Monologo di
…Da fastidio se fumo? No? Bene. Lei fuma? No? Bene. No, dico, bene per lei, ne guadagna in salute… Come? Non capisce il senso della sigaretta? Neanch’io. Ma fumo lo stesso. Mi scusi ma lei, qua… amico o conoscente? Diciamo amico? L’amicizia è una gran bella cosa.! Me l’ha insegnato Elvira, a credere nell’amicizia. Non conosce Elvira? Che strano, con tutti gli amici che ha… La sera, non riuscivo mai a dormire assieme ad Elvira, diceva che non voleva assolutamente disturbarmi… che poteva fermarsi da amici. Infatti, ogni sera lei si fermava da un amico diverso. Mai dallo stesso, altrimenti anche in quel caso sarebbe stato un disturbo. Aveva tanti amici Elvira. Aveva anche tante amiche. Ma non si fermava mai dalle amiche, la notte, Elvira. Eh, bisogna cercare di capirle le donne… Francesca me lo diceva sempre: Tu mi capisci? Io la guardavo ed annuivo. Si certo che ti capisco. Aveva bisogno di un po’ di dolcezza… Aveva bisogno di un po’ di comprensione… di una spalla su cui poggiare nei momenti di sconforto… Aveva bisogno di un donatore di sperma per avere un figlio… Ed io glielo avevo pure detto: Te lo do io. Ma anche lei, orgogliosa, non ha mai voluto dire si, perché ero un suo amico e non voleva regali da amici; si sarebbe sentita in debito. Meglio uno sconosciuto. Giusto. E lei, Francesca, ha voluto dopo anche giustificarsi ai miei occhi: mi disse: Con lui non sono mai arrivata all’orgasmo… Le mie grida erano per non mortificarlo…ché ci sarebbe rimasto male. Che brava ragazza… così sensibile. Però, Cicci, con lui non sei mai arrivata all’orgasmo… Con me non sei mai arrivata, punto…mai arrivata, ma che dico: neanche partita punto! Mi dava sempre buca agli appuntamenti. Poi telefonava e diceva di scusarla perché aveva dovuto aiutare un amico in difficoltà. Sempre disponibile, la Cicci. Ma perché io che non la conosco affatto... improvvisamente ho deciso di parlare della Cicci, di orgasmi e donatori di sperma...
Sarà che non sapevo come cominciare la discussione...sarà che lei somiglia a mio padre. Con mio padre si poteva parlare soltanto di sesso o di calcio. Nel senso che con lui non si parlava...e se proprio dovevo cercare un argomento di discussione era meglio parlare di sesso e di calcio... Insomma...di cosa avremmo dovuto parlare io e lui. Già, di cosa? Di sesso se ne parlava soltanto per gioco, mica io potevo affrontare un discorso serio sul sesso...Ed anche lui non è che mi abbia mai preso in disparte per spiegarmi cosa fosse il sesso. Perché non l'ha mai fatto? Credo pensasse che io già sapessi tutto. Si. Ero suo figlio e data la sua alta autostima...s'immaginava che io già al primo vagito avessi chiaro tutto quello che si doveva sapere sui fiori, sulle api e sul polline...La sua frase tipica era...Quante te ne sei fatte? Ma io stavo al gioco, mi piaceva accontentarlo. E del resto ho cercato sempre di accontentare tutti, sin da piccolo. A due anni, per esempio, ho capito che mia madre voleva che io facessi la pupù. Ed io sentivo che avrei dovuto farla felice. Si, d’accordo, lei avrebbe preferito che la facessi sul vasino e non sul suo vestito, ma io desideravo fortemente che lei toccasse con mano, notasse tangibilmente il fatto che io l’avevo accontentata. Ma non ero compreso. Sa che giorno è? Sono sicuro che si tratta di un giorno importante, una ricorrenza. In genere ho buona memoria.
Ricordo bene, ad esempio, i mondiali del ’74. I mondiali di calcio per me bambino hanno rappresentato il punto d'incontro della famiglia. I mondiali di calcio e il pranzo... Pranzo e mondiali erano il momento in cui la famiglia era compatta, unita verso un unico obiettivo. Non so perché ma non riesco a ricordare altri momenti di unione... che ci sono stati sicuramente, ma io non li ricordo. Mondiali di calcio del 1974: Italia – Haiti. Valcareggi, l’allenatore dell’Italia, ad un certo punto della partita fa entrare Pietro Anastasi al posto di Giorgione Chinaglia. Lui, Giorgione non deve aver gradito la sostituzione, perché, uscendo dal campo, invita il proprio allenatore ad andare in vacanza in un certo paese che non ricordo bene. Eppure ricordo benissimo che mio padre rise. Ma rise molto. Di solito lui era serissimo e vederlo piegato in due dal ridere… Rideva di gusto con quelle sue carie da fumatore. Quando rideva, si apriva la voragine ed io ero contento. Io mi ero impresso il gesto di Chinaglia e mi ero impresso la risata di mio padre. E mentalmente avevo collegato le due cose. Così, quando la sera mio padre tornava stanco dal lavoro, io, per metterlo di buonumore, ero solito ripetere il gesto di Chinaglia: ma chissa perché… mio padre s’incazzava ancora di più. Faceva il rappresentante di dadi da brodo, mio padre. E non dev’essere stata una cosa divertente. Per noi no di sicuro. Per tre buoni motivi… Primo: perché le confezioni di dadi invendute le propinava in famiglia. Secondo: perché le confezioni di dadi invendute erano tante. Terzo: perché le confezioni di dadi invendute – che erano tante – ma anche quelle vendute… puzzavano di ascelle. Lui era sempre in giro, sempre sotto pressione. E tre figli da mantenere… Papà aveva la faccia di uno che non avrebbe voluto fare il padre. Però aveva tre figli. A dire la verità lui non faceva il padre, faceva il genitore, che è cosa differente. Il genitore, se fai qualcosa che non devi ti molla uno sganassone in nome dell’auctoritas. E non deve spiegarti nulla, lui. Il padre, invece ti prende in disparte, ti parla dolcemente, ti spiega il perché tu quella cosa non debba farla. Poi ti molla lo sganassone. Tu figlio, lo sganassone lo accetti, ti sta bene, sei quasi contento. Perché lui ti ha fatto partecipe, ti ha reso consapevole. Io non ho mai preso sganassoni da mio padre. E dire che ho fatto di tutto per prenderli. Niente. Ero poco considerato. Mio fratello, invece, ne prendeva tanti di sganassoni, manrovesci, ceffoni! Loro si che avevano dialogo. Mamma lo diceva sempre, quando succedeva. Mi diceva: Non ti preoccupare, stanno parlando. Anche io avrei voluto parlare...Dai papà, parliamo un po'... E di cosa parliamo? Non lo so...non sono io che devo dirlo...tu sei il padre...tu saprai sicuramente di cosa dobbiamo parlare... Non lo sai? Ma sei un padre...!? Ah, sono io che devo domandarti e non tu che devi chiedermi? E se io non parlo... che so metti che son muto... afasia... perdo l'uso della parola...oppure ho un danno permanente alla lingua e non posso articolare le parole... tu che fai non mi chiedi nulla per tutta la vita?? Ma dai! Per tutta la vita... per tutta una vita. Si nasce da soli e si muore da soli... Così dicevi... E dicendomi questo inibivi tutte le mie domande... Perché tanto se si nasce da soli e si muore da soli...tanto vale fare tutto da soli anche durante la vita. Autarchico. Pretendevi che io fossi un autarchico. Così forse sarei stato preparato al dopo. Genio!
E’ sicuro di non volere una sigaretta? La vedo un po’ rigido. Mi perdoni se parlo troppo. Sarà una sorta di compensazione… Durante i miei primi vent’anni ho parlato pochissimo. Impiegavo tutto il mio tempo a cercare la perfezione. La perfezione per me significava “piacere ai miei genitori” prima di tutto. Perché volevo piacere ai miei genitori? Ed io che ne so...Penso perché quello fosse tutto il mio mondo...anzi io ero di quel mondo, appartenevo a quel mondo. Abbiamo bisogno di appartenere a qualcuno...no? No. Potremmo anche appartenere a noi stessi...il problema è che lo scopriremo più tardi. Perché da quando nasciamo siamo dei nostri genitori. Mio figlio...il mio bambino...il mio tesoro...il tesoro della sua mamma. La mamma... La mamma è la mamma. Sei parte di lei. È un rapporto fisico. Lei ti tiene lì nove mesi...ti protegge...Sei parte di lei. Ma il papà...Appartenere, a parte tenere...tenere a parte. Tenere a parte il papà. Quello è un quasi un estraneo. Prima è il tuo nemico, rivale, antagonista...poi sarà il tuo carceriere, dittatore, presidente, direttore generale. Raramente è un amico e se succede avviene molto dopo. ...comunque a quel tempo mica sapevo tutte queste cose... io volevo soltanto piacere ai miei genitori.
Avrei fatto di tutto...mi sarei allenato anche duramente per piacere ai miei genitori, io! A quel tempo, piacere ai miei genitori si traduceva nel fare la pupù nel vasino che però era di circonferenza inferiore rispetto al mio… E non ci riuscivo. Allora cercavo di mangiare tutto perché era grazia di Dio… ma ero allergico all’uovo e alla pesca… e non ci riuscivo. E poi dovevo evitare di fare la pipì a letto, ma facevo brutti sogni e… non ci riuscivo e sfogavo. I bambini, si sa, devono sfogarsi. Tutto ciò non faceva altro che peggiorare la mia situazione. Più non riuscivo nei miei intenti e più mi lasciavo prendere dal panico. Così ho finito per fare la pipì sull’uovo, mangiare sul vasino e cagare composto a tavola. Cominciando a crescere cercai di allargare i miei orizzonti. Non mi soddisfaceva più l’essere perfetto soltanto agli occhi dei miei genitori, volli esserlo anche rispetto a tutti coloro che rappresentavano il mio mondo. Ma non per me...né per gli altri. La perfezione la cercavo come riflesso di ciò che i miei genitori avrebbero visto. Il mio mondo allora erano gli amici... i professori... le ragazze... Le ragazze...Già. Sai papà... c'è una ragazza carina... mi piace... dovrei farglielo capire... Si si bravo, bravo, dacci dentro... Ma come bravo...? Io sto aspettando che tu mi dica qualcosa...qualche tecnica! No magari no... ma almeno qualche approccio, consiglio... Macché ero suo figlio. Avrei saputo sicuramente come fare. E certo, se non mi dice niente, vuol dire che si aspetta che io sappia già tutto. Me la ricordo la mia prima dichiarazione. Era molto bella. Era poesia. Scrissi dei versi pescando qua e là da poeti vari e nascosi il bigliettino in modo che lo trovasse soltanto la mia lei. Nel suo libro di letteratura latina. Però non avevo tenuto conto del freddo inverno. La prof di latino si ammalò: influenza. Tre settimane senza latino. Nel frattempo lei si era fidanzata con Diego che poi aveva lasciato per mettersi con Alberto che poi aveva lasciato per mettersi con Edmondo che poi aveva lasciato per mettersi con DiegoAlbertoEdmondo… Tutti assieme. Ero arrivato tardi. E poi dicono che il latino serve ancora. Dopo tre settimane lei trovò il famoso bigliettino. Disse: Bello! Io dissi Grazie. Lei disse: A buon rendere. Io dissi: In che senso? Lei disse: Domani ti passo il compito di matematica. Ovviamente non ci fu storia con lei. E ho finito anche con il peggiorare la mia media in matematica. Lei si era convinta che le avessi tradotto Catullo, così s’impegno a passarmi le copie dei compiti di matematica. Ma lei in matematica non era una cima. Io lo sapevo ma non volevo certo essere scortese con lei.
Ancora più bella fu la mia prima esperienza. Lei era più grande di me e sapeva, io sapevo di non sapere: ero socratico io. Per poter giungere perfetto alla mia prima esperienza mi ero preparato negli anni accuratamente. Figuriamoci...Da autodidatta. Però leggevo molto. Trattati di anatomia, enciclopedie… Ed alla fine ero anche riuscito a farmi una certa cultura. Solo il linguaggio non mi convinceva… Cara, vorrei deflorarti… Permetti che il mio pene entri nella tua vagina, sfiorando il clitoride? Non ti disturba se ti massaggio i peli pubici? Oh, amore, stai attenta, perché la mia ipofisi, stimolata, m’induce e produrre spermatozoi che grazie alla pressione sanguigna stanno fuoriuscendo… Fai piano perché stringi troppo i corpi cavernosi del mio organo genitale maschile addetto alla riproduzione. No. Non ero più un essere umano. Ero Treccani, nel senso dell’enciclopedia. Lei sarebbe andato a letto con Treccani? Poi ho scoperto il materiale porno. Grazie ai miei amici. Un giorno mi sottoposero una di queste riviste. Sapevano che io ero persona di cultura e volevano un mio parere. Presi tempo, perché mi sembrava giusto ponderarlo per bene il mio parere: tre anni di letture. Giornali, giornaletti, riviste. Non volevo giudicare in maniera superficiale. E mi sono aggiornato. Leggevo le storie. L’intreccio bene o male era sempre lo stesso. Il linguaggio m'incuriosiva...perché era estremamente differente da ciò che sino ad allora avevo memorizzato: Bella sgnappettona, il mio condor vuole atterrare dentro la tua foresta amazzonica… Che bella immagine poetica, eh? Rimasi confuso. Non ero convinto che quest’ultimo linguaggio fosse più efficace del primo. Sa cosa ho fatto allora? Alla mia prima esperienza, nel dubbio, se ricevere un pugno nell’occhio o una pernacchia, sono stato zitto. Un pesce. La cosa strana è che anche la mia lei stava zitta. Due pesci. Qualche cenno con la testa, qualche colpo d’occhi… Sembravamo due cloni di Marcel Marceau. Nessuno dei due capì della venuta dell’altro. Seguirono minuti di silenzio, grande imbarazzo. Decisi di prendere io l’iniziativa e dissi una frase che avevo sentito nei film: Ti è piaciuto? Silenzio. Ed io a rincarare: Si dice che chi tace acconsente… Non mi aspettavo che mi dicesse Sei stato grande, non mi aspettavo che mi facesse l’applauso, non mi aspettavo che mi tirasse un calcio nelle palle. Me lo tirò. L’avevo conosciuta al supermarket. Facevo la spesa per mia madre. C’eravamo scambiati bigliettini e sguardi d’intesa. Parole niente. Mi era sembrata un tantino riservata, timida, insomma. Dopo, era stato tutto molto veloce, anche la mia corsa in ospedale per un controllo allo scroto, dopo il suo calcio. Come facevo a sapere che era muta!? Il sesso da quel momento in poi è stato una scoperta giorno per giorno. Quando nessuno ti dice niente, nessuno ti prepara...devi vivere tutto empiricamente, no? Dipendeva tutto dall'altra...potevi beccarti un calcio nello scroto come un vaffa...però alla fine qualcosa l'imparavi. Lei che dice? Non dice niente.
Lei sembra mio padre. Veramente. Parlare con lei è come parlare con mio padre: non c’è dialogo. Ho visto sempre mio padre come qualcuno lontano, distante. Io volevo soltanto piacergli...essere perfetto… È forse una colpa? Quando non hai informazioni chiare sui sentimenti che nutre il padre...valuti tutto, anche i silenzi, le pause, le smorfie. Avevo dodici anni quando mio padre venne a prendermi all’uscita da scuola. Lui notò il mio sguardo cadere sul volto di una ragazza carina con in mano uno di quei gelati meringati tanto in voga negli anni settanta. A casa, lui, con fare complice e il suo sorriso con le carie, mi disse: Cosa avresti fatto se io t’avessi lasciato solo con quella bella ragazzina…?! Ma non continuò. Ecco, papà, se tu m’avessi detto cosa c’era da fare, io, l’indomani non sarei tornato a casa con dieci gelati meringati. Lui mi vide con tutti quei gelati, e l'unica cosa che mi disse fu...Butta tutto...ti fa male. E basta? Tutto qui? Quando lui doveva troncare una discussione con noi figli diceva sempre la stessa frase: Ti fa male. TI FA MALE è una cosa che non puoi contestare da figlio. Ti blocca, ti paralizza. Almeno sino a quando non avrai la maggiore età e potrai sempre rispondere: io sono masochista, e allora? Voglio farmi male...!! Ma prima di allora non riesci a rispondere, anche se ti verrebbe di dirgli: Tu che ne sai che mi fa male? Ma non lo fai. Anche perché il padre avrebbe sempre pronto: Lo so, perché sono tuo padre. Ogni figlio che sa di esserlo, che ha coscienza del proprio status di figlio, non troverà mai argomenti di fronte ad un Lo so perché sono tuo padre... Sono tuo padre. È una parola in codice...sono tuo padre. Dice tutto. Dentro la parola sono tuo padre c'è il senso di appartenenza, il legame di sangue...il vincolo...I cuccioli di uomo vedono nel padre lo specchio di ciò che vorranno essere o che dovranno essere o che non saranno, anche perché il padre è l'unico riferimento costante adulto con il quale si confronteranno quotidianamente. Per ogni figlio il padre è alto, bello, biondo e con gli occhi azzurri. E’ forte ed intelligente. E sa tutto. Se metti in dubbio anche solo uno dei dogmi dell’avere un padre, allora crolla tutto il castello: è la fine. Mio padre non era alto, non era magro… aveva gli occhi verdi… Si, d’accordo, però io non posso parlare di lui con gli occhi di adesso… Devo farlo con gli occhi, il senso della misura, della prospettiva ed il punto di fuga di me bambino. Allora per me tutto era grande… La casa di mia nonna era grande… il giardino di mio zio era grande, la mia stanza era grande. E mio padre… era basso, grasso, con gli occhi verdi. Forse non ho avuto abbastanza fiducia in lui? Forse non sono stato un buon figlio? Figlio… che poi che significa essere figlio… Figlio… Parola che indica soggetto di genere maschile legato da vincoli vari ad altri soggetti di genere maschile o femminile. Se uno è legato cosa fa...? Si scioglie delle corde, no? Se vuole, si scioglie. Se non vuole non si scioglie. E perché mai uno dovrebbe sciogliersi delle corde...si sta tanto bene legati. Sindrome di Peter Pan? Senta io sto qua a parlare con lei e non conosco nemmeno il suo nome. Lei è? La coscienza. Bene signor La Coscienza. Sa cosa le dico? Mi sembra eccessiva tutta questa attesa. Io sono qui… per un motivo che, tra l’altro non ricordo e parlo con lei che mi sembra di dover attendere ad un esame. Appunto. Appunto? Allora è proprio come all’Università quando andavo a dare esami e non sapevo nemmeno di che materia si trattasse. E ovviamente mi bocciavano. Quindi potrei essere bocciato anche adesso se fosse un esame. Lei, invece cosa fa di bello qui? La Coscienza. Mi sembra più che giusto. Lei è il signor La coscienza e viene qui a fare la coscienza. Decisamente originale. Comunque quest’esame qui potrebbe pure cominciare, è da un bel po’ che si aspetta. Lei non è stanco di aspettare? C’è gente che aspetta anche più di una vita? Aspettare è viveve e vivere è aspettare? Scusi se glielo domando, la curiosità è forte: ma lei è un filosofo o un poeta? E’ la coscienza. Certo… scemo io che glielo chiedo pure.
Ma si, non domandiamo nulla, non chiediamoci niente… perché mai dovrei chiedermi il motivo dell’essere qui, perché mai chiedermi...chiedermi la ragione per cui papà e mamma mi hanno messo al mondo... Perché mi hanno messo al mondo? Per errore, per orgoglio...per amore? Per amore...E comunque dove stavo prima, se al mondo mi hanno messo loro... ? Stavo su un altro mondo...? Cose dell'altro mondo, infatti. Ma si non voglio domandarmi nulla, lasciamoci andare… Torniamo alla vita, al lavoro, alle bollette da pagare, alla raccomandata che arriva sempre con ritardo, alle partite in tv, alla mezza stagione che non c’è più – che ormai tutti sanno che non c’è più la mezza stagione e allora devi inventarti qualche altro argomento, tipo le piogge acide o gli uffici pubblici che non funzionano, che è sempre un gran bel discutere… Perché sono qua, perché sono? Che posto è questo? E’ un mondo parallelo? E come ci sono arrivato io, io che non ho mai fatto le parallele e nemmeno il quadro svedese. Dovrò aspettare. Almeno fino ai consigli per gli acquisti. Ma che sto dicendo... Papà papà… Io avevo ancora bisogno di te. Ed invece ti ho perso. Non ho mai avuto una gran testa ma perdere così mio padre… Ed invece, così, un giorno ti ho perso. E quel giorno mi sono perso anch’io. E non mi trovo più. E sto continuando a cercarmi. Mi sento vuoto… Mi sento impreparato. O forse no. Forse non è vero niente...forse non devo cercarti più...forse non mi sento così vuoto. Forse mi piace sentirmi vuoto... A volte è bello sentirsi vuoti anche quando si è pieni. Perché è comodo stare nel vuoto. Nel vuoto non devi fare nulla...nessuna responsabilità, nessuna decisione. C'è soltanto il vuoto che ti culla. E tu devi soltanto lasciarti andare. Tanto c'è qualcun altro che pensa per te. Ma io, no...in realtà non ho potuto decidere se era meglio starci nel vuoto oppure no. Sono dovuto passare all'azione. Senza conoscere prima. E tu non mi hai aiutato papà... non mi hai voluto mai spiegare le cose importanti della vita. Come i preservativi alla fragola. Io non potevo sapere… non potevo conoscerli, perché tu non me ne hai mai comprato uno. E che figura, che figura che ho fatto io con le ragazze che mi chiedevano: Lo voglio alla fragola. Gli portavo un sorbetto alla frutta. Ecco quello che facevo.
No, papà, non dovevi andartene così… Tu avevi un compito. Dovevi farmi crescere sano. Ma non mi hai mai portato nella valle degli orti, nella cascina del mulino bianco, nell’oasi ecologica Plasmon. Niente. Ma poi, era questo il tuo compito? Sono confuso. E sono rimasto con la voglia di sapere… Come sarebbe andata se non ti avessi perso? Cosa mi avresti detto se c’erano ancora cose da dirmi? L’ultima volta che ci siamo guardati in faccia tu mi hai detto serio: Cerca di crescere. Da allora sono passati tanti anni, e non ci siamo più visti. Cosa mi avresti detto? Per te esisteva soltanto il lavoro...o forse era quello che volevi farci credere...allora mi avresti spiegato tutto sui dadi da brodo: eri ferratissimo. Dicevi che un buon venditore deve conoscere la merce come le proprie tasche, quelle che dimenticavi sempre di farti ricucire da mamma. Come le proprie tasche, lo dicevi, si che lo dicevi. E alla fine a casa si mangiava sempre minestra con il dado: volevi essere convinto al cento per cento, infallibilmente della bontà del prodotto che vendevi. E visto che non ti convincevi, proseguivi, insistevi, ostinato: ai vegetali, al pollo, ai funghi porcini. Li abbiamo provati tutti, di tutti i tipi, di tutti i formati. Eri onesto. Tu credevi in ciò che facevi ed ogni cosa che facevi era pervasa di buone intenzioni. Ai clienti dicevi sempre: Provateli, se non siete soddisfatti potrete sempre restituirli… Non c’è problema…ma sono sicuro che vi piaceranno! Mi è sempre piaciuta la tua sicurezza ed anche il tuo stomaco. A casa arrivavano ogni giorno i dadi che non avevano soddisfatto la tua clientela. Ricordo che a casa, tenevamo due stanze piene di scatoloni con confezioni da dieci o da venti di dadi da brodo. Milioni di piccoli dadi che riempivano la nostra casa, milioni di piccoli dadi che hanno formato la nostra esistenza: quadrata. Un dado ti condiziona la vita. Da piccolo ho odiato con tutto me stesso il Dadaismo ed il Dadaumpa… pensavo che fossero sindacati di consumatori incazzati contro i dadi che vendeva papà. Quei dadi un po' m'inquietavano... Mi davano un senso di compiuto ed incompiuto al tempo stesso… quella loro forma quasi perfetta. E dentro, invece, quel qualcosa che mancava, che manca. Era un esercito, una flotta, un popolo… Milioni di piccoli dadi al mio cospetto. Certe volte immaginavo che mio padre fosse un incantatore, con il suo piffero magico richiamava all’ordine tutti quegli esseri amorfi, i quali improvvisamente, per chissà quale magia, prendevano corpo e vita e silenziosamente si allineavano uno dietro l’altro, in fila indiana, pronti a seguire papà nei suoi viaggi. Fantasie di bimbo. Ricordo che erano talmente tanti che alcuni li utilizzavamo al posto delle figurine dei calciatori… Ti do due dadi ai funghi porcini se tu mi dai un dado al pollo – Col cavolo che te lo do! Quello al pollo è l’unico decente. Oppure utilizzavamo i dadi per giocare con la nostra gatta Twigghy. Era anoressica la nostra gatta. Ogni volta che mangiava, dopo, si ficcava la zampina in gola e si provocava il vomito. La portammo pure dal veterinario, e lui ci chiese cosa le davamo da mangiare. Minestra col dado tutti i giorni, al posto del latte. E allora anche il veterinario volle provare i famosi dadi da brodo. E da quel giorno anche lui divenne anoressico. Sono sicuro che lei sa che giorno è oggi… e non vuole dirmelo. Ed ho anche l’impressione di stare qui con lei come dentro un sogno… Sogno o incubo?
Da piccolo io sognavo. Era un sogno ma era anche un incubo. C’era un vecchio con la barba lunghissima che gli faceva da vestito, infatti io non ricordo il suo vestito. Il vecchio mi sfidava con la sua spada che sembrava un fulmine e mandava fuoco. Voleva che io combattessi con lui. Lui con la sua spada di fuoco ed io con uno spadone enorme, grande due volte tutta la mia persona. Forse tre. Non avevo paura io. Una battaglia al di sopra delle mie possibilità ma mi battevo io. Ogni notte, per tanti notti… una battaglia a puntate. Ed ogni notte la battaglia riprendeva lì dove si era interrotta la sera precedente. E qualche volta lui aveva le ali e qualche volta no. Forse era un vampiro, forse un drago, forse un fantasma. Un po’ le somigliava. Si, per quel poco che io ricordi della sua faccia. Ci sono...! Nel sogno il vecchio non era in realtà un vecchio ma mio padre...ed io...dovevo combattere contro di lui perché volevo essere migliore di lui. Ogni figlio ha come specchio il padre. Quindi se io figlio vedo qualcosa che non mi piace in mio padre, cercherò di essere migliore di lui. Si, ma come figlio o come padre? O come uomo? Forse tutte e tre le cose. Come si fa ad essere migliore del padre. Le condizioni non sono le stesse. Quindi non posso essere migliore. E nemmeno peggiore. Diverso. Ma lo sarei comunque. Siamo tutti sempre diversi... Mi sta influenzando, parlo quasi come lei. Nel sogno, dopo la prima battaglia ho sempre evitato di incrociare il suo sguardo. Evitavo, si. Quello che non riuscivo ad evitare era… la pipì a letto. Era tanta l’emozione, tanta la paura, tanto lo sforzo fisico… Che non riuscivo a trattenere, a controllare. Una battaglia estenuante. Soprattutto per mia madre che ogni mattina doveva cambiarmi le lenzuola. E mi rimproverava. Ma non sapeva, no, non poteva sapere o capire. Né io avevo modo di evitare, non c’erano mica interruzioni durante gli scontri, non suonava il gong… No, non potevo fermarmi.
Sono anni che non sogno più. Né sogni né incubi né battaglie. Ogni tanto quando cammino per strade buie, spero, che da un momento all’altro, salti fuori il vecchio con la sua spada di fuoco e m’inviti a combattere. Chissa se avrei ancora quel coraggio. Allora ce l’avevo. E poi avevo con me lo spadone. L’unica cosa che non ricordo è dove lo tenessi io lo spadone e soprattutto come me lo fossi procurato. Voglio dire: uno spadone è uno spadone. Di essere, è ingombrante. In casa se ne sarebbero accorti. Forse era il mio occhio a vederlo grande, lo spadone. Oggi non farebbe più impressione. Ho capito sa... Ho capito tutto. Già. La sa lunga lei. Si si...Lei, qui...Signor La Coscienza...Che mi da da parlare...Ed io non mi faccio pregare...Se c'è da parlare parliamo pure. Chissà cosa voleva che io le dicessi? Non c'era niente che voleva sapere perché lei già le sapeva tutto? E sapeva anche le cose che non ho detto? Ahahahah...e come faceva a saperle...! Perché lei è La coscienza. Certo. Imbecille io che ci casco sempre. E comunque la cosa più importante non gliel'ho detta. No no...non le dirò che fine hanno fatto i dadi da brodo né dove li nascondo. Ops... Si, adesso li tengo io. Certe volte li dispongo in linea, certe volte li accatasto… oppure li distribuisco alla rinfusa per le stanze. Qualche volta ci compongo pure degli oggetti… un tavolo, una sedia. Questione di umore. Si, lo so, sono un poco ingombranti, ma cosa ci vuol fare, mi ci sono affezionato.
Questione d’umore, credo. E’ come… non mi prenda in giro, è come se quei dadi un giorno dovessero darmi le risposte che cerco. Come un puzzle, un rebus. Se sapessi quali sono le domande a cui rispondere sarebbe anche meglio. Le conosco? Si forse le conosco. Forse ho già risposto. Ma ogni tanto mi piace far finta di essere rimasto figlio...senza domande da farsi. Anche se a dirla tutta, fare il figlio ha i suoi inconvenienti. Quali? Che nessuno ti avverte quando devi smettere di essere figlio. Ma è meglio essere figlio o è meglio essere padre? Sono bravo a girare attorno alle questioni? Dice? Si forse sono bravo a girare attorno alle questioni, a non prenderle di petto. Lui no. Lui le prendeva di petto. Spesso sbagliando anche. Però le prendeva di petto. Deve fare male quando si prendono di petto... Già fosse di coscia, di gluteo...E poi questo forse è un sogno... E anche un esame. È un sogno\esame. E nel sogno posso benissimo girare attorno alle cose infinitamente. Nel sogno... visto che è un sogno... le cose fortunatamente non sono uguali alla realtà. Adesso, immagino che l'esame sia finito? Perché lo immagino? Mica soltanto lei può sapere già tutto. Lo immagino. Punto. Come immagino che lei riporterà questa nostra discussione a mio padre. Senta, facciamo così: se per caso dovesse incontrare mio padre, faccia finta di niente. Non parli. Chissà cosa potrebbe pensare… Comunque vogliamo vedere la cosa, Lui ha già fatto tanto. Ha dato uno spermatozoo per la mia causa e non sapeva a priori se sarebbe stata una giusta causa. Non sapeva nemmeno dove sarebbe andato a finire lo spermatozoo. Si poteva pure perdere… come un viaggio all'estero senza guida turistica. Qualcuno Dice che il bello di fare un viaggio sia proprio questo: non sapere esattamente dove andrai, cosa incontrerai. In questo caso uno non si perderebbe mai. O si perderebbe sempre. Non so chi l’abbia detto, e non so nemmeno se sia vero. Ricordo i viaggi con mio padre. A volte d'estate lo accompagnavo nei suoi giri di lavoro. Ricordo i lunghi silenzi in macchina. Di chi non sa di cosa parlare. O forse di chi ha paura di parlare. O di chi spera che parli l'altro. È difficile il mestiere di padre. Qualsiasi cosa fai, rischi sempre di sbagliare. I padri non passano alla storia. No. Passano le madri che hanno procreato. Passano i figli che si porteranno appresso gli errori dei padri. Ma i padri no. Nessuna gloria per loro. Stanno in silenzio, tengono il broncio, sono stanchi per la giornata di lavoro...e non passano alla storia. Eppure, anche se non si parlava in quei viaggi...ricordo quei viaggi come fosse ieri. Forse era ieri. Non so più quanti anni ho...quanto tempo è passato. Passato, presente. Presente. Forse aveva ragione lui...si nasce e si muore soli. E forse proprio per questo sarebbe meglio farsi buona compagnia nel mezzo del viaggio. Quando viaggiavamo, la cosa più divertente erano i panini. Prosciutto, prosciutto e formaggio, mortadella… I panini. Non m’interessava sapere chi avrei incontrato e dove saremmo andati o per quanto tempo… ero contento che ci fossero i panini. Chissa se papà si è preparato dei panini prima di partire? Forse no. Viaggiare da solo ti rende insofferente, apatico, svogliato. E poi non sappiamo se si sia trattato di viaggio di piacere o di necessità. Troppo lungo, troppo tempo, troppi panini papà avrebbe dovuto preparare.
Sa che proprio adesso sento una gran voglia di preparare panini. Si. Tanti panini. Ora andrò a casa e preparerò una cesta enorme di panini. Ecco, adesso mi addormento, poi mi sveglio e sono a casa e tutto sarà come prima… E soprattutto non avrò più a che fare con lei che sinceramente mi sta anche un po' sulle scatole con tutta la sua saccenza. Ora chiuderò gli occhi e mi addormenterò. Avanti contiamo le pecore… anzi no, mi metto a contare i dadi da brodo. Al pollo… ai funghi porcini… ai vegetali… alla carne…
(Crolla come addormentato)
VOCE FUORI CAMPO
Signore, signore, si svegli… Per favore si svegli… Lei non può stare qui, deve uscire… Signore, la prego.
LUI
…Che cosa… E l'esame? No, non era un esame...era un sogno...Ah, si, certo, ora esco… Devo essermi addormentato… Un secondo appena che saluto il signor La Coscienza ed esco subito.
VOCE FUORI CAMPO
Ma chi vuole salutare? Qui non c’è nessuno da salutare. Signore, lei è entrato nella stanza sbagliata… questa è la camera mortuaria, la prego faccia in fretta, esca. E poi lei dovrebbe essere al primo piano, la stanno cercando tutti… Sua moglie… ha partorito… un bambino splendido… Lei è diventato papà.
LUI
…un bambino, mia moglie ha partorito... sono diventato papà. Vengo subito, mi lasci solo un istante per riprendermi. (a bassa voce al signor La Coscienza) Signor La Coscienza, mi sente… io ora devo andare, sono diventato papà… Però mi ha fatto piacere parlare con lei. Dico veramente. Forse non ci siamo detti delle cose importanti... però abbiamo parlato. È un buon inizio. E grazie per avermi ascoltato. Lo fanno così pochi oggigiorno. Forse avrei dovuto farlo anch'io, con lui. Ma ero troppo egoista per ascoltare. Non so se saper ascoltare equivale ad amare. C'è la rima ma forse non è la stessa cosa. Forse amare è più grande. Però ascoltare è importante. E c'è sempre la rima... Mi faccia una cortesia, se dovesse incontrare mio padre… così, in giro, gli dica grazie da parte mia. Lui capirà. Ma mi raccomando...nemmeno una parola sui dadi. Lo dico per lei...se comincia a parlare dei dadi da brodo...lui è capace di tenerla bloccata ore e ore per spiegarle la procedura di preparazione, gli ingredienti, le modalità d'uso.. Dia ascolto a me se proprio vuol parlare con lui, parli di sesso o di calcio. E parli lei, non aspetti che sia lui a parlare. Non lo farebbe. Parli lei. Intesi? Ah, dimenticavo...Io sono pronto.
FINE