L’arte delle alici
di Angela Villa
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«La stella mattutina.
Aspettiamo la stella mattutina
dall’ala bianca che viaggia nelle tenebre,
primo annunzio del sole.»
(Jone di Ceo)
PERSONAGGI
Santa e Salina: madre di circa sessant’anni e figlia di quaranta, nella bufera di decisioni che nessuno vorrebbe prendere.
SANTA ~ (seduta, inizialmente spalle al pubblico, sta registrando la sua testimonianza. Parla con enfasi e ad alta voce, un flusso di pensiero continuo. Poi lentamente si gira, rallenta, mentre il racconto segue le pieghe del vento) Pronto, prova, prova, uno due, tre, prova, prova.
Registrazione per una figlia che non c’è. Spero che tu, magari un giorno, possa ascoltare questo mio racconto, non so come né dove ma sono sicura accadrà. Uh anema, e comme so’ stata brava, mi sembra l’inizio di una canzone… Andiamo avanti.
“Pandemia prima puntata: le mascherine, queste sconosciute”.
Ai tempi della pandemia, cioè quando eravamo agli inizi, perché poi la pandemia è diventata tutta la normalità, insomma all’inizio non c’erano mascherine, o meglio c’erano, per i pochi. Per la gente come noi, niente. Alla televisione dicevano che non servivano ma secondo me lo dicevano perché non ce n’erano, poi ti facevi un giro verso certe zone della città, dove io lavoravo, perché facevo le consegne per la lavanderia e vedevo tutta quella gente con certe mascherine, e chi lo sa dove le avevano trovate. Io come tutti quelli che, quando capitano le disgrazie, imparano ad arrangiarsi, mi ero fatta una mascherina con le canottiere della nonna buonanima, pace all’anima sua.
E qui mi fermo per respirare, perché questo pensiero è troppo lungo e forse pure contorto ma si è capito quello che voglio dire…
Voglio parlare di gente che, come me, ha abbastanza sofferto ma non ama commiserarsi, si rimbocca le maniche e va avanti, ricacciando indietro quelle poche lacrime che sono rimaste. E tu pure figlia mia hai imparato a fare così, se hai scelto di fare quello che hai fatto. Altrimenti avresti fatto la vita comoda a casa tua, con un lavoro più o meno sicuro e io ti ammiro per quello che fai, solo vorrei che qualche volta ti fermassi per tornare a casa, io mi sono stabilita qua, su questo scoglio, perché immagino che un giorno tornerai. La città non ti piaceva, soffrivi, per questo sei andata via ma poi hai trovato una sofferenza peggio che in città e io questo fatto non lo capisco, non lo capirò mai e non lo voglio capire, quindi sono tornata sull’isola, perché mi ricordo bene che a te piaceva l’isola, quando venivamo a trovare i nonni per le vacanze, dicevi che qua tutto è dolce, i cannoli, i fiori dell’agave che stanno a metà strada sospesi fra cielo e mare e il vento che pure soffia in modo gentile.
Però forse è meglio che non torni, in fondo quando stavi a casa facevamo sempre discussioni… o forse sono io che sto meglio da sola. Magari questo pezzo lo cancello perché potresti dispiacerti a sentire questa frase… non so, poi ci penso. Pausa, forse sto divagando, cominciamo dall’inizio della pandemia.
(…)
La signora dove facevo le pulizie due volte a settimana, mi diceva sempre: «Santa come sei simpatica con queste tue battute», mi aveva dato una mascherina… ma me la dovevo mettere quando entravo in casa e restituirla quando me ne andavo. Una volta l’ho fatta fessa e ne ho rubata una, l’ho usata un bel po’, lavandola e rilavandola con la candeggina che se non sono morta per il Coronavirus potevo morire per intossicazione da cloro. La mia signora indossava una «Urban Air Mask», diceva che l’aveva comprata da una ditta svedese, una mascherina con cinque strati, «amica per la pelle», così la chiamava lei.
Rideva con quella faccia tutta rifatta piena di botulino e lifting, io l’avrei presa volentieri a schiaffi e in tre secondi, pronti via, le avrei fatto scendere i tre strati di pelle che le avevano preso dal sedere con rispetto parlando; che per quanto riguarda il lato B, il mio è cento volte meglio del suo, con tutti gli anni che ho più di lei.
Si faceva certi selfie con quella mascherina superaccessoriata, metteva le foto sui social, mentre i vecchi cominciavano a morire. La pandemia stava già creando la barriera fra chi può e chi non può: «Io può». Così diceva il boss del quartiere e si dava molto da fare a uccidere quelli che non stavano dalla parte sua. Nel quartiere abbiamo imparato molto presto a farci i fatti nostri… Io può e ognuno può o cercava il «può» per i fatti suoi, così era la vita nel quartiere dove vivevo da ragazza con gli altri dieci della mia famiglia che non ho più visto; come si dice, parenti serpenti.
I miei parenti mi hanno cacciato di casa perché ero rimasta incinta di uno che avevo visto una volta e mezzo. Sì, sei figlia di uno sconosciuto, questo non te l’ho mai detto, figlia mia e te lo dico ora visto che è il momento delle verità.
Questa registrazione è dedicata a te, perché potrei morire da un momento all’altro, anche se mio marito mi diceva spesso: «E chi t’accide a te… chille ’o Covid te vede e se ne fuje»…
E penso proprio che aveva ragione.
Comunque non si sa mai e vorrei che almeno mi conoscessi meglio e sapessi qualcosa in più della mia vita visto che te ne sei andata e non ci siamo più viste…
Quando sono rimasta incinta di te, nessuno più mi ha più cercato, eravamo arrivati tutti insieme dall’isola in cerca di un futuro migliore, qualcuno è finito in America, qualcuno in Argentina, qualcun altro è rimasto a Napoli, tutti sparsi per il mondo e non ci siamo più visti.
L’isola ci teneva uniti, una volta fuori dall’isola il legame si è sciolto, non ha significato più nulla. Sono i luoghi che tengono unite le persone. So che uno è finito in galera per sempre, gli hanno dato l’ergastolo per una rapina a mano armata… E se penso che si sono tanto scandalizzati di me che ero rimasta incinta a diciassette anni…
Ma che stavo dicendo? Pausa. Riordino i pensieri sono un po’ mescolati in testa.
(…)
Ah sì, la mia signora, aveva le mascherine di serie A, poi ogni fine settimana andava in vacanza su un’isola dei Caraibi, ‘Covid Free’, ma non mi portava con lei, perché diceva che potevo essere asintomatica e infettare senza volere la gente dell’isola. Lei in vacanza ci è sempre andata anche durante il Covid, col volo privato… Un giorno mi ha fatto vedere un ‘depliantese’ – comme si ddice, vabbuò hai capito… – tutta orgogliosa, che aveva realizzato lei stessa:
Ed effettivamente stava sempre al telefono, perché c’erano un cofano di richieste… Eh, poi dicono che i poveri sono più numerosi dei ricchi. Ma quando mai? Un sacco di richieste, stava al telefono dalla mattina alla sera, un record e sto parlando di soldi assai, no bruscolini… Voli che costavano circa ventimila ‘euri’.«Evita il Coronavirus con i voli privati… richiedi un preventivo oggi stesso!».
«Le mascherine per le persone sane non servono a niente.
I presidi medici vanno riservati a medici e infermieri, bisogna farne un uso intelligente: usare la mascherina non ha senso se si mantiene la distanza. Non la indosso se sto a un metro e mezzo di distanza.
Oggi non è necessario, per chi riesce a mantenere le distanze e a rispettare le indicazioni che sono state date, utilizzare le mascherine».
Poi hanno aggiustato il tiro, perché hanno capito che senza mascherine si moriva alla grande…
«L’obbligo di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie» e l’uso l’obbligatorio non solo nei luoghi al chiuso aperti al pubblico, ma anche «in tutti i luoghi all'aperto a eccezione dei casi in cui, per le caratteristiche dei luoghi o per le circostanze di fatto, sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi».
Insomma, si erano finalmente messi tutti d’accordo che servivano, però scarseggiavano… A casa nostra c’era una mascherina sola e facevamo tutta la famiglia, tanto pure se non ci sopportavamo l’uno con l’altro eravamo sempre congiunti, io poi le passavo dentro all’alcool e le disinfettavo e così il rischio di malattia era bassissimo.
Mio marito non usciva più, mandava sempre me a fare la spesa, perché aveva sentito dire che le donne sono più forti e si ammalano di meno. Secondo me, con la scusa della pandemia, passava tutto il tempo con quei giochi online, oppure veramente si metteva paura. Io no, io non mi mettevo paura, dopo quello che avevo passato, con il tumore alla mammella, che cosa ancora mi poteva succedere?
Una sera ha bussato l’amministratore e ci ha dato una mascherina sola, io gli ho detto: «Ma come siamo in quattro e ci spetta una mascherina sola?».
Mio padre e mia madre erano venuti a vivere con noi e mio marito ogni giorno me lo rinfacciava che dovevamo provvedere pure a loro ma non capisco di cosa si lamentava visto che in casa lavoravo solo io… mah… misteri dell’umanità.
«È inutile che vi lamentate»: così mi ha risposto l’amministratore. Eravamo fortunati: nel condominio alcune famiglie non avevano avuto proprio niente…
«Perché?» gli ho chiesto. E lui con tono misterioso: (immedesimandosi nel dialogo)
~ Signora fatevi i fatti vostri, è un segreto, non ve lo posso dire.
~ In tempo di pandemia segreti non ci devono essere, dobbiamo cercare di salvarci tutti quanti assieme, ricchi e poveri, siamo tutti sulla stessa barca.
~ Signora, i tempi del comunismo sono finiti da un pezzo.
~ Il comunismo non c’entra.
~ E che volete dire allora? Spiegatevi bene, che parlate come un libro stracciato…
~ Come vi permettete di rispondermi così, volete vedere che vi chiudo la porta in faccia e non vi pago l’affitto?
~ E io ve ne caccio.
~ E io chiamo la polizia.
~ E che c’entra la polizia?
~ Perché sono una persona anziana e mi state maltrattando.
~ Signo’, se voi siete una povera anziana io sono una verginella immacolata…
E siamo andati avanti così un bel pezzo, poi gli ho offerto il liquorino che avevo appena fatto e gli ho detto:
~ Vedete come ci siamo ridotti? A litigare per delle pezze fetenti che dobbiamo mettere sulla faccia. È un fatto di carità cristiana, non sono cattolica ma cristiana lo sono di sicuro, nel senso vero del termine, cioè sono una cristiana, una persona umana. Facciamo venire fuori questa nostra umanità. Invece la pandemia, ha tirato fuori il peggio di ognuno di noi: io questo volevo dire, che c’entra il comunismo…
Insomma tira io, votta tu, finalmente mi ha confidato il segreto. Alcune famiglie erano state escluse dalla distribuzione, avevano pensato a una sorta di selezione naturale: gli ottantenni, e quelli che stavano agli arresti domiciliari, non avevano ricevuto niente e nel nostro palazzo fra gli uni e gli altri si potevano contare cinque, sei famiglie. In questo modo avevano economizzato alla grande.
E che ci voleva un’arca di scienza? Questo è il segreto di Pulcinella… Poi è cominciato l’alfabeto delle varianti, la variante questa sconosciuta… Ma non ho parlato di te…
Potrei dirti che eri una persona speciale anche se non abbiamo avuto molto tempo per stare assieme, pure quando eravamo assieme, eri una bambina silenziosa e da ragazza quando non uscivi con le amiche, stavi chiusa in camera, non avevi accettato il fatto che mi ero sposata… Ma io avevo visto la luna piena quella sera, la luna si sa, a volte inganna, ed ero convinta di aver trovato finalmente l’amore, una persona affidabile che mi avrebbe aiutato e invece ho sbagliato… vabbuò, tu lo avevi capito meglio e prima di me. Oppure sono io che non ho saputo capirlo e amarlo. Sei andata via non appena hai compiuto diciotto anni, ti ammiro per questo, hai fatto tutto da sola. Venivi a trovarmi raramente. In tutti questi anni ho conservato con cura ogni scatto, ogni foto che appariva sui giornali e questo non te l’ho mai detto, forse avrei dovuto farlo. Insomma anche se sembravo un po’ fredda e scostante, lo ammetto, come madre forse non sono stata molto affettuosa ma ti amo, ti porto nel cuore, sei sempre stata il mio faro. Da piccola guardavi tutto attraverso i vetri colorati, forse nasce da qui questo tuo amore per la fotografia. Ogni scelta che ho fatto dopo che sei andata via, ho cercato di farla pensando a cosa avresti fatto tu. E siccome io non so se ti rivedrò, potrei schiattare da un momento all’altro in quest’isola abbandonata dall’umanità, ci tengo a dirtelo, sarebbe bello se tu trovassi questa mia registrazione… Ma che sta succedenne…?
Eccoli.
Rumori fuori scena.
(Ferma la registrazione) Ecco qua, lo sapevo, sono arrivati anche oggi, i gabbiani si stanno mangiando tutte le scorte di cibo… Oh, da che è arrivata la pandemia sono tremendi, si sono organizzati meglio degli uomini, di sicuro sopravviveranno a tutto, sciò sciò… non è ancora ora di mangiare… Gli ho fatto venire un brutto vizio, quando non trovano nulla, vengono sempre qua a chiedere. (Gridando) Uè, uè, oggi pane non ne ho… Sciò sciò… di sicuro loro sopravviveranno a tutto, loro e gli scarafaggi: e chi li uccide a quelli… il futuro appartiene agli insetti, sì, so’ sicura, agli insetti e agli uomini che strisciano come gli insetti. Io ne ho conosciuto qualcuno… Ho messo una striscia di veleno portentoso lungo tutto il muretto ma quelli si sono fatti furbi, hanno imparato a fare il saltello, sono scarafaggi del circo equestre ma io sono più tosta di loro, ho imparato a fare il tiro al bersaglio e vediamo chi la vince ’sta guerra… (Si toglie la scarpa la tira con forza verso la quinta) Eccolo qua, uè ma come è veloce sa… Tiè, va’ fa’ mocca a soreta… a chella grande pereta ’e mammeta… mannaggia a vuje e ’o Covid.
(Va a recuperare la scarpa, grida) Uh maronna santa…
Entra la figlia.
SALINA ~ Il Covid non c’è più. Ciao, mamma.
SANTA ~ E da dove sei venuta fuori tu, da dove?
SALINA ~ Ho seguito il vento ed eccomi qua, non è cambiato niente… è sempre bella questa casa…
SANTA ~ No, dico, non puoi presentarti sull’isola… dopo quando…?
SALINA ~ Circa cinque o sei anni se contiamo pure la prima quarantena.
SANTA ~ Mi hai abbandonata, lasciata sola e bell’e buono sbuchi all’improvviso dal mare…
SALINA ~ Non ti ho abbandonato, c’era la quarantena ed io ero all’estero a lavorare.
SANTA ~ Be’, tanta gente è tornata.
SALINA ~ Ma tu non mi hai mai telefonato, sarei tornata se me lo avessi chiesto…
SANTA ~ Non volevo chiederti un sacrificio, io lo so quanto ami il tuo lavoro.
SALINA ~ Sì, molto, ma sarei tornata se tu…
SANTA ~ E dove sono le valigie? Hai solo questo zaino?
SALINA ~ Pensavo di fermarmi poco.
SANTA ~ Tu scappi sempre…
SALINA ~ Non scappo, mamma, io vivo, racconto il mondo e le guerre attraverso le foto. Racconto la sofferenza degli altri.
SANTA ~ Eh e della mia sofferenza non te n’è importa proprio nulla.
SALINA ~ Tu non hai bisogno di me, sei sempre stata un tipo tosto e poi mi hai sempre detto che dovevo andare via dal quartiere, che non c’era vita per me nel quartiere… E poi con quell’uomo che hai sposato non avevamo nulla da dirci, anzi: a essere del tutto sincera lo odiavo… L’ultima volta che ci siamo sentite al telefono mi hai detto che non c’è più e quindi eccomi qua.
SANTA ~ Va be’, era un povero diavolo, una persona limitata e poi è durata poco la mia storia d’amore. Di sicuro non sono riuscita a capirlo e forse non mi sono manco impegnata veramente. Come si dice un errore di gioventù… mi sentivo sola, la gente fa le cose più strane perché si sente sola.
SALINA~ Hai ragione mamma, posso abbracciarti almeno?
SANTA ~ Abbracciamoci da lontano, potresti essere asintomatica e io ho fatto solo due dosi di vaccino, poi non ho fatto più nessun richiamo da che sono venuta a vivere quassù.
SALINA ~ Ma il Covid non c’è più.
SANTA ~ E però… voi giovani dite tutti così. Ne ho conosciuti di giovani che sono finiti in ospedale… E comunque. Io stavo registrando la mia storia per te, per lasciarti qualcosa e tu sei apparsa come un polipetto dallo scoglio e mo’ non posso registrare più niente perché stai qua, mi hai fatto perdere lo sfizio della registrazione…
SALINA ~ E però… non è molto corretto dire così…
SANTA ~ Senti bimba io parlo come voglio io… vabbuò? Sei venuta fino a qua per insegnarmi la grammatica italiana?
SALINA ~ Ma no… era uno scherzo per farti indispettire, mi piaci quando arricci il naso… e comunque tornando alla tua registrazione… Mi puoi raccontare tutto dal vivo… Non è meraviglioso tutto ciò?
SANTA ~ No, per niente. Mo’ la registrazione non la posso più fare, una volta tanto che mi ero decisa a raccontare la mia vita… ogni volta che mi decido a fare qualcosa c’è sempre qualcuno che mi guasta la festa.
SALINA ~ Ti trovo bene e soprattutto acida come sempre…
SANTA ~ Sì, sto bene, anche se mi sono capitati un sacco di guai. Ho perso i miei genitori, sono andati via senza manco un abbraccio, non è che fossero esperti in abbracci ma almeno un ultimo saluto avrei voluto darglielo. Ho perso anche tante amiche. Quando ho capito che potevo finire pure io così, me ne sono tornata a vivere quassù nella casa di mio nonno. Ma mi sembri un po’ dimagrita o sbaglio? Hai una faccia sciupata, siediti, sarai stanca.
SALINA ~ Eh, un po’.
SANTA~ Siediti, ti preparo qualcosa da mangiare… Ti ricordi come ti piaceva la caponata? Oppure hai cambiato gusti…?
SALINA ~ Mi piaceva tantissimo e mi piace ancora, sono anni che non la mangio.
SANTA ~ Allora te la preparo, poi ci mettiamo vicino due alici fritte. Ci vuole un’arte per cucinare le alici ma pure per mangiarle. Innanzitutto non bisogna avere fretta. Io le ho pulite stamattina presto, piano piano una alla volta, le ho aperte, ho tolto la lisca a quelle grandi e quelle piccoline le ho messe da parte, ce le mangiamo così come sono, le facciamo fritte e con tutta la capa… dobbiamo imparare a vivere così, come si cucinano le alici, con arte e piano piano… gustando ogni parte.
SALINA ~ «Carpe diem.»
SANTA ~ No, no, le carpe non mi sono mai piaciute… non sono saporite per niente, preferisco le alici.
SALINA ~ È un modo di dire, «carpe diem», cioè cogli il momento, l’attimo.
SANTA ~ Giusto, così bisogna fare, vivere con calma, come quando si cucinano le alici e per dolce ci mangiamo questi biscottini con i semini e per finire, un bel bicchierino di Marsala.
SALINA ~ Grazie, ho una fame…
SANTA ~ (preparando da mangiare) La caponata ho imparato a farla con la ricetta della nonna… quassù da sola sono autosufficiente non ho bisogno di niente, faccio tutto da me ho imparato pure a cucinare, cosa che prima odiavo… cucinare per me intendo, perché per gli altri l’ho sempre fatto. Cucinare per se stessi è difficile, bisogna prima vedere cosa ti piace realmente e io per capire cosa mi piace veramente ci ho messo un bel po’, ho passato un sacco di tempo ad arrangiarmi, che mi ero proprio dimenticata di quello che mi piace. Tutti riceviamo un dono, qualcuno lo coltiva, qualcuno se lo dimentica e vive di nostalgia senza sapere il perché e qualcun altro lotta per farlo tornare a vivere, io così ho fatto. I primi tempi mi sono messa a cucinare, ogni giorno un piatto diverso… ho imparato di nuovo a cucinare, con lentezza e soprattutto con piacere. Prima lo facevo tanto per farlo perché dovevo mettere un piatto a tavola. Adesso lo faccio perché mi voglio bene. La pandemia mi ha fatto questo regalo…
SALINA ~ La pandemia è finita, puoi tornare alla normalità.
SANTA ~ Veramente è finita?
SALINA ~ È finita.
SANTA ~ Comunque avevo questo sospetto, sai? Perché non vedevo più passare gli elicotteri che portavano la gente in ospedale… La pandemia è finita, come suona strana questa frase…
SALINA ~ Non c’è più.
SANTA ~ Il virus ci ha abbandonato?
SALINA ~ Sì e da un bel pezzo anche.
SANTA ~ Da un bel pezzo … cioè da quando?
SALINA ~ Da due anni circa
SANTA ~ E l’umanità che fa?
SALINA ~ Sta bene… c’è qualcuno che ancora mette le mascherine, ma per moda, oppure per proteggersi da un raffreddore. Puoi uscire dall’isola e andare sul continente, non c’è più il virus.
SANTA ~ Ma sei sicura?
SALINA ~ Certo.
SALINA ~ Io non voglio tornare sul continente, io sto bene qua, mi sono abituata e mi sono pure organizzata, mangio quello che coltivo e mo’ che mio marito se n’è andato con una che ha conosciuto giocando a quella cretinata di gioco, sto ancora meglio. Chatto io che chatti tu, un giorno ha detto: «Vado a comprare i carciofi» e non l’ho più visto. Poi dopo un mese ho ricevuto una cartolina da un posto sconosciuto: «Qui è tutto Covid Free e i carciofi sono anche più buoni»… Avrà trovato qualche altra scema da sfruttare… (Frigge in silenzio le alici)
SALINA ~ Che profumino.
SANTA ~ Ecco siediti che è pronto… (Stappa una bottiglia, prende due bicchieri e versa del vino) Cin, cin, questo Marsala resuscita pure i morti…
Mangiano. Poi, dopo un lungo silenzio.
Ti piace il regalo che ti ho fatto?
SALINA ~ Quale regalo?
SANTA ~ Quello dell’ultima volta che ci siamo viste. Te l’ho messo in valigia di nascosto, volevo farti una sorpresa. Non mi hai detto niente, manco una telefonata per dire grazie…
SALINA ~ Ah quello…
SANTA ~ Eh, quello.
SALINA ~ Bello, grazie, adoro le tovagliette americane.
SANTA ~ Ma non sono americane… guarda che ti ho fatto un regalo prezioso.
SALINA ~ Eh lo so… ma si chiamano tovagliette americane.
SANTA ~ Ho capito, non ti è piaciuto.
Continuano a mangiare in silenzio.
Prepariamo il caffè?
SALINA ~ Non c’è bisogno.
SANTA ~ E perché?
SALINA ~ Non prendo più il caffè la sera.
SANTA ~ Meglio così, pure quando c’erano gli altri, era una scocciatura fare questo caffè dopo cena. E poi tenevano sempre da dire: «E hai messo poca acqua e ce ne hai messa troppa»…
SALINA ~ E hai messo poco zucchero e ce ne hai messo troppo…
SANTA ~ E fatevelo voi vabbuò?
Ridono.
Ma mo’ non c’è più nessuno per litigare o discutere dell’acqua del caffè… Se ne sono andati tutti quanti.
SALINA ~ Non sono andati via, sono morti.
SANTA ~ E io che ho detto?
SALINA ~ Come lo hai detto tu, sembra che siano partiti.
SANTA ~ E ho usato un altro modo per dire la stessa cosa.
SALINA ~ Perché tu hai paura della morte.
SANTA ~ Non cominciamo con la ‘pesicanalisi’.
SALINA ~ Si dice «psicanalisi» e poi non sto facendo analisi, sto solo dicendo che bisogna usare le parole giuste per dire le cose.
SANTA ~ Le parole giuste, già.
SALINA ~ Già… E mo’?
Insieme:
~ Moplen…[*]
Ridono.
SANTA ~ Te lo ricordi ancora… ridevamo ogni volta… Prima ci hanno riempito di pubblicità per farci comprare la plastica, poi si è scoperto che inquina e ci hanno detto di fare attenzione e riciclare bene, la stessa cosa è avvenuta con il virus… La natura va lasciata in santa pace, troppa convivenza fa male… Perché in quel mercato non è successo così? E probabilmente è cominciato già tutto nel laboratorio.
SALINA ~ Non ci sono prove certe…
SANTA ~ Ma con un po’ di fantasia si può azzardare. Non dico che l’hanno fatto apposta, questo no, ma un tipo probabilmente che ne so, ha fatto il guaio, magari era triste, si era lasciato con l’innamorata o lei forse gli ha fatto le corna, oppure lui ha conosciuto un’altra che ne so… teneva la testa da un’altra parte… si è distratto e ‘zumpete’ il virus gli è saltato addosso, poi è andato in quel mercato a mangiare qualcosa, ha incontrato un amico e gli ha raccontato tutto il fatto, si sono abbracciati l’amico gli ha dato un bacio, il virus ‘zompete’ ha fatto un altro salto… Sempre l’amico, ha incontrato un’amica, le ha raccontato tutto, hanno cenato assieme perché lei doveva andare in Europa per studiare e sarebbe stata via un bel po’ e ‘zacchete’ ecco un altro salto e la frittata è fatta…
SALINA ~ Mi sembra un’ipotesi un po’ semplice…
SANTA ~ Di sicuro il virus ha girato addosso a un sacco di persone e in quattro e quattr’otto ha fatto il giro del mondo. È la globalizzazione, il turismo, insomma la modernità. Ecco qua e io perciò mi sono chiusa dentro e non voglio vedere più nessuno. Siamo diventati tutti più ‘foresti’.
SALINA ~ E come fai a passare il tempo?
SANTA ~ Leggo i libri che tanta gente ha lasciato qua, certo alcuni sono rosicchiati dai topi, se è per questo sono ancora più interessanti, perché le parole che non ci sono, uno se le può immaginare…
Silenzio.
E a te come è andata?
SALINA ~ Nelle isole in cui mi trovavo, sono riusciti a salvarsi dal Coronavirus imponendo la quarantena obbligatoria all’ingresso e il divieto temporaneo di imbarcazioni nei porti, comprese le navi da crociera. Regole ferree, hanno chiuso i confini, persino ai residenti che si trovavano all’estero. Gli isolani sono potuti tornare a casa soltanto quando tutto era finito. Hanno protetto il luogo e l’hanno custodito come se fosse una perla rara… Bisogna avere cura dei luoghi. Uno può vivere tanto tempo in uno stesso luogo e non capire nulla di quello che ha intorno. Vedere senza guardare. Tutto può restare su uno sfondo grigio come se non esistesse e, poi, improvvisamente ti svegli dal torpore e capisci il significato di quello che hai intorno. Può accadere con le persone. Quante volte vivi accanto a qualcuno e non lo conosci per niente. Ma se accade con i luoghi è grave, perché in quel luogo vivono tutti quelli che hanno vissuto e ognuno ha lasciato una traccia. Dimenticare un luogo vuol dire dimenticare una parte di noi.
SANTA ~ Giusto e io per questo ho preso la decisione di venire a vivere in questo posto abbandonato da tutti volevo prendermi cura di un luogo abbandonato, qua è morta tanta gente con la malattia della pomice. È stata una pandemia silenziosa. Io ero bambina ma le donne giovani con la tosse addosso me le ricordo ancora, sento la loro tosse nelle orecchie. Io me lo ricordo il dolore dei bambini con le mamme malate, a volte nessuno ci pensa ma è un dolore che ti porti addosso e te lo tieni dentro per tutta la vita… I morti non si contavano, gente che lavorava per quattro lire rischiando ogni giorno la vita e così ho pensato: se loro sono riusciti a vivere sotto a questo sole, col sale e la polvere che bruciava i polmoni, ce la posso fare pure io, alla faccia del virus. Questa è la casa di mia nonna, si era trasferita qua dopo che il padre era partito per l’America, è una casa costruita pietra su pietra rubando pezzi alla montagna e al mare… Aveva fatto per anni il cavatore poi aveva deciso di partire per cercare fortuna come tanti altri. Le donne qui vivevano quasi tutte da sole, in miseria. Gli uomini, emigrati lontano; e con quei pochi che erano rimasti si lavorava la pietra pomice. Mia nonna era bravissima a separare le pietre a limarle e ad arrotondarle, si alzava la mattina alle quattro, cestino, piccone e una lampada… e cominciava la salita fino al cratere. Mio nonno era cavatore e scendeva fino a tre o quattrocento metri sottoterra, c’erano anche quelli che scavavano il fianco della montagna e sai quanti rotolavano giù… morti senza nome e senza memoria. Si poteva lavorare quattordici o quindici ore e si faceva la fame, altro che pesce e carne come oggi, si mangiavano legumi e pane cotto un mese prima. E noi bambini ci mettevano i sacchi addosso pieni di pietra pomice e dovevamo portarli dall’altra parte della montagna, tutto per poco perché c’era sempre quello che ti procurava il lavoro, il sensale, e ti dava una miseria e il resto se lo teneva lui… ma andando avanti con l’età si moriva di brutto.
SALINA ~ Già…
Silenzio.
SANTA ~ Isole di solitudini.
SALINA ~ È vero.
SANTA ~ E di fame.
SALINA ~ Eh, sì.
SANTA ~ E le donne avevano appena due vestiti uno per le feste e uno per il lavoro e in testa portavano delle specie di turbanti proprio come quello che hai tu… Sono tornati di moda?
SALINA ~ E già…
SANTA ~ Hai finito i vocaboli?
SALINA ~ Perché?
SANTA ~ Mi rispondi coi pezzettini di parole…
SALINA ~ Scusami ero soprappensiero…
SANTA ~ Pensavo proprio che nessuno mi potesse trovare… invece mi hai trovato tu.
SALINA ~ Ma se prima hai detto che stavi registrando per me. Che speravi che io trovassi questa tua registrazione. Sembrava che avessi nostalgia di me e di te… Mo’ dici che ti dispiace vedermi…
SANTA ~ Non mi dispiace. Mi dispiace che non sei venuta prima… e ormai non ti aspettavo più e quindi sono rimasta un po’ spiazzata da questa tua apparizione improvvisa…
SALINA ~ Ecco ora ti riconosco con i tuoi ragionamenti…
SANTA ~ E tu che hai fatto in tutti questi anni?
SALINA ~ Ho vinto un premio.
SANTA ~ Un premio per cosa?
SALINA ~ Per un libro.
SANTA ~ E di che parla?
SALINA ~ Di persone morte nelle zone di guerra.
SANTA ~ Ah mo’ danno pure i premi alla gente che fotografa i morti.
SALINA ~ Adesso mi ricordo perché me ne sono andata.
SANTA ~ Che vuoi dire?
SALINA ~ Voglio dire che per te non era mai abbastanza quello che facevo se prendevo un bel voto a scuola e correvo felice a casa per raccontarlo, tu rispondevi che avevo fatto il mio dovere e che potevo fare ancora meglio.
SANTA ~ Infatti hai fatto di meglio e ti hanno dato pure un premio. Allora la mia strategia pedagogica era giusta, pensa se ti avessi detto «brava» tu cosa avresti fatto? Ti saresti accontentata e saresti rimasta nel quartiere come tante ragazze hanno fatto, e sono rimaste qua mogli di mariti che non si ricordano manco come si chiamano.
SALINA ~ Sì, forse è così. In tutti questi anni ho cercato di farti contenta pensavo sempre che dovevo dare il meglio e l’ho trovato andando nei luoghi di guerra a dare la vita a quelli che non ci sono più, a farli vivere per sempre attraverso la fotografia. Per alcuni è un modo di speculare o manipolare l’informazione ma per me è un modo per denunciare, un grido di dolore che passa il tempo. Anche se una grande fotografa diceva che fotografare vuol dire inquadrare qualcuno e quindi escludere il resto… Ma la fotografia di guerra ha uno scopo preciso, ci rende tutti più umani e ci ricorda che esiste una continuità fra vita e morte. Oggi l’uomo vorrebbe dimenticare la morte, fa finta che non esista ma i morti parlano e raccontano le paure e le angosce di ogni tempo. «Scatto per la gente comune che vuole vedere e sentire una storia da un luogo in cui non può essere presente. Dietro le notizie vedo le persone e voglio che la loro storia sia conosciuta. Attraverso la loro morte parla la vita, non sono morti invano se possono ancora dire e denunciare qualcosa, le ingiustizie, la povertà»: così diceva un mio amico, poi lo hanno ucciso…
SANTA ~ Può essere… ma vuoi mettere il piacere di fotografare un bel panorama… tu così sfidi la morte continuamente…
SALINA ~ E si vede che io quello cercavo… o meglio andavo incontro a quello che mi aspettava.
SANTA ~ Mi sto chiedendo come mai hai deciso di ritornare, ci sarà un motivo…
SALINA ~ Eh… volevo vederti.
SANTA ~ Eccomi qua, fresca e tosta come una rosa di maggio, mi hai visto e allora?
SALINA ~ Avevo bisogno di ritrovare un po’ di aria di casa… ho passato tanti anni fuori che avevo bisogno di sentire il suono della tua voce, ritrovare questi accenti di mare, proprio come dicevi prima, sentivo il bisogno dei nostri luoghi e tu, te li porti tutti dentro.
SANTA ~ Questo vuol dire che ti fermerai?
SALINA ~ Può essere…
SANTA ~ Allora sei arrivata al momento giusto. Sto facendo le conserve di pomodori e avrei bisogno di una mano per il mio giardino, ho delle coltivazioni delicate, ma tu ti ricordi come si fanno le conserve?
SALINA ~ Certo che mi ricordo è uno dei ricordi più belli che ho, c’era tutta una festa attorno.
SANTA ~ Passami quella cassetta… dobbiamo spaccarli in quattro e poi li mettiamo a uno a uno in questi barattoli. Vedi? Li ho già sterilizzati… Ne facciamo pochi, giusto per me, poi se vuoi te ne porti un po’ pure tu al paese tuo…
Lavorano in silenzio. Ogni tanto si scambiano uno sguardo, un timido sorriso.
E allora, me lo dici perché sei qua? Il motivo vero…
SALINA ~ Sto morendo.
SANTA ~ In che senso?
SALINA ~ Il senso è uno solo, non ci sono altri sensi, ho poco tempo da vivere, sono malata.
SANTA ~ E che tieni?
SALINA ~ Un tumore.
SANTA ~ Un tumore? E dove?
SALINA ~ Al cervello.
SANTA ~ Embè, non si può curare?
SALINA ~ No…
SANTA ~ Con tutti i progressi che la medicina ha fatto, proprio la malattia tua non si può curare. Io pure sono guarita dal tumore.
SALINA ~ E si vede che tu sei più brava di me.
SANTA ~ Poi dici che io sono acida.
SALINA ~ Non si può curare non c’è più tempo per guarire. Il mio tempo è scaduto.
SANTA ~ Ecco lo sapevo, quante volte ti ho detto non rimandare, non rimandare che poi il tempo si mangia tutto…
SALINA ~ Non avevo alcun sintomo. Poi un giorno ho cominciato a svenire di continuo e così mi sono decisa a fare un controllo.
SANTA ~ E tu te lo facevi prima ’sto controllino, invece di trascurarti e andare a destra e sinistra come una pazza.
SALINA ~ Non c’è niente da fare.
SANTA ~ Si può sempre fare qualcosa, sei giovane ancora, non è possibile che non si può fare proprio niente, non ci credo.
SALINA ~ A volte ci sono cose che arrivano e basta e non si può fare niente.
SANTA ~ E a me lo dici? Io ho passato tutta la mia vita a combattere cose che arrivano e basta… Ma tu mi sembri un poco troppo rassegnata. E forza figlia mia, tira fuori il coraggio. Ma poi non capisco: sei venuta fino a qua per dirmelo e io che devo fare?
SALINA ~ Magari semplicemente abbracciarmi e ascoltare…
SANTA ~ Mo’ ti dovrei abbracciare? Mo’ che non c’è più tempo? E tutti questi anni? Anni in cui scoppiavi di salute e non sei mai venuta a trovarmi, che avrei volentieri diviso con te – non dico «assai» – qualche bella serata, una piccola vacanza, invece no sempre in giro per il mondo come se ogni più piccolo buco del mondo fosse meglio di casa di tua madre… Sai quanto tempo assieme che potevamo passare… quanti abbracci che ci potevamo dare, anche se a dire il vero noi non siamo gente di abbracci. Tutti questi anni senza mai farti viva, qualche messaggio ogni tanto, le notizie tue le ricevevo dalle foto che stavano sui giornali e mo’ che sei malata, ti ricordi che c’hai una madre… Sai che ti dico? Non lo volevo sapere, preferivo saperti viva in qualche angolo del mondo con la tua macchinetta fotografica, clic clic… Non ti sembra una cattiveria venire fino a qua per dirmelo?: ‘Come va tutto bene? Ah, a proposito volevo dirti che sto morendo’… No, no, no, non lo voglio sentire, sparisci via torna da dove sei venuta…
SALINA ~ E una malattia che non perdona mi aspettano mesi di dolore e io vorrei andarmene prima che il dolore si prenda tutto il mio corpo e vorrei che tutto finisse qua…
SANTA ~ Qua?
SALINA ~ Qua e vorrei che lo facessi tu…
SANTA ~ Io? Cosa?
SALINA ~ Vorrei che tu mi aiutassi a lasciare questa vita in pace, magari guardando il mare.
SANTA ~ Ma allora non hai sentito proprio quello che ho detto? Ma che staj ricenne? Non è possibile che vieni a chiedere una cosa del genere a me, a tua madre. Non ci pensare proprio. Anzi, sai che puoi fare? Riprendi la via del mare e vattenne e facciamo finta che non ti ho visto proprio. Non puoi venire qua dopo tanti anni che non ci vediamo e poi mi fai raccontare tutte le cose della mia famiglia che non ho detto mai a nessuno e io te le racconto perché mi penso: lei poi le racconterà ai figli suoi. E invece niente, mi dici che stai per morire… Non solo ma vuoi pure che ti faccio morire io… No, dico, mi sembra un tantino egoistico questo tuo piano o no?
SALINA ~ Se sono venuta fino a qua è perché ormai non c’è nulla da fare, non volevo farti spaventare, volevo solo recuperare un po’ di vita con te. Quando mi hanno dato la notizia, quasi, quasi, erano più dispiaciuti di me. Non mi sono stupita, ho sempre pensato di avere poco tempo, facevo tutto di corsa perché mi portavo dentro questa strana convinzione di avere poco tempo. Ero solo dispiaciuta per te e anche perché avevo ancora tanti posti da vedere, tanti sguardi da raccontare. Ho passato tre anni a combattere contro il male. Sai quante volte ho cercato di telefonarti? Tante. Ci pensavo ogni giorno ma ogni volta mi fermavo perché mi dicevo: «Adesso la chiami, ora che stai male?». Ho cercato di affrontare tutto con coraggio, con calma, sicurezza, ho fatto tutto quello che si doveva fare, sono stata attenta e disciplinata, ho seguito con scrupolo ogni cura, in certi giorni non mi riconoscevo, tanto ero precisa e diligente nel prendere le medicine, a seguire tutto il programma, fra medicine e chemioterapia e controlli, ho passato giorni interi a vomitare e a parlare solo di farmaci e controindicazioni, i medici mi dicevano che è importante l’aspetto emotivo, essere forti aiuta e io così facevo, mi dicevo: «Se sei forte, ce la farai, mantieni la calma»… Come quando andavo nei luoghi di guerra, così facevo, mantenevo la calma, cercavo sempre di non farmi coinvolgere e bisogna comportarsi così, se vuoi far conoscere la verità, altrimenti non riesci a fotografare nulla, bisogna fotografare senza farsi troppo coinvolgere dall’aspetto emotivo. Vedevo quella gente soffrire, gli occhi dei bambini, delle donne: «Non puoi salvarli tutti», mi dicevo, «resta calma, il tuo compito è far conoscere al mondo quello che stanno passando… Non farti prendere dal delirio di onnipotenza, tu puoi solo raccontare una parte di questo mondo, una piccolissima parte, un frammento». Così ho affrontato il tumore facendo mille ragionamenti dentro di me e pensando di riuscire a vincere. Ma il corpo va dove vuole, non si può sempre controllare tutto, il corpo ha le sue leggi, la medicina mi ha regalato qualche anno in più… Sono stata ben curata e ben assistita, ma ora basta, ora voglio fare a modo mio ora che non ho più tempo, voglio morire con calma, decidendo io, del mio ultimo tempo, dei miei ultimi momenti e decidendo ora che sono ancora vigile. Sono stati tutti gentili, pazienti e mi hanno anche aiutato nei momenti più brutti, nessuno mi ha lasciato da sola, a parte il mio compagno… Ma si è spaventato e se n’è andato. Posso dargli torto? Non è facile stare vicino a qualcuno che ha i mesi contati. Ho preso questa decisione perché voglio morire con la mente serena, voglio abbandonare la vita con gentilezza e non fra mille pensieri di rabbia o magari imprecando perché il dolore mi impedisce di pensare, io voglio morire con tutti i miei pensieri in testa e i miei ricordi, non voglio ricordi offuscati dalla morfina… E così ho pensato all’isola, ai suoi tramonti e ho pensato che morire qua sarebbe sicuramente più dolce.
SANTA ~ Eh, e che bel quadretto romantico ti sei fatta nella testa… brava, brava e quando l’hai progettato questo bel film? Non se ne parla proprio, hai capito? Io non farò mai una cosa del genere, mai. Sai che puoi fare se proprio ci tieni…? Qua c’è una bella rupe, sali sul muretto e ti butti abbasso; è un attimo, secondo me non si soffre manco. La cugina mia così morì, non voleva sposare il cugino pazzo. Insomma si buttò giù con tutto il velo da sposa che ovviamente divenne subito tutto rosso.
SALINA ~ Non è un’ipotesi tanto lontana dalla realtà… Lo sai, i suicidi di malati ormai non si contano, si parla di mille malati ogni anno.
SANTA ~ Ecco quindi potresti tranquillamente essere una di questi… tanto uno in più uno in meno…
SALINA ~ Ho capito non vuoi aiutarmi.
SANTA ~ Vorrei che fosse chiaro che non si tratta di aiuto… Uno dice: ‘Devo stirare una camicia, mi aiuti?’ ‘No’… in questo caso la frase giusta è «ho capito non vuoi aiutarmi». Invece arriva una a casa tua…
SALINA ~ Tua figlia…
SANTA ~ Tua figlia che non vedi da anni, che ti ha fatto fare la pandemia da sola.
SALINA ~ Lavorava…
SANTA ~ E che ti dice: ‘Scusa per caso, ti andrebbe di uccidermi per favore?’. No, grazie.
SALINA ~ Non vuoi aiutarmi.
SANTA ~ E no non si tratta di aiuto… si tratta di capire se uno se la sente di fare una cosa del genere o no… tu non vuoi morire da suicida e chiedi a me di diventare una specie di Medea, un’assassina.
SALINA ~ Se ci fossero delle norme precise per regolamentare queste scelte, noi due non staremmo qua a fare questa discussione e tutto uscirebbe dal buio.
SANTA ~ Ma poi non ho capito, a cosa hai pensato? Pistola, coltello, che ne so, veleno.
SALINA ~ Ho fatto domanda, mi hanno negato tutto ma un mio amico medico ha avuto pietà e in un certo senso mi ha aiutato… Avrei pensato a una siringa… ma anche delle pillole. Ma soprattutto, vorrei che tu mi stessi vicino.
SANTA ~ Io queste cose non le capisco proprio e poi mi ha sempre fatto impressione fare le siringhe, quando facevo le siringhe alla nonna, giusto perché ero costretta e non c’era nessuno, chiudevo gli occhi prendevo la mira e ‘arò coglie coglie’… e riuscivano bene perché le passavano tutti i dolori… Ma no, decisamente non lo rifarei…
SALINA ~ Ho capito ma, sì, era solo un’idea. Ho pensato a te perché sei mia madre e morire fra le tue braccia è una cosa che mi fa sentire meno sola…
SANTA ~ Appunto sono tua madre, le madri non seppelliscono le figlie, figuriamoci ucciderle.
SALINA ~ Si chiama eutanasia, suicidio assistito…
SANTA ~ È la stessa cosa.
SALINA ~ Non esattamente, comunque lascia stare, facciamo come se non avessi detto nulla.
Silenzio.
SANTA ~ Si sente dolore…?
SALINA ~ Ti addormenti dolcemente, infatti la chiamano “La buona morte”.
SANTA ~ Le solite cretinate moderne, la morte è morte, punto. E comunque non mi sembri così grave da prendere questa decisione… potresti tentare qualche altra cura insomma mi sembra che stai affrettando le cose…
SALINA ~ Credimi, ho tentato già tutto non c’è proprio più nulla da fare, me l’hanno detto chiaramente. Dovrei accettare di finire i miei giorni in un hospice… questo hanno previsto per me e io non voglio… Sono molto stanca, se non ti spiace vado a farmi una doccia e poi vado a dormire, domani stesso me ne andrò.
Silenzio. Esce.
SANTA ~ (gridando verso la quinta) … Ma poi il corpo … dove lo mettiamo? Mi sembra una follia, si verrebbe a sapere e io sarei arrestata… No, dico, dove ti dovrei seppellire…?
Silenzio.
Ecco qua, ora mi ricordo finivano sempre così le nostre discussioni: io a fare i monologhi e tu che scappi e ti chiudi dentro.
SALINA ~ (dalla quinta) Mi piacerebbe stare vicino al nonno… Non preoccuparti a te non succederebbe nulla, sarebbe un semplice suicidio, nessuno ti accuserebbe di nulla, ho già pronta una lettera di addio, sai quanti malati come me hanno scelto di suicidarsi mentre avrebbero potuto tranquillamente avere un’assistenza, abbandonare questa terra con un po’ di comprensione intorno, in alcuni paesi è così…
SANTA ~ Vicino al nonno… ma là bisogna scavare assai e ci sono molte pietre… E non ce l’ho una pala adatta.
SALINA ~ Ma potresti procurartela. Sono sicura che non avresti alcun problema a cercarla nel capannone del nonno… e poi ricordi come dici sempre tu?: «Va be’… in qualche modo ci arrangeremo»…
SANTA ~ Ecco qua la solita storia, noi quando capita ci arrangiamo… nessuno dovrebbe morire così, scegliendo di arrangiarsi… E non parlare al plurale… perché dovrò fare tutto io…
SALINA ~ (rientrando in vestaglia) … Comunque se non te la senti, tranquilla, io ho già parlato con un amico che sarebbe disposto ad aiutarmi…
SANTA ~ Che generosità… e chi sarebbe?
SALINA ~ È uno che ho conosciuto in Tibet, un medico, mio amico.
SANTA ~ Non esiste proprio, noi siamo gente di mare, sai come si dice? Ci sono tre tipi di uomini: ’e vive, ’e muorte e chille che vanne pe’ mare… Non se ne parla proprio, mia figlia non sarà… diciamo così… addormentata, da uno sconosciuto… che per giunta viene dalle montagne…
SALINA ~ Sarai pure acida ma hai conservato il tuo umorismo… «Viene cà nun fa chiù ’a zeza tire e molla Carmenè». Ti ricordi come faceva quella canzone che cantava il nonno quando la nonna metteva il broncio?
SANTA ~ (accenna anche lei il canto) «Vide vide si fatte meza ne sai dimme lu pecchè».
Insieme:
~ Viene cà nun fa chiù ’a zeza tire e molla Carmenè.
Vide vide si fatte meza ne sai dimme lu pecchè.
SALINA ~ Aspetta, aspetta la cerco… sapessi quante volte l’ho ascoltata dopo che ho saputo… ma anche durante le chemio, mi faceva allegria…
Parte la musica. Cantano insieme… e cominciano a ballare una tarantella… poi cadono insieme abbracciate, la madre si stacca quasi in imbarazzo.
Silenzio.
SANTA ~ Ho ancora fiato e anche tu ne hai… nonostante tutto… Visto che sei venuta fino a qua, allora, prima di andare via…
SALINA ~ Andare via nel senso metaforico che mi aiuterai veramente ad andare via o nel senso che non mi aiuterai…?
SANTA ~ Eh non lo so, ci sto pensando… Comunque, in ogni caso, prima potresti fare una cosa per me?
SALINA ~ Cosa?
SANTA ~ Avrei bisogno di un piccolo aiuto per le mie coltivazioni, ce la fai?
SALINA ~ Ce la faccio. Che devo fare?
SANTA ~ Vieni, ti faccio vedere, si tratta di raccogliere queste piante per organizzare la spedizione, però se non te la senti, cioè se non hai le forze, lascia stare.
SALINA ~ Oggi sono in forze. Oggi ho tanta voglia di vivere e mi sembra persino di non essere malata… fammi vedere.
SANTA ~ Sarà questo posto, sai quante volte è capitato, chi viene qua gli passano tutti i mali…
SALINA ~ Fidati a me non succederà.
SANTA ~ Eh… non si può mai sapere. Vieni, ti faccio vedere che devi fare, è un lavoro piccolo ma oggi l’artrite si fa sentire più che mai e d’altronde la nave parte domani, è un lavoro che devo fare proprio oggi…
Si avvicinano a una quinta.
SALINA ~ Ma queste sono… ma no… non ci posso credere ma sei impazzita? È legale tutto ciò?
SANTA ~ Va be’, proprio legale non credo… Io coltivo, poi quei ragazzi ci fanno quello che vogliono, a me non interessa e comunque non ti ho fatto vedere questo per avere la predica…
SALINA ~ Quali ragazzi?
SANTA ~ Quelli che sono venuti con le navi.
SALINA ~ Gli sto facendo un piacere, gli coltivo un po’ di erba e poi loro ne fanno quello che vogliono, insomma gli garantisco un minimo di sopravvivenza…
SANTA ~ Io credevo di averti fatto una proposta oscena ma tu superi sempre tutti.
SALINA ~ Ho capito non mi vuoi aiutare…
SALINA ~ No, no, ti aiuto, ci mancherebbe altro, abbiamo fatto un patto solo, che non potrò portarti le arance in galera e questo mi dispiace un po’…
SANTA ~ Vieni, mettiti questo grembiule, vanno trattate con estrema cura, sono molto sensibili, io le considero come se fossero le figlie mie, ho pensato spesso a te mentre coltivavo, sono emozionata che puoi vedere il frutto di questo mio lavoro…
SALINA ~ Illegale…
SANTA ~ Uh maronna santa e come sei precisina…
Sistemano le piante in grandi contenitori.
E mo’ ci vuole un brindisi. Ho qui uno spumantino fresco fresco, ogni tanto mi faccio un brindisi assieme ai gabbiani guardando il mare.
SALINA ~ Facciamo come si fa in Russia, ogni bicchiere si beve e poi si butta.
La scena si ripete più volte e come per divertimento gettano molti bicchieri.
SALINA ~ E mo’? Dove bevi?
SANTA ~ Non preoccuparti c’è sempre il servizio di Boemia quello che ho rubato alla signora dove lavoravo. Sai che ti dico? Finiamo la bottiglia e rompiamo pure quelli…
Bevono e rompono altri bicchieri.
SALINA ~ Se decidi di aiutarmi, vorrei che leggessi questi versi ad alta voce, dopo…
«La stella mattutina.
Aspettiamo la stella mattutina
dall’ala bianca che viaggia nelle tenebre,
primo annunzio del sole.»
SANTA ~ Li hai letti nei cioccolatini?
SALINA ~ Sono antichi li avevo letti in un libro… Lo faresti?
SANTA ~ Eh mo’ vediamo… Posso chiederti un piacere?
SALINA ~ Certo.
SANTA ~ Mi faresti un po’ di foto?
SALINA ~ A te?
SANTA ~ Alle piantine.
SALINA ~ Stai pensando di fare un piccolo catalogo…?
SANTA ~ Eh potrebbe essere un’idea, perché no…?
SALINA ~ Posso farne una anche a te?
SANTA ~ Sì, sì, mi metto in posa con le piante.
Fanno una pantomima in cui la mamma sfila con le piantine in mano e in diverse pose, mentre la figlia fotografa.
Vieni te ne faccio una io. Fammi vedere come si fa.
SALINA ~ Ecco, metti la mano qua, sì, con delicatezza. Pensa al futuro. Io penso sempre al futuro quando fotografo, mai al presente. Penso a chi vedrà poi la foto, penso allo sguardo dell’altro…
SANTA ~ Ho capito. Come vuoi a mezzo busto o a figura intera?
SALINA ~ Tutte e due.
SANTA ~ Adesso te ne faccio una mentre guardi il mare, girati… ecco qua so’ arrivati pure i gabbiani. E come vanno in alto… I gabbiani non hanno paura del cielo, più che volare, amano mangiare… tutto è incerto e niente dura. E mo’ facciamoci un selfie. Come si fa?
La figlia prende la macchina fotografica. Si mettono in posizione.
SALINA ~ Ecco, così. Mettiamo il mare sullo sfondo… È così bello al tramonto, i colori sembrano usciti da un quadro del passato. Vieni più vicino, sì, così stiamo bene… Sorridi, mamma, pensa una cosa bella.
SANTA ~ È un po’ difficile.
SALINA ~ Ecco, ferma, sorridi. Ti voglio bene, mamma.
SANTA ~ Eh… sì…
SALINA ~ Fatta. Esprimi un desiderio.
SANTA ~ Non morire…
Buio. Da lontano il rumore del mare.
Santa riappare con andatura incerta mentre riordina e raccoglie i pezzi di vetro.
Si è addormentata. Da piccola si addormentava subito. Non facevo manco in tempo a metterla a letto che lei già dormiva. E io ero contenta, perché così uscivo con le amiche, ero giovane e non tenevo voglia di fare la mamma, a volte tornavo a casa e pensavo mo’ la trovo morta soffocata, tanti bambini muoiono nel sonno… Ma non moriva mai, si svegliava sempre con quei suoi occhi dispettosi: ‘Tu non mi volevi, e io qua sto’. Le madri pure devono imparare ad amare i figli, non sempre viene naturale… È successo un giorno. Aveva, cinque anni, stava disegnando, le piaceva fare il sole con i raggi lunghi, lunghi che arrivano a terra, poi con una con una faccina tutta soddisfatta si è girata verso di e mi ha detto:
~ Adesso scrivo il mio nome, ecco qua, SA-LI-NA, e ora scrivo anche il tuo.
~ Ma non lo sai come mi chiamo.
~ Certo che lo so.
E, grande grande, in mezzo al foglio, scrisse:
«MAMMA».
Non scappava lei, scappavo io.
Prende il foglio che le aveva lasciato la figlia, lo apre e legge, mentre la voce si perde nel rumore del vento e in mezzo al grido dei gabbiani.
«Aspettiamo la stella mattutina
dall’ala bianca che viaggia nelle tenebre,
primo annunzio del sole.»
(…)
Ecco qua, ho cercato di fare del mio meglio… Noi, quando capita ci arrangiamo, ho fatto tutto quello che volevi, è andata proprio come desideravi. Forse i fiori non erano i tuoi preferiti.
Ho piantato un seme,
il vento e il sole faranno il resto,
se andrà tutto bene, forse, nascerà una rosa.
Gialla, come piace a te.
“E però”, ci vuole cura…
Ci stanno troppi se.
Siede lentamente. S’intuisce il pianto silenzioso, casto, di quelli che non mostrano lacrime, il grido dei gabbiani e in lontananza, il rumore del mare, nel buio che lentamente avanza.
Si sdraia in attesa di diventare cibo per i gabbiani.
FINE
*****
NOTE
Morire per scelta. Nel testo, la memoria dei tanti malati terminali, morti suicidi.
Morire per raccontare agli altri. Nel 2018, Danish Siddiqui era stato insignito del Premio Pulitzer per il suo reportage sulla crisi dei rifugiati Rohingya in Bangladesh. Ha immortalato le proteste a favore della democrazia di Hong Kong dal 2019 al 2020, i momenti di terrore dei terremoti in Nepal nel 2015 e tante altre vicende. Non potrà più farlo. È stato ucciso in Afghanistan, mentre seguiva uno scontro tra le forze di sicurezza afghane e i talebani vicino a uno dei principali passaggi di frontiera che collegano l’Afghanistan con il Pakistan, chiamato Spin Boldak, a sud della città di Kandahar.
Morire di lavoro. Nel testo, la memoria delle donne e degli uomini morti nelle cave di pomice a Lipari.
Tarantella è un brano musicale composto nel 1852 da Luigi Ricci, su versi di Marco D’Arienzo, qui riportati nella versione di Sergio Bruni.
La stella mattutina è citata dal volume Lirici greci, traduzione di Salvatore Quasimodo, Edizione di Corrente, Milano, 1940.
[*] Moplen è il marchio registrato del polipropilene isotattico: una materia plastica inventata negli anni ’50 del secolo scorso dal chimico (e Premio Nobel 1963) Giulio Natta. Divenne molto nota anche grazie al programma televisivo “Carosello”, con una serie di pubblicità caratterizzate dal tormentone: «E mo’? Moplen!». In particolare quelle che avevano come testimonial l’attore e comico Gino Bramieri.