non sei mio padre, Salvatore!
SALVATORE: (cambia tono e s’avvicina alla faccia di Mario) Non urlare che ci possono sentire… Cos’è? Sei un ladro, che non vuoi uscire in televisione?
MARIO: E mollami, che mi rompi il costume in affitto!
SALVATORE: Mettiti a scavare! Il custode può tornare!
MARIO: Lascia stare, Salvatore. Ogni cosa ha una fine. Non dovevo venire.
SALVATORE: (sottovoce) Tu non molli, hai capito? Non molli adesso. Facile, vero? Facile iniziare una cosa, e lasciare poi tutto a metà! Se sei nato con una pala in mano, dimostralo! Pensa a quello che entra qui dentro dai piedi! Usa la testa! Tu sei vivo! Tu sei forte e sano, cosa vuoi di più? Adesso porti a termine quello che hai iniziato! Anche se perdi, per Dio!
MARIO: (sottovoce) Ma di che cazzo parli?
GIORNALISTA: Buongiorno!
Mario velocemente riprende la pala in mano e rientra nella sua fossa, di schiena alla giornalista. Questa indossa una giacca bianca ed è giovane e bella; non deve risultare superficiale nel suo modo di fare, bensì ingenua. Al suo seguito, un cameraman – giovane anche lui – fa delle riprese al paesaggio. Salvatore e Mario, come al solito, continuano a scavare; oramai sono dentro fino alle ginocchia…
SALVATORE: Buongiorno.
GIORNALISTA: (indicando Mario) Ah, Ah, Ah! Farò finta di non aver visto che si è fermato. Non so come fate a resistere!
MARIO: (di schiena) I motivi ci sono.
SALVATORE: Scava.
MARIO: Scavo.
GIORNALISTA: (sincera) Lo so, lo so… Ma è tutto così… Arriviamo in un cattivo momento?
SALVATORE: I momenti cattivi sono solo quelli in solitudine. (A Mario) Qui si convive, si sta in compagnia, si discute!
GIORNALISTA: Eh sì, oggi si è dato vita a questo luogo.
SALVATORE: Come?
GIORNALISTA: Dico che oggi il cimitero è il luogo più vivo della città.
SALVATORE: Già! L’importante è che la morte ci colga vivi!
GIORNALISTA: (ridendo, al cameraman) Che simpatico, vero? (Guardandosi in giro) Stiamo facendo un servizio per il telegiornale di mezzogiorno e vorremmo farvi alcune domande sulla gara.
SALVATORE: E cosa volete sapere della gara, signorina? Si scava, non vede?
GIORNALISTA: Più che la gara, siamo qui per intervistare voi! Siete voi l’anima di questa gara! Vorremmo mostrare alla città, al paese intero chi sono i protagonisti di questa singolare iniziativa. (Al cameraman, a voce bassa) Riprendi quello lì che si è fermato. Così abbiamo qualche perdente nel montaggio. (Di nuovo ai due) Avete voglia?
SALVATORE: Bella giacca.
GIORNALISTA: Cosa? Ah, grazie.
SALVATORE: Non è proprio da cimitero, ma è una bella giacca.
GIORNALISTA: Lo so. Sono desolata. Anche il custode mi ha rimproverato. Che tipo! Dopo abbiamo un servizio per l’happy hour del mese e non facciamo in tempo a cambiarci. Con tutto questo lavoro!
SALVATORE: Scava.
MARIO: (tenendo d’occhio il cameraman) Scavo.
Silenzio. Si sente di nuovo la sveglia del custode che, evidentemente, sta per riprendere a lavorare da qualche altra parte.
GIORNALISTA: Avete voglia di rispondere a qualche domanda? Non vi ruberemo molto tempo; sappiamo che avete un bel da fare anche voi!
SALVATORE: Rispondo io se per lei non è un problema… Il ragazzo qui non si sente tanto bene.
GIORNALISTA: Sta male?
SALVATORE: Lei sa che il bianco in cimitero non porta bene?
GIORNALISTA: Immagino, ma come le ho detto /
SALVATORE: Dice la leggenda che una volta una donna vestita da sposa uscì di casa per raccogliere i fiori da portare con sé in chiesa, ma non trovava nulla di suo gradimento. La sua casa era vicina al cimitero e dopo un po’ che camminava vide un fiore bellissimo accanto ad una tomba.
GIORNALISTA: Capisco.
SALVATORE: Si guardò intorno e non vedendo nessuno, aprì il cancello ed entrò.
GIORNALISTA: E poi?
SALVATORE: E poi, nulla. Dice la leggenda che il marito ogni domenica tornava in chiesa per aspettarla, ma nessuno l’ha più vista. Nessuno l’ha più ritrovata. Da allora il bianco non si può portare in cimitero, per rispetto alla sposa perduta. I fiori bianchi, sì, quelli si possono portare.
GIORNALISTA: (schioccando le dita per richiamare l’attenzione del cameraman) La può raccontare di nuovo che la registriamo?
SALVATORE: La storia era per lei mica per la camera.
GIORNALISTA: Ah. Dunque lei /
SALVATORE: (emozionato) Sta registrando?
GIORNALISTA: Sì. Lei /
SALVATORE: (si sistema la corona in testa e sputa sulle mani per darsi una pulita in faccia) Io sono arrivato per primo, io. Ho fatto la notte fuori dai cancelli per entrare per primo, io. Sì, si, senz’altro sono stato il primo a entrare. Davanti a me non c’era nessuno, quindi sono stato il primo, io.
GIORNALISTA: Che bravo! Ah! (A Salvatore) La vedo, non si fermi, che la stiamo riprendendo! (Facendo la spiritosa) Questa potrebbe essere una delle prove della gara, sa? (Assumendo di nuovo un tono serio) Dunque, lei come gli altri non si può fermare, giusto?
SALVATORE: Giusto.
GIORNALISTA: Vedo che è già a buon punto. È stanco?
SALVATORE: È un lavoro difficile, ma qualcuno lo deve pur fare.
GIORNALISTA: Deve risparmiare però un po’ di fiato, perché chi vince deve suonare quel fischietto che avete tutti attaccato al collo, giusto?
SALVATORE: Sa tutto lei…
GIORNALISTA: Cosa pensa di questa singolare gara che ha indetto il Comune di questa città?
SALVATORE: Non saprei…
MARIO: Scava.
SALVATORE: Scavo.
GIORNALISTA: Insomma, sono tanti soldi in palio. Chi vince come minimo dovrà scappare per non farsi derubare! Diventerà di sicuro una persona famosa!
SALVATORE: Io non voglio scappare.
GIORNALISTA: Ogni cosa ha il suo lato negativo. Tanti di voi pensano che sia un’opportunità, altri un sacrilegio. Lei che posizione ha al riguardo?
SALVATORE: Ma… I nostri morti devono essere sepolti. Ci sono più morti che vivi in questa città e bisogna dare loro un luogo dove poter riposare eternamente. Può sembrare un po’ macabra l’idea della gara, di far scavare le fosse ai cittadini della città, ma io ho detto a mia moglie che era qualcosa che andava fatto. Per i morti.
GIORNALISTA: Quindi lei non è qui per vincere, per i soldi?
SALVATORE: Io ho fatto una promessa perciò devo vincere.
GIORNALISTA: Che promessa ha fatto?
SALVATORE: (guardando Mario) Non gliela posso dire.
GIORNALISTA: Mi faccia indovinare. Per sua figlia?
SALVATORE: (guardando Mario) Io non ho figli.
GIORNALISTA: Li faccia! È ancora giovane.
SALVATORE: Vorrei solo che /
GIORNALISTA: Mi faccia indovinare… Le vacanze di sua moglie?
SALVATORE: A mia moglie non piacciono le vacanze. I soldi non sono per me. Io ho fatto una promessa.
GIORNALISTA: Tutti sono qui per i soldi; chi per pagare il mutuo, chi per comprarsi una macchina, chi per andare in vacanza, ma lei è qui per una promessa.
SALVATORE: (serio) Sì. Una promessa.
GIORNALISTA: E il suo vicino di fossa? (Schioccando le dita per fare segnale al cameraman di inquadrarlo) Scava con forza il ragazzo!
SALVATORE: È nei guai e deve scavare più veloce degli altri.
GIORNALISTA: E perché?
SALVATORE: È… È indebitato con la mafia e non vuole uscire in televisione.
GIORNALISTA: (si gira secca, schiocca le dita e parla dritta in camera) Ecco un altro esempio di come la criminalità organizzata sia dappertutto. Signore e signori, come vedete questo è il decimo caso di questa mattina. Lui come gli altri si coprono il viso per proteggersi. Che tragedia! Che giorni difficili per questo paese! (Al cameraman) Taglia. (A Salvatore) Grazie del suo tempo.
SALVATORE: Uscirà in televisione tutto quello che ho detto?
GIORNALISTA: Be’ la storia della promessa, io un taglio lo terrei, ma non dipende da noi. Ci sono tante di queste iniziative in città ogni giorno. Con tutto questo lavoro! Arrivederci, allora.
SALVATORE: Senta… Giornalista!
GIORNALISTA: Mi dica… (Al cameraman) Fai un dettaglio dei numeri delle fosse.
SALVATORE: Io al posto suo darei più credito alle leggende la prossima volta, se ci sarà una prossima volta.
GIORNALISTA: Ah! Non si preoccupi, non mi perderò come la sposa.
SALVATORE: Ma la sposa non si era mica persa. Sono gli altri che non l’hanno più ritrovata. Ora la devo lasciare. (Mentre sta scavando) Sa, con tutto questo lavoro!
La giornalista e il cameraman escono.
MARIO: Sono lontani?
SALVATORE: Salvi!
MARIO: Ma perché cazzo hai detto così?
SALVATORE: Così come?
MARIO: Che avevo un debito con la mafia?
SALVATORE: Boh. Mi è venuto. Perché?
MARIO: Perché è vero.
Silenzio. Salvatore esce dalla propria fossa a fatica. Abbraccia fortemente Mario.
MARIO: Scava.
SALVATORE: (torna alla sua fossa) Scavo. (Si ferma, alza il saio e dal panciotto tira fuori una piccola bottiglietta di gin, come quelle che si trovano nel frigo-bar delle camere d’albergo) Bevi.
Mario beve.
Bevi ancora.
Mario beve ancora.
Non ne abbiamo avuti perché Adelaide non poteva averli. Sono nati morti i primi due, poi abbiamo smesso di provare. Li abbiamo sotterrati in giardino; un pero e un ciliegio sono diventati. Lei raccoglieva i frutti e faceva le marmellate. Bevo. (Dà un sorso) Parlava con i barattoli, Marietto. E poi l’abbiamo portata in una clinica… “Ma io so cosa ci vuole. Ti prometto che un giorno quando vai a prendere le ciliegie trovi un bambino sotto l’albero, Adelaide”… Bevo ancora (Beve. Pausa). Quanto può costarmi un bambino?
Silenzio.
MARIO: Scava.
SALVATORE: (tornando alla sua fossa) Scavo. Certo è che se quegli infami ti vedevano in tv, conciato così, magari ti lasciavano in pace. Scava.
MARIO: Scavo. Guarda! Salvatore, guarda, una conchiglia! Avevi ragione. Qui ci passava il mare.
SALVATORE: Che ti avevo detto… I pirati… Questo era un mare di pirati, si sente nella terra l’odore di rum…
MARIO: (dandogli corda) Forse troveremo qualcos’altro… È bellissima. (La pulisce, ci soffia dentro e vi appoggia l’orecchio) Senti?
SALVATORE: Scava.
MARIO: Senti!
SALVATORE: (prende la conchiglia e ascolta. La appoggia tra le fosse) Da me una cosa del genere non avrebbe funzionato.
MARIO: Da te, dove?
SALVATORE: Da me! Un piccolo paesino di pochi abitanti fuori mano. Il tipico posto che quando nevica la Protezione Civile si fa il segno della croce. Uno di quei luoghi dove ti puoi perdere per davvero. Ci passa il treno nel paese accanto, ma fa poche fermate: una al mattino e una alla sera per i lavoratori che vanno in città. (Rimane in silenzio un attimo. Interrompe Mario che sta per dire qualcosa) Da me non avrebbe funzionato.
MARIO: E perché mai?
SALVATORE: Uno da me non deve mai dire che ha bisogno, caso mai che sta investendo e che le difficoltà del paese ricadono su gente umile, come noi. Lamentele, parole, così, per dire due bestemmie due al bar, e basta. Se poi mangi pastasciutta anche la domenica, non lo sanno nemmeno i parenti. In paese c’è da aver paura di una cosa del genere.
MARIO: Tu sei qui.
SALVATORE: In città funziona tutto. Persino la felicità! Io sono solo un illuminato che sta al passo con i tempi.
MARIO: Te la tiri poco tu!
SALVATORE: Qui non mi conosce nessuno. Qui posso diventare tutto quello che vogliono! Anche vestito da penitente, che se mi vedesse mia madre… Tanto qui, domani al bar, chi mi conosce?
MARIO: Io.
SALVATORE: Tu sei giovane. Tu non sei nessuno.
MARIO: Grazie.
SALVATORE: No, ma per dire.
Scavano.
SALVATORE: Marietto.
MARIO: Cosa?
SALVATORE: Guarda.
MARIO: Cosa?
SALVATORE: Nessuno si guarda in faccia.
MARIO: Non c’è tempo.
SALVATORE: Invece è sbagliato. Vedi, guardando in faccia le persone si capiscono molte cose.
MARIO: Qui siamo tutti uguali: dei poveracci.
SALVATORE: Ci sono poveracci e poveracci. Mica siamo uguali, io e te.
MARIO: Affatto.
SALVATORE: Guarda quello lì. Ha male ad un fianco. Si vede. Ora si mette di nuovo la mano sul fianco. Eccolo. Vedi? Sta sudando acido. Fra poco tutta quella grinta, tutta quella fretta che ci sta mettendo rallenterà, avrà bisogno di fermarsi, di sedersi un attimo. Poi sarà lento per il dolore e dopo un po’ inizierà a parlare tra sé e sé, a darsi man forte da solo fino a bestemmiare. Alla fine piangerà e non sarà in grado di finire, tornerà a casa, più poveraccio di prima.
MARIO: Meglio. Uno in meno.
SALVATORE: Ecco un uomo a giornata.
MARIO: Cosa?
SALVATORE: Eh, sì. Quello lì è abituato ai lavori manuali, si vede. Deve essere un manovale, un muratore. Da me sono quelli che si mettono in piazza al mattino presto con gli immigrati ad aspettare il padrone. Quello lì vive alla giornata. Sotto la corona si vede la pelle dura. Canta, va lento ma inesorabile, metodico, preciso, forte. Però non arriverà alla fine.
MARIO: E perché?
SALVATORE: Perché ha la faccia da disgraziato.
MARIO: Come te.
SALVATORE: Quell’altro è giovane.
MARIO: Chi?
SALVATORE: Sembra più muscoloso di te. Ecco, quello lì ha la faccia di un campione. E sai perché?
MARIO: Per i muscoli?
SALVATORE: No. Ha la faccia di uno che non ha nulla da perdere.
MARIO: (si ferma e guarda il ragazzo) Ha sbagliato.
SALVATORE: Cosa?
MARIO: Si vede che è piccola. Poca terra fuori. Lo manderanno via.
SALVATORE: Quindi sarai tu il prescelto. Tu solo ce la farai, vero, Marietto?
MARIO: Non lo so, dimmelo tu.
SALVATORE: Le persone che abbiamo vicino sono quelle più difficili da decifrare.
MARIO: Invece sono quelle da cui ci si deve proteggere per primi.Le facce vicine sono quelle pericolose, non lo sapevi? Te per me hai la faccia di un fallito che è venuto qui semplicemente a passare il tempo. Di vincere in realtà non ti è mai fregato nulla veramente, per te è solo importante partecipare: avere qualcosa da raccontare al bar. E sai perché? Perché hai più paura di vincere che di perdere. Perché se vinci dovrai cambiare realmente, e a quella possibilità, te, non ci hai mai pensato. Lascia stare e torna a casa dal pero e dal ciliegio o almeno non rompere il cazzo a me con questa storia delle facce. Qui l’unica faccia diversa sarà quella di chi ce la farà, le altre saranno tutte uguali.
Salvatore si rimette al lavoro in silenzio.
MARIO: (pentito) Facciamo così: dimmi che tipo di faccia ho io e la chiudiamo qua.
SALVATORE: Quella di un ragazzo arrabbiato, ma ci sono tanti come te. Arrabbiati, scontenti e senza un’idea una. Ecco, cosa sei tu. Tu non vincerai, mettitelo in testa, imbecille.
Scavano in silenzio. Con forza. Sono dentro le fosse oltre la cintura.
Entra il custode del cimitero, seguito dall’uomo senza corona in testa. L’uomo, in mutande e con il costume da penitente in mano, piange disperato.
CUSTODE: (all’uomo) Questi sono lavoratori, vedi? Guardali! In silenzio, al lavoro, concentrati! Si danno man forte l’uno con l’altro…
UOMO: Salve…
MARIO: Dove lo porta?
CUSTODE: Fuori. Oltre a perdere la corona si era tolto anche il costume. Non c’è più rispetto! Eppure è tutto scritto nel regolamento! Non si può fare di testa propria.
Salvatore e Mario, mentre scavano, osservano il custode portare via l’uomo.
MARIO: Si vedeva fin dall’inizio che quell’uomo era un imbecille… Perdere in quel modo.
SALVATORE: (al custode, fermandolo) Se è per questo anche questo qui si è tolto la corona, un paio di volte.
CUSTODE: (torna indietro come se avesse trovato un tesoro) Davvero? E come mai? Lo sa che è proibito?
MARIO: (a Salvatore) Ma cosa stai dicendo?
SALVATORE: (al custode) Sì, sì. Proprio così.
CUSTODE: Venga con me, ragazzo.
MARIO: Io non ho tolto nulla. Non è vero!
CUSTODE: Meno storie. Fuori!
MARIO: (ha un’idea) Va bene, è vero. L’ho tolta, è vero!
CUSTODE: (allegro) Confessa!
MARIO: È vero, sì. Vede? (Si dà un colpo alla corona che si spegne) È un po’ messa male e quando ho visto che si era spenta l’ho tolta per sistemarla. (La toglie, la sistema e se la rimette in testa) C’è scritto che si può, nel caso che /
UOMO: Vale anche per il costume?
CUSTODE: (deluso) No! Mica si spegne il costume! (A Mario) Poi torno e controllo ’sta regola della corona.
UOMO: (si butta in ginocchio, disperato) La prego, per Dio! La supplico! Non ho altro nella vita che questo! La prego!
SALVATORE: (al custode) Non può chiudere un occhio?
CUSTODE: Come scusi?
SALVATORE: Adesso il signore si rimette il costume, la corona e via! Tutto come prima! A lei cosa importa? Chiuda un occhio…
CUSTODE: Mi pagano per chiudere i cancelli, non gli occhi! È il mio lavoro.
SALVATORE: E questo le fa onore. Ci pensi un attimo. In fondo, siamo degli esseri umani e ogni tanto si sbaglia. (All’uomo che piange) Non l’ha fatto apposta, vero?
CUSTODE: Il regolamento è uguale per tutti. Mica è il primo da che è iniziata la gara. Ne ho portati fuori dal cancello almeno una decina.
UOMO: Mio padre è malato! Partecipavo con la speranza di potergli pagare le cure.
SALVATORE: Si metta una mano sul cuore!
CUSTODE: È la terza volta oggi che sento questa storia! Non si metta di mezzo anche lei, a ogni fossa la stessa storia. Se ritardo ancora arriva il funerale di oggi e non faccio in tempo ad avvisare la famiglia del casino che troveranno!
SALVATORE: (all’uomo, fermando di nuovo l’uscita del custode) Lei mente?
UOMO: No! Mio padre è veramente malato. È l’unica cosa che ho!
CUSTODE: (all’uomo, con imbarazzo) Lei rappresenta quella parte della catena arrugginita, la breccia nel muro, il dettaglio venuto male nel quadro, la goccia che colma il bicchiere, il sintomo finale di una malattia che non vediamo, ma c’è! Si trovi un lavoro serio!
UOMO: Lei non ha cuore…
CUSTODE: (a disagio) Con voi non mi serve.
SALVATORE: (minacciandolo con la pala) Lei è credente?
MARIO: Salvatore /
CUSTODE: (tirando fuori dalla tasca un fazzoletto per asciugarsi la fronte) Non si fermi o porto via anche lei! Io sono un uomo di Dio.
SALVATORE: (minacciandolo con la pala) Allora non ami il suo prossimo come ama se stesso che è meglio.
MARIO: Scava…
CUSTODE: (quasi svenendo) Io… Io faccio del bene a punire quest’uomo… Nel dolore capirà qual è la retta via…
SALVATORE: (all’uomo) Lei, non stia lì impalato, gli dia una mano a sedersi. Verremmo noi a dare una mano, ma sa: dobbiamo continuare a scavare.
MARIO: A ognuno il suo calvario.
L’uomo aiuta il custode a sedersi. Gli altri scavano, mentre il custode si riprende.
CUSTODE: (prendendo una bottiglia d’acqua dalla sua borsa) Ora mi passa. È la pressione. Bevo un po’ d’acqua e mi passa. Normalmente non ho tutto questo da fare al cimitero. E poi lei mi ha spaventato con la pala, sembrava l’Arcangelo Gabriele… Voi continuate a scavare che io /
SALVATORE: Stia zitto ora. (All’uomo) Sbottonagli la giacca così respira meglio. (Al custode, che segue il suo consiglio) Si slacci anche i primi bottoni del pantalone, così vedrà che respira meglio.
UOMO: (in piedi sopra il custode, lo aiuta a sbottonarsi anche il pantalone) Mi fa tornare nella mia fossa?
SALVATORE: (all’uomo) Non adesso. Aspetti un attimo.
CUSTODE: Grazie, grazie. Ora mi riprendo. Passa subito, sapete?
Davanti a loro vedono passare la processione del giovane morto.
MARIO: Salvatore… Guarda!
SALVATORE: (avvisando il custode e l’uomo che non hanno visto) Signori!
Salvatore e Mario si mettono dritti. Smettono di scavare.
CUSTODE: (debole) Scavate.
MARIO: Anche adesso?
SALVATORE: Marietto, tu scava.
L’uomo si copre con il costume da penitente. Il custode si alza in fretta, nascondendo la fatica; ha la giacca aperta e i pantaloni gli cadono giù. Con imbarazzo li tira su.
SALVATORE: Allora, Marietto, tu dove vuoi stare?
MARIO: Con la testa sotto il cielo e i piedi sopra la terra.
CUSTODE: (ai passanti) Salve… Il mio più profondo cordoglio…
UOMO: (a Salvatore, approfittando che il custode non lo sente) Oh, grazie per prima…
MARIO: Sì, grazie per prima.
SALVATORE: Di nulla.
UOMO: Forse me la cavo!
SALVATORE: Mi dispiace per suo padre.
UOMO: Quello sta guardando il derby al bar! Quello lì viene al mio funerale, glielo dico io!
CUSTODE: (ai passanti) Mi dispiace del casino che avete trovato oggi. C’è una gara in corso indetta dal Comune… Io avevo suggerito di sospendere le funzioni ma… (Improvvisamente, suona di nuovo la sua sveglia. Imbarazzato, si dà dei pugni sulla tasca dov’è riposta) Scusate… È la mia sveglia per le pause. Chi fa una pausa ogni… Scusatemi tanto… Le mie più sincere condoglianze. In un batter d’occhio sono da voi. Salve… (Passata la processione, s’abbottona giacca e pantalone. Si rivolge a Salvatore e Mario dandosi un tono) Grazie signori per l’aiuto… Ora mi sento meglio… Che casino! (Andando via) Vogliano scusarci.
SALVATORE: Prego e mi scusi per prima… A volte il cuore inganna la testa.
CUSTODE: Per questo esistono le regole.
UOMO: E io? Mi lasci tornare nella mia fossa, per favore…
CUSTODE: Dio provvederà a te come provvede a tutte le sue creature. Cammina!
SALVATORE: (all’uomo) Mi saluti suo padre.
UOMO: (al custode, disperato come prima) La prego! La prego! Mi lasci qui! Mi lasci al cimitero!
Silenzio. Dentro le loro fosse, i due fanno sempre più fatica a scavare, a tirare fuori la terra.
Tramonta.
MARIO: Avevo /
SALVATORE: Avevi ragione. Era un imbecille quello lì.
MARIO: Avevo la febbre quando la mia squadra di calcio ha vinto la finale. Ero a cena dai miei zii quando la mia ragazza mi fece le corna con uno del quartiere accanto. Arrivo nei posti che il bello è appena, appena finito. Quando faccio la spesa, le offerte non ci sono. Se esco senza ombrello piove e quando lo porto dietro c’è sempre il sole. Al ristorante mi servono sempre per ultimo. Se uno mi chiede di cosa ho voglia non so rispondere per tempo. Sono allergico a tutto quello che porta con sé la primavera; se c’è un verme dentro la ciliegia, quella tocca a me. Mi manca sempre tanto così, per fare, dire o essere qualcosa. Sono sfortunato o meglio, quello che si dice uno sfigato. Io so far bene solo una cosa: uccidere la gente.
SALVATORE: Non c’è mica da vergognarsi, Marietto. La gente deve morire e qualcuno deve morire ucciso.
I numeri 32 e 33 s’accendono sulle croci all’improvviso. Inizia a calare il buio. Salvatore e Mario proseguono a scavare in silenzio. Vediamo soltanto le loro teste che, illuminate dalle corone malconce, man mano scendono.
Entra il custode con un cesto di lumini accesi. Ne depone uno sotto ogni croce.
SALVATORE: Custode? Custode?
CUSTODE: Che c’è?
SALVATORE: Ha vinto qualcuno?
CUSTODE: Ha sentito la sirena?
SALVATORE: No.
CUSTODE: Allora non ha vinto nessuno.
SALVATORE: Fanno male le ossa.
CUSTODE: Avete scelto voi di scavare.
MARIO: C’è chi sta sopra e chi sta sotto.
CUSTODE: Proprio così, ragazzo. (S’avvicina alle fosse) Non vi manca molto.
SALVATORE: Gli ultimi metri prima della meta sono i più difficili. Chi è che diceva così?
MARIO: Di sicuro un maratoneta.
CUSTODE: Vado a chiudere i cancelli.
SALVATORE: Chiudere?
CUSTODE: A quest’ora i cancelli vanno chiusi.
MARIO: Avete paura che i morti scappino?
CUSTODE: No, che entrino i vivi. (Esce)
Dalle fosse vediamo uscire della terra.
SALVATORE: Marietto, ma poi come usciamo da qui?
MARIO: Vincendo.
SALVATORE: Scavo.
MARIO: Scava.
Entra il cameraman concitato.
CAMERAMAN: Ciao! C’è qualcuno?
SALVATORE: Quello che rimane di noi.
CAMERAMAN: Avete visto la signorina di prima con la giacca bianca?
SALVATORE: Non la trova?
CAMERAMAN: No. Si è persa.
SALVATORE: E come sa che si è persa?
CAMERAMAN: Perché non la trovo.
SALVATORE: E chi gli ha detto a lei che la signorina si sia persa?
CAMERAMAN: Nessuno, ma non la trovo. Anche il custode ha detto che non l’ha vista da nessuna parte.
SALVATORE: Il fatto che lei non la trovi, non significa che si sia persa.
MARIO: Scava.
SALVATORE: Scavo.
CAMERAMAN: (si siede tra le due fosse, da dove continua ad uscir terra. Prende la conchiglia in mano e la porta ad un orecchio) Forse non si è persa.
SALVATORE: Forse è lei che non la trova.
CAMERAMAN: Se la vedete, le dite che la sto aspettando fuori dai cancelli?
SALVATORE: Se la vediamo.
MARIO: Scava.
SALVATORE: Scavo.
CAMERAMAN: (uscendo) Buona fortuna.
SALVATORE: (fermandolo) Ha fatto delle belle riprese?
CAMERAMAN: Spero di sì. Ancora non le ho viste.
SALVATORE: Quanti di noi?
CAMERAMAN: Cosa?
SALVATORE: Quanti di noi sono dentro la sua cinepresa?
CAMERAMAN: Non lo so…
SALVATORE: Tutti?
CAMERAMAN: Molti.
SALVATORE: Non butti via niente.
CAMERAMAN: … (Sta per andarsene) Mi scusi, ma perché?
SALVATORE: Stavo pensando che forse la televisione è un modo come un altro per non morire. C’è chi scrive un libro, chi pianta un albero, chi fa un figlio e chi esce in televisione.
MARIO: Scava.
SALVATORE: Scavo.
CAMERAMAN: Già.
MARIO: Si dia una mossa ad uscire, il custode è andato a chiudere i cancelli.
CAMERAMAN: Sì… Arrivederci. (Esce)
Ancora terra dalle fosse. Poi più niente. Oramai vediamo soltanto la luce delle corone fare delle ombre. Dalla fossa di Mario salta fuori la pala. Stessa cosa, poco dopo, da quella di Salvatore.
SALVATORE: Sei pronto?
MARIO: Sì.
SALVATORE: Fischia.
MARIO: Fischio.
È un rumore di fischi forte e allegro, mescolato alle loro urla e risate: hanno finito di scavare, hanno vinto.
Tra un fischio e l’altro, si sentono le loro voci dire: “Abbiamo vinto!”.
Passa di corsa la giornalista con la giacca bianca. Ha lo sguardo perso, sembra chiamare qualcuno, però nessuno la sente a causa dei fischi che cessano quando lei esce.
SALVATORE: E ora?
MARIO: Non lo so.
SALVATORE: Fischiamo ancora.
MARIO: Sì.
Fischiano nuovamente. Si uniscono i fischi anche degli altri partecipanti: i due smettono di fischiare e li sentono.
SALVATORE: Li senti?
MARIO: Sì. Devono essere almeno in mille!
SALVATORE: Non siamo soli!
MARIO: Per niente. Non siamo mai stati soli.
SALVATORE: Merda! Ma come è possibile che abbiamo vinto tutti? Fischia, Marietto! Fischia!
Fischiano. Dopo poco si fermano. Risuona la sirena da fabbrica anni ’70.
MARIO: La sirena!
SALVATORE: Non possiamo vincere tutti! Non è possibile! Le regole della gara erano ben chiare: il primo che finisce di scavare la propria fossa, suona il fischietto e via, è fatta!
MARIO: Se finiamo tutti insieme? Cosa succede?
SALVATORE: Ci deve essere un solo vincitore. Un solo numero uno. Primo, secondo e terzo. Il numero uno è il numero uno ed è uno solo fatto di uno, non un numero uno fatto di tanti messi insieme. Il secondo e il terzo non esistono! Sono stati inventati per dare un contentino a chi per un pelo ci è andato vicino!
I fischi degli altri scemano lentamente fino al silenzio assoluto. Dopo un po’ vediamo la testa di Mario apparire e sparire dalla fossa. Sta cercando di uscire. S’aggrappa ma cade dentro la fossa ogni volta.
MARIO: Aiutami ad uscire.
SALVATORE: Dove vuoi andare?
MARIO: A cercare il custode.
SALVATORE: Bravo! Questa non è una gara onesta!
MARIO: Aiutami ad uscire, però.
SALVATORE: E come?
MARIO: Dammi la mano.
Entrambi tirano fuori le mani e cercano di toccarsi, mancandosi per poco; non ci arrivano. Mario cerca in tutti i modi di uscire ma non ce la fa.
SALVATORE: Marietto, io sono troppo stanco. Non ci provo neanche.
MARIO: Non si sente più nessuno. Cosa staranno facendo?
SALVATORE: Qualcuno riuscirà a uscire. Qualcuno ci tirerà fuori, no?
MARIO: Non ci riesco…
SALVATORE: Come era la tua faccia?
MARIO: Cosa?
SALVATORE: Non ricordo come era fatta la tua faccia. Ma come è possibile? Ci siamo visti oggi per tutto il giorno… Io ti ho guardato bene… Io le guardo sempre le facce della gente. Aspetta… Dammi un attimo… No, non me la ricordo la tua faccia.
MARIO: Peccato perché era una bella faccia.
SALVATORE: Non me la ricordo.
MARIO: Io però mi ricordo la tua.
SALVATORE: Davvero? Come era la mia faccia? Ero bello anch’io?
MARIO: No. Ma era una faccia furba.
SALVATORE: Preferivo essere bello.
MARIO: Due occhi piccoli come gli occhi di un’aquila e una bocca elastica.
SALVATORE: Elastica…
MARIO: Non stava mai ferma! E il naso grande, enorme come la fronte.
SALVATORE: Respiro…
MARIO: Respira… Mi vedi ora?
SALVATORE: Non ricordo la tua faccia, Marietto. Non la ricordo. (Pausa) Cosa fai?
MARIO: (dalla sua fossa esce della terra) Scavo.
SALVATORE: Cosa?
MARIO: Scavo.
SALVATORE: Senza pala?
MARIO: Senza pala.
SALVATORE: Hai perso la testa?
MARIO: E la faccia, Salvatore!
SALVATORE: Dove vai?
MARIO: Che ne so! Magari, stiamo andando al centro della terra. Magari abbiamo vinto tutti! Lo senti questo silenzio? Come diceva il custode: alla fine c’è il silenzio.
SALVATORE: Fa paura.
MARIO: No! È la cosa più bella che ci sia mai potuta accadere! Nessuno può uscire dalla propria fossa e chi ce la farà troverà i cancelli chiusi! Io scavo, Salvatore, scavo. Vado via dall’altra parte. Il cielo può pure aspettarmi, io vado al centro della terra! Al caldo!
SALVATORE: (dopo un po’, dalla sua fossa inizia a uscire della terra) Vengo con te!
MARIO: Ci vediamo dall’altra parte.
SALVATORE: Ci vediamo dall’altra parte, Marietto.
Dalle fosse esce della terra.
La luna è nell’orizzonte.
Fine