UN BICCHIERE DI TRAMONTO
atto unico di
Maria Letizia Compatangelo
La scena è costituita da un ampio salotto-studio. A sinistra campeggia una grande scrivania, con una sedia piuttosto massiccia, dallo schienale alto. La scrivania è rivolta verso la luce che penetra dalla vasta finestra-balcone in fondo a destra, dunque in direzione opposta alla platea. Sul fondo a sinistra si apre una porta che conduce al resto della casa. Librerie lungo le pareti, mobili e tavolinetti. Il tutto in stile decisamente moderno, chiaro ed arioso: un ambiente piacevole, senza ombra di lusso. “A” è seduta alla scrivania, dunque voltando per tre quarti le spalle al pubblico. Parla con qualcuno che al di là della porta del balcone spalancata. Una folata di vento scompiglia alcune carte, con sua visibile irritazione.
A: Cosa fai, lascia stare quei fiori, vieni qui! Dobbiamo lavorare.
Entra B con un grande annaffiatoio. Sparisce per andare a riempirlo in cucina, torna e riesce in balcone. A la segue impaziente con lo sguardo.
A: Non è l’ora di annaffiare, fa ancora troppo caldo. Mi Hai sentito? (tra sé) Sempre uguale. Sempre fuori orario. Troppo presto o troppo tardi. (alza la voce per farsi udire) … E non solo per i fiori!
B: (rientrando) Stanno crescendo!
A: (sbuffa) Che c’è di strano. Li semini, li annaffi, li concimi e quelli crescono.
B: (posa l’annaffiatoio) Sembra che mi rispondano. (esce nuovamente)
A: (acida) Cerca di tagliar corto con la conversazione, allora. Vieni qui. Adesso cosa fai?!!
B: (è rientrata con un cumulo di biancheria pulita tra le braccia, affaticata) Gli gnomi sono in sciopero e anche le fatine e i topolini. Qualcuno dovrà pure metterli via, no? (scaraventa il tutto su una poltroncina di fronte alla scrivania)
A: (a denti stretti) Naturalmente. Naturalmente quando è ora di lavorare!
B: Ma se non ne hai voglia!
A: E’ colpa tua. Trovi sempre diecimila cosucce da fare proprio quando tutto tace e il momento è propizio.
B: Allora dai. Comincia.
A: Continui a girare come un ossessa! La vuoi smettere con quelle orribili faccende? Peggio di una pestilenza! Ti sei istupidita da un po’ di tempo in qua, lo sai?
B: (glaciale) Trovami un maggiordomo.
A: Avrai anche quello un giorno. Forse. Vieni. Comincio ad essere stanca.
B: (facendole il verso) Un giorno… forse… chissà… Vai avanti da sola. Io sono solo la parte cretina della faccenda. Il peso morto. (sempre riponendo i panni) Ma come mai hai bisogno di me?
A: Ridicola. Una massaia lamentosa, ecco cosa stai diventando. Sai perfettamente che DEVI esserci anche tu!
B: Ma guai al mondo se ti decidessi ad ammettere la verità!
A: (flemmatica) Quale?
B: Che io conto quanto te! Anzi! Tu di me vivi e ti alimenti. Come li faresti i tuoi studi sennò, i tuoi esperimenti?! E’ dalla mia vita che tu trai tutti i suggerimenti! (trionfante) E anche dalle “orribili faccende” domestiche.
A: E quando ti ha folgorato questa cazzata?
B: (la guarda seria) Non esiste scienza, né arte, se non si parte dalla vita concreta.
A: E dalla fantasia.
B: E comunque intanto noi pensiamo. (sta piegando con un’operazione complicatissima un paio di calzini da uomo)
A: Sempre meno. E smettila con quei calzini! Lui non c’è, non dimenarti a vuoto.
B: Sto liberando il campo. (dolcemente) Per essere libere.
A: (irritata) No. Stai solo rispettando le tue abitudini. Le sue.
B: Sembri una madre badessa isterica.
A: E tu una convessa già pentita!
B: Non devi dire così! Non è giusto. Io sopporto il peso più grande.
A: Tu! (si trattiene. Prende la testa tra le mani. Parla sottotono, quasi un soffio) Vorrei non essere nata donna.
B: Spera nella reincarnazione.
A: Spiritosa.
B: Forse saremo ancora insieme… Chissà che parte mi toccherebbe?
A: Tu non esisteresti.
B: Io? L’eros?! Lo dici sempre, tu. Sono la donna zavorra, la donna-donna, la donna-femmina… Oh, come ti metterei sotto! Sarei l’uomo-maschio! Ti schiavizzerei, ti sottoporrei a tutti i capricci di quella razza e non potrai nemmeno protestare, avrei dalla mia parte la società intera!
A: Sempre limitata nell’immaginare. Immaginazione senza cultura. Non potresti mai giocare a scacchi, non riesci a prevedere oltre la seconda mossa.
B: Rimpiangeresti la strada che abbiamo fatto insieme. E tutto il nostro lavoro. Nostro. Anche mio.
A: Ma non li vedi?! Riesci a guardare un uomo senza pensare subito al maschio o a un padre? Loro sono diversi.
B: Lo spero bene.
A: Zitta. Sono più…più…che immagine posso trovare… sono più compatti, ecco. Cresciuti alla scuola del dover essere, sin dai primi giochi di bambini, già ne succhiano appena nati, insieme al latte della mamma, ne sono convinta! Capricci, dici? Li ho osservati bene. Anche quelli, anche i capricci in loro sono sempre oggetto di uno scopo preciso! No, cara. (con compiaciuta cattiveria) Tu non esisteresti. E nella sfortunata eventualità saresti costretta dall’interno, da un naturale, categorico imperativo ad obbedire a me, padrone assoluto, puro pensiero!
B: (poco impressionata) Bella prospettiva.
A: Allora, vieni?
B: Un attimo ancora, ho finito. Poi avremo tutto il tempo.
A: Sai che non è così! (la fissa in viso quasi con nostalgia) Il tempo scivola tra le tue ciglia ed ogni sguardo che ci scambiamo è già nel passato.
B: (ricambiando l’intenso sguardo) E’ arrivata, vero?
A: Cosa?
B: La paura di invecchiare.
A: (brusca, abbassa gli occhi) NO.
B: Per questo tanta ansia. (ride) Ehi! Ma questo spetterebbe a me, alla mia parte! (insinuante) O anche un intellettuale può essere assalito dal banale morbo della vanità?
A: Che dici, smettila.
B: E perché no? Poveretto. Sopravvive anni e anni solo per raggiungere una meta che non sa e aspetta, giocando con il tempo. A venti anni si dice: a trenta! A trenta corregge: a trentacinque, trentacinque, a trentacinque anni sfonderò! E poi quaranta, quarantadue, il mese prossimo, domani! Cinquanta. (divertendosi ad accrescere il visibile malessere di A) Intanto i granelli di sabbia per giocare diventano sempre meno. Il traguardo scivola via, in avanti, e più passa il tempo più si illude e smania, solo e ridicolo, perché sente che ormai la sua stagione è tramontata. E lui ha saputo vivere solo una vita di carta. Non di carne come noi altri. (fa schioccare nell’aria l’ultimo panno e lo ripone in cima alla pila) Come me.
A: Taci.
B: Colpito nel segno.
A: (alzandosi di scatto e facendo cadere alcuni fogli bianchi) E chi ci ha guadagnato?!! (le si avvicina, le gira intorno) Anche quel tuo corpo tanto amato si disfarà. Si decomporrà.
B: Adesso vuoi farmi paura.
A: E’ inevitabile.
B: C’è tempo.
A: Ma non puoi misurarlo. Accarezzati, dài, lisciati come fai tanto spesso, su, come un gatto in calore.
B: Lasciami andare.
A: Dài! Sinché puoi farlo, perché non resterà niente, sai, niente di tutto questo! Si disperderà sulla terra, nei suoi umori sotterranei, e tra cento anni vagherà nel vento, dissolto. E’ inevitabile. Il pensiero invece, solo lui!, può sopravvivere. (con violenza) E tu la chiami una vita di carta!
B: (accoccolata in terra, stringendosi le braccia al petto) Inevitabile… non riesce a placarmi questa verità. Una verità dimezzata, che mostra solo la parte scoperta della medaglia! Non posso accontentarmene, deve essere falsa!
A: Ma l’altra metà non ti riguarda.
B la guarda interrogativa
A: (con tono piuttosto cattivo) Non ti riguarda più. Muori, sei fuori gioco. Il resto è affidato a chi rimane. Piccole formalità. Con la speranza che siano almeno persone di buon gusto.
B: Sei crudele.
A: Sì, insomma…che facciano sparire decorosamente e alla svelta gli avanzi.
B: Mi fai pena.
A: In effetti, se ci pensi passa la voglia di morire.
B: Anche quella di vivere.
A: (sprezzante) Sbagli, come al solito. A fronte dello sfacelo finale diventano consolanti anche le piccole miserie di una lunga vecchiaia. Hai notato che più sono vecchi più si abbracciano alla vita?
B: Piantala. Hai voluto punirmi, adesso basta. (guarda significativamente la scrivania, i fogli in terra, poi A) E’ inutile provare. Non puoi. Neanche un capolavoro d’ironia è un capolavoro. E tu non sai andare oltre questo. Non riesci a sentire. Per questo non puoi guardare in faccia la realtà. Tu, che vorresti insegnarlo a tutti.
A: (furiosa) Come ti permetti di parlare così, razza di bambina stupida e vecchia!!! Guardati allo specchio, va’!
B: (sfidandola apertamente) E tu insieme a me!!!
A non replica, annichilita. Restano per un po’ in silenzio. B si avvicina, siede sul bordo della scrivania dietro alla quale si è rifugiata A.
B: (con voce bassa e carezzevole) Cominciamo, vuoi? Sono pronta.
A: (scattando con rabbia, non aspettava che questo) No! Adesso è passato! Lo sapevo che oggi finiva così!
B: Tace.
A: Ho fame.
A si alza di furia ed esce, urtando vari oggetti e facendo cadere altri fogli che planano dolcemente sul pavimento. B la segue quieta con lo sguardo, quindi va al cesto ove aveva riposto con cura i panni puliti, lo rovescia in terra. Si lascia cadere e si rotola sullo strano, candido tappeto di fogli e panni. Quindi si siede e pazientemente, lentamente, ricomincia a piegare il bucato ed incolonnare foglio su foglio.
A: (rientrando, con tono serio e pacato, come se non fosse successo niente) Dobbiamo studiare meglio la questione della luce. A mio parere rientra anche lei nella fattispecie.
B: (anche lei normalissima) E’ successo di nuovo?
A: Eccome! Dovrebbe proseguire ordinata. I raggi dalla sorgente in ogni direzione, posarsi sulle superfici dividendosi razionalmente su spazzi bianchi e zone scure, vero? E invece no!
B: Sei sicura?
A: Troppe volte l’ho vista condensarsi a sproposito in piccoli nugoli d’ombra, o guizzare all’improvviso, impertinente, in spazzi così chiari da sembrare quasi… materialmente corposi!
B: Questo è molto importante! Bisogna aggiungerlo alle altre osservazioni. Ah, mi domandavo: se un oggetto si rompe, che si fa? E’ giusto buttarlo via?
A: (ci pensa su) Direi di no.
B: (soddisfatta) Sono d’accordo. Anche se qualcosa si spezza resta qui. Sono così straordinari! Sul principio non ci volevo credere.
A: Già.
B: Figuriamoci, gli oggetti che camminano! Intorno a noi! E invece, piano piano, in silenzio. Ma perché sempre alle spalle?
A: (pausa. Poi confessa piano) Credo per non spaventarci. Ho sempre avuto paura dell’improvviso.
B: (compiaciuta) In effetti sono molto discreti. Hai sentito il rumore che fanno quelli dei nostri vicini? Tremendo.
A: Saranno i vicini.
B: No, non sono prodotti umani! Ormai sona allenata: distinguo perfettamente il rumore di una sedia rovesciata da un bambino da… dai mattoni, per esempio, che strusciano striduli l’uno contro l’altro! (ci pensa su) Ma sono in tanti in quella casa, c’è sempre tanta confusione, non se ne accorgono nemmeno.
A: Puoi scommetterci. Non è stato facile scoprirli neanche per noi. Ti ricordi la sveglia? Il ticchettio che si avvicinava e si allontanava, chiarissimo attraverso la porta… ma tutte le volte che piombavo dentro la trovavo precisa, al suo posto, oppure buttata in un canto come se l’avessimo fatta cadere! E non è così, non può essere, ovviamente. Non funzionerebbe più, no? Da quel dì!
B: Come il tappeto. Con la coda dell’occhio vedo benissimo gli angoli che si avviluppano e si srotolano mollemente. Ma se faccio tanto di guardarli apertamente... si fermano all’istante.
A: Il punto fondamentale da scoprire è se abbiano una vita ed un movimento propri.
B: Stai parlando di facoltà intellettive?!
A: Praticamente sì. Potrebbe essere. Hanno tutti una forma talmente determinata, perfetta! Che superino insomma, grazie alla loro forma, la totale scontata sudditanza all’essere umano.
B: (maliziosa) Grazie alla forma. Interessante sentirtelo dire.
A: (non raccoglie la frecciata, rapita da un suo pensiero) E se al loro interno esistono gerarchie e classi…ci pensi? Vuol dire che nel loro mondo, che poi è nel nostro, potrebbe esisterne un altro, sotterraneo, che anche loro devono ancora scoprire!
B: Così vai avanti all’infinito! Come…come le immagini riflesse tra due specchi uno di fronte all’altro!
A: All’infinito. Verso il centro misterioso della realtà, o verso l’altro, fuori, verso l’altro nostro spirito ancora sconosciuto!
B: (si rizza in piedi di scatto) Guarda! Lì, dove batte quel raggio di sole!
A: Cosa? Dove…lì? Non vedo nulla.
B: Sta mutando!
A: Sarà il sole. Ma che succede! Perché cambia colore?!
B: (terrorizzata) Diventa verde, comincia a sgretolarsi! (si guarda intorno in preda al panico) I nostri oggetti!
A: I nostri scritti! La scrivania, i miei fogli! E’ tutto molle, marcio...
B: Come è possibile? Il suo ritratto! Dio mio, si sono formate delle cose strane, croste…gialliccie…
A: Il sole! Chiudi, chiudi tutto! Non far entrare il sole!!!
B: Sta invadendo tutto, si sta corrompendo tutto! Bisogna allontanarli dal resto, presto!
A: Bisogna eliminarli, sì, emarginare ed eliminare!
B: Eliminare! Ma come?!! Devo… possiamo …buttarli giù?
A: Presto! Ma lo capisci cosa sta succedendo? (in un soffio) La Peste.
B: (quasi senza voce) La Peste…proprio qui! La Peste ai nostri oggetti ed io, io non posso fare nulla. Io non voglio!
A: Presto! (si risiede alla scrivania) Presto!
B: (raccoglie alla rinfusa gli oggetti malati, si slancia verso la finestra, si blocca) La vicina! Si accorgerà di tutto!
A: (con un gemito) Ci porteranno via, incendieranno tutto, tutto! La Peste…(si accascia).
B: E’ così allora, quando c’è da combattere ci sono solo io, vero?! Muoviti, idiota, specie di talpa vigliacca, aiutami, fammi pensare! (si avvicina al balcone) Aah! Perché diventa così grande la Vicina…le sue braccia si allungano, le mani! Sono quasi arrivate alla ringhiera, sta cedendo!
A: (con un filo di voce) Ora vedrà tutto.
B: Dimmi, forza, dimmi, dimmi che cosa è meglio! (guarda fuori) Eccola…(con odio) Ma come fa! I suoi occhi sono gonfi e gialli, ora ficco un piede tra le sbarre e gliela schiaccio quella faccia schifosa. Perché vuole vedere?! Aaaah!
A cade in avanti col capo riverso sulla scrivania. Non si muove più.
B: (con un riso selvaggio e feroce) Anche lei, anche lei ha la Peste! Non potrà farci nulla, più nulla ormai! Nulla!!! Tutti, tutti abbiamo la Peste, tutti!
B lascia cadere in terra gli oggetti, si inginocchia davanti a loro, spalle al pubblico, sulla destra del palcoscenico, tra i panni e i fogli sparsi.
B: Non c’è più nulla da fare. Il mondo intero si sgretola intorno. E resta solo il dolore, il dolore mio muto. Non gridato, non urlato…mancato…
B si accoccola tra i panni, i fogli, gli oggetti e resta immobile, inerte. E’ormai buio. I raggi del tramonto hanno lasciato il campo ad un incerta tonalità grigio-azzurrina. Un’imposta sbatte rumorosamente, facendo sussultare violentemente A.
A: (brancolando) La luce… non c’è più luce.
B: (senza muoversi) La peste, la peste intorno a me… su di me, dentro me.
A: (con voce tranquilla) Sciocca! Cosa stai farfugliando? Alzati. Guardati intorno.
B: (obbedisce. Si alza a fatica, ma non riesce a distinguere i contorni delle cose. Le tocca) Ma…non è successo nulla?!
A: Abbiamo sognato.
B: Sognato…
A: Semplicemente.
B: Meravigliosamente.
A: E’ tutto a posto.
B: Tutto a posto, tranquillo. (con un eco della petulanza iniziale) e disordinato, come al solito. Cosa è accaduto?
A: I raggi rossi del tramonto, a volte/ un attimo prima della morte del sole/ riassumono in una parentesi infuocata/ tutti i tormenti del giorno, a volte/ di un’intera vita.
B: E’ la peste. Sai cosa vuol dire?
A: (docile) Me lo spiegherai tu. Cominciamo?
B: Se fosse possibile, per una volta, salvare il mistero e comprenderlo al tempo stesso, come in questo momento il buio e la luce convivono ai funerali del sole!
A: Per vedere occorre uno squarcio!
B: O la promessa di un sogno.
A: Vieni, il momento è propizio. Non dovrai dormire più d’ora in poi.
B: Non dovremo dormire più.
A: Dobbiamo recuperare tutto quello che ho perduto, noi…
B: (la voce sembra quella di A) NOI
A: (la voce è quella di B) Noi dobbiamo capire ancora tante cose, IO devo.
B: (c.s.) IO.
A: (c.s.) Io voglio finire.
B: Io voglio…finire.
A: …di raccontare
B: Io voglio finire… di raccontare…
A siede alla scrivania: l’ampio e alto schienale della sedia è rivolto verso il pubblico e la copre quasi completamente alla vista. Tende una mano a chiamare dolcemente B. B si avvicina piano, gira intorno alla scrivania e in modo assolutamente naturale, semplice e rapido, siede anche lei sul medesimo sedile: si ha l’impressione che i corpi delle due donne si fondano in un unico individuo. Se ne vede appena la sagoma, oltre lo schienale, con un debole controluce.
La persona accende il lume della scrivania ed è adesso chiaramente visibile, una e sola, ove prima erano A e B. I suoi lineamenti restano però indistinguibili, perfetti e neutri. La “nuova” donna prende un a penna, ruota leggermente la sedia e senza alzarsi, mostrandosi per un istante al pubblico, si china lentamente a raccogliere un foglio bianco. Lo pone sulla scrivania.
BUIO
FINE