A CHE SERVONO LE FORMICHE?
Commedia in due atti di Fabio Bertarelli
Personaggi:
RITA madre di Michele e di Stefano
MICHELE bambino di cinque-sei anni
STEFANO scolaro
CARLO fidanzato di Gianna
GIANNA fidanzata di Carlo
Un maestro di scuola
PIERO, LUISA, GRAZIA e altri scolari e scolare
Un imprenditore
Un operaio
Un tipo losco
Un barista
Nel secondo atto l'imprenditore e l'operaio sono
rispettivamente il tipo losco ed il barista.
A T T O P R I M O
La scena rappresenta uno spiazzo erboso ai margini di un boschetto. A sinistra c'è una panchina costituita da una tavola di legno grezzo appoggiata sopra due pietre. Sullo sfondo si intravedono, oltre gli alberi, diversi palazzoni di un nuovo quartiere alcuni dei quali ancora in costruzione.
All'apertura del sipario la signora Rita, di circa trentacinque anni, legge un libro seduta sulla panchina ed il suo figlioletto di cinque-sei anni giocherella nello spiazzo.
MICHELE - Mamma.
RITA - (alzando gli occhi dal libro) Sì, amore.
MICHELE - Vieni a vedere.
RITA - Cosa?
MICHELE - Le formiche.
RITA - (appoggia il libro sulla panchina e si avvicina al figlio) Quante ce ne sono...
MICHELE - Camminano in fila indiana. Una fila va verso quell'albero e un'altra in quel buco.
RITA - Quel buco è il formicaio: la casa delle formiche.
MICHELE - Sembra il cratere di un vulcano.
RITA - E' la terra che hanno portato fuori scavando la loro casa.
MICHELE - Ora chiudo il buco con un sasso.
RITA - Se un gigante mettesse una grossa pietra davanti alla porta della nostra casa così da non farci più entrare, saresti contento?
MICHELE - Io no.
RITA - Allora anche le formichine ne sarebbero dispiaciute. Te la senti di far loro del male?
MICHELE - (anche facendo segno con il capo) No.
RITA - Così si comportano i bambini bravi. Impara a rispettare fin d'ora gli animali e la natura in genere perché sono essenziali per la nostra stessa esistenza.
MICHELE - Mamma, a che servono le formiche?
RITA - Prova ad osservarle. Che stanno facendo?
MICHELE - Trasportano i semini nella loro casa.
RITA - Bravo. Stanno infatti trasportando nel formicaio le provviste per l'inverno. Quando sarà freddo e la natura coperta di neve non offrirà più cibo, esse avranno da mangiare e potranno sopravvivere fino alla successiva buona stagione. Le formiche servono quindi anche per insegnarci una cosa.
MICHELE - A fare le provviste?
RITA - Ad essere previdenti. I bambini bravi, infatti, fanno come le formichine: vanno a scuola e studiano per imparare tante cose che serviranno loro quando saranno grandi.
MICHELE - A settembre andrò a scuola anch'io.
RITA - Sì, amore. Imparerai a leggere, a scrivere e tante, tante altre cose. Saranno le provviste che ti serviranno un domani.
MICHELE - (perplesso) Mamma, a che servono gli animali cattivi?
RITA - Non ci sono animali cattivi.
MICHELE - C'è, c'è... C'è il lupo.
RITA - Gli animali ubbidiscono al loro istinto. E' solo la fame che li porta a volte ad attaccare anche l'uomo.
MICHELE - Il lupo mangia i bambini.
RITA - Il lupo non mangia nessun bambino, ma piccoli animali...
MICHELE - Mamma, cos'è quell'animale laggiù, su quell'albero.
RITA - Quale?
MICHELE - (indicando con il dito) Laggiù, quello che sta saltando su quell'albero. Cos'è una scimmia?
RITA - E' uno scoiattolo!
MICHELE - Uno scoiattolo?
RITA - Sì, uno scoiattolo.
MICHELE - Come è bello! Andiamo ad acchiapparlo?
RITA - Non si fa mica prendere. Se ci avviciniamo scappa.
MICHELE - Perché scappa? Io lo voglio solo accarezzare.
RITA - Come fa a sapere che non gli vuoi fare del male? Per prudenza, scappa.
MICHELE - Ma io sono un bambino buono.
RITA - Lui non lo può sapere. Spesso, anzi, sono proprio i bambini ad essere crudeli con gli animali.
MICHELE - Sì, sì è vero! Un giorno alcuni ragazzacci sono andati nel bosco a distruggere i nidi degli uccellini.
RITA - Capisci allora perché lo scoiattolo scappa?
MICHELE - Mamma, mi compri allora uno scoiattolo nel negozio degli animali?
RITA - Gli animali non sono dei giocattoli anche se noi spesso li costringiamo ad esserlo.
MICHELE - Me lo compri?
RITA - No, Michelino. Ora ti spiego perché: Quando ero poco più grande di te, ottenni dai miei genitori come premio per la promozione, un cagnolino. Avevamo dietro casa un piccolo giardino e lo tenevo lì. Finché fu piccolino le mie carezze gli bastavano per essere felice, ma una volta adulto, rimaneva accucciato per giorni interi in un angolo del giardino con lo sguardo spento e l'espressione triste. Spesso rifiutava perfino il cibo. Volevo tanto lasciarlo libero, ma non ebbi il coraggio di abbandonarlo in qualche posto perché, non abituato alla libertà, avrebbe fatto una brutta fine. La sua morte fu sicuramente una liberazione per entrambi.
MICHELE - Non lo portavi mai fuori a passeggio?
RITA - Sì, per l'ora d'aria, come i carcerati. La sua colpa era stata quella di crescere. Il giardino gli era diventato stretto. Gli animali dovrebbero rimanere sempre cuccioli, come gli uomini del resto.
MICHELE - Di che colore era?
RITA - Marrone dorato finché fu giovane, poi con il passare degli anni il pelo sul dorso gli si sbiancò.
Entra il maestro di scuola con un gruppo di scolari e scolare. Questi hanno ciascuno un alberello in mano da mettere a dimora.
MAESTRO - Buongiorno, signora. Ciao, Michele.
RITA - Buongiorno signor maestro. (A Michele) Saluta il signor maestro.
MICHELE - Ciao.
RITA - Non si dice ciao al signor maestro. Si dice buongiorno.
MICHELE - (ripete educatamente) Buongiorno!
STEFANO - (è uno scolaro del maestro) Ciao, mamma. Ciao, Michele.
RITA e MICHELE - Ciao Stefano.
RITA - Ha fatto bene, maestro, con una giornata come questa, a condurre fuori i ragazzi.
MAESTRO - E' bene che imparino a leggere il libro più istruttivo che esista: il libro della natura.
MICHELE - Mamma, mi porti a vedere i pesciolini giù nello stagno?
RITA - Ti piacciono, vero, i pesciolini? Basta però che non facciamo troppo tardi. Devo preparare il pranzo.
MICHELE - Voglio vedere come fanno a respirare sott'acqua. Io ci ho provato nella vasca da bagno, ma ogni volta che dovevo respirare ero costretto a tirare fuori la testa.
RITA - Loro sono stati creati per vivere sott'acqua mentre noi per vivere nell'aria.
MAESTRO - Quando il prossimo anno verrai a scuola ti insegnerò come fanno i pesci a respirare sott'acqua, oltre naturalmente a tante altre cose interessanti.
La madre ed il bambino dopo i saluti si avviano per un sentiero attraverso il boschetto. Il maestro si porta verso il centro della scena attorniato dai suoi scolari.
MAESTRO - bambini, venite qui, svelti. (Gli scolari si dispongono in semicerchio intorno al maestro) Dovete sapere che la società moderna adora un unico dio: il denaro. L'uomo si è convertito senza troppi scrupoli ed ha sacrificato e sacrifica sull'ara di questo feticcio gli alberi, molte specie animali, l'aria, le acque, mettendo in pericolo la sua stessa sopravvivenza. In cambio riceve i mezzi per soddisfare i suoi bisogni primari e soprattutto quelli voluttuari. All'appagamento del corpo è però corrisposto un vuoto dello spirito che ha portato l'uomo all'abbrutimento morale. Questa cerimonia di oggi, modesta nella forma, ma carica di significato, ha lo scopo di insegnarci ad amare la natura che, generosa nel fornire i beni materiali, è soprattutto ricca di beni spirituali che l'uomo non ha saputo sempre apprezzare. Speriamo che non sia troppo tardi per salvarla dalla distruzione. E' con questo spirito che procediamo alla messa a dimora di questi alberelli. (Gli scolari interrano gli alberelli mentre uno di loro versa un po' d'acqua su ogni pianticella)
(Guarda l'orologio) Ora fate la ricreazione. Segnalerò il termine con il fischietto.
PIERO - Guardate un po' cosa ho portato. (Mostra orgoglioso un bel pallone di cuoio) Me lo hanno regalato i miei genitori per il compleanno.
STEFANO - Allora facciamo una partitina?
PIERO - Qui, però, non c'è spazio sufficiente.
STEFANO - (al maestro) Ci dà il permesso, signor maestro, di andare nel campetto qua vicino a giocare a pallone?
MAESTRO - Avrei preferito che vi foste soffermati un po' ad ascoltare le voci e ad osservare le meraviglie della natura, ma è il momento della ricreazione, pertanto... Non andate però oltre il campetto e appena sentite il fischio venite subito qui.
STEFANO - Sì, grazie, signor maestro. Forza ragazzi, andiamo.
I ragazzi con chiassosa allegria escono da sinistra. Il rumore delle loro voci si perde poco dopo. Il maestro prende un libro dalla tasca, si mette a leggere avviandosi per il boschetto. Le scolare si mettono a giocare al salto della corda e a campana.
LUISA - Sapete che dietro quegli alberi sono sbocciati gli anemoni? C'è anche laggiù un dosso tutto coperto di violette e margherite.
GRAZIA - Davvero?
LUISA - Ho visto delle macchie di colore dalla finestra di casa mia.
GRAZIA - Perché non andiamo a coglierle?
LUISA - Non abbiamo però chiesto il permesso al maestro di andare laggiù.
GRAZIA - Il maestro è andato da quella parte. Eccolo là. Andiamo a chiederglielo.
TUTTE - Sì, andiamo.
Le scolare escono di corsa con un vociare gioioso. Da destra entrano due fidanzatini con i libri della scuola sotto il braccio, mano nella mano, che vanno a sedersi sulla panchina.
GIANNA - (una volta ritornato il silenzio) Ascolta, Carlo... senti gli uccellini?
Si sente il cinguettio degli uccelli.
CARLO - Sì, lo sento.
GIANNA - Che melodia meravigliosa.
I due ascoltano in silenzio scambiandosi teneri sguardi d'amore.
GIANNA - A che pensi?
CARLO - A niente.
GIANNA - Hai rimorso di aver marinato la scuola?
CARLO - No, io sto bene così senza pensare a niente.
GIANNA - Allora senza pensare, chiudi gli occhi e ascolta in silenzio.
CARLO - Non voglio chiudere gli occhi, mi piace anche osservare. Che ricamo formano quelle foglioline nuove contro l'azzurro del cielo. E che colori meravigliosi...
GIANNA - Non avevi mai notato queste cose prima d'ora? Sei così assorto...
CARLO - Forse bisogna amare per avere gli occhi in grado di vedere le cose belle del creato.
GIANNA - Guarda quanto è alto quell'albero. Quanti anni avrà?
CARLO - Forse più di cento anni. Pensa come sarebbe bello costruire la nostra casetta lassù. Aprire al mattino le finestre e vedere il sole che nasce, la natura che si risveglia ogni giorno e fischiettare in sintonia con gli uccellini.
GIANNA - Peccato che è solo un bel sogno perché non è più possibile tagliare con la civiltà.
CARLO - Bisognerebbe avere questo coraggio per ritrovare quei valori che potrebbero darci la vera felicità.
GIANNA - La poesia del tramonto, lo sbocciare di un fiore, chissà se riuscirebbero a renderci felici?
CARLO - Insieme la sera in faccia alla luna e riempirci d'amore...
Il ragazzo si alza, raccoglie un mazzetto di fiori che porge alla ragazza. Appoggia un ginocchio a terra, prende le mani della fidanzata, le porta alla bocca e le sfiora con un bacio.
CARLO - (le sussurra) Ti amo.
Le luci ed alcuni effetti scenici creano una atmosfera trasognata. Sulle note del "Prelude à l'après midi d'un faune" di Debussy ragazzi vestiti da fauni e ragazze da ninfe intrecciano una danza in cui coinvolgono anche i fidanzati. Questi ultimi, nel finale, riprendono la loro posizione iniziale nella panchina, mentre i ballerini alle ultime del brano escono dalla scena.
L'illuminazione ritorna normale.
GIANNA - Sai, Carlo? Un senso di dolce abbandono mi ha pervasa tutta, che sia questa la felicità?
CARLO - Anch'io ho provato una sensazione meravigliosa. Come una musica che rendeva il mio corpo leggero e lo faceva danzare.
I fidanzati, mano nella mano, escono pian piano dalla scena. Dal bosco ritornano la madre il bambino.
MICHELE - Perché quel pesce grosso faceva tanto il prepotente con quelli piccoli?
RITA - Forse anche tra i pesci esiste una certa gerarchia.
MICHELE - Che cos'è la gerarchia?
RITA - E' l'obbedienza che il più piccolo deve al più grande, il figlio ai genitori, lo scolaro al maestro.
MICHELE - Quel pesce grosso era il padre di quelli piccoli che si scostavano al suo passaggio?
RITA - Può darsi.
Rientra il maestro assorto nella lettura del libro che tiene con le mani a leggio. Alla vista della signora chiude il libro tenendo l'indice tra le pagine per mantenere il segno.
MAESTRO - (alla signora) La passeggiatina per il boschetto mi ha fatto proprio bene. Questa mattina avevo le gambe che non volevano saperne di camminare.
MICHELE - Mamma, ho fame.
RITA - Anche a te, allora, la passeggiata per il boschetto ha fatto bene. Quest'aria salubre così carica di ossigeno è la migliore cura ricostituente.
MAESTRO - E' un vero peccato fischiare la fine della ricreazione. I ragazzi stanno divertendosi un mondo.
RITA - Beh, conceda loro altri cinque minuti. Quando i ragazzi saranno fisicamente ritemprati renderanno di più nello studio.
Entra un operaio in abiti da lavoro con alcune tavole in spalla e la cassetta degli attrezzi in mano. posa tutto per terra e dalla cassetta degli attrezzi prende un metro a fettuccia e si mette a misurare il terreno.
MAESTRO - Scusi, perché sta misurando questo terreno?
OPERAIO - Devo recintarlo.
MAESTRO - Lo deve recintare?
OPERAIO - Sì.
MAESTRO - Perché?
OPERAIO - Su questo terreno sorgerà il nuovo centro direzionale del quartiere.
MAESTRO - Ma lei sta scherzando!
OPERAIO - No, perché dovrei scherzare?
MAESTRO - Questo terreno è il polmone del quartiere. Guardi quei ragazzi là che stanno giocando. Che ne sarà di loro?
OPERAIO - Io non c'entro. Se la prenda con chi ha rilasciato la licenza di costruzione.
RITA - Io sono la madre di questo bambino e di quello che sta ora calciando il pallone. Non permetterò che si costruisca questo centro direzionale sulle spalle dei miei figli.
OPERAIO - Mi dispiace per voi, ma non potete farci più niente.
RITA - Lo dice lei. Tanto per cominciare io non le permetterò di piantare nemmeno un chiodo.
OPERAIO - Scherza? Vuol farmi licenziare?
MAESTRO - Lei è d'accordo con questo scempio?
OPERAIO - Che volete da me? Io sono solo un povero operaio che compie il suo dovere.
MAESTRO - Da piccino venivo a giocare in questo boschetto e quegli alberi là già c'erano. Fra quei due avevamo legato una corda per farci l'altalena. Non posso rimanere indifferente di fronte ad una decisione così grave.
OPERAIO - Ormai vi conviene rassegnarvi. Fra qualche giorno nemmeno ci penserete più. Il mondo cammina...
RITA - Ma scusi, lei da che parte sta?
OPERAIO - La costruzione di questo centro direzionale del quartiere darà lavoro a tutta una serie di aziende e a centinaia di operai. Io ho il lavoro assicurato per un paio di anni. Questo significa il pane per la mia famiglia.
MAESTRO - Questa è una economia di rapina propria delle civiltà primitive. Si dovrebbero creare occasioni di lavoro nel rispetto della natura. Così solo si potrebbe parlare di civiltà. Senza contare poi che la natura in qualche modo si vendica.
OPERAIO - Eh! Queste sono solo belle parole. Purtroppo occorrono fatti o più precisamente occorrono soldi. In vista di questo lavoro ho firmato un buon numero di cambiali per l'acquisto dell'automobile. Se mandiamo a monte questo lavoro per via di due alberi, le cambiali me le paga lei?
MAESTRO - L'automobile... Puah! La vita oggi pulsa non più sulla base dei ritmi biologici, ma sul ciclo del motore a scoppio.
OPERAIO - Ma, che volete, la famiglia ha oggi tante esigenze che debbono essere soddisfatte. Non si vive più aspettando il frutto maturo che ti cade in bocca e la provvidenza che fa crescere i figli. Io non ho beni al sole e perciò debbo lavorare.
MAESTRO - Io ormai sono anziano, ma (indicando Michelino) a questi bambini cosa lasciamo? Cemento a automobili?
OPERAIO - E io ci debbo pensare?
MAESTRO - Tutti ci dobbiamo pensare. Non ha figli, lei?
OPERAIO - Sì, li ho ed è proprio per dar loro un avvenire migliore che debbo lavorare così da guadagnare e mantenerli agli studi.
MAESTRO - E' convinto che operando così lei darà un avvenire migliore ai suoi figli? Avranno sicuramente una bella casa, una automobile di lusso, ma non avranno aria da respirare, acqua da bere. Per non parlare poi di tanti altri mali delle cosiddette civiltà evolute.
MICHELE - Mamma, ho fame.
RITA - Sì, Michelino. Devi avere pazienza. Se andiamo via, qui ci costruiscono una grande casa e tu non avrai più un posto all'aperto dove giocare. Dobbiamo impedirlo.
OPERAIO - Signora, come glielo debbo dire che lei mi sta facendo perdere tempo e basta?
RITA - Se non vuole perdere tempo prenda i suoi attrezzi e vada via. Tanto io non mi muoverò da qui.
OPERAIO - Lei mi costringe a chiamare la polizia.
RITA - Lei vuole passare ai metodi forti? Ebbene, vedremo chi la spunterà.
Il maestro chiama a raccolta gli scolari con il fischietto.
STEFANO - Che bella partita! Peccato che la ricreazione sia stata così breve.
MAESTRO - Ragazzi, c'è una brutta notizia: vogliono costruire su questa zona verde il nuovo centro direzionale del quartiere.
STEFANO - Anche sul campetto ove giochiamo a pallone?
MAESTRO - Sì, su tutta la zona.
STEFANO - Non è giusto. Poi dove andremo a giocare?
Ritornano le scolare con mazzi di fiori in mano.
LUISA - (mostrando i mazzi dei fiori, sorridente) Signor maestro, guardi quanto sono belli. Perché siete così seri? E' successo qualcosa?
STEFANO - Addio fiorellini. In tutta questa zona ci costruiscono il centro direzionale del quartiere.
Gli scolari elevano grida di disapprovazione inscenando una rumorosa protesta.
RITA - A questo punto c'è una sola cosa da fare. Voi ragazzi andate a spargere la notizia per tutto il quartiere e fate venire qui i vostri genitori, i parenti e tutti quelli che hanno a cuore le sorti di questo polmone verde. Faremo allora picchettaggi finché la licenza di costruzione non verrà revocata.
MAESTRO - Penso che sia però più giusto riunire tutti gli abitanti del quartiere oggi pomeriggio in assemblea per discutere le iniziative più idonee.
RITA - Ma non c'è tempo da perdere! Se vogliamo salvare questa zona verde dobbiamo opporci con la forza e subito.
MAESTRO - Penso che dall'assemblea potrà anche scaturire la decisione di intraprendere l'azione di lotta come lei dice. Questa avrà allora sicuramente maggiore forza perché frutto della volontà democratica degli abitanti del quartiere.
RITA - Le assemblee servono solo a perdere tempo e per trovare compromessi che scontentano tutti. Se i signori al potere volevano il metodo democratico dovevano consultarci prima e non metterci di fronte al fatto compiuto. Sono loro che hanno scelto la via dello scontro.
MAESTRO - Se loro sono in torto, noi non dobbiamo scendere sullo stesso terreno. La democrazia è sempre l'arma migliore.
RITA - Noi discutiamo e intanto quello là sta lavorando. (All'operaio) Ehi, lei, smetta di lavorare!
Arriva l'imprenditore. E' un uomo sulla cinquantina, indossa un elegante vestito grigio con cappello a lobbia. Fuma un vistoso sigaro.
IMPRENDITORE - (all'operaio) Così lavori? A quest'ora dovevi aver terminato di recintare il terreno. Vuoi che ti licenzi?
OPERAIO - Ci sono questi signori che non essendo d'accordo nella realizzazione di quest'opera, non mi permettono di lavorare.
IMPRENDITORE - (con gentilezza) Posso sapere chi sono loro e perché ostacolano il lavoro del mio operaio?
RITA - Sono la mamma di questi due ragazzi e sono certa di esprimere il parere di tutte le mamme del quartiere, che comunque verranno invitate, opponendomi alla distruzione di questo spazio verde che rappresenta il luogo ideale per far giocare i nostri figli e farli crescere sani.
IMPRENDITORE - Posso anche capire il suo disappunto perché vede adesso solo il lato negativo dell'opera. Provi però a pensare a decine di famiglie che attualmente non hanno una casa e che vivono in ambienti angusti e malsani le quali troveranno nei palazzi di questo complesso una sistemazione ottimale. Gli abitanti troveranno tutti raggruppati qui i servizi di quartiere: la banca, la posta, la farmacia e tutti i negozi essenziali. Pensi al risparmio di tempo e di denaro nel non doversi più spostare come sono costretti a fare adesso. E' prevista anche una chiesa, un cinema, una biblioteca, e così via. Loro se la sentono di opporsi a tutto questo?
RITA - Io sono una mamma e penso ai ragazzi che non potranno più giocare all'aria aperta. I ragazzi che non giocano finiscono con l'imboccare strade pericolose.
IMPRENDITORE - Lei crede che non si sia preso in considerazione anche e soprattutto il problema dei giovani?
MAESTRO - Mi perdoni.
IMPRENDITORE - Lei chi è, il marito?
MAESTRO - No, sono il maestro del quartiere, questi sono i miei scolari. Questa zona verde è insostituibile per un sano contatto dei ragazzi con la natura e per il loro equilibrato sviluppo psicofisico.
IMPRENDITORE - Maestro, mi meraviglio di lei. Come può pensare che i ragazzi abbiano uno sviluppo fisico ottimale giocando in questa selva?
MAESTRO - Psicofisico ho detto. La civiltà moderna li costringe sempre di più a vivere in ambienti artificiali. La loro fantasia compressa può ribellarsi con conseguenze gravissime.
IMPRENDITORE - Non sono d'accordo. Verrà creato un centro sportivo polivalente con tutti gli impianti essenziali, ove i ragazzi potranno sviluppare le loro potenziali attitudini sportive.
STEFANO - Ci sarà un campo per giocare al calcio?
IMPRENDITORE - Volete che manchi un impianto per questo sport? Quello là sarebbe l'attuale vostro campo di calcio? Ah, ah! (Ridacchia ironicamente)
STEFANO - Beh, bisognerebbe risistemare un po' le porte e segnare meglio le righe di delimitazione. Comunque ci giochiamo bene.
IMPRENDITORE - Ci giocate perché non avete di meglio. Guardatevi, la vostra sarebbe una squadra di calcio? Siete degli improvvisati che tirano calci ad un pallone. Provate invece ad immaginare quanto sarebbe bello per voi giocare in un vero campo di calcio tutto verde con le righe di delimitazione bianche, con la rete nelle porte, le tribune dove potete invitare i vostri genitori ad applaudirvi, con le magliette colorate e sotto la guida di un vero allenatore.
LUISA - (timidamente) Avete pensato solo ai maschi? Noi non potremmo più cogliere i fiori.
IMPRENDITORE - Quei quattro ciuffi di erba colorata sono per voi fiori? In questo complesso sono previste aiole, fioriere e serre con tutte le specie di fiori. Non avrete solo il gusto di coglierli, ma soprattutto quello di coltivarli.
LUISA - Ci saranno anche le orchidee?
IMPRENDITORE - (ridacchiando) E perché no! A meno che non vorrete farvele regalare dai vostri innamorati, quando li avrete.
RITA - No, no! io rimango dell'avviso che la vita all'aria aperta è salutare per i nostri ragazzi. Guardi come sono belli.
IMPRENDITORE - E' naturale che i bambini siano belli. Sbocciano ora alla vita. Ma dopo? Alcuni decenni fa, quando si viveva all'aria aperta, la vita media dell'uomo era la metà di quella di oggi. E' un dato questo, statisticamente riscontrabile. Il perché è semplice: oggi viviamo di più e invecchiamo più tardi perché abitiamo in ambienti salubri, ed in condizioni di vita ottimali.
MAESTRO - Tutto artificiale. L'uomo è stato creato per vivere nell'ambiente naturale e sono convinto che più si distaccherà più dovrà pagare un prezzo alto sentendosi un disadattato. Come pagherà questo prezzo è meglio non pensarci.
IMPRENDITORE - Lei è pieno di pregiudizi e mi perdoni se lo dico che evidenzia un preoccupante immobilismo culturale. Il progresso è il frutto dell'intelligenza e matura man mano che l'uomo sale nella scala del creato.
MAESTRO - Mi dica, abbatterà anche quel gruppo di alberi d'alto fusto laggiù?
IMPRENDITORE - Tanti alberi ci sono oggi in questo appezzamento di terreno tanti ce ne saranno domani. Saranno solo disposti sulla base di un progetto redatto da un botanico con la consulenza dell'architetto. Come vede non si distrugge niente, si razionalizza.
STEFANO - Ci sarà anche una sala giochi?
IMPRENDITORE - Ah, dimenticavo. E' prevista una sala giochi con i più moderni videogames e quanto sarà necessario per farvi divertire e l'indispensabile fornitissimo bar. Sarà il luogo di incontro dei giovani.
MAESTRO - (agli scolari) Non fatevi illudere. Siamo tutti pedine nelle mani di un uomo senza scrupoli e voi siete quelli più manovrabili.
IMPRENDITORE - E' lei che ora cerca di manovrarli.
MAESTRO - Se dice questo lei è in malafede.
IMPRENDITORE - Non capisco a chi si vuol riferire e non mi interessa. Ho cercato di spiegarvi i vantaggi di questa opera quindi allontanatevi che dobbiamo iniziare i lavori.
MAESTRO - Non potrebbe rimandare l'inizio a domani? Questa sera si riuniscono gli abitanti del quartiere per decider in merito a questo complesso edilizio.
IMPRENDITORE - Decidere cosa? Ho una regolare licenza di costruzione e quindi inizio i lavori. Anche perché ho già assunto gli impegni e sono iniziate a correre le spese.
RITA - (al maestro) E' meglio radunare tutti gli abitanti del quartiere e subito.
IMPRENDITORE - (all'operaio) Metti in moto.
L'operaio prende dalla cassetta degli attrezzi la motosega e la mette in moto. La signora fa per slanciarsi sull'operaio, ma il maestro la trattiene per cercare di evitare incidenti. La signora con un gesto di rabbia impotente lascia cadere le braccia. Tutti restano come impietriti a guardare l'operaio che prosegue imperterrito il suo lavoro.
La motosega riempie l'aria del suo stridore assordante.
A T T O S E C O N D O
La scena rappresenta una sala giochi. Le pareti sono dipinte a colori vivaci e con figure stilizzate. Diversi faretti multicolori illuminano l'ambiante. Sulla destra c'è un banco bar con davanti alcuni tavolini. Sulla sinistra un flipper e sulla parete di fondo diversi videogames.
Piero gioca a flipper mentre altri ragazzi e ragazze tutti intorno ai quindici-sedici anni (sono gli scolari del primo atto diventati più grandicelli) sono stravaccati nelle sedie intorno ai tavolini davanti al bar. L'abbigliamento dei ragazzi è casual-trasandato di serie.
STEFANO - (entra, rivolto al barista) Non è ancora arrivato?
BARISTA - (guarda l'orologio) Non è mica tardi, ma non starà più tanto.
STEFANO - (con tono arrogante) Dammi una coca.
BARISTA - Alla spina o lattina?
STEFANO - Una lattina, no?
Stefano prende la lattina di coca-cola e mentre ne beve un po' si avvicina a Piero.
STEFANO - Ciao. Come fai a divertirti con un gioco così scemo?
PIERO - Eppure è così divertente.
STEFANO - Proprio non ti capisco.
PIERO - Se ci sapessi giocare anche tu ti divertiresti.
STEFANO - Tu credi di saperci giocare. Stai totalizzando un punteggio da principiante.
PIERO - Io sono un campione, altro che principiante! Adesso sto giocando distrattamente. Se organizziamo un torneo vinco la coppa.
STEFANO - Smettila di dire cavolate.
PIERO - Non ci credi? Facciamo una partita, sono sicuro di vincerti.
STEFANO - Che gusto ci trovi a vincere?
PIERO - A perdere non ci trovo gusto di sicuro.
STEFANO - Dimostri di essere infantile. Vincere, perdere, che cavolate!
PIERO - E tu allora perché a volte giochi?
STEFANO - Io gioco così tanto per far passare questo maledetto tempo che mi pesa sopra la testa come un macigno. Se penso che dovrò vivere per altri quaranta, cinquant'anni, mi vien voglia di fracassarmi la testa contro un muro.
PIERO - Non ci pensare. Se non pensi è come se dormissi.
STEFANO - E poi, che cos'è la vita? Una bella fregatura. Mangi, dormi, fai l'amore. Poi di nuovo mangi, dormi, fai l'amore e così via. Finché arriva il giorno che precipiti giù nell'inferno.
PIERO - Mettici poi la rottura della scuola...
STEFANO - Per me non è un problema, tanto...
PIERO - Io devo subirla perché mi serve per i soldi. A casa i miei mi passano la "grana" solo perché sono uno studente. Va' un po' a capire come ragionano.
STEFANO - Ci sono tanti modi per rimediare i soldi.
PIERO - Certo che ce ne sono, io ho soltanto scelto quello meno rischioso.
STEFANO - Toh, guarda! (Gli mostra un rotolo di soldi) Frutto di un semplice lavoretto. Non dipendi da nessuno e soldi ne hai quanti ne vuoi. Dai, oggi vieni con me, ti insegno io come si fa.
PIERO - No, ho paura.
STEFANO - Ti ho già detto che sei infantile.
PIERO - E se ti pescano?
STEFANO - E' un'esperienza anche quella. La prima volta fa un certo effetto. Poi, hai tutto da imparare. Incontri tanta gente in gamba. Soprattutto gente esperta che ti insegna tante cose. Quella è una vera scuola con maestri carichi di esperienze di vita reale.
Durante il precedente colloquio sono entrati alla spicciolata ragazzi e ragazze che si sono seduti nelle sedie intorno ai tavolini del bar. Sono arrivati anche, prima lei e poi lui, i fidanzatini del primo tempo. Lei si è seduta e lui si è messo a giocare con un videogame.
Entra di corsa Michele.
MICHELE - Stefano, devi andare subito a casa, ti vuole mamma.
STEFANO - Che vuole?
MICHELE - Babbo sta male.
STEFANO - Non ho la vocazione della crocerossina.
MICHELE - Ha detto che sta molto male e che potrebbe anche morire.
STEFANO - Allora? Non sono mica un becchino.
MICHELE - (con una alzata di spalle) Fai un po' come ti pare. Io te l'ho detto.
STEFANO - (gli dà dei soldi) Grazie per l'informazione. Eccoti la mancia.
MICHELE - Grazie, fratello! (Al barista) Cambiami questa in moneta spicciola.
Michele dà al barista una banconota e, ricevuti gli spiccioli, va a giocare con un videogame. Stefano si mette seduto.
STEFANO - (al barista) Vieni a prendere la lattina vuota che mi dà fastidio.
BARISTA - C'è il cestino a fianco del bancone, gettala là.
STEFANO - Non ho voglia di alzarmi.
BARISTA - E non essere nervoso, che fra poco sarà qui.
Entra il maestro con aria triste.
LUISA - (sottovoce agli altri ragazzi) Ecco la vecchia cornacchia.
MAESTRO - Stefano, Luisa, e voi tutti, che fate a quest'ora dentro la sala giochi? E lo studio, il lavoro? Che ne sarà di voi?
STEFANO - Senta maestro, la campanella è suonata da un pezzo e quindi la lezione è finita.
MAESTRO - Io sono la voce della coscienza che non smette a nessun suono di campanella. Ascoltatemi fiduciosi come facevate una volta.
LUISA - Ma ci sei venuto o ti ci hanno mandato?
MAESTRO - Il tu ed il tono irriverente stanno ad indicare il grado di abbrutimento nel quale siete scesi. Un grado preoccupante che giustifica la mia presenza qui: io sono pronto ad aiutarvi.
LUISA - Noi cerchiamo solo il silenzio. Anche se parli non ti ascoltiamo perché ci rifiutiamo di comunicare. la parola è un'arma terribile che uccide senza gettarti nella fossa.
MAESTRO - Io capisco tutte le delusioni di voi giovani, i grandi ed i piccoli problemi del mondo che non vengono risolti secondo le migliori regole del bene comune, la vostra sete di giustizia scambiata per ingenuità, i valori che non riuscite più a trovare perché sono stati calpestati e buttati via come rifiuti. Tutti i parametri che potevano dare un certo ordine e sicurezza alla vostra vita futura sono saltati e non riuscite a darvi una rotta verso un porto sicuro. La bussola che cercate affannosamente giace in frantumi sulla plancia distrutta. Vi chiudete allora in voi stessi cercando con la fantasia o con mezzi che possano stimolarla altri valori che purtroppo non esistono. Il faro del porto che vi sembra di intravedere è soltanto un fuoco fatuo al centro di un vortice che vi inghiottirà.
STEFANO - (battendogli sarcasticamente le mani) Bravo!
MAESTRO - Potevi anche risparmiarti una simile spiritosaggine.
STEFANO - Ho applaudito solo perché mi andava di applaudire. Ora basta! La tolleranza che abbiamo mostrato è finita.
MAESTRO - Sì, basta. Voi mi deridete, mi scacciate perché avete paura che vi aiuti, ma nello stesso tempo sapete di averne bisogno.
Il maestro a capo chino si allontana e va verso il bar.
MAESTRO - (al barista) Un bicchiere d'acqua, per favore.
BARISTA - Acqua?
MAESTRO - Sì, grazie.
Il maestro sorseggia lentamente l'acqua immerso nei suoi pensieri. I ragazzi sono rimasti cupi e silenziosi. Entra un tipo losco con una valigetta ventiquattr'ore in mano.
TIPO LOSCO - Salve, ragazzi.
STEFANO - Finalmente! E' un secolo che aspettiamo.
TIPO LOSCO - Esagerato! (Guardando l'orologio) E' più o meno l'ora di sempre.
STEFANO - L'attesa comincia a diventare pesante. Ora vedi di non farci attendere ancora molto.
TIPO LOSCO - I soldi li avete tutti?
STEFANO - Non ti fidi?
STEFANO - (getta un mazzetto di soldi sul tavolo con disprezzo) Eccoti i dannati soldi. (Rivolto agli altri ragazzi) Non si fida di noi...
TIPO LOSCO - (rivolto a Piero) Ehi, tu, non vieni qua?
PIERO - Oggi ho pochi soldi.
TIPO LOSCO - Come mai?
PIERO - I miei non me ne hanno dati.
TIPO LOSCO - Hai usato tutti i mezzi per costringerli a darteli?
PIERO - Sì, ma non ci sono riuscito.
TIPO LOSCO - A questo punto non ti resta che fare come fanno gli altri.
PIERO - Ho paura.
TIPO LOSCO - Sciocchezze! Quanti soldi hai?
PIERO - (mostrando un po' di soldi) Ho questi.
TIPO LOSCO - Per oggi mi bastano. Vedrai, se mi dai retta, già domani non avrai più di questi problemi. (Piero dà i soldi al tipo losco e va a sedersi vicino agli altri ragazzi) Chi è quel tizio che gioca con il videogame? E' nuovo?
GIANNA - E' il mio ex.
TIPO LOSCO - Vallo a invitare. Lo sai che sono prodigo con chi mi fa un servizio.
GIANNA - (si alza, si avvicina a Carlo e gli sussurra qualcosa all'orecchio) Andiamo ora. (Lo prende per una mano e l'accompagna a sedere vicino agli altri ragazzi)
TIPO LOSCO - (a Carlo) Bravo, così va bene. Non è bello starsene isolati. Voglio darti un premio. Dimmi, cosa desideri dalla vita?
CARLO - Mi piacerebbe essere un campione di calcio.
TIPO LOSCO - Troppo scontato. Ti faccio provare qualcosa di più eccitante. Che ne dici? Vuoi?
CARLO - E' una cosa lecita?
TIPO LOSCO - Che intendi per cosa lecita?
CARLO - Beh, non contraria alla propria coscienza.
TIPO LOSCO - Il solito condizionamento del bene e del male. Liberati una buona volta da certe idee. Metti le ali e vola libero nell'immensità dello spazio e piomba senza timore giù nelle profondità degli abissi. Il bene e il male ti sembreranno allora, come in effetti sono, una invenzione di un capo malvagio per condizionare la tua libertà. (Cava dalla valigetta una sfera rossa di circa sei centimetri di diametro e la porge a Carlo) Prendi questa sfera. Ha la stessa forma di un atomo, della terra, dell'universo; non ha confini. La superficie interna è ricoperta di specchietti che riflettono solo le immagini che desideri. Prova ad aprirla.
CARLO - Io non ho soldi, però.
TIPO LOSCO - Niente soldi, amico. Oggi per te è gratis.
Il tipo losco distribuisce poi le sfere di colori diversi a tutti gli altri ragazzi e ragazze sulla base dei loro desideri. Questi aprono le sfere e osservano incantati gli specchietti che sono all'interno.
Le luci prima si abbassano poi diventano psichedeliche al suono di un motivo dei PINK FLOYD: A SAURCEFUL OF SECRETS o altra musica rock. I ragazzi si applicano le semisfere, opportunamente forate, a guisa di occhiali, si alzano e provano a danzare in maniera confusa. Alla fine del brano riprendono la posizione che avevano all'inizio rimanendo tutti immobili e silenziosi.
Le luci ritornano normali. Il tipo losco raccoglie le sfere che ripone dentro la valigetta e si porta al bancone del bar ove si fa servire dal barista la solita bibita.
MAESTRO - (al tipo losco) Cosa ha dato ai ragazzi per ridurli in quello stato?
TIPO LOSCO - Specchietti... Ti fanno vedere quello che non c'è e nascondono quello che c'è. Ne vuoi anche tu?
MAESTRO - Ci conosciamo, forse, che mi dà del tu? A me non risulta. Chi è lei?
TIPO LOSCO - Non ti sarai mica offeso? Ho usato un tono confidenziale perché io sono amico di tutti e penso che tutti siano amici miei.
MAESTRO - Sì, va bene. Dimmi chi sei.
TIPO LOSCO - Vuoi proprio sapere chi sono? Io sono... sono il diavolo!
MAESTRO - (incredulo) Il diavolo?
TIPO LOSCO - Sorpreso? Dimmi ora tu chi sei.
MAESTRO - (un poco smarrito) Sono il maestro della scuola del quartiere e questi sono i miei ex scolari.
TIPO LOSCO - Che fai, tremi? Non aver paura. Non ho con me né fuoco né puzzo di zolfo. Pensavi che mi presentassi ancora con il manto rosso, le corna, le orecchie aguzze e addirittura con il forcone? Mi sono adeguato ai tempi. Dato che il travestimento è una mia specialità, oggi sono un commerciante che vende specchietti. In altre occasioni sono... Beh, scusami, ma non posso svelarti i miei segreti del mestiere.
MAESTRO - (un po' rinfrancato) Ti ho visto prendere i soldi dai ragazzi. Fai tutto questo per il guadagno?
TIPO LOSCO - Beh, non è proprio questo il fine di un diavolo che si rispetti, non ti pare?
MAESTRO - Spiegati meglio.
TIPO LOSCO - Una volta aspettavo più o meno passivamente le anime dei cattivi. Oggi, invece, mi do da fare. I miei specchietti cominciano ad essere molto richiesti. Hanno la forza di distruggere il fisico e la coscienza di chi li usa. Che hai da guardarmi così fisso?
MAESTRO - In questo posto, qualche anno fa, c'era una zona verde ed un boschetto con alberi meravigliosi. Io ci conducevo quei ragazzi lì, che a quel tempo erano miei scolari, per fare la ricreazione. I maschi giocavano al calcio in un campetto e le ragazze coglievano fiori. C'erano le mamme con i bambini, gli innamorati... Un paradiso. (Il tipo losco ha un sussulto) Sì, scusami se ho nominato il paradiso, non pensavo... Diciamo un luogo ameno, idilliaco. Un maledetto giorno arriva un imprenditore e ci costruisce questo palazzone. I ragazzi privati di quel polmone verde hanno cominciato a frequentare questo ambiente di giochi alienanti ed ora eccoli là, in tua balìa. Ti guardavo fisso perché quell'imprenditore aveva le tue stesse sembianze. Soltanto il vestito era diverso.
TIPO LOSCO - Ti ho già detto che sono molto bravo nei travestimenti.
MAESTRO - Carogna!
TIPO LOSCO - Ce l'hai con me perché ti ho sconfitto. Tu, attraverso la scuola, hai cercato di elevare le doti umane e spirituali di questi ragazzi; io, in questo ambiente, li abbrutisco con i miei specchietti. Se seguono me, evidentemente hai perso.
MAESTRO - Che ne farai di loro?
TIPO LOSCO - Faccio intorno ai giovani terra bruciata in modo che si sentano nudi e indifesi. Così ridotti sono in mia completa balìa e ne posso fare una massa d'urto per scardinare tutto ciò che si oppone ai miei piani.
MAESTRO - E sono anche disposti a pagarli profumatamente i tuoi specchietti?
TIPO LOSCO - Hai visto tu stesso.
MAESTRO - Vorresti dire che se li distribuissi gratuitamente avresti meno successo?
TITO LOSCO - Certamente. Primo, perché le cose più sono costose più acquistano valore. E la seconda cosa che a me più interessa è il fatto che, per procurarsi i soldi necessari per avere i miei specchietti, sono costretti a scardinare i principi morali dell'ordine costituito con azioni illecite.
MAESTRO - Sembri sicuro del tuo successo definitivo.
TIPO LOSCO - Appunto, è proprio così.
MAESTRO - Anche tu avrai un punto debole.
TIPO LOSCO - Non perdere tempo a cercarlo. Anzi, ti do un consiglio: alleati a me.
MAESTRO - Che faccia tosta che hai!
TIPO LOSCO - Non saresti il primo. Tanti tuoi colleghi sono al mio servizio e sono contenti di esserlo perché io ricompenso molto bene chi mi è devoto.
MAESTRO - (mostra le tasche vuote) Le tue ricompense... Che ne faccio? Come vedi non ho soldi e nemmeno li cerco. Ho scelto questa professione ben sapendo che mi avrebbe arricchito lo spirito più che il corpo.
TIPO LOSCO - Se i soldi non ti interessano potrei farti avere la gloria, gli onori, la considerazione, o altre cose che desideri. Anche inconfessabili. Anzi sono proprio queste ultime che io posso prodigare a piene mani.
MAESTRO - Le tue lusinghe non solo nemmeno le prendo in considerazione, ma mi spronano a continuare a fare il mio dovere come ho sempre fatto.
TIPO LOSCO - Sei però ormai fuori tempo. I tuoi principi non hanno più credito. Comunque, non ci crederai, ma io ti stimo. (Al barista) Dai da bere al signore, offro io.
MAESTRO - No, grazie, ho già bevuto un bicchiere d'acqua.
TIPO LOSCO - Posso invitarti a cena?
MAESTRO - Mi lusinghi.
TIPO LOSCO - Voglio essere cortese con te.
MAESTRO - A quale scopo?
TIPO LOSCO - Ti voglio far conoscere il mondo, quello vero, in modo che tu possa aprire gli occhi. Sei legato ai vecchi principi solo perché frutto di certe convenzioni che ti sono state tramandate. Ti ci sei assuefatto al punto di ritenerle giuste. Non pensi che ci possano essere altrettanti modi di vita addirittura più validi? Vorrei farteli conoscere.
MAESTRO - Sei abile, ma non mi incanti!
TIPO LOSCO - Vedo che hai accusato il colpo, però.
MAESTRO - Non lo pensare nemmeno.
TIPO LOSCO - Invece lo penso, anzi, sono convinto che rifletterai seriamente su quanto ti ho detto.
MAESTRO - Mi vedi pensieroso perché sto solo cercando di individuare qual'è il tuo punto debole.
TIPO LOSCO - Non lo troverai. Sono potente io, sai?
MAESTRO - Se lo fossi realmente perché vai cercando l'aiuto di un povero maestro?
TIPO LOSCO - Mi piacciono le conversioni. Anch'io ho una briciola di vanità. Sentirmi adorato mi dà una soddisfazione immensa.
MAESTRO - Tanti, nell'arco della storia, si sono sentiti dei potenti. Un epitaffio e una stele sono stati il loro illusorio traguardo.
TIPO LOSCO - Dimentichi che l'epitaffio e la stele non mi si addicono perché non appartengo alla storia, ma alla natura delle cose. Io sono immortale.
MAESTRO - Immortalità non significa onnipotenza.
TIPO LOSCO - Potenza sì, però.
MAESTRO - E' bastato un solo uomo, un giorno, per ricacciarti giù nell'inferno.
TIPO LOSCO - (infuriato) Che ne sai di come sono andate le cose! Oggi comunque le sue armi appaiono spuntate e neppure mi scalfiggono. E' rimasto semplicemente lo scudo dei deboli e la speranza degli illusi. Anche tu sei di questa genìa, pertanto vattene... vattene via!
MAESTRO - Sì, ora posso anche andare perché la tua collera ha mostrato qual'è il tuo punto debole: ridare all'uomo una via, una speranza... C'è solo da affilare le armi. Arrivederci.
Il maestro, con portamento dignitoso, esce dal locale mentre il tipo losco è in preda ad una mal celata collera.
TIPO LOSCO - (al barista) Dammi da bere. (Il barista gli versa da bere) Anzi, dammene una dose doppia. (Beve tutto d'un fiato. Poi dà un po' di soldi al barista) Tieni, io pago bene quelli che mi servono devotamente.
BARISTA - (con deferenza) Ci puoi contare, sempre.
TIPO LOSCO - Dovevamo aspettarcelo che qualcuno, chiamato comunemente moralista, avrebbe cercato di intralciare il nostro lavoro.
BARISTA - Ti preoccupa il maestro?
TIPO LOSCO - Allo stato attuale no. Sono screditati da un'opinione pubblica che ho opportunamente manipolato. Però gli uomini che adoperano il cervello e che sono contro di me è bene non perderli mai di vista.
BARISTA - Debbo sistemarlo io?
TIPO LOSCO - No, cretino. La forza contro l'intelligenza non vincerà mai. Perché i ragazzi è tanto facile abbindolarli? Perché sono indifesi dato che si sentono fisicamente forti e la loro forza fisica è ben poca cosa di fronte a quella della mente. Come ho potuto raggiungere io certi risultati? Facendo miei sacerdoti molti dei cosiddetti "intellettuali".
BARISTA - Qual'è allora il tuo piano per neutralizzarlo?
TIPO LOSCO - Il solito. Gli faremo intorno terra bruciata privandolo delle sane iniziative e continueremo a screditarlo. Hai visto come ha funzionato in questo quartiere? A tal proposito hai ricevuto altre comunicazioni dai nostri?
BARISTA - Non ancora.
TIPO LOSCO - Anche quando non ci sono tieni le orecchie bene aperte perché dovrebbe arrivare da un momento all'altro la comunicazione della concessione della licenza di costruzione del centro di quartiere Gamma.
BARISTA - Favoloso. Far fuori con una bella colata di cemento quell'inutile spazio verde. Ci faremo un'altra sala giochi come questa ed avremo in mano i giovani anche in quel quartiere.
Entra la signora Rita in preda ad una disperazione appena controllata.
RITA - (a Stefano) Non ti ha detto Michele di venire subito a casa?
STEFANO - E con questo?
RITA - Tuo padre sta molto male.
STEFANO - Mio padre?
RITA - Ti vuol vedere, ti vuol parlare. Potrebbe anche morire.
STEFANO - Io non ho nessun padre.
RITA - Che dici?
STEFANO - Non l'ho visto che poche volte. Come posso avere affetto filiale per quell'uomo?
RITA - E' spesso fuori per lavoro. Deve procurare i soldi per la famiglia.
STEFANO - Vorrai dire per cambiare macchina una volta all'anno, per comprarti una pelliccia nuova ogni volta che arriva l'inverno, per fare vita di società.
RITA - Anche a te vuole bene, ti ha fatto tanti regali.
STEFANO - E' facile mostrare l'amore facendo regali, magari si sentirà anche la coscienza a posto.
RITA - Come sei ingiusto! Non puoi parlare così di tuo padre.
STEFANO - Non ho padre, non ho madre. Sono solo, solo, capisci! Quindi lasciami in pace.
RITA - Io ti sono stata sempre vicina eccetto quest'ultimo periodo in cui mi scacci come fossi un'estranea.
STEFANO - Allora quando sarai tu che starai per morire fammelo sapere che verrò a trovarti.
RITA - Chi ti ha mangiato il cuore, figlio mio? Vieni a casa, ti prego.
STEFANO - Io sto bene qui. Significa che questa è la mia casa.
RITA - Che ne sarà di te? Mi fai morire di dolore. Cerca di rinsavire. Vieni a casa.
STEFANO - Ormai è tardi.
RITA - Ma sei ancora un ragazzo.
STEFANO - Ragazzo? Sono già vecchio, forse più che centenario. E' tanto tempo che vivo questa inutile vita.
RITA - (rivolta agli altri ragazzi) Lo sentite, lo vedete come si è ridotto mio figlio? Chi è stato? Parlate, ditemi qualcosa, vi prego.
MICHELE - (smette un momento di giocare e si gira verso la madre) E' stato quello là. (Indica il tipo losco)
La signora Rita con atteggiamento minaccioso si para davanti al tipo losco.
RITA - La voce dell'innocenza l'accusa. Io voglio una cosa sola: mio figlio.
TIPO LOSCO - Lo chiedi a me? Prendilo e portalo via, sempre che ci riesci.
RITA - Da quando è stato aperto questo locale maledetto e lo ha cominciato a frequentare, mio figlio è cambiato radicalmente. Si può sapere che gli fa? Eccoli là i ragazzi del quartiere un tempo pieni di vita ed ora ridotti in uno stato pietoso. Non sono abituata a fare minacce, ma questa volta... si tratta di mio figlio!
TITO LOSCO - Ti ha già detto che sta bene qui. Allora vattene e lascialo in pace.
RITA - Niente affatto, io rivoglio mio figlio.
TIPO LOSCO - Vattene, ho detto!
RITA - Non mi muoverò di qui senza di lui. Stefano, tu non dici niente, non fai niente?
STEFANO - (con indifferenza) Io sto bene qui.
RITA - Michele, vieni a casa almeno tu.
MICHELE - Io voglio divertirmi e se a casa c'è babbo che sta morendo non mi sembra il luogo adatto.
TIPO LOSCO - (al barista) Aiuta la signora ad uscire.
Il barista prende la signora Rita e la spinge fuori dal locale con la forza.
RITA - (cercando di divincolarsi) Stefano, Michele, aiutatemi!
Stefano e Michele rimangono impassibili. Il primo seduto a capo chino ed il secondo seguita a giocare con il videogame. Il barista rientra dopo aver buttato fuori la donna.
TIPO LOSCO - Ragazzi, muovetevi. Andate a far soldi.
I ragazzi e le ragazze escono.
TIPO LOSCO - Stefano e Gianna, aspettate, vi debbo parlare.
I tre siedono intorno ad un tavolino del bar. Carlo rimane in attesa vicino all'uscita.
TIPO LOSCO - (prende dalla valigetta alcuni giornali e li mostra ai ragazzi) Guardate... I giornali stanno montando una calunniosa campagna di stampa contro di me. Entro certi limiti è un'ottima forma di pubblicità, ma ora stanno esagerando. Mi costringono a prendere le dovute contromisure. Un giornalista che mi è devoto ha scritto anche oggi un articolo a mia difesa. (Porge un bigliettino a Gianna) Questo è il suo indirizzo. Vai a tenergli un po' di compagnia. (Dà a Stefano un pacco) Contiene esplosivo. Usalo. Distoglierà l'attenzione su di me permettendomi di lavorare in pace. Andate, carissimi. La ricompensa per voi sarà grande. Intanto come anticipo eccovi una sfera a testa.
Stefano esce. Gianna viene fermata da Carlo.
CARLO - Gianna.
GIANNA - (girando appena lo sguardo) Che vuoi?
CARLO - Ci vediamo allora stasera?
GIANNA - No, stasera no.
CARLO - Prima me lo avevi promesso.
GIANNA - Questa sera ho un impegno.
CARLO - Hai un altro?
GIANNA - Non sono tenuta a dirtelo.
CARLO - Ma sei felice?
GIANNA - Felice di cosa?
CARLO - Ti ho chiesto se sei felice della vita che fai.
GIANNA - Non capisco cosa vuoi sapere.
CARLO - Quando eravamo fidanzati siamo stati anche felici. Almeno io lo sono stato.
GIANNA - Allora, con questo?
CARLO - Perché ci siamo lasciati?
GIANNA - Che scopo c'era di stare insieme solo noi due. A volte avevo la sensazione di non vivere.
CARLO - Ora che di fidanzati ne hai quanti ne vuoi ti senti realizzata?
GIANNA - Non lo so, non mi interessa. Ho scelto di vivere così alla giornata e prendo quello che viene.
CARLO - Senza prospettive?
GIANNA - Credi che la prospettiva della famiglia sia tanto più gratificante?
CARLO - Certo! Io credo ancora nella famiglia. Così, mi sento tanto solo.
GIANNA - Per questo ti ho invitato a stare insieme a tutti noi. Non sei stato bene?
CARLO - Avrei preferito stare solo con te.
GIANNA - Non fare il bambino viziato.
CARLO - Perché non ci rimettiamo insieme?
GIANNA - No, ormai è inutile. Il tempo cammina verso il futuro, non ritorna mai indietro. Ciao.
La ragazza esce mentre Carlo si avvicina al bar per bere qualcosa.
TIPO LOSCO - Che vuoi? Il bar è chiuso.
CARLO - Ho la bocca amara.
TIPO LOSCO - Certo. Questo perché non ti sei ancora integrato nel gruppo. Fra un po' ti sembrerà assurdo pensare ad una sola ragazza. Altri e più vasti orizzonti ti si apriranno. Devi solo procurarti molti soldi. Vai con gli altri, presto.
Il ragazzo a malincuore esce.
TIPO LOSCO - (al barista) Anche questo sembra che stia entrando nel giro. Pian piano li allineeremo tutti sulla nostra strada.
Suona il telefono.
BARISTA - (risponde) E' per te. (Porge la cornetta al tipo losco)
TIPO LOSCO - Pronto! Sì, sono io. La licenza è stata concessa?... Bene. Possiamo iniziare subito?... Chi... Chi c'è in quello spiazzo verde?... Un bambino con la madre... gli scolari con il maestro... e due fidanzatini in amore?... Non è un problema. Sì, sì, subito... La ricompensa? Stai tranquillo... Cosa?... Sì, sì, ti accontenterò. Sì, sì. (Chiude l'apparecchio)
BARISTA - Allora?
TIPO LOSCO - Tutto a posto. Possiamo iniziare subito.
BARISTA - Subito?
TIPO LOSCO - Certo!
Il barista prende da sotto il bancone le tavole e la cassetta degli attrezzi che aveva nel primo tempo ed una valigia. Dalla valigia tira fuori il vestito grigio e la lobbia che dà al tipo losco e una tuta da operaio per sé. Si vestono esattamente come nel primo atto.
TIPO LOSCO - Dammi da bere il solito. (Il barista gli versa da bere) Ora vai. Inizia a misurare il terreno e a recintarlo. Io verrò fra un po'. (Il barista con la tuta da operaio, esce con le tavole in spalla e la cassetta degli attrezzi in mano)
(Sorseggia lentamente) E' stato tutto più facile del previsto. Troppi anche inconsciamente lavorano per me.
Michele termina di giocare con il videogame e si avvia verso l'uscita.
TIPO LOSCO - Dove vai, bambino?
MICHELE - Me ne vado, ho finito i soldi. Poi debbo andare a fare i compiti per domani.
TIPO LOSCO - I compiti? ma lascia perdere... (Gli porge un po' di soldi) Vai a giocare, divertiti ancora. Io voglio bene ai bambini.
MICHELE - Grazie, signore.
TIPO LOSCO - Hai sete?
MICHELE - Sì.
TIPO LOSCO - (prende da dietro il bancone del bar una coca-cola con la cannuccia e gliela porge) Prendi. Ora io devo andare. Tu gioca quanto vuoi. I compiti lasciali fare agli altri, come il lavoro.
Il tipo losco accende un sigaro ed esce. Michele si siede pigramente su una sedia e sorbisce lentamente la bibita. Dopo un po' entra il maestro.
MAESTRO - Michele! Che fai qui da solo?
MICHELE - Niente. Sto bevendo.
MAESTRO - Ho incontrato qualche momento fa tua madre. Stava piangendo, povera donna. Era disperata pensando al marito che sta tanto male e voi, incoscienti, qui senza un minimo di affetto per vostro padre. A te non importa niente?
MICHELE - Tanto, che ci posso fare.
MAESTRO - Stefano è andato a casa?
MICHELE - Non lo so. E' uscito con gli altri ragazzi.
MAESTRO - Perché marini spesso la scuola in questi ultimi tempi?
MICHELE - Non ho più voglia di venire a scuola.
MAESTRO - Perché?
MICHELE - Perché lei ci assegna troppi compiti ed io ho poca voglia di farli perché mi piace giocare con i videogames.
MAESTRO - Perché credi che lo faccia?
MICHELE - Lo saprà lei.
MAESTRO - Lo faccio per il tuo bene come per il bene di tutti gli scolari che mi vengono affidati. Voi siete per me come veri figli che cerco da far crescere sani nello spirito e nel corpo.
MICHELE - Bel modo di volerci bene.
MAESTRO - Eppure il bene di un maestro si dimostra proprio così.
MICHELE - Non ci credo.
MAESTRO - Perché?
MICHELE - Le ho già detto che ci assegna troppi compiti, perciò è cattivo.
MAESTRO - No, non devi dire questo perché non è vero.
MICHELE - Eccome se è vero. Ne ho le prove.
MAESTRO - Che prove?
MICHELE - Il signore che viene qui al bar, quello sì che vuole bene ai bambini.
MAESTRO - Ne sei sicuro?
MICHELE - Certo! Guardi. (Gli mostra i soldi ricevuti dal tipo losco) Quel signore mi ha dato questi per divertirmi con il videogame e mi ha offerto questa bibita. Non è questo voler bene?
MAESTRO - Eppure vorrei che tu mi capissi. Se ti faccio studiare è perché mi preoccupo del tuo futuro, di quando sarai grande.
MICHELE - Stefano è grande e si trova tanto bene seguendo quello che gli dice questo signore.
MAESTRO - Vorrei tanto che fosse come tu dici, ma sono preoccupato per il futuro di tuo fratello.
MICHELE - Comunque le chiedo solo una cosa: mi lasci in pace. Ora che sono un bambino mi faccia giocare, Quando sarò grande, vedremo...
MAESTRO - E' adesso che ti devi impegnare ad apprendere quello che ti servirà quando sarai grande.
MICHELE - Eppure non le costerebbe niente...
MAESTRO - Tu lo dici. Mi costerebbe, eccome! Senti, Michele: io in questo ambiente mi sento soffocare. Ho bisogno di un po' d'aria pura. Mi accompagni?
MICHELE - Mi paga un gelato?
MAESTRO - Volentieri. Avrò modo, così, di capirti per riuscire a farmi capire da te.
MICHELE - Se vuole farsi capire deve fare discorsi semplici e non le solite prediche.
MAESTRO - (con la mano sulla spalla del ragazzo si avvia verso l'uscita) Ti spiego allora con un esempio che ci offre la natura: hai mai osservato il comportamento delle formiche?
MICHELE - Sì, un giorno con mamma quando non c'era questo palazzo.
MAESTRO - Ebbene, le formiche...
Il maestro e Michele escono. le luci si affievoliscono. Poco dopo si sente lo scoppio di una bomba.
VOCI FUORI CAMPO - Che è successo?... Una bomba?... E' scoppiata una bomba... Assassini... Hanno fatto una strage!
Si sentono i fischi assordanti delle sirene delle ambulanze.
Rientra dopo un po' Stefano visibilmente provato. Prende dal bar una bottiglia, si versa da bere e beve tutto d'un fiato. Si lascia poi cadere su una sedia. Prende dalla tasca la sfera che gli aveva dato il tipo losco, la apre, osserva gli specchietti e si mette le semisfere a guisa d'occhiali.
STEFANO - (grida terrorizzato) No... no... L'inferno, no!
Cade in ginocchio e con le mani alzate. Le luci si affievoliscono sempre più.
STEFANO - (implorando) La luce... Datemi la luce... la luce, la luce.