Prima di andar via

di

Filippo Gili

© 2010. Tutti i diritti sono riservati

 

 

La scena ripropone sinteticamente i tratti di un appartamento al cui centro vi è un salone con una bella e imbandita tavola da pranzo. Lo spazio scenico è un ring, all’interno del quale, periferiche rispetto al salone, dovranno evidenziarsi “tracce” di altri ambienti, come una camera da letto, un bagno, una cucina. Gli stacchi spazio-temporali, nella scrittura, saranno trattati come se ci fosse davvero divisione fra tutti gli ambienti, come se ci si trovasse realmente all’interno di un appartamento vero e proprio. Considerando però, va detto, la quasi totale preminenza del salone come luogo scenico del dramma.
E proprio intorno al tavolo da pranzo, troviamo intenti a mangiare Anna e Giovanni (sessantenni, più o meno, dall’aria agiata, bianco di capelli lui – una figura serena e intelligente –, mora, non alta, tratti dolci e vivi lei); poi Marta ed Elena, le figlie dei primi due (belle entrambe, la prima sui ventotto anni, la seconda più di trenta: Marta è di statura media, capelli biondi, lunghi ma raccolti dietro la testa, Elena è alta, castana scura); infine Francesco, unico figlio maschio, più grande di Elena.

GIOVANNI: … Quando poi sei stato lì non te ne frega più nulla di pensare a cosa mangi a che bevi… è tutta una razza a parte, pure i territori lasciati così… come se ci fossero venti diversi dai nostri…
ANNA: Ma è così…
GIOVANNI: In che senso…
ANNA: Nel senso che sarà così… che ci saranno venti diversi dai nostri…
GIOVANNI: Sì, anche tutto un gioco di luci diverso lì… l’atmosfera è più rarefatta, sei vicino al Polo… c’è un magnetismo superiore…
ANNA: Anche la forza di gravità aumenta…
GIOVANNI: C’era un ponte che da costa a costa attraversava un villaggio minuscolo, e non sembrava ci fosse sotto il letto di un fiume… e io ’sto ponte non ho mai capito a che servisse…
ANNA: Sì, lì hai la sensazione che tutto quello che c’è non è di per sé utile, ma ha un senso, pure se inutile…
GIOVANNI: Comunque ti stanchi…
ELENA: Sì, stancano tutti ’sti passi su ’sti paradisi… belli belli belli ma dopo un po’ viene una specie di noia… pensare al senso della vita qui da noi e uscirne con le mani un po’ vuote, poi applicare lo stesso concetto lì e fare due più due uguale quattro…
MARTA: Nel senso?
ELENA: Nel senso che è scontato vincano loro, nel senso che è chiaro che te ne torni a casa con la convinzione che ha ragione la loro idea sul tempo, sull’assenza di finalità della Storia…
MARTA: Loro chi?
ELENA: Gli aborigeni… anzi no, loro che c’entrano, l’idea piccolo-borghese che abbiamo di loro…
MARTA: Io non ho mai capito che vuol dire “piccolo-borghese”…
ELENA: Tante cose, ma soprattutto riuscire ad umiliare facendo un complimento…
ANNA: A me non sembra che vincano loro, l’Occidente dilaga…
ELENA: Appunto, la vittoria di Pirro, perché mentre fai i complimenti alla loro metafisica stringi le chiappe al pensiero di non tornare nel cesso di casa tua…
ANNA: Sei violenta.
ELENA: Tutta quella culturaccia dei feticci, le effigi, le maschere, l’antropologia a dispense… l’Occidente è depresso e va in psicanalisi da uno straccione… poi va via e ristabilisce la supremazia pagando… e pensi: ma sarà davvero così? Veramente lì non conoscono depressione? Veramente pensano che il tempo non esiste e che la Storia non ha un fine?
MARTA: È l’ultimo che hai fatto?
ELENA: Di cosa?
MARTA: Di esame.
ELENA: Esame? Che vuol dire “esame”? Che è “esame”?

Giovanni e Anna ridono.

ELENA: È solo il mio stupido pensiero…
MARTA: Io ’sta cosa non l’ho mai capita, ti mancavano pochi esami e non ti sei laureata… ma perché?
ELENA: Io sono chic, chicca, la laurea non si prende ricorda, bisogna rimanere con due o tre esami da fare… è più figo…
GIOVANNI: Ha ragione Elena…
MARTA: Cioè non vuoi che finisca l’università?
ANNA: Non ha detto questo…
GIOVANNI: No, ha ragione lei, ce ne torniamo trasognati ed è tutto smarrimento invece…
ELENA: Io dicevo un’altra cosa papà, ce ne torniamo finti smarriti ma con la bussola nascosta fra le mani…
ANNA: Comunque la vita è uguale dappertutto…
ELENA: Ecco non sarei così d’accordo…
ANNA: Ma scusa l’hai detto adesso te…
ELENA: No io non ho detto questo, ho detto solo che l’angoscia la trovi dappertutto, sono a un livello più o meno raffinato di dissimulazione…
ANNA: Va be’ volevo dire che ero d’accordo che al mondo per tutti è difficile ma che poi invece… non lo so… è bello esserci…

Silenzio.

GIOVANNI: Vero.
MARTA: Da adulti mi sembra più ovvio dire questo.
GIOVANNI: Puoi dire anche “da vecchi”.
ANNA: Tu sarai vecchio, io no…
ELENA: Sbrigati a diventar vecchia allora…
MARTA: Con chi stai parlando scusa…
ELENA: Con te.
MARTA: Cosa mi devo sbrigare…?
ELENA: Fa’ ’sto dottorato e comincia la lunga corsa verso il nulla…

Giovanni ride.

MARTA: Sì ma devo fare dei seminari inutili prima, e odio farli…
ELENA: Perché?
MARTA: Punteggi… punteggi che acquisisci per il dottorato se fai certi seminari. E poi non amo la parola “seminario”… mi sento presa in trappola da un gigantesco giardiniere che mi semina… mi dà fastidio sentirmi un seme…
ELENA: Un bel semino di Pimpinella… dai, fatti seminare che viene su l’albero più bello…

[ I dialoghi col rientro a sinistra si svolgono in simultanea a quelli allineati normalmente ]

ANNA: Mi è ripreso quel male ai reni…
GIOVANNI: Lo dici tu di comprare l’acqua in bottiglia e non lo fai mai…
ANNA: Prendiamo quei cosi…
GIOVANNI: Cosa?
ANNA: Quegli aggeggi che si infilano nei rubinetti e puliscono l’acqua…

MARTA: Non me ne frega nulla di passare altri tre anni di dottorato, svegliarmi la mattina studentessa a vita…
ELENA: Io darei tutto per tornare studentessa.
MARTA: È una condizione orribile…

ANNA: Ma costano tanto?
GIOVANNI: Non è questione di costi, non mi piacciono, non ci credo, e poi sono bruttissimi…
ANNA: Va be’, non è che in cucina si fanno ricevimenti…
GIOVANNI: Comunque mi informo, ma non sono quelli che risolvono i calcoli…

ELENA: Non è vero, è potente…
MARTA: Perché potente?
ELENA: Perché puoi… puoi tutto, puoi anche scegliere di non fermarti…
MARTA: A fare cosa?
ELENA: La studentessa…
MARTA: Senza capelli e senza denti?
ELENA: Sììì senza figli senza mariti senza domani senza ieri senza soldi…

Anna ride.

MARTA: Tu dici stronzate ogni tanto…
ELENA: Ne dico a bizzeffe quando sono davanti a te perché mi sei simpatica…
MARTA: Comunque io il dottorato con quello stronzo di Caleffi non lo faccio…
ELENA: E tu quanti “stronzo” dici al giorno?
MARTA: Davanti a te a bizzeffe…

Giovanni ride. Attimi di silenzio.

GIOVANNI: (rivolto a Francesco) Come ti va il polpaccio?
FRANCESCO: Male.
ANNA: Cioè?
FRANCESCO: Cioè mi fa male.
ANNA: Facciamo una risonanza?
ELENA: Scusa perché “facciamo”? La fate insieme, vi infilate insieme nel tubone e magari vi raccontate le barzellette e vi tenete per mano mentre il rumoraccio metallico vi sbombarda i timpani?

Durante tutta questa battuta Giovanni la guarda sornione e Marta progressivamente sorride e poi ride. Francesco è impassibile. La madre incassa silenziosamente, abituata agli strali della figlia.

ELENA: E poi scusa mamma perché voi madri dovete subito aprire ’sti scenari apocalittici?
ANNA: Ma quali apocalittici, uno ha un dolore e si fa un controllo…
ELENA: Che sarebbe come dire che se non entra una marcia nella macchina la portiamo subito dallo sfasciacarrozze…

Marta ride.

ANNA: Sfasciacarrozze…
ELENA: Ma scusa non è che hai detto “facciamo una radiografia”, hai detto “facciamo una risonanza”…
ANNA: La posso fare, c’è Gabriella che lavora al Biomedico non devi aspettare…

GIOVANNI: Va be’ ma ti prendi qualcosa?
FRANCESCO: No nulla, me lo tengo… mi fa male ma solo sotto sforzo, è uno stiramento ai gemelli…
GIOVANNI: Eh ma diglielo…

Francesco fa spallucce.

GIOVANNI: Io a quarant’anni bloccato alla schiena, voi tre piccoli, nessuna radiografia e mille creme…

ELENA: … Etcììì! Oddìo, mamma devo andare…
ANNA: Dove?
ELENA: Al Gemelli, a farmi ricoverare…

Marta sbotta a ridere, ridono entrambe, la madre sorride appena.

ELENA: Stamane Luca mi ha chiesto dov’eri… Francesco, dico a te…
FRANCESCO: Ah, sì, come stavo?…
ELENA: Ma no, dov’eri… che un bimbo di quell’età chiede come stai…?

Elena prende la mano di Francesco.

MARTA: A me non prendi mai la mia…
ELENA: Tu sei una femmina e a me piacciono le mani dei maschi…
GIOVANNI: Nessuno ha le mani belle come le mie… e i piedi freddi come i miei, ho i calzini bagnati da stamane…
ANNA: Ma come sei fatto male tu? Ma – io dico – piove, uno rientra a casa e si cambia… ma chi si deve rompere sempre le palle a organizzare sistemare accudire?
ELENA: Custodire controllare preservare sorvegliare tenere d’occhio…
MARTA: (ridendo) … badare a, vigilare…
ELENA: … curare proteggere difendere…
ANNA: … dirvi quanto siete stronze…
ELENA: … che è come dire che non siamo figlie tue…

Marta ride di gusto.

ANNA: (rivolta a Elena) Ma come hai fatto a fare un figlio così bello tu?
MARTA: Luca ieri l’ho preso in braccio, è stato zitto, non ha fatto una mossa, mi guardava, mi guardava con quelle labbra rosse…
ELENA: In chiesa non staccava gli occhi da quell’Annunciazione
GIOVANNI: Quale Annunciazione?
ELENA: L’Annunciazione… quel quadro dalla parte destra… a metà navata…
MARTA: A metà campata…
ELENA: Perché campata?…
MARTA: Perché quando è unica si dice campata…
ELENA: Chi te l’ha detto, non è vero… è comunque navata, campata è generico, è uno spazio qualsiasi fra due portanti vicini…
ANNA: La campata di un ponte…
GIOVANNI: A parte che mi vengono i brividi a sentir parlare di navata in quegli obbrobri di chiese di quartiere…
ANNA: Io non l’ho visto questo quadro…
ELENA: Che poi non è un quadro… è una pittura su intonaco, una specie di affresco…
GIOVANNI: Un obbrobrio anche quello…
ELENA: Sì, un vero obbrobrio… Luca s’era fissato a guardarlo…
GIOVANNI: (rivolto a Francesco) Era in braccio a te, vero?
FRANCESCO: Sì…
ELENA: Non so se fare domanda per l’asilo comunale…
MARTA: Falla, poi vedi che ti dicono…
GIOVANNI: Perché tentenni?
ELENA: Quello privato costa ma è attaccato a casa…
MARTA: L’asilo comunale dov’è?
ELENA: Ho fatto due conti con Fabio, è una spesa che ancora possiamo permetterci però… è sulla rampa Bacci, un chilometro da casa…
MARTA: Però?…
ELENA: Cosa però?
MARTA: Però… avevi concluso la frase con però… “possiamo permettercelo, però”…
ELENA: Però… però son soldi… le aule son carine ma son belle anche quelle dell’altra, le ho viste… non conosco le maestre della Statale… le maestre del nido di Luca, le maestre voglio dire proprio dell’asilo, l’asilo… cioè i tre anni d’asilo…
MARTA: Eh, sì, sì…
ELENA: Le ho viste… nel giardino, se ne stanno tutte appiccicate, sedute, a fumare… mi sembrano distratte, i ragazzini fanno a botte, loro come fossero dal parrucchiere, poi se n’alza una, fa uno strillo e si rimette sulla panca… non so… non sono attente…
ANNA: Giovanni vai ad asciugarti i piedi, non voglio stare una settimana dietro al tuo raffreddore…
GIOVANNI: C’è Fabio con Luca stasera o la ragazza, com’è che si chiama?
ELENA: Paola… No, c’è Fabio…
ANNA: Carina Paola…
ELENA: Carina… bella direi…
MARTA: Un’altra volta…
ANNA: Cosa?
MARTA: Un’altra volta, questo lampo negli occhi…
ANNA: … È un riflesso alla rètina…
GIOVANNI: Si chiama Tesi…

Una breve risata.

ANNA: È un po’ d’alta pressione… non è niente, te l’ho già detto…
MARTA: Mi piacerebbe fosse altro…
ELENA: Cioè?
MARTA: Non so, una specie di…
ELENA: Una stimmate…
MARTA: Sì… una cosa del genere… come piace a me immaginarla… mi piacerebbe immaginarla come fosse un segnale… una direzione diversa davanti a me… un futuro che…
FRANCESCO: (interrompendola) Domattina non sarò più vivo.

Silenzio. Tutti guardano Francesco. Lui fissa la tavola davanti a sé.

MARTA: Un futuro che… (continua a guardare per un istante, attonita, Francesco; va avanti, come facendo finta di niente) … il segnale di una…
FRANCESCO: (ancora interrompendo la sorella, nello stesso identico tono di voce) Domattina non sarò più vivo.

Rumore di posate che cadono a terra.
Silenzio.

ANNA: Ti senti male, Francesco?

Silenzio. Tutti sono immobili, lo guardano. Francesco non risponde.

ANNA: Cosa hai detto, prima?
FRANCESCO: Una nuova direzione… Quando mi ruppi la gamba scoprii che era possibile non camminare. Avevo undici anni, stetti a letto una settimana, un mese con le stampelle. Sopravvissi, ma capii che si poteva stare anche senza gambe…
ELENA: Non capisco…
FRANCESCO: Qui dentro me… in fondo… s’è bruciato qualcosa…

Sconcerto. Lo sguardo di tutti, immobile, su Francesco.

GIOVANNI: Ma “domattina non sarò più vivo” che significa?

Silenzio.

GIOVANNI: Senti che ti sta prendendo un colpo?
FRANCESCO: Non questo.

Un silenzio irreale.

GIOVANNI: Cioè ti uccidi?
FRANCESCO: (dopo qualche istante) Sì.

Silenzio.

GIOVANNI: Ti uccidi?

Silenzio.

GIOVANNI: E in che modo moriresti?
FRANCESCO: In acqua, credo.
GIOVANNI: In acqua…

Silenzio.

GIOVANNI: Perché ce ne parli?
FRANCESCO: Perché capiate, per evitarvi un dolore sbagliato.

Silenzio.

GIOVANNI: E quando l’avresti deciso?
FRANCESCO: Camminando, qualche settimana fa, dietro Villa Rasi… proprio in via di Villa Rasi… è difficile spiegare una cosa così strana… non ho più visto ciò che mi era davanti… improvvisamente… per un istante non vidi quel che mi era davanti, com’è normale… ma il punto in cui io mi trovavo… esattamente il punto in cui mi trovavo…

Silenzio.

FRANCESCO: Però non c’ero.

Silenzio.

FRANCESCO: In quel punto io non c’ero.

Silenzio.

FRANCESCO: È accaduto spesso da allora.

Silenzio.

FRANCESCO: Io non mi vedo più… (Pausa, gli occhi fissi in un punto) È il futuro che non riesco più a… (Altra pausa) Ho avuto una specie di collasso… Un collasso qui… (porta per pochi istanti l’indice alla fronte)

Un lungo silenzio. Non si muove nulla.

ANNA: Pulisco la tavola… (si alza)

Silenzio. Anna raccoglie dei piatti. Gli altri rimangono immobili a tavola. Anna va in cucina.

GIOVANNI: Ricominciamo da capo… (Rivolto alle figlie) La luce, la nuova luce, chi stava parlando prima del segnale? Del nuovo segnale?…

Silenzio. Giovanni guarda le figlie nella speranza di un aiuto. Elena e Marta lo guardano come imbambolate.

GIOVANNI: Voi non dite nulla, io sto avendo un incubo… Francesco dimmi che è uno scherzo, farò finta di niente…

Anna rientra, prende altre stoviglie sporche. Sparecchia lenta, composta. Giovanni fissa Francesco, che ha lo sguardo ancora rivolto verso la tavola. Anna sta per rientrare in cucina. Marta accenna a darle una mano.

ANNA: (perentoria) Non alzarti, faccio io…
GIOVANNI: (a Francesco, velocemente) … Non parli, buon segno, sei malato o hai avuto un istante di crudeltà… comprensibile nelle tue condizioni. Finito…
FRANCESCO: Sono cresciuto con la sua faccia dentro la mia… ogni giorno, mattina e sera…

Anna è in cucina, davanti al lavello. Ha una pila di piatti in mano, pesante. È immobile.

FRANCESCO: Non mi piace chiudere gli occhi, sentire il mio respiro e non capire come cazzo fa a non spegnersi… non mi piace domandarmi chi lo accende, come fa a durare così tanto… Non mi piace essere così spiazzato.

Silenzio. Anna, in cucina, si siede su uno sgabello, silenziosamente, con la pesante pila di piatti ancora nelle mani. Intorno alla tavola nessuno riesce a dire nulla.

GIOVANNI: Come “spiazzato”?
FRANCESCO: Fisicamente spiazzato, papà. Fermarsi a fissare un oggetto qualsiasi, e guardarlo per dieci minuti come se non lo avessi mai visto prima… un sampietrino…

Silenzio.

ELENA: (alzandosi improvvisamente) Vado in bagno…

Elena va via dalla tavola. Marta le va dietro silenziosa. Seduto con Francesco, ora, solo il padre. Silenzio. Giovanni guarda nel vuoto. Improvvisamente si alza e fa qualche passo. Rimane fermo a qualche metro dal figlio, di spalle a lui. Francesco si alza e lo guarda.

GIOVANNI: Ti prendo a schiaffi… ma no, che follia… Facciamo a metà Francesco, metà del dolore che hai a me… dividiamo tutto. Facciamo circolare aria Francesco, io non mi muovo, parliamo, dividiamo il dolore, teniamogli compagnia insieme, non lasciamolo solo…

Francesco non risponde.

GIOVANNI: Dovevo starti più vicino…
FRANCESCO: Non è così.
GIOVANNI: Parlamene… parlami del tuo dolore… Io voglio mettermi nei tuoi panni…
FRANCESCO: Non si può fare nulla.
GIOVANNI: (ora guardandolo) Non hai paura?…

Francesco non risponde.

GIOVANNI: (incalzante) Non hai paura?…
FRANCESCO: No.

Anna rientra verso la tavola.

GIOVANNI: (si volta, lo fissa negli occhi) È vero?

Anna si ferma. È a pochi metri da loro. Ha sentito. Francesco fa un minimo cenno affermativo.

GIOVANNI: (perentorio e tremante) Dillo.
FRANCESCO: Sì.
GIOVANNI: Perché?…
FRANCESCO: A me non piace vivere senza Giovanna.
GIOVANNI: Ce ne sono altre al mondo…
FRANCESCO: … Non le conosco non sono cresciuto con loro chissà dove sono…
GIOVANNI: … belle…
FRANCESCO: … non così lucide…
GIOVANNI: … Giovanna non vorrebbe…
FRANCESCO: … non così lucide… è inutile, non c’è più. Mi sento solo, sono solo. Ho perso il sostegno… non ce n’è un altro…

Silenzio. Il padre guarda immobile il figlio. Non riesce più a parlare.

ANNA: Non siamo noi un sostegno, Francesco?

Francesco si gira. Guarda la madre. Il padre è ora alle sue spalle.

FRANCESCO: Come dire, mamma… (Silenzio, la guarda) No, non siete voi…

Silenzio.

GIOVANNI: Vai di là Anna, ti prego, un attimo, va’ di là… (Anna non si muove) Vai!!

Anna va via. Giovanni prende il figlio di forza e lo mette a sedere. Si pianta, anch’esso seduto, davanti a lui.

GIOVANNI: Ma che significa ’sta cosa, ripigliamoci Francesco, è un brutto sogno, che significa ’sta cosa?…
FRANCESCO: Significa che va al di là di me… non ho alcun controllo, mi alzo, mi lavo, vado al lavoro, ma non ci sono, e non ho intenzione di aspettare l’assestamento…
GIOVANNI: Che vuol dire, in che senso “assestamento”?..
FRANCESCO: Giovanna è morta come una povera mosca papà, e a me fa schifo che diventi un’abitudine.
GIOVANNI: Come “abitudine”?
FRANCESCO: Diventerà l’ombra amara di tutta una vita che va avanti. Non me ne frega nulla, non sono stato fortunato ma non mi obbliga niente, nessun senso, nessun significato… Fra cinque anni starò meglio, lo so, ma stare meglio significa imparare a digerire il vivere… ecco questa è una prospettiva di adeguamento, non mi piace, non esisto, me ne voglio andare.
GIOVANNI: Si deve digerire il vivere?
FRANCESCO: Sì papà, proprio questo, il vivere… perché si può rimanere vedovi quanto si vuole, ma il terribile è il dopo, il terribile è che il dolore diventa tradizione, si calcifica, si indurisce, te lo metti sul comodino, gli dai un bacio ogni sera, si stacca da te e te lo metti accanto… magari mentre mestamente scopi con una puttana o con una donna ancor più bella di Giovanna… sarà così… la diga si ricompone, e tutto lentamente si mette a posto… anni di distanza, il sorriso amaro sempre… amando un’altra donna… questo è terribile, l’assestamento…
GIOVANNI: E tua madre chi la rialza adesso?
FRANCESCO: La sua età, la sua capacità di vivere. Morirà con un figlio suicida non per colpa sua, che la amava e che ha creduto opportuno avvertire.
GIOVANNI: Avvertire il male che mi sta facendo morire ora (gli stringe il viso con le mani), tu sai cos’è? Sai cos’è questo dolore che è fra petto e pancia?
FRANCESCO: L’avresti avuto dopo.
GIOVANNI: Diverso.
FRANCESCO: Peggiore.
GIOVANNI: Infinitamente migliore, perché mi sarei aggrappato a qualcosa, a qualcuno.
FRANCESCO: (è lui a mettere le mani intorno al viso del padre, adesso) Ma ora tu così puoi guardarmi dentro gli occhi papà, e puoi guardare in fondo in fondo… ora tu così puoi fare una cosa senza la quale avresti dovuto immaginare un fondo oscuro, melmoso, una fanga di nervi a pezzi. Guardali bene questi occhi papà… guardali bene… ora tu vedi soltanto una luce, ed è questo il regalo che ti sto facendo… Tu così rimani in questo mondo con una certezza: che io lo voglio, e lo domino… e che non c’è alcun demone che mi butta nella bocca di un cannone, ma che sono io… che l’ho svegliato e gli ho chiesto di stare accanto a me…

Si staccano dalla reciproca presa.

GIOVANNI: Vorrei camminare a quattro zampe… (Si alza e fa per andarsene) Non se ne fa nulla, mi spiace, non se ne fa nulla…

* * * * *

Elena è seduta a terra, appoggiata alla vasca da bagno. Marta, in piedi, la guarda.

ELENA: Vado a buttarmi sul letto nella stanza… Marta telefona a Fabio, io non ho la forza… Digli che sto discutendo delle questioni con mamma, che ti ho detto io di avvertirlo che sarei arrivata a casa tardi… che vada pure a dormire…
MARTA: Non mi crederà mai…
ELENA: Fa niente, ora voglio buttarmi a letto…

Anna entra nel bagno.

ANNA: Papà vuole che torniate in tavola. Come se non fosse accaduto nulla… Ricominciamo da capo…

Si guardano.

MARTA: Arrivo. Vado un attimo in camera e arrivo.

Anna esce. Marta la segue. Sulla porta…

ELENA: Marta…
MARTA: Cosa…
ELENA: Accendi la luce in ogni stanza prima di tornare a tavola per piacere.

* * * * *

Di nuovo tutti intorno al tavolo. C’è un dolce. Nessuno parla, nessuno guarda gli altri.

Stacco.

Si beve il caffè. I rumori secchi dei cucchiaini che mescolano lo zucchero nel liquido, che si posano sul piattino sottostante.

ANNA: Si sono asciugate le calze, Giovanni?
GIOVANNI: Ieri… poi sono andato a dormire…

Le tre donne si guardano.

ANNA: Giovanni?…

Giovanni la guarda.

ANNA: Le calze… ho chiesto delle calze…
GIOVANNI: (come riavendosi) Ah, sì… le calze… asciutte… ora asciutte… Il versante francese è più bello di quello italiano, perlomeno per quel che riguarda i ghiacciai… Domani voglio prenotare a Chamonix per quest’estate, tutti insieme…

Silenzio. Occhiate di soppiatto verso Francesco, immobile, silenzioso, lo sguardo avanti a sé, come prima, verso la tavola.

ELENA: Bello…

Silenzio. Anna capisce che bisogna seguire il marito, che è necessario perfezionare il debole coraggio di Elena, che si deve incalzare.

ANNA: Non vedo l’ora di comprare le scarpe per Francesco.

Tutti la guardano.

ANNA: Luca… volevo dire Luca…
MARTA: (a Elena, velocemente, per lasciare subito dietro le spalle la gaffe della madre) Io voglio dormire con te e il bambino…
ELENA: (ironica, svelta) Fabio lo mettiamo in mezzo ai nonni…

Francesco accenna a un sorriso. Tutti se ne accorgono. Un impulso ottimistico scende sulla tavola, la conversazione si serra leggermente, ora più nervosa ma più fiduciosa.

ANNA: Ho visto una salopette di velluto a coste larghe per il bimbo… Me la vedo già sporca d’erba sulle ginocchia…
MARTA: Ma ci sarà posto papà?
GIOVANNI: Aprile, maggio, giugno, luglio… quattro mesi circa…
ELENA: Quanti siamo?…
ANNA: Voi tre, Giovanni, io, Marta… (un tentennamento)
GIOVANNI: … Francesco…

Silenzio. Francesco non muove una piega.

GIOVANNI: Una tripla, una doppia e due singole… Sì, le troviamo…(Si passa un tovagliolo sulla faccia) Fa caldo, è umido…

Qualche istante di impasse.

ANNA: Ne abbiamo fatte di vacanze in mezzo alle montagne… (A Francesco) Tu, una volta, da bambino, chiedesti chi le avesse tirate su…

Silenzio. Si aspetta un seguito.
Nessun seguito.

ANNA: Sarebbe bello viverci, lassù…
GIOVANNI: (quasi interrompendola, rivolto a Francesco) Siete ancora nella bagarre per l’appalto dei “Mulini”?
FRANCESCO: C’era dello sporco intorno a quella roba. Ci siamo ritirati.

Silenzio.

GIOVANNI: E il progetto per la centrale idrica? Ci stai lavorando, ti impegna molto…
FRANCESCO: Finito.

Silenzio.

GIOVANNI: Hai parlato con Ficini? Cosa voleva proporti?
FRANCESCO: Mi dispiace…

Silenzio. Il terrore negli occhi di tutti.

FRANCESCO: Mi dispiace…

Silenzio.

GIOVANNI: (una violenta decompressione) Non è possibile… è da stramazzare al suolo… adesso… (si alza e comincia a camminare penosamente)
ANNA: (portando le mani alla fronte) Vuoi farci morire… Vuoi farci morire…

Un cedimento generale.

ELENA: (alzandosi) Vado da Luca… è il mio bambino… quella è la mia famiglia… questo è un incubo…

Elena afferra un soprabito da sopra un divano e fa per andarsene. Francesco la raggiunge, la ferma dalle spalle, la gira verso di sé.

FRANCESCO: Aspetta…
ELENA: (cercando di divincolarsi) Non voglio più vederti, fammi andar via…

Francesco la trattiene. Elena ha un accesso isterico.

ELENA: Fammi andar via!… (Ancor più forte) Fammi andar via!!… (Ancora trattenuta dal fratello, comincia a picchiarlo disordinatamente sul petto e sul collo) Cattivo sei… Sei cattivo…

Marta scatta in piedi, gli occhi spalancati, la bocca serrata a guardare la sorella menare colpi al fratello davanti a tutti, a pochi metri di distanza.
Anna rimane incollata alla sedia, sconvolta dal tutto, come non accorgendosi di quel che accade nell’istante, lo sguardo sperso avanti a sé.
Giovanni vaga nella stanza, le mani intrecciate sul capo, guardando e non guardando, capendo e non capendo.

ELENA: (ora a voce più bassa, affannata, sempre colpendolo) Vuoi farci fare la fine di tua moglie… ti basta poco ancora… (Francesco subisce i colpi della sorella senza battere ciglio) per me lo sento, sta arrivando… (colpi al volto adesso) poi mamma… papà…

Francesco rimane immobile.

GIOVANNI: (da lontano) Basta Elena…
ELENA: (continuando a colpire il fratello) … Un bastardo… Che ti viene in mente… Sei un bastardo…
GIOVANNI: (portandosi sulla figlia) Non così… (Ferma Elena che piange a dirotto e si affloscia fra le braccia del padre; questi la porta a sedere sul divano) Non così…
ANNA: (ancora seduta, “assente”, gli occhi spiritati, fra sé, quasi inudibile) Lo lego…

Silenzio nel salone.
Francesco, capelli scompigliati, abiti sgualciti, è in piedi davanti alla porta.
Marta è in piedi accanto alla tavola ancora apparecchiata. Vicino a lei la madre ancora seduta, come in trance.
Giovanni è seduto vicino a Elena sul divano. Le tiene una mano.
Sfinimento. Quiete. Tutti immobili.

GIOVANNI: Non è la prima volta che a un uomo della tua età muore una moglie… Che è, ora la vita non va più avanti? La vita si ferma perché è accaduta una cosa che accade da sempre?
FRANCESCO: È un po’ diverso…
GIOVANNI: È fare del male…
FRANCESCO: Sono qui per scontarlo…

Silenzio. Nessuno guarda più Francesco, tranne Marta.

FRANCESCO: E poi vorrei abbracciarvi. Non avrei potuto farlo… se non ve l’avessi detto…
GIOVANNI: (senza guardarlo, sempre tenendo la mano di Elena fra le sue) Io non voglio. Io non voglio abbracciarti. Nessuno qui vuole abbracciarti.

Silenzio.

GIOVANNI: Ti vuoi uccidere… Fallo senza rompere i coglioni…
ANNA: Vorrei stendermi io… Vado… (Si alza, confusa, balbettante) Tanto mi sveglio… (esce dal salone)

Giovanni lascia la mano di Elena. Marta si mette a sparecchiare la tavola. Francesco non si muove dal punto in cui era. Silenzio.

GIOVANNI: Non ti riconosco più… Non sei buono… Non sei più buono…

Marta sparecchia lenta, quasi senza far rumore. Secondi di silenzio e attesa. Francesco è ancora alla porta, di spalle a questa, a qualche metro di distanza dal padre seduto sul divano. Marta è in cucina. Ascolta ora immobile le parole del padre e del fratello.

GIOVANNI: (attimi di silenzio guardando il figlio, non sa cosa dire; alzandosi) Dovevi farlo e basta… e basta… (Va lentamente verso la camera da letto) È volgare… è un’idea volgare la tua…
FRANCESCO: (seguendolo con lo sguardo) È peggio un bigliettino scritto, papà… (Giovanni non si ferma) È peggio fare uscire fuori sensi di colpa che non dovete avere…
GIOVANNI: (uscendo dal salone, con un filo di voce) Tanto non ne hai il coraggio… non ce l’hai il coraggio…

Silenzio. Marta guarda dalla cucina il padre sparire dietro la porta che dà verso la zona letto. Elena si distende sul divano su cui era seduta. Dissolvenza a nero.

* * * * *

Anna è nella sua camera da letto, stesa su una poltrona da riposo.

* * * * *

Marta sta riempiendo la lavastoviglie. Lavora in cucina, le cadono delle lacrime che asciuga subito. Queste scendono giù lungo un volto disteso, intelligente.

* * * * *

Giovanni è seduto su uno sgabello. Si alza. Va al lavandino. Si guarda allo specchio. Si lava il viso. Prende un asciugamano, lo porta al volto, lo strofina, si ferma. Rimane coperto. Qualche secondo così, immobile. Leva l’asciugamano dal viso, si riguarda allo specchio. Un’espressione fissa e accesa, in cui si incontrano, equivalenti, disperazione e incredulità.

* * * * *

Elena è distesa sul divano. Seduto accanto a lei il fratello.

ELENA: Vorrei che tu avessi una malattia ai nervi… o avere delle responsabilità… Capire… (un morso alle labbra, silenzio, gli occhi stanchi e gonfi)
FRANCESCO: Ho un buco enorme… qui nella pancia…
ELENA: Sono passati tre mesi…
FRANCESCO: È poco?
ELENA: Sì…
FRANCESCO: Forse… ma la mia pancia mi dice altro…
ELENA: Cosa?
FRANCESCO: Che sentirei la sua mancanza per tutta la vita… il dolore, quello acuto si potrà anche… come dire… assestare… ma sentirei la sua mancanza… per tutta la vita… E a me, questo, non va…

Silenzio. Elena socchiude gli occhi.

ELENA: Mi viene in mente lo stagno…
FRANCESCO: Quale stagno…
ELENA: Lo stagno a casa di Mannini, quel tuo compagno di classe delle elementari… quello che abitava in campagna…
FRANCESCO: Come fai a ricordarlo?
ELENA: … Un fratello che cade in uno stagno… tu che avresti fatto? Mi misi a urlare come una scema…

* * * * *

MARTA: : Pa… papà…
GIOVANNI: Marta? Come sta Francesco?
MARTA: Sta parlando con Elena… Non stare lontano papà…

* * * * *

ELENA: Prima la sensazione di averti perso… in un istante tutta la merda del mondo dentro lo stomaco… in un istante… Insieme a questo vedevo tutta quella gente, le mamme e i compagni sul bordo dello stagno… Che era, un fiumiciattolo?
FRANCESCO: Sì, era grosso perché aveva piovuto… ci tornai tempo dopo, forse era primavera, la fine della scuola… c’erano solo delle pozzanghere…
ELENA: Non sentivo nulla, vedevo ma non sentivo nulla, come quando levi il volume di un film, solo un rumore dentro… come fossero dei traccianti… si dice così, “traccianti”?
FRANCESCO: Sì, traccianti…
ELENA: Eh, come dei traccianti, delle formiche veloci che camminando lasciavano delle scie come fossero delle cicatrici… Questa cosa devo averla sognata qualche tempo dopo, ma sono sicura che si riferisse alla tua caduta… Poi la tua faccia zuppa, semisorridente, intontita, che guardava me come guardava gli altri, quell’applauso del cazzo… (Silenzio) Rimani…

* * * * *

Una bassa luce accesa su un comodino. Nella semioscurità della camera, Anna è distesa sulla poltrona. Ha gli occhi chiusi, sembra che dorma. Marta è seduta sull’angolo del letto matrimoniale dei genitori, vicino alla poltrona. La guarda. Dopo un po’ le sembra di vedere la madre immobile, non riesce a sentire alcun suono di respiro. Si alza di scatto, silenziosa, e si avvicina alla poltrona. Rimanendo in piedi, si piega verso la madre. Guarda da vicino il volto, vuol sentirla respirare. Tende l’orecchio. Non si sente nulla. Piega il viso verso il petto di Anna, verso il suo addome. È spaventata. Guarda fissamente alcuni secondi. La pancia si muove, respira. Marta chiude gli occhi. Si siede per terra, accanto alla poltrona. Il gomito piegato e appoggiato su un bracciolo, il viso ora seminascosto dal braccio.

ANNA: (schiudendo gli occhi) Giovanni? Stavo dormendo… (Non s’accorge, nella semioscurità della stanza, che accanto a sé c’è la figlia) Mi sono svegliata in tempo? Sì… Dimmi come stai? Hai faticato… Sta bene Francesco? Sì, sta bene… Io mi sono presa un grosso spavento. C’è il sole fuori? No, è ancora buio. Ho sognato mia sorella stanotte. Faceva una predica in chiesa. Il cielo era chiaro, forse per questo credevo fosse già mattino…

Marta strizza le palpebre, corruccia tutti i muscoli del viso. Un conato di lacrime, trattenuto, in silenzio.

ANNA: (si volta verso il bracciolo, si accorge della figlia) Sei tu…

Marta si alza per non essere vista, fa per uscire.

MARTA: Torno subito, mamma…

Due passi, entra in “stanza” Giovanni.

GIOVANNI: Scusate…

Giovanni si ferma come fosse sulla porta di questo ambiente e avesse prudenza ad andare oltre.

MARTA: Sei tu? La mamma è sveglia…
ANNA: (rizzando la schiena sulla poltrona) Francesco… è vivo?
GIOVANNI: Ma certo che è vivo…
ANNA: (alzandosi dalla poltrona) Bisogna andare da lui…
GIOVANNI: Lascia stare… aspettiamo… è con Elena… Aspettiamo…

Marta fa per uscire. Si incrocia con il padre, sempre fermo lì dov’era entrato.

MARTA: Vado… Se stai tu con la mamma…
GIOVANNI: Sì.

Marta esce. Giovanni guarda la moglie. Questa si alza e fa qualche metro. Si ferma, di spalle al marito. Qualche istante di silenzio.

GIOVANNI: (ancora alla porta) I calzini si sono asciugati. Hai dormito?

* * * * *

Salone, divano. Rientra Marta.

ELENA: (rivolta alla sorella) Sei qui… Papà e mamma che fanno?
MARTA: Sono in camera, aspettano.
ELENA: Cosa?
MARTA: Tu lo sai?

Marta rimane in piedi davanti ai due fratelli.

ELENA: Vieni qui piccina…
MARTA: (sedendosi sulle gambe della sorella) Piccina… sono il doppio di te…
ELENA: Sei appena più alta e a peso forma… sono io che son troppo magra…
MARTA: Parli troppo.
ELENA: Parlo troppo?
MARTA: Sì, parli troppo.
ELENA: Parlo troppo Francesco?

Francesco è stipato, quasi imbarazzato, dall’altra parte del divano. Ha lo sguardo corrucciato, verso il basso.

FRANCESCO: No, tu mai.
ELENA: Mamma come sta?
MARTA: Riposava.
ELENA: Quand’ero piccola mi sedevo accanto alla poltrona e guardavo la sua pancia. Controllavo che si muovesse. Mi dava una felicità costante vedere il suo profilo fare su e giù.
MARTA: Lo faceva, tranquilla.
ELENA: Come “lo faceva”?
MARTA: Lo stava facendo anche adesso, tranquilla…
ELENA: La controllavi? La controllavi anche tu?
MARTA: Casualmente. Pensavo ad altro.

* * * * *

ANNA: (fra sé, sguardo perso avanti) Ma ti ghe gà magnà ea merda al mago?
GIOVANNI: Eh?
ANNA: È una cosa che sentii dire una volta tornando dalla scuola.
GIOVANNI: Che vuol dire…
ANNA: Ti sei mangiato la merda, dal mago?
GIOVANNI: E che vuol dire?
ANNA: Bella stronzata hai detto…
GIOVANNI: (dopo qualche attimo) Io?
ANNA: (non subito) No, è il senso del proverbio… L’ho detto ininterrottamente per non so quanti giorni. Poi mio padre mi rivoltò il viso con un ceffone…

* * * * *

ELENA: (rivolta a Francesco) Ma non hai pensato a un crepacuore?
FRANCESCO: Di chi?
ELENA: Di papà, mamma… mio…
FRANCESCO: Non sarà così.
ELENA: Invece dovresti immaginare che…
MARTA: È un ricatto, Elena…
ELENA: Non è un ricatto!
MARTA: È un ricatto… Per una volta non replicare…

Un lungo silenzio.

ELENA: Vado a stendermi un’ora. Solo un’ora… (Ora a Francesco, prendendogli il viso fra le mani) Tu giura su mio figlio che non te ne andrai, che mi aspetti, che non te ne vai, che non t’ammazzi. Se t’ammazzi prima che io mi svegli muore pure il bimbo…
MARTA: Questo non si fa.
ELENA: Si fa, ragazzina, si fa!
MARTA: Non chiamarmi ragazzina e non alzare la voce.
ELENA: Sei troppo fatalista per le mie narici…
MARTA: Lo sarò pure a cent’anni.
ELENA: Frega un cazzo a me… ciascuno fa quello che crede, io ho il terrore di non rivederlo e lo ricatto…
MARTA: Tanto non… (si trattiene)
ELENA: “Tanto non” cosa…?
MARTA: Niente…
ELENA: Tu neanche sai che significhi per me andarmi ora a stendere, stargli lontano… Francesco o non…
FRANCESCO: (interrompendola) Vai a riposarti, mi ritrovi qui…

Elena se ne va. Marta si siede al tavolo, Francesco rimane sul divano. Un lungo silenzio.

MARTA: Se vuoi andare non lo dico a nessuno.

* * * * *

Nella sua camera da letto, Giovanni è seduto sulla poltrona. La schiena staccata dallo schienale, protesa in avanti, i gomiti sulle ginocchia. Anna è in piedi, vicino alla finestra, che guarda fuori.

GIOVANNI: Stavano bene, parlavano bene…
ANNA: (guardando verso l’esterno) Ci saremo tutti, fra un anno, Giovanni?
GIOVANNI: Sì… sì…
ANNA: Ho paura di rivederlo.
GIOVANNI: Ora stiamo qui. Qualcosa le nostre parole staranno facendo. Stava bene con Elena…
ANNA: (si scosta dalla finestra, si volta verso il marito) Potremmo addormentarlo, farlo stare a letto finché…
GIOVANNI: Anna, piantala… Non ne avremo bisogno… Francesco non… E poi, se così fosse, non si risolverebbe nulla… Due, tre, dieci giorni… Capirebbe… ti farebbe credere che s’è ravveduto… Ci darebbe un bacio… Arrivederci… E allora sì che… senza un saluto… Lasciamo perdere Anna… Affidiamoci a Dio… a chi ti pare…

Silenzio. Anna si distende sul letto, vestita, con le scarpe ai piedi.

* * * * *

Marta e Francesco, lei al tavolo, lui sul divano.

MARTA: Prima parlavo del lampo… del segnale… Non so… io non credo sia pressione sanguigna, mamma parla della rètina. È un po’ che c’è. Da quando è morta Giovanna. Te ne parlo, tanto è inutile ormai… Io la amavo tanto, non ho mai conosciuto una donna così intelligente e dolce insieme. Che faccio, sto zitta? Perché, tanto stai per suicidarti… se non avessi detto “domattina non sarò più vivo” ce ne staremmo tutti lì con mille freni sulla lingua… tu hai sbloccato la tua, e allora io sblocco la mia, così avrai un motivo in più per ammazzarti… La amavo e la amo ancora. Mi faceva ridere la sua intelligenza, la usava senza regole, la metteva ovunque, per far ridere… l’ho amata come amo Elena… Quando ho saputo che era morta ho sofferto per me, per prima, non per te. Te lo volevo dire. Io non mi suiciderò, sarebbe demente, ma il pallino di luce sulla rètina m’è cominciato da quando è morta lei. Ci parlo spesso, e spesso parlo con te. E vi parlo diversamente. Dura con te, quando parlo mentalmente con te sono dura. Non so perché.

* * * * *

Elena sta sul letto della sorella, ma è sveglia.

* * * * *

In camera da letto, come prima, Giovanni e Anna. Entra Marta.

MARTA: Francesco se ne va. Vorrebbe vedervi.

Anna alza fulminea la schiena dal letto.

GIOVANNI: Dov’è Elena?
MARTA: È distrutta, stanca, s’è messa a riposare.
ANNA: Io non pensavo che…

Giovanni si alza dalla poltrona.

GIOVANNI: Come “s’è messa a riposare”?… Stavano ridendo… E se quello se ne andava?

Silenzio.

GIOVANNI: (automatico, più feroce) E se quello se ne andava?
MARTA: C’ero io con lui. E ora sono qui ad avvertirvi che se ne va.

Anna si alza di scatto e va correndo lungo gli “ambienti” che la separano da Francesco. Gli salta praticamente addosso, lo abbraccia forte, stretto.

ANNA: Amore mio… Sei guarito vero? Dimmi di sì… Tu stai bene, lo sento… Tua madre non ti lascerà solo… Bisogna avere tanta pazienza, è lunga la vita… Ma questa lunghezza lascia spazio alla mia immaginazione… Io vedo un bel futuro per te, Francesco… Giovanna è viva, in cielo, tu sarai vivo qua, fra noi, lei dentro, accanto a te… aspetta del tempo… credi a tua madre… un’altra luce, un’altra donna… bella come lei… la troviamo uguale… no, migliore… sto cadendo, non mi reggono le gambe, sento freddo… Ci sei, Francesco? (Ormai praticamente aggrappata alle spalle del figlio) No, non ci sei… (chiude gli occhi)

Giovanni e Marta si sono avvicinati ai due. Sono alle loro spalle. Francesco è costretto a sostenere la madre dalla vita: le braccia di lei avvinghiate al suo collo, tutto il resto del corpo della madre – fiacco, disperato, come morto – lo farebbero letteralmente precipitare a terra.

FRANCESCO: (cercando di trascinare la madre a sedere) Vieni, mamma…

Giovanni ha capito, vede le braccia ostinate della moglie e il resto del suo corpo affranto, demoralizzato, grave, sorretto, che dice la verità, che sente la verità.
Cerca di frapporsi violentemente tra loro. Vuol prendere Anna. Un tracollo mentale.

GIOVANNI: Lasciala…
FRANCESCO: (affaticato, impedito dal padre a raggiungere la poltrona) Mamma riprenditi…
GIOVANNI: I morti non parlano…
MARTA: Papà!… (accorre dal padre in colluttazione con Francesco)

Un groviglio di braccia. Marta cerca di frenare Giovanni.

GIOVANNI: (a Marta) Ma a te sembra Francesco?
MARTA: È Francesco, stai con me…

Una spirale violenta, tra forza e resistenza.

GIOVANNI: No, non è lui… senti? Lui non farebbe resistenza… lui ci vuole bene… Se io tocco Francesco, Francesco si ferma, mi guarda e mi chiede di cosa ho bisogno…
FRANCESCO: Mamma sta male, non è il caso…
GIOVANNI: Non te ne frega nulla di tua madre…
MARTA: Papà!!…

Elena entra freneticamente in stanza.

ELENA: Papà… mamma…

Giovanni cerca con ancor più forza di staccare Anna incollata a Francesco. Marta si frappone ormai fra il padre e gli altri due. Elena, confusa, si aggrappa al mucchio e tenta di sciogliere non si sa bene chi, non si sa bene perché.

GIOVANNI: Io non mollo… mi ridai Anna… poi fai quello che ti pare…
MARTA: Ti prego, papà…
GIOVANNI: Io non mollo… tu non abbraccerai nessuno…
FRANCESCO: Mamma cade…
ELENA: (a Francesco) Vattene… vattene… Fermo, papà…
MARTA: Molla!…
GIOVANNI: Un figlio ascolterebbe… poi sorriderebbe… poi ringrazierebbe…
MARTA: Mamma non si stacca… è lei che non si stacca, lascia stare… Stai con me!…
GIOVANNI: Un vero figlio… non questo qua…
ELENA: (feroce, al fratello) Se muore qualcun’altro ti resuscito e t’ammazzo…
MARTA: Stai con me!!…

Giovanni stringe il collo di Francesco, cui è già avvinghiata la madre. Elena e Marta divincolano le mani del padre dalla presa, Marta lo abbraccia ed Elena li accompagna al tavolo.
Si siedono Marta e il padre, Elena rimane in piedi dietro di lui. Marta rimane abbracciata al genitore che appoggia la testa al tavolo. Francesco è libero di accompagnare la madre sul divano.

ANNA: (le punte dei piedi strascinate sul pavimento) Francesco non lasciarmi…

Francesco sta per adagiarla.

ANNA: (istericamente, serrando ancor di più intorno al collo del figlio l’unica cosa che sembra esserle rimasta viva, le braccia) Non lasciarmi!!…
GIOVANNI: Ma come si fa…

Francesco e la madre abbracciati. Le braccia di lui intorno alla vita di lei. Il busto e le gambe esanimi di Anna. Le sue mani rosse dalla stretta al figlio, i tendini allungati, sforzati dei suoi avambracci.

GIOVANNI: Non ci si crede… Non ci si crede… Aiutami Marta… Siamo i primi?…

ANNA: (a Francesco, sempre attaccata a lui, lontana ormai dagli altri due) Non morire…
FRANCESCO: (affaticato) Stai su, mamma…
ANNA: Ma che coraggio hai…?

GIOVANNI: (alzandosi in piedi e urlando, Elena che lo abbraccia da dietro) Dove lo ripeschiamo se si butta, eh?… Puoi domandarglielo tu?

ANNA: Ti amo tanto.
FRANCESCO: Sì…
ANNA: Andiamo in montagna io e te?
FRANCESCO: No, mamma…
ANNA: Col bambino…

GIOVANNI: Marta portami il Tavor, gli infiliamo venti pastiglie in gola a questo pazzo, portami qualcosa Elenaaa!!!… Lo addormentiamo… (Cerca di scagliarsi ma le figlie lo trattengono) Lasciami Marta!…
MARTA: Elenaaa!!!
ELENA: Ci sono…
MARTA: Se lo raggiunge l’ammazza…
ELENA: Non ammazza nessuno… Va’ via ti prego Francesco va’ via, mollala, buttala per terra, vattene… dobbiamo crepare tutti???!!!

Il padre sembra impazzire, un leone in gabbia. Lo stringono più forte.

GIOVANNI: Lasciatemi, Francesco sta sbagliando… lui non sa… dammi retta Elena… non costringermi a colpirti!…
ELENA: (forte, quasi urlando, praticamente di getto) Rassegnati sta’ zitto sta’ zitto devi stare zitto stai buono papà!…

ANNA: Non ci sarai il prossimo Natale…
FRANCESCO: Mamma…
ANNA: Se tu anche soltanto avessi la voglia di credere a… a… le tue immagini non… Francesco…

GIOVANNI: (a sé) Si potrebbe…

ANNA: (al figlio) Dovresti riguardare tutto quello che…

GIOVANNI: (a Marta) Noi dovremmo…

ANNA: (sempre al figlio) Non parlo per me…

GIOVANNI: (ancora alla figlia, perentorio, a voce alta) Sbarra la porta!

Si incrociano i dialoghi, Anna risponde da lontano al marito che si rivolge alla figlia stretta a lui.

ANNA: (a voce ora più alta, apatica, sfibrata) Si butterebbe dal balcone…
GIOVANNI: (violento, impetuoso) Non è così cretino, (a Marta) fallo sbrigati!!…
ANNA: Te lo dico io, si butterebbe…
GIOVANNI: (disperato, senza più controllo, a squarciagola) Elena lasciami, sbarra la porta ho detto!!!…
ELENA: È finitaaaa!!!!!

Giovanni ha gli occhi di fuori. Marta ed Elena sono sempre più strette a lui. Un lungo silenzio. La tensione scende. Giovanni scioglie l’abbraccio con Elena, Marta continua a cingergli il collo. Torna in sé. Lento, va verso la moglie ancora sorretta dal figlio. L’accesso è terminato. Giovanni raggiunge Anna abbracciata a Francesco. Piano piano le braccia di lei allentano la stretta sul collo di Francesco. Elena si lascia cadere sul divano. Francesco sente di poter lasciare la madre in piedi senza che questa cada. Giovanni mette una mano sulla spalla della moglie. Anna si lascia girare e abbracciare dal marito. Francesco li guarda immobile, stravolto, in silenzio. I coniugi sono abbracciati, stretti, la testa appoggiata l’uno sulla spalla dell’altra.

GIOVANNI: Stai sbagliando… Non potrò impedirtelo ma stai sbagliando…

Marta va in cucina. Un lungo silenzio. In cucina, Marta ha un cedimento. Silenziosa, non vista, si appoggia con il viso su un pianale.

GIOVANNI: Vai via adesso?
FRANCESCO: Sì.
GIOVANNI: Dormi qui, fallo domani…
FRANCESCO: Lo farò stanotte, ho deciso.
GIOVANNI: Dove?

Silenzio.

GIOVANNI: Non vuoi dirlo…
FRANCESCO: È scritto. Vi arriverà un biglietto a casa, l’ho spedito stamattina. Uno o due giorni.
GIOVANNI: Vai via subito, ti prego…
ANNA: (stretta a Giovanni, sempre a occhi chiusi) No…
GIOVANNI: Vai via subito…
ANNA: No…
GIOVANNI: È meglio…

Anna apre gli occhi. Una disperazione trasfigurata in una strana accensione, una strana fissità. La morte di un figlio giovane. Non improvvisa. Non per malattia. Avendolo ancora lì, vivo. Tragedia e paradosso. Sentimenti enormi e opachi.

ANNA: (a voce alta ma come a se stessa) Me ne vado io o te ne vai tu?…

Silenzio. Tutto rimane immobile: gli occhi di Anna, Marta ora appoggiata allo stipite della porta che divide la cucina dal salone, Elena seduta sul divano, Giovanni abbracciato alla moglie, Francesco in piedi vicino a loro.

ANNA: (identica a prima) Me ne vado io o te ne vai tu?…

Silenzio.

ANNA: (sciogliendo l’abbraccio, ora a bassa voce, quasi mormorando) Me ne vado io… (Si volta, s’avvia verso le stanze da letto, è di spalle rispetto a Francesco, lenta, come un fantasma) Tanto ci siamo già abbracciati…

Francesco la guarda andar via. È evidente come trattenga l’impulso di raggiungerla, riabbracciarla. Anna esce. Un lungo silenzio.

GIOVANNI: Tu Elena che fai, non torni a casa, domani chi accompagna Luca a scuola?

Nessuna risposta.

GIOVANNI: Vieni Marta andiamo a dormire.
MARTA: (ancora lontana da loro, sulla soglia della cucina) Rimango qui ancora un po’.
GIOVANNI: Vado a dormire. (A Francesco) Non dirmi nulla. Ho capito. Ciao. (Si avvia verso la zona letto. Si ferma. Ritorna da Francesco. Lo abbraccia forte, quasi cadono. Rimangono abbracciati in una strana, storta posizione) Francesco…

Silenzio. Immobili, abbracciati.

GIOVANNI: Da chi?

Silenzio. Giovanni scioglie l’abbraccio, si gira, se ne va. Francesco lo guarda finché non esce dal salone. Rimane qualche secondo immobile a fissare la porta che si è chiusa dietro il padre. Guarda Marta, sempre sulla soglia della cucina. Va a infilarsi l’impermeabile e, dopo averlo indossato, le si avvicina. La raggiunge e la bacia velocemente su una guancia. Marta non si muove. Francesco si volta verso Elena.

ELENA: Stammi vicino.

Francesco se ne va. Marta va a sedersi al tavolo. Elena la raggiunge, un paio di posti lontano.
Entrambe si appoggiano con la fronte al tavolo.

* * * * *

Intorno al tavolo Giovanni, Anna, Marta ed Elena. Silenzio.

ANNA: Da quanto se n’è andato?
MARTA: Un’ora. Forse meno.

Silenzio.

ANNA: Qualcuno dovrà dire qualcosa.
ELENA: Possibilmente no.
ANNA: Possibilmente sì o ce ne andiamo a dormire.
MARTA: Che sarebbe a dire sprofondare con un relitto nell’oceano nero di notte senza luna in mezzo alla tempesta.
ELENA: Se avessi fatto Economia non ti saresti espressa così.
MARTA: O forse non avrei fatto Lettere se non fossi una che ha certe immagini del cazzo.

Silenzio.

ELENA: Caltanissetta.
MARTA: Crotone…
ELENA: Calatafimi.
MARTA: Cerignola…
ELENA: Caltagirone…
MARTA: Cantalupo…
ELENA: Catafalla…
MARTA: Cacciaguida…
ELENA: Caltanacciola…
ANNA: Ma che vi inventate?

Silenzio.

ANNA: Giovanni non ricordo la tua voce…

Silenzio.

GIOVANNI: … A B C D E F G H I… (attimi di silenzio) P Q R S T U V Z…
MARTA: Ci si può scriver “vivo”…
ELENA: Anche altro…
ANNA: Aspettiamo che ritorni.
MARTA: Lo farà, adesso.
ANNA: Aspettiamo.
MARTA: No, domani.
GIOVANNI: Domani cosa?
ELENA: Niente domani.
MARTA: Tornerà.
ANNA: Domani?

Silenzio.

ANNA: Se suona chi va ad aprire?
MARTA: Che domanda è?
ANNA: Io non vado.
GIOVANNI: A trentatré anni ho ammazzato uno stambecco col fucile di mio padre, l’ho nascosto sotto il letto di mia sorella nella mia casa di campagna e le ho chiesto di cercare in piena notte una cosa che ho perduto…
MARTA: Papà tu hai fatto questo a zia Agnese?
GIOVANNI: Di peggio… povera…
ANNA: Ma quando mai hai ammazzato uno stambecco, tu? A trentatré anni avevi due figli e nessuno se n’è accorto…
GIOVANNI: Eravamo con Agnese e Franco, papà e mamma, poco prima che morisse mamma, tu non c’eri (rivolto ad Anna)… io andavo ancora a caccia e prendevo sempre daini e mattole…
ELENA: Che sono le mattole?
GIOVANNI: Animali selvatici… orribili a mangiarsi, ma dava un gran gusto beccarli col fucile… e poi si tornava veloci con la macchina… tu eri piccola, ma Francesco era già grande, l’ho sognato grande quand’ero giovane, la mia stessa età… come fossimo fratelli… lui prendeva mattole con me… poi ho smesso di andare a caccia… e ho cominciato a sognare solo schiuma di ogni tipo… dodici anni dalla psicanalista a parlare di schiuma…
MARTA: E cosa ha fatto Agnese quando ha trovato lo stambecco?
GIOVANNI: Un urlo agghiacciante.
ANNA: Giovanni tu non sei mai andato dallo psicanalista…
ELENA: Ma sono tutte balle papà?
GIOVANNI: E tu pensi sia facile portarsi uno stambecco al piano superiore? Ho rovesciato la villa e ho messo il primo piano al pianterreno…
MARTA: Papà ma che stai dicendo…?
GIOVANNI: Poi poi poi… Francesco ha scelto la carriera militare… Modena… e tu… (rivolto a Elena) Tu…
ANNA: Dinne ancora una e me ne vado…

Silenzio. Il padre appoggia la fronte sulle mani intrecciate sul tavolo. La madre ha lo sguardo perso nel piatto.

ELENA: (come se sentisse un rumore, rivolta alla sorella) Hai sentito qualcosa tu?
MARTA: (più un mugugno che altro, non guardandola) No…
ANNA: Quel rumore da niente…
ELENA: Cosa?
ANNA: Quel rumore metallico, brutto, di due secondi, adesso… (Qualche secondo) Adesso… (Qualche secondo) Adesso…
ELENA: Piantala mamma…
MARTA: Non ha le chiavi?
ANNA: Chi?
ELENA: Francesco.
ANNA: No, da anni…
ELENA: Lo immaginavo.
ANNA: Io ho chiamato mezz’ora fa, era spento…

Elena appoggia il capo sulla sedia e chiude gli occhi. Marta continua a guardare dritto avanti a sé. Nel suo viso, quasi invisibile, la smorfia di un sorriso. La madre si morde il labbro superiore. Giovanni ha ancora la fronte sul tavolo, il busto proteso, la sedia molto scostata dal tavolo, sempre sopra le sue mani intrecciate. Silenzio. Lentissimo buio.