EROTOMANIA
di
eduardo fiorito
SIAE 2002
a Maria
Amì. Ventitré anni. Palestinese.
Judith: Venticinque anni. Israeliana.
atto unico
Erotomania è la distanza dall’oggetto del proprio desiderio:
carnale, umano, politico, ideologico, personale.
E’ l’esproprio dell’uomo dalle sue volontà.
E’ un’intera realtà geopolitica che precipita
nell’intimità di una relazione privata
e ne travolge la vicenda e la storia.
E’ la follia che nasce
dal vedere il corpo seguire una strada
che la coscienza rifiuta.
E’ l’impossibilità di scegliere.
La scena, concepita per trovarsi in posizione centrale rispetto al pubblico, ha forma di rettangolo. Su un angolo di uno dei due lati maggiori vi è un piccolo tavolino. Sopra di esso incartamenti di ogni tipo, nastri e vari supporti magnetici. Scritte in arabo, israeliano, inglese si intravedono sulle copertine dei fascicoli, delle stampe. I documenti sono anche per terra, dove, tra le altre cose, vi è dispiegata una cartina della Palestina con delle linee rosse e dei punti cerchiati. Sempre sul tavolino, tra le altre cose, un flaconcino con delle pasticche. All’altro angolo, sempre dello stesso lato, due valige: una aperta ed una già chiusa. Sopra una di esse una busta da lettere. Al centro della scena vi è il letto. Sopra di esso, avvolto fra le lenzuola, un contenitore di legno con dell’acqua. Sotto il cuscino (si scoprirà solo nel corso del dramma) una pistola. Ad uno degli angoli dell’altro lato maggiore, sospesa con dei fili non visibili al pubblico, una veneziana. All’altro angolo lo spazio per permettere agli attori di uscire di scena.
Crepuscolo.
Sono seminudi entrambi. Lui disteso sul letto, supino. Lei, sopra di lui, raccoglie dell’acqua dal recipiente di legno e ne lascia cadere alcune gocce sulla schiena del ragazzo
Judith: Mi piace il tuo corpo, è come se parlassi con lui. Ho visto un uomo oggi, aveva la pelle scura come la tua, era disteso per terra, pareva che sognasse. Ti sei mai chiesto cos’è che renda una cosa viva? A volte, mentre mi guardo le mani, il ventre… è come se il corpo non mi appartenesse più. (Cambia tono, lasciando cadere l’acqua, nota con un sorriso) Trattieni il respiro… quando l’acqua tocca la schiena, lo fai senza volerlo. (Passa le mani sulla sua schiena) Riprendi solo quando senti le mani, come un bambino… (sfiorando la ferita che lui ha sotto la scapola) Adesso è chiusa. Si sente solo se ci passi le dita. Mi metteva a disagio prima, non ne sapevo niente, non volevi parlarmene. Era l’unica linea rimasta fra noi due. Invece, questi giorni non ho fatto altro che sentirla, ogni volta che chiudevo gli occhi (chiude gli occhi continuando a sfiorare la ferita con le dita) la pioggia entrare dalle finestre, il rumore degli spari oltre la collina, i soldati rompere le tavole della porta, le loro voci diventare sempre più pesanti, coprire quella di Samia, quel colpo sordo, freddo, (le dita accarezzano dov’è la ferita) qui… (come Judith tocca la ferita Amì alza di scatto la schiena facendo cadere il recipiente con l’acqua per terra. Judith si leva da sopra di lui) La gamba, mi fa male (Amì si alza, mette i pantaloni, va alla finestra, lei resta sul letto.) Non potevo certo farla vedere.
Amì: Passerà da sola (apre uno spiraglio nella veneziana e guarda fuori)
Judith: Cosa stai guardando? (Amì non risponde) Amì…
Amì: Dei ragazzi, vieni a vedere, sotto il molo.
Judith: (preoccupata va alla finestra) Dove?
Amì: In fondo al pontile, li vedi?
Judith: (allontanandosi) Sono solo dei bambini…
Amì: Quello seduto, lo conosco, erano anni che non lo vedevo, pensavo l’avessero preso.
Judith: Stanno sempre lì.
Amì: Suo padre era nell’organizzazione. Il Mossad passò dieci anni a cercarlo, quando lo trovarono gli chiesero quale figlio dovevano lasciare in vita. Lui scelse il più piccolo. (fa un cenno del capo ad indicare fuori dalla finestra, con un sorriso) Mohamed… (fruga con le mani nelle tasche) I documenti?
Judith: (Sovrappensiero) Cosa?
Amì: I documenti, sono nella borsa? (va a cercarli fra il letto)
Judith: (indicando la valigia lei dinanzi) Stanno qui. (Lui guarda la borsa, lei lo guarda, un attimo di silenzio. Lui la guarda, sorride) Cos’hai?
Amì: Quel vestito…
Judith: Beh?
Amì: Non ti ricordi?
Judith: Cosa?
Amì: Lo portavi nella piazza del mercato.
Judith: Ah, è vero.
Amì: Da allora non l’hai più messo. Dimmi che lo terrai anche domani.
Judith: (dura) Il giorno dell’incontro e quello dell’addio.
Amì: Judith, dovrai solo aspettare qualche settimana. Rashid e gli altri ti porteranno con loro appena…
Judith: Dove? Dov’è che mi porteranno?
Amì: Per favore.
Judith: Devo saperlo!
Amì: Lo saprai quando si saranno calmate le acque.
Judith: Amì…
Amì: Che senso ha che te lo dica ora. (pausa) Andremo a sud, in un paese amico. Ti devi fidare.
Judith: Di chi? Di te? O di quello che ti hanno raccontato?
Amì: Judith, è la verità. Sei dovuta restare qui per sicurezza, se fosti venuta t’avrebbero schedato sicuramente. E’ stato necessario. Non dovevano sospettare nulla. Se qualcosa fosse andato storto non avremmo perso due anni di lavoro, avremmo perso qualsiasi possibilità. (diventa più intimo) Anche se non sei potuta venire non c’è nulla che tu non sappia. Credimi. Va bene?
Judith: (sorride) Si.
Amì: (carezzando il vestito) Sai, sono tornato proprio lì dove l’hai comprato, pochi giorni fa. E’ così diversa da quando l’hanno occupata. Hanno messo dei giardini e dei viali per far passeggiare le persone senza calpestare l’erba… poi in fondo, sui due lati, delle fontane a forma di conchiglia…
Judith: L’acqua?
Amì: C’era, c’è sempre stata. Era stata chiusa, subito dopo Haifa, nella striscia fra le due colonie. E’ bastato che un omino ricevesse una telefonata, si è messo uno stupido cappello di plastica, ha girato una valvola… e quelle fontane hanno cominciato a versare acqua come sorgenti. E’ come se in quella piazza tutto avesse ricevuto un ordine, una disciplina. Come se tutto fosse stato educato. E’ incredibile, soltanto un paio d’anni fa …
Judith: (continua, quasi ritualmente, la sua di Amì) …sembrava che tutti i palestinesi di Gaza si trovassero lì. Attorno a quei barili che bruciavano di tutto.
Amì: Già.
Judith: Fosti l’unico a notarmi.
Amì: (alludendo al vestito che ha in dosso) Non daresti nell’occhio se entrassi in una Moschea.
Judith: L’ho comprato la mattina, la prima volta che scappavo dalla città militare, se restavo lì dentro un giorno di più morivo soffocata. Solo mia madre mi vide sul carro, assieme ai militari per passare la sbarra, non disse nulla, stavo per chiamare anche lei.
Amì: (si indurisce) Perché non siete rimaste a Gerusalemme.
Judith: (non reagisce alla provocazione) Nessuno di noi voleva venire qui giù, neanche mio padre. Lo obbligarono, non fu una scelta. L’avrebbero trattato come un disertore.
Amì: Adesso sarebbe in compagnia.
Judith: (con una lieve punta di rimpianto) Tre anni fa non era neanche immaginabile che un militare si rifiutasse di venire nei territori occupati.
Amì: (ravvedendosi della sua durezza) Scusami, non era questo che…
Judith: (quasi con amore, interrompendolo) Cosa volevi dire?
Amì: Judith…
Judith: (incalzando) Se non fossi venuta…
Amì: Non sarebbe accaduto nulla. Se tu non fossi venuta oggi probabilmente sarei in Europa a scrivere lettere inutili a persone ancora più inutili.
Judith: (Pausa) Io non ho capito veramente quello che stavi facendo finché Rashid non ti chiese di entrare nell’organizzazione.
Amì: Venisti persino all’Università. L’ultimo semestre non facevi che chiedermi del comitato.
Judith: (sorride) Il comitato… non smise di scrivere lettere neanche quando bombardarono la palazzina. (l’orologio di Amì emette un segnale)
Amì: (Operativo) Abbiamo meno di mezz’ora.
Judith: Cosa?
Amì: Dobbiamo mettere via queste cose.
Judith: Che ore sono?
Amì: Venti alle sette.
Judith: E’ ancora quasi giorno. (guarda la luce che filtra dalla veneziana. Amì ripone i documenti, i fascicoli ed i nastri presenti sul tavolino nella scatola di cartone al di sotto di esso) Dove la metti quella roba?
Amì: C’è un barile qui sotto. Bisogna dargli fuoco.
Judith: (cercando di frenarlo) Sono solo documenti?
Amì: Ah.
Judith: E i piani militari?
Amì: Sono già dentro.
Judith: I nastri? I nastri delle conversazioni? Le carte del Mossad? Quelle…
Amì: Tutto lì dentro.
Judih: Amì, aspetta, fermati, e… le chiavi della macchina, il passaporto, il tesserino magnetico?
Amì: (indicando la busta da lettere posata su una delle due valigie) In quella busta, lì sopra. Mettila nella mia valigia.
Judith: (va a prendere la busta, la apre. Estrae un tesserino magnetico. Lo esamina) Non è quello che ti ho dato io.
Amì: Abbiamo dovuto farlo fare stanotte.
Judith: Cosa?
Amì: Hammad doveva averlo indosso quando gli hanno sparato. Non lo siamo più riusciti a trovare.
Judith: Come fate a sapere che il codice funzioni?
Amì: E’ quello per gli autisti militari, non rivela l’identità. Serve solo per alzare la sbarra.
Judith: L’avete già provato?
Amì: L’ho portato a Gerusalemme ovest, venerdì scorso.
Judith: Come ti sembrava?
Amì: (Ironico) Facile.
Judith: (Stizzita) Il comandante, come ti sembrava?
Amì: Gira con la guardia del corpo. Lo sai.
Judith: (continuando la frase, quasi meccanicamente) Certo, si. (Amì, andato verso Judith, le prende la busta con i documenti che lei ha ancora fra le mani e la sistema in una tasca della sua valigia) Non hai notato nient’altro?
Amì: No.
Juditth: Ha parlato?
Amì: Non ha fatto altro. Conosce tuo padre molto bene, si chiedeva perché avessi deciso di andare in Europa, forse ha dei sospetti…
Judith: (cerca di non far trapelare la preoccupazione) Nessuno sa che sono qui.
Amì: (forzatamente ironico) Forse è convinto ci sia qualcosa di più di una semplice amicizia tra noi.
Judith: (c.s.) L’avrò visto due volte in vita mia.
Amì: Eppure sapeva che eri stata tu ad aiutarmi.
Judith: Ho solo detto che c’era un amico che cercava lavoro.
Amì: Che m’abbiano assunto come autista, allora, è solo un caso.
Judith: (seccata) No, ovviamente no. (si stende sul letto)
Amì: (guardando in giro se c’è ancora qualcosa da mettere in valigia) Non è rimasto niente, mi pare…
Judith: (quasi in un pianto silenzioso) Niente.
Amì: (bagna le dita nel contenitore con l’acqua caduto prima a terra. Le disegna sul viso una lacrima) Andrà tutto bene… ultimamente non ho fatto che pensare ai momenti in cui non ti ho potuto vedere. Quando stavi a Gerusalemme, con i tuoi. Quando sei venuti qui. (si allontana dandole le spalle) E’ strano… osservare come tutto si realizzi, proprio come avevamo pensato.
Judith: (sfila da sotto il cuscino la pistola ivi rimasta. Protende l’arma verso il soffitto con fare fra l’alienato ed il sensuale) Non vedo cosa sia rimasto di quello che avevamo pensato E’ questa che userai domani?
Amì: (si volta e la vede) Non ha la sicura.
Judith: Neanche di me sei sicuro? Dovrebbe essere già nella macchina. Perché sta ancora qui?
Amì: (va verso di lei) Rashid deve farla sistemare da uno dei suoi.
Judith: Quando?
Amì: Stanotte.
Judith: Dove la metteranno?
Amì: Fra il sedile e la portiera
Judith: Avete provato?
Amì: (Amì va per toglierle l’arma di mano. Lei, invece, blocca su di essa anche le sue mani) Cosa?
Judith: In che modo devi prenderla, quanto dovrai sporgerti, piegarti, che tipo di nastro useranno, qual’è la mano che toglierai prima dal volante…non ci hai pensato? E se non dovessi trovarla. Se domani in quella macchina dovesse per caso capitare nelle mani sbagliate. Tu sei lì, convinto che con quella faccia, a guardarlo dallo specchietto, il comandante non possa pensare ad altro che ad essere a casa per ora di pranzo e invece lui aspetta solo un tuo movimento per scaricartela nella schiena. Cosa penserai allora, mentre starai ancora cercando fra il tuo “sedile e la portiera”? Di essere stato tradito? E da chi? Da Rashid? Da Hamas? Dai vertici dell’organizzazione? Da una qualsiasi delle persone coinvolte? Da me?
Amì: (Libera la pistola dalle mani di lei. Si allontana) Se il Mossad sapesse qualcosa sarebbe già intervenuto.
Judith: E perché? Per vedervi sparire un’altra volta come gocce sulla sabbia? Non sarebbe la prima volta che un palestinese prende i soldi da Israele. Che cosa ne sapete degli uomini che vi hanno armato? Gli ebrei riforniscono da anni gli arsenali di Al Aqsa.
Amì: (Ironico) Non credo che gli abbiano anche detto come avevano intenzione di usarli (cambia tono) Combattiamo tutti per la stessa causa, Judith.
Judith: Nessuno di quelli che vi rappresenta è dalla vostra parte!
Amì: (sorride) Quelli che dovrebbero rappresentarci non sono né da una parte né dall’altra.
Judith: E’ normale! Cosa credete di fare quand’anche avrete portato il comandante in un paese amico?
Amì: E’ solo la prima delle operazioni.
Judith: E cos’altro verrà dopo? Farete dichiarare ai vostri leader che se Israele non ritira i tanks dai territori occupati…
Amì: …comincerete a contare le vostre vittime più importanti.
Judith: Ne lascerebbero morire cento di Comandanti prima di cedere un ettaro di terra.
Amì: Un anno fa eri convinta del contrario.
Judith: Un anno fa erano diverse tante cose.
Amì: Ma quali, Judith?
Judith: (scoppiando) Non dovevi essere tu a guidare quella macchina!
Amì: (intimamente mosso da un impulso profondamente violento, va da lei e la costringe a guardarlo negli occhi) Hammad è morto un mese prima che avessimo il tempo di organizzare il sequestro. Chi lo doveva fare, secondo te? Ero l’unico a conoscere il percorso.
Judith: Eri anche l’unico a non aver mai ucciso un uomo.
Amì: (si calma) Non è così, lo sai.
Judith: Sparare a tredici anni a dei soldati che ti caricano, che neanche vedi, è diverso dal farlo ora, a freddo, con un militare che ti siede accanto. E’ armato tra l’altro, ma come conti di farcela…
Amì: L’abbiamo provato un milione di volte.
Judith: Amì, sei solo un ragazzo!
Amì: E’ soltanto un uomo.
Judith: (dopo una pausa, intuendo) Tu sai che non ce la farai, è così? E’ inutile che tenti di convincerti. Tu non cerchi tanto una ragione per vivere ma una per morire.
Amì: Ne ho cento di ragioni per morire. Vivere non è essere prigionieri di guerra. Apri gli occhi, Judith, questa non è Gerusalemme.
Judith: Che vuoi dire?
Amì: Che ragioni come se non fossi mai uscita di lì.
Judith: E’ per me che siete potuti andare avanti senza che l’esercito si accorgesse di nulla, è da me che avete saputo ogni mossa dei servizi segreti israeliani almeno ventiquattr’ore prima. Ti fa comodo adesso essertelo dimenticato? Perché credi che lo abbia fatto? Vieni qui, dopo che per venti giorni che m’hai lasciato a marcire in questa stanza e mi tratti come se fossi una spia… è questo che t’hanno insegnato al campo? A non fidarti di nessuno? (diventa di nuovo dolce e comprensiva) Ho voluto anch’io arrivare a questo punto. Amì, parlami. Andrete a Sud ma lo passerai tu il confine? Hanno deciso di imbarcarlo? Cosa sai?
Amì: Sono solo una ruota dell’ingranaggio.
Judith: E’ questo che volevi? Essere solo una ruota dell’ingranaggio?
Amì: Volere? Volere qualcosa, volerlo, volerlo e basta, a che cosa è servito? All’Università quanta gente voleva che qualcuno si accorgesse di quello che succedeva qui. Abbiamo organizzato gruppi di ragazzi che girassero per tutta Europa a raccontarlo, abbiamo fornito il materiale alle delegazioni per anni. A cosa è servito? Neanche gli osservatori sono venuti.
Judith: A Bruxelles hanno istituito un processo per i crimini di guerra di Israele.
Amì: Ma la persona che doveva andare a testimoniare è stata uccisa il giorno prima che partisse. Judith, lo vedi anche tu: è tutto inutile. La verità interessa soltanto chi la subisce.
Judith: Sarà tutto inutile se (indica la scatola con gli incartamenti ed i nastri prima preparati da Amì) quella roba andrà bruciata.
Amì: Ma cosa vuoi fare? L’Università è stata chiusa. Il comitato è stato smantellato anche prima.
Judith: La gente se n’è andata perché girava la voce che ti eri venduto (Amì sorride significativamente) …no, lo sapevano benissimo cosa rischiavo a starti vicino. Era di te che non si fidavano più. Di te, si! C’era chi diceva che eri contro Al Aqsa perché il Mossad ti pagava.
Amì: Era quello che avevano bisogno di credere. Sono voci che si sono alimentate da sole, ci crederei persino io se le sentissi ora.
Judith: Ma è nel momento in cui Rashid è entrato nel comitato che la gente ha iniziato a sospettare di te.
Amì: Judith…
Judith: Come fai a non capirlo?!
Amì: Perché non aveva nessuno motivo per far girare una voce del genere?
Judith: Tranne quello che finché fosse esistito il comitato e tu ne fossi rimasto a capo, non avresti mai potuto chiedermi i piani militari.
Amì: No, ti sbagli.
Judith: L’organizzazione sapeva come muoversi con te sin dall’inizio.
Amì: Rashid non ha fatto nulla perché andassi con lui.
Judith: Ha creato le condizioni perché non ti restasse altra scelta. Tu avresti potuto sapere cosa succedeva nella città militare, è solo per questo che ti hanno cercato.
Amì: (Pausa) La ragione che ci tiene assieme è quella di essere utili, utili a liberare la Palestina, non c’è nessun atto di fede, siamo solo funzionali. (Judith, con un moto incosciente, si porta le mani dietro il collo e con un movimento lento e nervoso comincia a graffiarselo, Amì non se ne rende conto) Come saremmo arrivati fino a questo punto, io e te? Non potevamo rendercene conto. E’ come un mosaico, le tessere non devono conoscere il disegno del quale fanno parte (Amì, voltatosi verso Judith, si è accorto che un filo di sangue le scivola giù dal collo rigandole di rosso il vestito) Judith (Judith si allontana) cos’hai lì dietro?
Judith: Hm?
Amì: Dietro al collo, cos’hai?
Judith: Niente.
Amì: (va verso di lei, allarmato) Vieni qui, perdi sangue.
Judith: (si allontana) No!
Amì: Judith! Per favore!
Judith: (la blocca per un braccio) Lasciami!
Amì: Vieni qui!
Judith: Lasciami… non mi toccare! Non mi toccare!
Amì: Va bene, va bene, come vuoi… calmati ora, calmati… calmati… io voglio solo vedere cos’hai.
Judith: Cosa te ne importa…
Amì: (Judith si porta la mano dietro il collo e comincia a graffiarsi) Te lo sei fatta da sola?
Judith: …dopo quasi un mese… senza poter uscire, con la paura che ti vengano a prendere da un momento all’altro? Senza una voce, senza telefono, senza aprire la finestra? Ogni rumore… ogni rumore diventa enorme. La porta che scricchiola, i passi che senti e che distingui da quelli dentro la testa. Tu stavi ad Hebron cercando di dimenticare quello che eri.
Amì: (lentamente, la abbraccia) Shh… tra qualche ora sarà tutto finito.
Judith: Non mi porteranno mai da te.
Amì: E’ l’ultima volta che vedi questo posto. Non dovrai più preoccuparti di nulla, è finita Judith. E’ finita…
Judith: (separandosi dall’abbraccio) No. Cosa è successo, in questi venti giorni che adesso dovrebbe permettermi di seguirti? (amaramente ironica) Perché non sono potuta venire dentro quel campo? Cos’è che non potevo vedere? Chi…
Amì: Judith, nessuno di quelli che ti conoscono sa che sei ancora qui. Ti immaginano tutti in Europa. Questa casa è il posto più sicuro dove potevi rimanere. Nessuno viene qui, nessuno controlla questa parte della città…
Judith: Sarebbe bastato che qualcuno mi avesse seguito la prima volta che sono venuta qui dentro. Potevano entrare da un momento all’altro…
Amì: No.
Judith: (leggendo negli occhi di Amì qualcosa che ancora non le ha detto) Perché no? Perché?… Amì, perché!
Amì: C’erano delle persone…
Judith: Cosa?
Amì: Delle persone che controllavano che non…
Judith: (interrompendolo) Che non arrivasse nessuno?
Amì: Che non ti accadesse nulla.
Judith: (completamente spaesata) Delle persone?
Amì: Si.
Judith: Qui fuori? Che non…
Amì: Avevano l’ordine di portarti via se avessero visto dei militari entrare nel palazzo.
Judith: (intuendo) Avevano quello di uccidermi prima di farmi trovare!
Amì: No Judith!
Judith: Perché dovrebbero continuare a difendermi? (Amì non risponde) Amì, guardami, lo sai anche tu. Io non sono più utile. (cambia tono, ridiventa pragmatica) Dove sono ora?
Amì: (risponde senza ascoltarla) Chi?
Judith: Quegli uomini, quelli…
Amì: (c.s.) Non lo so…
Judith: Cosa?
Amì: (c.s.) Sono andati via.
Judith: (entra nel panico) Amì, cosa ti dicevano in quel campo…
Amì: (meccanico) Nulla…
Judith: Cosa succedeva lì dentro?
Judith: Amì!
Amì: (scoppiando) Nulla che io sapessi! Rashid lo vedevo solo la sera assieme agli altri dirigenti del movimento.
Judith: Allora preparavate il sequestro? Allora decidevate come muovervi?
Amì: Non potevo pensare a questo.
Judith: Come?
Amì: Ho dovevo preparare me. Non potevo preoccuparmi di…
Judith: (interrompendolo) Chi ha preso allora le decisioni nell’ultimo mese?
Amì: I dirigenti.
Judith: I dirigenti del movimento?
Amì: Judith, cos’è che vuoi sapere?
Judith: Voglio sapere cosa facevi tu!
Amì: Io so tutto quello che domani può accadere in quella macchina, va bene?
Judith: Non va bene, no! Ti sembra normale che tra tanta gente dell’organizzazione che non avrebbe avuto nulla da rivedere, nulla da cambiare nel proprio modo di pensare, abbiano scelto proprio te!? Tu che eri l’unico che doveva restarne fuori, che non avrebbe mai dovuto toccare un arma? Non te lo sei mai chiesto mentre stavi lì dentro?
Amì: Perché avrei dovuto? Vuoi che mandi tutta all’aria perché adesso ti sono venuti dei dubbi? Adesso? Dopo due anni che abbiamo passato due anni a preparare questo piano! Domani ci saranno più di seicento uomini al confine!
Judith: E credi che bastino?
Amì: E’ soltanto un presidio.
Judith: E’ Davide contro Golia.
Amì: Davide ha vinto.
Judith: Ma Golia ora ha un carro armato, e voi state ancora con le pietre.
(Dall’esterno si sente provenire un coro di manifestanti, lontano. Vanno entrambi alla finestra)
Judith: Cos’è?
Amì: Sono dei manifestanti.
Judith: Passano di qui?
Amì: Non credo. (lei va alla finestra) Quelli con la Kefia verde ed il volto coperto sono dell’organizzazione, al centro ci sono i martiri. (va a mettere la giacca e, dal mobiletto, prende un Corano)
Judith: (che ancora guarda fuori dalla finestra) Stanno girando. (Le voci del corteo si allontanano) Saranno qui sotto fra poco. Non t’avevano detto nulla.
Amì: Non c’è nulla da sapere. Sono solo dei manifestanti.
Judith: (notando il Corano) Te l’ha dato Rashid? Non glielo hai detto che non sei religioso?
Amì: E’ soltanto un regalo.
Judith: E’ una proposta.
Amì: Per cosa?
Judith: (indicando fuori dalla finestra) A diventare come loro.
Amì: Pensi che lo facciano davvero per questo? (accennando al Corano) Che hanno bisogno di un paradiso per farsi saltare in aria? Che un bambino possa crescere con la testa piegata senza vedere le pietre, senza tirarle contro Golia? Forse non abbiamo la forza di vincere questa guerra. Abbiamo quella di combatterla. (cambia tono) Andiamo ora, prima che faccia buio. (prende la valigia)
Judith: No.
Amì: Cosa?
Judith: Quello che potevo fare l’ho fatto.
Amì: Che vuol dire?
Judith: Io non vengo.
Amì: Non rimarrà più nessuno qui.
Judith: Io non vengo.
Amì: Tu hai fatto una scelta.
Judith: Quale scelta?
Amì: Da che parte stai?
Judith: Dalla tua. Io faccio tutto quello che vuoi. Ti accompagnerò da Rashid, resterò con lui finché non avrà calmato le acque e potrà venirti a dire che sono rimasta uccisa in qualche rastrellamento israeliano…
Amì: Perché dovrebbe farlo?
Judith: Per farti diventare uno di loro a pieno titolo e ricordare tutto quello in cui hai creduto come un lungo grande errore. Vuoi sapere da che parte sto? Dalla tua… ma un tempo dicevi che il filo spinato attorno Gerusalemme l’avrebbero strappato il giorno che avessero smesso di guardarlo solo da una delle due parti.
Amì: (Non riesce più a mascherare la crisi) Perché stai facendo questo?
Judith: Sarebbe un errore, Amì, non mi fido di loro. C’è qualcosa che…
Amì: Judith… sei stata tu a spingermi a seguire Rashid, a fidarmi di lui, ad entrare nell’organizzazione quando io ancora non ne ero convinto. Hai rubato i piani di militari per farmi acquisire credito ai loro occhi. Perché hai voluto che lo facessi. Perché continuavi a ripetermi che l’unica cosa che contava era che io continuassi a lottare, che non importava come…
Judith: (interrompendolo, atona, senza guardarlo) Perché prima ti odiavo. Perché sono tanti vent’anni da cancellare. Perché a Gerusalemme sai che esiste un palestinese solo quando muore un israeliano. (si volta verso di lui) Com’è cambiare tutto quello in cui credi? Tu lo sai, Lo hai fatto. E’ come morire. Io dovevo dimostrare a me stessa che mentivi, che erano balle quelle che raccontavi al comitato… a cosa avrei creduto altrimenti? Ho voluto che ti fidassi di me, che fossi pronto a diventare come avevo sempre creduto che fossi, tu e tutti gli arabi-palestinesi-islamici che non vivevano a Gerusalemme. Ho creduto che l’attività del comitato fosse solo una copertura, che eravate la faccia pulita del terrorismo. Mi sono sbagliata, tu la volevi veramente la pace, ma io ho cominciato a credere in quello che dicevi quando tu avevi già smesso di farlo.
Amì: Non ho mai smesso.
Judith: Non mi sembra rientrasse nei tuoi progetti diventare un assassino.
Amì: Se vuoi far ridere il Buon Dio raccontagli i tuoi progetti.
Judith: Che Dio si diverta a sentirci urlare, a vederci fare a brani come cani a me non importa. Se tu sei entrato nell’organizzazione è perché qualcuno ha cominciato ad interessarsi a te quando ha saputo di me. Ti hanno fatto il vuoto intorno.
Amì: Chi?
Judith: Chi poteva.
(suona il cellulare. Amì risponde)
Amì: Si… devo ancora uscire… no… (guarda Judith, assente) che vuol dire? (disorientato) si, ci sono… che devo fare?… (cupo) queste notizie sono false … “è stato sospeso” perché?… Rashid, (in modo da non essere udito da Judith) l’avete tenuta sotto chiave per un mese, anche se avessero ragione, come faceva a…?… va bene, aspetta almeno che arrivi (attacca. Dopo una pausa. a Judith) vuole vedermi da Metaah.
Judith: Metaah?
Amì: Il ristorante nel quartiere ebraico. (Judith fa per prepararsi) Da solo.
Judith: (si ferma) Cosa?
Amì: (Ambiguo) Ci sono stati dei problemi.
Judith: Quali problemi? Il piano… è saltato? Amì… è saltato?
Amì: (con un impeto di rabbia repressa) C’è stata una fuga di notizie…
Judith: Pensano che sia stata io, è così, è questo che ti ha detto? (si sentono i cori del corteo di Hamas riavvicinarsi, Amì guarda la finestra, è come ipnotizzato).
Amì: Ora devo andare.
Judith: Per favore, Amì, (cerca di trattenerlo, lui fa per andare avanti, senza guardarla) fermati! Cosa ti ha detto al telefono? Guardami! Non sono una spia! Vogliono farti credere che abbia tradito perché non gli servo più, perché sono ebrea, figlia di un militare! (lui è come assente, non la guarda negli occhi e fa per continuare a camminare come se non ci fosse nessuno, lei entra nel panico) Cos’hai, Santo Dio! Guardami, per favore! Dobbiamo andarcene! Adesso! Amì! (lui alza lo sguardo verso di lei, è uno sguardo vuoto, vitreo, assente, lei realizza e allibita lo lascia andare) Tu non puoi credergli…
Amì: (con una calma disumana) Verranno a prenderti. Non ti accadrà nulla. Devo solo andare via qualche minuto prima.
Judith: Vuole risparmiarti lo spettacolo.
Amì: (c.s.) E’ meglio che stai qui.
Judith: (Pausa, realizza) Amì… non servirà a nulla. Non servirà a nulla.
Amì: Servirà a me.
Judith: No.
Amì: Sono stanco di sentire solo vergogna. Di non essere niente, all’università, adesso… la gente comincerà a dire che sono una donna, una marà, che devo starmene a casa, lo sai? Persino mia madre non mi guarderà più in faccia. Io non ho paura, invece, non sono vigliacco.
Judith: Tu non lo eri. Non sei diventato martire perché pensavi che fosse contro il popolo, che facesse solo il gioco di chi voleva l’occupazione. Ora sei pronto a farti saltare in aria invece e lasciare che mi vengano a prendere e facciano con me quello che fanno alle spie. Tu non eri un vigliacco.
Amì: Non si può tornare indietro.
Judith: Dobbiamo andare via. (indica la scatola con gli incartamenti) portiamo quei documenti con noi a Bruxelles, prima che diventino carta straccia.
Amì: Senza testimonianza è come se lo fossero già.
Judith: Testimonierò.
Amì: Non avresti più una vita.
Judith: Una vita? (I cori del corteo si fanno più vicini, in lontananza si odono degli spari, delle grida. La musica comincia continua a salire)
Amì: Non usciamo insieme
Judith: Hai ancora il visto israeliano? (lui lo estrae dalla borsa) Bene…
Amì: (le porge il copricapo tradizionale delle donne islamiche) Mettilo. Darai meno dell’occhio. (dal corano estrae un foglio ivi piegato)
Judith: Cos’è? (lo dà a Judith)
Amì: Io non ho mai smesso.
(Amì esce, Judith prende il telefono cellulare, comincia ad affannare meccanicamente come ad auto indursi uno stato di panico. Compone un numero)
Judith: (parla a telefono, affannando) Sono io… si, sto bene… ho dovuto sparargli, non vi riuscivo a chiamare, dove eravate… aveva scoperto dei soldi… si è morto… sta sul letto, davanti a me … va bene… non deve restare niente, ho capito… lasciatemi in pace ora… lasciatemi in pace. (Chiude il telefono, torna alla respirazione normale. E’ calma, lucida. Parte la musica. Prende gli incartamenti ed i nastri e li mette nella valigia. Indossa il copricapo tradizionale delle donne palestinesi, lo fa in maniera quasi cerimoniale. Dà fuoco al foglio di carta che le ha dato Amì, lo lascia cadere sul letto ed esce. In scena, nel buio, la fiamma che divampa sul letto. La musica che cresce, la voce di Amì, lontana, sporca, appassionata, in un vociare come di folla) …la fine oggi sembra potersi scrivere solo con il sangue. La paura che ha spinto Israele ad alzare un muro per difendere ciò che un tempo era nostro, porterà quella gente a costruire sempre altre mura, altri steccati, altri confini, altra violenza. Anche se tutto sembra andare in una sola direzione, noi dobbiamo sapere che il filo spinato attorno Gerusalemme verrà strappato il giorno che avremo smesso, noi come loro, di guardarlo solo da una delle due parti. Alcune persone vorrebbero farci credere che questo sia impossibile, che l’abominio debba essere uno stato di fatto, che parlare sia inutile, che “libertà” sia una parola ed umiliazione una realtà. Ci hanno fatto credere che un uomo che alza la testa è un uomo morto. Ce lo hanno insegnato da bambini. E’ la verità. Un uomo che alza la testa è un uomo morto. Milioni di uomini che alzano la testa hanno la possibilità di guardare un nuovo orizzonte.
Fine