DICHIARAZIONE SINCERA ALL’ALTRO ME STESSO
monologo di
Renato Capitani
Un uomo di fronte ad uno specchio. E’ uno specchio da camerino teatrale, cioè di
quelli incorniciati da una serie di lampadine che li illuminano. Ma non siamo in
un camerino di un teatro perché lo specchio non poggia sul solito tavolo da
trucco, ma è soltanto sospeso da terra, forse sostenuto da fili invisibili o
solo appoggiato ad una parete. Deve permettere unicamente al personaggio di
specchiarsi ogni tanto, durante il suo monologo, come per dare l’impressione di
dialogare con un’altra persona.
UOMO:
(guardandosi allo specchio, in piedi) Caro me stesso,
ho riflettuto a lungo prima di parlarti, perché essendo l’altra parte di me
stesso ti conosco bene, come tu del resto conosci bene me, e perciò so che
potresti reagire in modo impulsivo e mandarmi al diavolo, come hai fatto spesso.
Ma so anche che quando ti sforzi di capirmi, diventi più tenero, più mansueto,
allora risulta più facile trovare un accordo e diventa anche più semplice
convivere. Ma, purtroppo, ancora, succede raramente. Ad ogni modo ci voglio
provare, perché devi sapere che questa volta è successo qualcosa di speciale e
non puoi più fare finta di niente, come spesso hai fatto in passato. Se tu
riuscissi finalmente ad ascoltarmi e, soprattutto, a capirmi, può darsi che
finalmente, una buona volta per tutte, riusciremo a trovare la nostra difficile
conciliazione. (Volge lo sguardo verso il pubblico. Da questo momento alternerà
momenti in cui parlerà guardandosi allo specchio ad altri in cui parlerà
guardando il pubblico, a discrezione della messa in scena.) Caro me stesso, ho
fatto un sogno e te lo voglio raccontare. Mi trovavo in un grande prato, con
tanti alberi, bellissimo. Il terreno era pieno di foglie. Foglie gialle, rosse,
marroni. Foglie cadute dagli alberi, sicuramente in autunno. Il sole era
autunnale. La luce chiara, l’aria tiepida. Tutto contribuiva a rendere
l’atmosfera dolce, serena, rilassante. Con me c’era una donna. La mia donna.
Colei che amo. E questa presenza rendeva tutto più fantastico, magico, irreale.
Lei mi sorrideva, dolce e calda, in perfetta simbiosi con me e con l’aria che
respiravamo. Un raggio di sole attraversava i suoi capelli illuminandoli e dando
loro un colore simile a quello delle foglie, tanto da sembrare in perfetta
comunione con l’immagine del paesaggio. Mi ascoltava attenta, quasi rapita,
mentre io le mostravo alcune foglie che avevo appena raccolto. Mi preoccupavo
che lei imparasse a distinguere quelle che andavano raccolte, da quelle che
invece andavano lasciate sul prato. Non so perché io facessi questo, ma lei mi
ascoltava con molta attenzione, convinta che ciò che le dicevo fosse importante.
Ma in quel momento non era importante quello che stava succedendo. D’altronde si
trattava di un sogno, e anche tu sai che nei sogni non è tutto comprensibile.
L’importante, però, era quell’ atmosfera di pace e di serenità, quel sapore di
antiche sensazioni già vissute. Quella nostalgia tipica dei ricordi cari, che io
stavo vivendo, felice, insieme alla mia donna. Il resto del mondo mi sembrava
lontano, quasi inesistente, e non m’importava più niente, se non di ciò che
stavo provando e vivendo in quel momento. Tutto era bellezza: i colori della
natura, la forma degli alberi, il chiarore del cielo. E poi gli occhi vivaci e
sorridenti di lei, quel suo sguardo, le bianche mani che stringevano con
delicatezza le foglie che le consegnavo, con l’attenzione di chi ha paura di
rovinare qualcosa di molto delicato, di prezioso. Ecco, sì, è questo che volevo
farti capire: tutto mi sembrava molto prezioso. Qualcosa che non avrei voluto
assolutamente perdere. Neanche per un solo istante. (Pausa) ed è a questo punto
che ho pensato a te. L’altra parte di me stesso. Colui che spesso mi ha fatto
paura e che sovente non ho saputo controllare, frenare come avrei dovuto, per
non causare il mio male o quello di qualcun altro. Ora non ti temo più. Non sono
sicuro di averti preso completamente le misure. Forse non ci riuscirò mai. Però,
sono sicuro di essere più forte di te, o può darsi che ti sia indebolito tu. Sta
di fatto che comunque, ora, mi considero superiore a te e perciò, da superiore,
sento di poterti confessare le mie sicurezze. Delle insicurezze non te ne parlo,
perché ne sai molto più di me. Ti assicuro soltanto che, da superiore, non ti
permetterò più di crearti delle priorità sbagliate, di dare importanza a ciò che
non dovrebbe averne, e di trascurare ciò che merita più attenzione. Quante
ingiustizie hai commesso! Quante parole non hai detto, che avresti dovuto dire,
e quante altre invece avresti dovuto risparmiarti. La nostra vita è stata piena
di frasi inespresse, di gesti che non mi hai permesso di fare. Di gesti che non
sono riuscito ad impedirti. Sarebbe bastato un passo avanti o uno indietro, e
tutto sarebbe stato diverso. Invece quante volte, prevalendo su di me,forte
della tua arroganza, ti trovavi nel posto sbagliato o in quello giusto arrivavi
quando ormai era troppo tardi. Quanti tempi hai sbagliato!… Quanto tempo hai
sprecato!… Quante occasioni hai perduto!… Hai dato troppo a chi non ti dava
niente e poi, ferito, arrabbiato, pretendevi tutto da chi già ti dava molto. Eh
sì… è stato duro lottare con la tua impulsività, il tuo orgoglio, i tuoi
silenzi, credimi. Spesso hai cercato di annientarmi, perché la mia voce ti dava
fastidio. E avresti voluto ignorarmi. Ma poi, alla fine, sempre, fortunatamente,
riuscivo a liberarmi dal bavaglio che mi avevi imposto sulla bocca, ad uscire
dall’angolo in cui mi avevi costretto e riuscivo a parlare al tuo cuore. Al
nostro cuore. Puntualmente tornavamo ad abbracciarci e finalmente una mesta
malinconia s’impadroniva di noi. E allora insieme avremmo voluto tornare
indietro, rifare tutto, rivivere certi momenti, ritrovare alcune persone nello
stesso posto. Se avessimo potuto farlo, avremmo riempito di toppe la nostra
vita. La nostra divisione è sempre stato per noi due il problema più grande. Se
ora potessimo voltarci indietro e guardare insieme, quante cose mi piacerebbe
farti rivedere. Potrei dire finalmente le parole che non mi hai mai permesso di
dire. Sono sicuro che riuscirei a vincere la tua ostinazione e la mia forza
vincerebbe la tua debolezza. Ora sì che mi staresti ad ascoltare. Ma, purtroppo,
la vita quasi mai offre le stesse possibilità. (Pausa) perciò, caro me stesso,
adesso vorrei che anche tu entrassi nel mio sogno e camminassi con passo sicuro
in quel prato pieno di foglie cadute e respirassi l’aria limpida, ascoltando
allegro il fruscio dei tuoi passi. Libero, sereno, come me. E poi ti farei
incontrare la mia donna. Il mio amore. Ti farei conoscere il suo sorriso,
ascoltare la sua voce, assaporare la delicatezza delle sue labbra. La
delicatezza del suo cuore. Sono certo che neanche tu avresti il coraggio di
trattarla male. Mi chiederesti, invece, di proteggerla da te, di amarla, di fare
di tutto per non perderla. Di non deluderla mai e di metterla sempre davanti a
tutto. Di avere molta cura, insomma, di questo amore. Infine, (sorride)
sconvolgente se detto da te… le chiederesti d’invecchiare insieme a te. Lei,
allora, ti mostrerebbe le foglie che io le ho scelto e t’insegnerebbe a
distinguerle, come le ho insegnato io. Tu l’ascolteresti con la stessa
attenzione con cui lei ha ascoltato me. E il suo amore saprebbe farti capire
molte cose. (Pausa) Io, intanto, vi guarderei sereno, seduto in terra, in mezzo
a tutte quelle foglie, e mi godrei, felice, la dolce pace della nostra
riconciliazione. Mentre il mondo continuerebbe a girare intorno al nostro prato
e, forse, nemmeno si accorgerebbe di noi. Ma questo, in fondo, non ci
dispiacerebbe affatto.
(Guardando fisso lo specchio) Caro me stesso, ora che ti ho confidato il mio
sogno, spero che tu ne tenga conto e possa aiutarmi a realizzarlo. Siamo nati
insieme, abbiamo vissuto tutta la vita insieme e… dovremo continuare a viverla
insieme, nel bene e nel male. Perciò, nonostante tutto, ti voglio bene. E te ne
vorrò sempre… e comunque.
(Le luci dello specchio si spengono.)