AMLETO, QUALCHE ANNO DOPO
Adattamento da: Se Ascoltassi Quel Sussurro
Ultima edizione 02.02.2001
Personaggi :
Leandro, figlio (?) del conte Gian Giacomo Ortazzi.
Pietro, maggiordomo tuttofare.
Carmen Lesini, giovane donna, avvocato.
Zia Berenice, sorella del conte.
Ginevra, figlia adottiva del conte.
La cuoca.
Il conte Gian Giacomo Ortazzi.
Coro/balletto
Se Ascoltassi Quel Sussurro
CORO
To be, or not to be:
to be, or not to be
SOLOIST
that is the question
CORO
To be, or not to be:
to be, or not to be
SO.
Whether ‘tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms againts a sea of troubles,
And by opposing end them?
To die to sleep.
No more
No more. No more:
CORO SO.
To be, or not to be: and by sleep to say we end the heart-ache,
to be, or not to be and the thousand natural shocks
to be, or not to be That flesh is heir to, ‘tis a consummation
to be, or not to be Devoutly to be wish’d.
ATTO PRIMO
SCENA I
La scena, parte una casa nobiliare e parte un fondo blu con una colonna e un blocco di pietra a terra, ha al centro un tavolo con una sedia.
Le altre sedie (tre), sono disposte a caso, appoggiate alle pareti.
Sul fondo, esattamente al centro, un armadio, stretto e alto.
L'ingresso principale, pomposo, è sulla parete laterale della parte classica, a sinistra, quello di servizio è a destra.
Ai lati altre due porte.
In scena, la cuoca; la donna, una giovine molto in carne, è seduta con tutti e due i piedi sul tavolo e sorseggia beatamente, attraverso una lunga cannuccia, un denso liquido verde. Pietro entrando in scena, con aria preoccupata, si guarda in torno e, cercando di sistemare morbosamente quel poco che c'è su un mobile in legno con specchio e un tavolinetto basso sul lato della scena, si rivolge con aria disperata alla cuoca.
PIETRO -- Ma è mai possibile che tu debba stare in questo stato mentre, da un momento all'altro, potrebbe entrate il signor Leandro?
LA CUOCA -- Lasciami in pace! il mio lavoro l'ho già fatto. Piuttosto, parla, che tipo è il signor Leandro? E' vero, come dicono, che è…
PIETRO -- Taci! Maledizione! Non è assolutamente pazzo!!
LA CUOCA – Ma io non… A no!? E allora perché è stato per tutto questo tempo in una clinica per malattie mentali?
PIETRO -- Questi sono fatti del signor Leandro.
LA CUOCA – (mette i piedi a terra) Non mi muovo di qui se non mi chiarisci il tutto.
PIETRO -- Non sono affari tuoi.
LA CUOCA -- (rimette un piede sul tavolo) Bene. Il signor Leandro mi
troverà così!
PIETRO – E va bene. Il poverino ebbe ad innamorarsi perdutamente di qualcuno...
LA CUOCA -- Qualcuno?!
PIETRO -- Una donna! E nel momento che questo amore stava per avere
una sua giusta realtà pubblica, oltre che segreta, i due innamorati scoprirono di essere fratello e sorella.
LA CUOCA -- La signorina Ginevra!? .
PIETRO -- Già! Ma....
LA CUOCA -- Ed è impazzito!? Solo lui?
PIETRO -- La signorina Ginevra è appena svenuta.
LA CUOCA -- Noi donne siamo sempre le più forti. Quindi è pazzo!?
PIETRO – Pazzo… ? Non esageriamo. Infine tale parola, in questa casa, non va’ neanche pensata.
LA CUOCA -- Come vuoi. Ma è un pazzo furioso o un falso normale?
PIETRO -- Tutti e due. Ma cosa mi fai dire?!
LA CUOCA -- Mamma mia! E se dovesse aggredirmi, dico, tu mi difenderesti,
vero?
PIETRO - Bèh....
LA CUOCA -- Non mi difenderesti!
PIETRO -- Io ti amo moltissimo, cara....
LA CUOCA -- Vigliacco!
PIETRO – Se è vero che il signor conte ha molti difetti bisogna anche dire però che è una persona squisita. E se dovesse capitare una cosa del genere ti riterrei sicuramente responsabile. Io stesso, al cospetto di tanta prorompente abbondanza, avrei serie difficoltà nel trattenermi. O comunque orientarmi verso le giuste mete.
LA CUOCA -- Pietro la tua vocazione è fare il pagliaccio. (Esce)
Suona il campanello ripetutamente fino a quando Pietro, dopo vari tentativi,
riesce ad aprire la porta giusta: quella di servizio. Leandro entra in scena: è
visibilmente sconvolto
LEANDRO -- Dov'è mio padre?
PIETRO -- Signor Leandro... Posso spiegarvi...
LEANDRO -- Credi sinceramente che io abbia bisogno delle tue spiegazioni?
PIETRO -- In genere no! Però ...
LEANDRO -- Ti paga qualcuno per le tue spiegazioni?
PIETRO -- Se è per questo signore nemmeno per il resto.
LEANDRO - Hai delle dimostranze sindacali.oggi??
PIETRO -- Assolutamente no…
LEANDRO – Allora sei tu che hai bisogno di spiegarmi qualcosa?
PIETRO -- Nemmeno per sogno! Ma ...
LEANDRO -- Chi ci obbliga infine a queste tue maledettissime spiegazioni? Tu??
PIETRO -- Forse se mi ascoltaste.... No!!
LEANDRO – Pietro… perché, dimmi, perché mio padre non era ad accogliermi? Là, sulla porta, ci doveva essere! Forse sono ancora troppo confuso. Santo cielo! Ma tornando a casa dopo anni ... dico anni ... io dovevo, dovevo… trovare qualcuno ad attendermi; che so’, un padre forse, ad aspettare su quella maledettissima porta il ritorno dell’imbecille figlio. Doveva esserci, per Giuda.
PIETRO -- L’imbecille c'era, per tutti i diavoli: Scusate eccellenza! c’ero io…
LEANDRO -- A si!? Allora perché non ti ho visto? Sono passato attraverso quella porta e non c'era niente. Neanche la briciola di un imbecille, Pietro.
PIETRO -- Perché voi siete entrato dalla porta di servizio, signore.
LEANDRO -- (dopo attimi di concentrazione) Portami qualcosa da bere Pietro, con un po’ di ghiaccio.
PIETRO -- Qualcosa di alcolico, di molto alcolico o affatto signore?
LEANDRO -- Come sta mia sorella?
PIETRO -- Bene.
LEANDRO -- Bene non è una risposta. Un morto per i morti è salvo.
PIETRO -- Non capisco signore!?
LEANDRO -- Acqua di fontana, filtrata, energizzata e vitaminizzata, e con un soffio di anice.
PIETRO -- Subito. (esce)
LEANDRO -- A volte ho l'impressione che parlando mi si svuoti la mente. Sono tre anni che… Ma anche se ne fossero passati cinque non fa’ differenza, ormai. Il conte Gian Giacomo Ortazzi?!? Non so’ se in questi anni sono guarito, come non so’ se ero malato prima. Ma forse sono solo riuscito a restare appena lo stesso.
Entra in scena Carmen, giovane e billissima avvocato.
CARMEN -- (guarda Leandro con aria estremamente disinvolta) Il signor Leandro immagino.
LEANDRO – (facendo cadere il bicchiere dalle mani) Che bisogno avete di immaginare se io sono qui?
CARMEN -- Sono l'avvocato Carmen Lesini. (Leandro le bacia la mano)
Pietro irrompe con tutta l’attrezzatura necessaria per raccogliere il bicchiere,
opera velocemente e scompare altrettanto velocemente concedendosi occhiate
indagatrici per i due.
LEANDRO -- Io sono il figlio di mio padre, e non sono avvocato, e posso dire di essere solo al servizio di me stesso.
CARMEN -- Non avete ancora incontrato vostro padre?
LEANDRO -- Dovete sapere, avvocato, che molti anni fa’ quella che ora è la porta principale era è l'uscio di servizio. Si affacciano su strade diverse e la nostra famiglia ha scelto sempre l’ingresso attraverso il quale spira con maggior forza l’odor di soldi.
CARMEN -- Quanti anni avete?
LEANDRO -- Quelli che ho li ho già persi e non so’ se ne avrò altri.
CARMEN -- Vostro padre mi ha parlato di voi.
LEANDRO -- Mio padre è un romantico ...
CARMEN -- Voi non lo siete?
LEANDRO -- Se un avvocato mi piace potrei affidargli delle questioni molto delicate ma ...
Rumore di un corpo che precipita pesantemente lungo le scale
CARMEN -- Cosa è stato?
PIETRO -- Ecco ciò che mi avete chiesto signore.
LEANDRO -- Grazie Pietro. Porta qualcosa anche ...
CARMEN -- No, grazie.
PIETRO – Se permettete… Vostro padre sarà qui a momenti; giusto il tempo di fasciarsi la testa. Sapete, è caduto per le scale, signore.
CARMEN -- Gian Giacomo?
PIETRO -- Per l'esattezza.
CARMEN – E perché?
PIETRO – Prego? In questa casa non c’è mai un perché.
CARMEN -- Sarà stato un malessere!? Nulla di grave spero?
LEANDRO -- Ha rotto qualche gradino?
PIETRO – Al solito, signore: per la precisione tre. Ci sarebbe anche un quarto, ma è solo scheggiato. (esce)
LEANDRO -- Bravo Pietro. E' a servizio della nostra famiglia da venticinque anni, e non si è mai lamentato.
Urlo del conte fuori scena
CARMEN -- Non come vostro padre. Voglio vedere che cosa gli è accaduto. Permettete.
LEANDRO -- Il vecchio ha la pelle dura. Una volta ne spaccò anche cinque.
Entra in scena una anziana e imponente donna
ZIA BERENICE -- (con falsa sorpresa) Ma guarda! Guarda chi si rivede!
LEANDRO -- Zia Berenice!?
ZIA BERENICE -- E' un fiume ... Ma che dico? Un mare ... Ma di più: un Oceano, la mia gioia.
LEANDRO -- Speriamo di non affogare.
ZIA BERENICE -- Caro.(lo bacia) Come sta il mio nipotino?
LEANDRO -- Dicono guarito, zia.
ZIA BERENICE -- Campa cavallo. Sono contenta. Ma purtroppo non si può far altro che ammetere, senza riserve, che la nostra famiglia è giunta al capolinea. E se dico questo è solo per tranquillizzarti, mio caro. Noi siamo stati sempre un po’ eccentrici, strani, forse, e già da secoli la nostra stirpe ormai mostrava il fianco: così con queste ultime generazioni siamo arrivati.
LEANDRO – Ti stai complimentando con me per caso, carissima zia?
ZIA BERENICE – Per carità… Prego?
LEANDRO – Zia Berenice, io fui ricoverato in quella clinica per essermi perdutamente innamorato di una fanciulla, come qualsiasi uomo normale o pazzo di questa terra, e aver scoperto, di colpo, in modo brutale, di esserne il fratello.
ZIA BERENICE -- Ma anche lei è tua sorella.
LEANDRO – (più che irritato) Questo non ha mai diminuito il problema.
ZIA BERENICE -- Vuoi ripartire di nuovo? Hai nostalgia …
LEANDRO – Io sono perfettamente guarito!! (urlando)
ZIA BERENICE -- (facendogli il verso) E chi ne dubita?! Leandro mio, tu sei la persona più sana in questa sciagurata famiglia; perfino, se fosse possibile, più sana anche di me. Ma lascia perdere questa storia! Sei calmo? Normale!?
LEANDRO -- Ho dimenticato tutto. Non provo per lei nulla; nulla che non sia affetto .... fraterno. Infatti sono calmo. Però .... (con foga) una cosa la vorrei capire! (urla di nuovo) Una cosa sola!
ZIA BERENICE -- Sei calmo davvero, non credo ai miei occhi. E ai miei orecchi.
LEANDRO -- Perché ingannarmi così? Tu, zia ne sapevi qualcosa? E lei, sapeva? E mio padre? Il conte Ortazzi Gian Giacomo. Ma quante altre donne avrà mai avuto? E quante altre figlie? E dove? Se mi sposassi con una congolese sarei tranquillo o dovrei invece aspettarmi che anche in questo caso sarei diventato uno sporco incestuoso?
ZIA BERENICE -- Una cinese. Si, si, una cinese; l'unica cosa che a tuo padre non è mai piaciuto sono gli occhi a mandorla. Ma, tuttavia, potrebbe aver fatto anche qualche eccezione!
LEANDRO – Zia, basta!
ZIA BERENICE – Giovanotto, basta lo dirai a quell’imbecille di tuo padre!
LEANDRO – Cambiamo discorso. Tu come te la passi?
ZIA BERENICE – Io ti… Adesso bene, grazie. Ho pianto per qualche tempo: un minuto, forse due, dopo che tuo zio ci ha lasciati. Tu lo sai che zio Erasmo se ne è andato, no?
LEANDRO -- Si lo so. Passò anche da me.
ZIA BERENICE – Meno male.. cosa? (esitazioni di diverso genere) Noooo; questo successe un mese prima. Adesso è partito veramente.
LEANDRO -- E' morto!?
ZIA BERENICE – Già! Ma, tutto sommato, non essendo mai stato molto contento della nostra famiglia nessuno ha perso nulla.
LEANDRO -- Ha sofferto?
ZIA BERENICE -- E... Credo… A pensarci bene, non era contento neanche di se stesso, quindi...
LEANDRO -- Se dovessi morire, un giorno.... (pausa)
ZIA BERENICE -- Bèh, è sempre un eventualità da prendere in seria considerazione. Allora?
LEANDRO -- Se mi dovesse caso mai succedere spero che nessuno mi pianga addosso. Mi darebbe un fastidio.
ZIA BERENICE – (al colmo della pazienza) Vai a salutare tuo padre, appunto, prima che sia troppo tardi.
LEANDRO -- Vado. Vado. Vado!! (esce)
ZIA BERENICE – E già! Già! Non ci resta che sospirare e gemere. Siamo solo decadenza: Decadenza e morte. In questi frangenti conserviamo appena le nostre sembianze. E il peggio è che nemmeno ci aspettiamo più riscatto per queste anime ormai secche. Di giorno in giorno si muove il verme che è dentro di noi; si contorce febbrilmente come per dissetarsi, come per edificare. Eppure ha già il sigillo della morte al collo, o sulla fronte, o in qualche altra schifosa parte. Povero animale. Povero asino, al giogo della grande ruota di un mulino abbandonato.
Entra in scena Ginevra
GINEVRA -- Sei triste zia? Quali pensieri ti opprimono?
ZIA BERENICE -- Sono compagni inseparabili, i pensieri.
GINEVRA -- Leandro è arrivato? (Zia Berenice stà per rispondere ma...) Per quanto resterà? (c.s.)Resterà? (c.s.) Dico: resterà davvero? (c,s,) Sai, a volte le cose, i fatti, il destino, se vuoi, sono così particolari, tanto da condizionare la struttura stessa della tua vita.
ZIA BERENICE – A chi lo dici, mia cara!?
GINEVRA -- Fino ad arrivare a rendere aliene alla coscienza, seppur buona, onesta e sana, quelle leggi vere e così totalmente valide.
ZIA BERENICE – Bèh, questo è normale… per molta gente. Per esempio accade spesso agli avvocati; quelli che già non hanno una morale.
GINEVRA – Quelle leggi che sono invece così necessarie per la nostra salute morale.
ZIA BERENICE – Ne conosco certi io di avvocati. La morale!? "Non giurare ma giura. Giura che tutto ciò che farai non lo farai e quel che non farai, dopo averlo ben progettato, non l’avrai neanche pensato."
GINEVRA – Zia, hai qualche sofferenza?
ZIA BERENICE – Certi delinquenti che fanno impallidire i peggiori lestofanti di questa terra. Quanto ho imparato da loro, tu non lo immagini; gente avvezza ad ogni tipo di inganno. Capaci di spezzare, schiacciare, far morire di fame e di crepacuore il prossimo solo per il vile denaro, e con la legge, l’etica e la giustizia sempre in bocca. Ora ne abbiamo per l’appunto uno anche in questa casa, mia cara. Siamo arrivati al fondo.
GINEVRA -- Io non lo amavo.
ZIA BERENICE – Un avvocato non si può amare, si fa’ solo e meticolosamente comprare.
GINEVRA – Parlavo di Leandro, zia. Ora è per me la vita stessa. Tuttavia farò come tu vuoi.
ZIA BERENICE – E così sia…? Di che cosa stai parlando?
Entra in scena la cuoca
LA CUOCA -- Qualcuno deve venire a darmi una mano. Io non ho mai fatto una fasciatura ad un conte e il signor conte dice che lo sto spennando come un tacchino.
ZIA BERENICE -- Non c'è Pietro?
LA CUOCA -- "Le mani di un uomo non contamineranno il mio corpo!"
ZIA BERENICE -- Ho capito! Verrò io.
LA CUOCA -- "... E nemmeno quelle di una vecchia testuggine!"
GINEVRA -- (ride) Andrò io, zia.
LA CUOCA – "Se solo qualcuno di voi maledette mi tocca tornerò vestito della mia armatura di guerra e chiederò implacabile vendetta a mio figlio." Puro delirio.
GINEVRA – (uscendo di scena) Amleto! ecco, ecco quello che ci vuole.
LA CUOCA -- Da dove è uscito questo Amleto? Non sarà mica un travestito!?
ZIA BERENICE -- E' il suo ricatto preferito: un lungo discorso che non vale la pena neanche cominciare. Conosci Shakespeare?
LA CUOCA – Veramente.. Forse di vista, signora.
ZIA BERENICE -- Egli nacque nel 1564, inglese di certo, ma... (la cuoca fa i conti sulle dita) Cosa diavolo stai contando?
LA CUOCA -- Io sono una brava cuoca signora, ma a far di conto sono proprio negata. Pensate che secondo i miei miseri calcoli questo vostro conoscente dovrebbe avere trecentoventinove anni. (accorgendosi della terribile espressione sul volto della signor Berenice) C’è qualcosa che posso fare per voi, signora Berenice?
ZIA BERENICE -- Vi è nella natura una grande capacità di sorprendere. Ma guarda: Tu sei fuggita sulle ali di una farfalla e non saprai mai, dico mai, di che colore ha gli occhi un rospo. Fortunata creatura. (esce)
LA CUOCA -- Io.... Io non sono brava in aritmetica, ve l’ho già detto. (tra se) Vecchia scarpa, non la si sa’ mai come prendere. (Si siede al tavolo) Amleto?! Dove già l’ho sentito questo ridicolo nome? Mah!
Entra Pietro con vassoio e un bicchiere di limonata, inciampa nel tappeto; non
cade ma si bagna.
PIETRO -- La signora gradisce la solita limonata con fiori di gelsomino?
LA CUOCA -- Posa quell’intruglio e levati dalle sfere.
PIETRO -- (E’ sorpreso ma obbedisce) Come la signora vuole. (Si accorge, mentre va via, di avere la giacca bagnata) Se mi permette mi tolgo la giacca, signora. (è bagnata anche la camicia) Che disastro: si è bagnata anche la camicia.
LA CUOCA -- Si, ma fermati alle mutande, che non ho voglia di vomitare.
PIETRO -- Tu?!?! (con uno scatto si riprende la bibita) Ma non dovevi essere in cucina?
LA CUOCA -- Lasciami stare che, a quanto si dice, sono fuggita sulle ali di una farfalla e non saprò mai di che colore ha gli occhi un.... uno come te! (si alza ed esce impettita)
PIETRO -- (seguendola con lo sguardo) E’ una puledra recalcitrante, ma alla fine .... (verso il pubblico) Ho duecento milioni in banca, ma né la mia futura moglie e né i miei futurissimi figli ne sapranno mai nulla. Mai! (esce)
Si spengono le luci
FINE SCENA PRIMA
SCENA SECONDA
Entrano in scena in conte e Carmen
IL CONTE -- Sai quanto è consistente il nostro patrimonio?
CARMEN -- Sono sicura che mi tradirebbe il giorno dopo.
IL CONTE -- Tu ne amministri solo la centesima parte. Centomilla e ottocento miliardi fino ad un’ora fa.
CARMEN -- E quali sarebbero le mie armi per questa battaglia?
IL CONTE -- E’ spaventoso come questo "mostro" che, totalmente indifferente a sentimenti e principi di sorta, cresca; cresce continuamente. Continuamente.
CARMEN -- Non pretendere questo da me.
IL CONTE -- E da chi? Io ho imparato una casa nella mia vita, carissima: mai fidarsi di un avvocato, ma quando ne trovi uno degno di fiducia puoi affidargli anche il muscolo cardiaco poiché è di certo più fedele di tuo padre e di tua madre, di tuo fratello e .. No! Di mia sorella lo sarebbero tutti.
CARMEN – Cosa?
IL CONTE -- Fra’ tre anni forse saranno cinquecentomila miliardi.
CARMEN -- Cos’è, una minaccia? Un ricatto?!
IL CONTE -- Trecentomila miliardi in mano ad un pazzo; questa si che è una minaccia.
CARMEN -- Perché?
IL CONTE -- Ogni volta che scendo quelle scale potrebbe essere l’ultima. E’ stata mia sorella Berenice a farle costruire: "Questa forma speciale è studiatta appositamente per migliorare la vita." E’ logico che intendeva la sua di vita; dopo la mia morte.
CARMEN -- Ma perché io?
IL CONTE -- Ho conosciuto tua nonna, tua madre e anche tua sorella maggiore. Una stirpe di indomite… "avvocatesse".
CARMEN – Forse io potrei essere diversa.
IL CONTE – E, infine, sei anche in fiore; e che fiore! di certo a gloria e merito di Madre Natura, mia cara.
Cercando di baciarle la mano e non solo, inciampa alla veste e cadendo le
abbassa la veste lasciando Carmen in mutande: il conte le è vicino in ginocchio
a bocca aperta; come paralizzato da tanta bellezza. Entra in scena Leandro: ha
un libro fra le mani. Si accorge dei due e comincia a declamare cercando le frasi
giuste, e anche di capire che cosa accade, girando con molta compostezza intorna
al quasi quadro plastico.
LEANDRO – (inglese) (LAER -) For Hamlet, and the triftling of his favours, hold it a fashhion,, and a toy in blood, a violet in the youth of primy nature, forward, not permanent, swweet, not lasting, the perfume and suppliance of a minute; no more. (OPH-) No more but so? (LAER-) Thing it no more: for nature crescent does grow alone in thews and bulk: but, as this temple waxes, the inward service of the mind and soul grows wide withal. Perhaps he loves you now; and now no soil nor cautel doth besmirch the virtue of his will; but you must fear, his greatness weigh’d, his will is not his own; for hi himself is subject to his birth; he may not, as unvalued persona do, carve for himself, for on his choice depends the safety and health of this whole state; and therefore must his choice be circumscribed unto the voice and yielding of that body whereof he is the head. Then if he says he loves you, if fits your wisdom so far to believe it as he in his particular act and place may give his saying deed; which is no further than the main voice of Danmark goes withal. – (ripetendo sempre con più ossessione) Which is no further than the main voice of Danmark goes withal. - Which is no further than the main voice of Danmark goes withal. (pausa) Disturbo!?
IL CONTE -- Porca miseria!
CARMEN -- O, Leandro... ma… (cercando frettolosamente di rivestirsi) cosa leggi di così....di così interessante?
LEANDRO – Perdonatemi se vi ho.... se vi ho tediato. E’ semplicemente Laerte, in un classico brano dell’Amleto di Shakespeare.
IL CONTE – Ah! Ecco! Dicevo, appunto. Ottima lettura, figlio mio, ma non vorrei però che questo signore, come si chiama?
LEANDRO – Laerte.
IL CONTE – Ecco, che questo Laerte… non ti stancasse troppo, insomma.
LEANDRO -- Tutt’altro: leggere di queste cose mi da una certa "energia". Fear it, Ophelia, fear it, my dear sister, and keep you in the rear of your affection…"
CARMEN -- E’ un’idea di Ginevra: vuole mettere su un piccolo spettacolo. Ha proposto anche me per la parte della regina.
IL CONTE – Quale regina?
LEANDRO -- Mia madre.
IL CONTE -- Con una madre così amerei avere molti figli.
CARMEN -- Leggevate con passione.
IL CONTE -- Io direi con invidia e disperazione. (alzandosi) Pietro. Pietro!? Quell’uomo ha molti difetti ma non è sordo; ed io non gli perdonerò mai i suoi maledetti ritardi. (gridando) Pietro!
PIETRO -- (entrando velocemente in scena) Eccomi, eccellenza.
IL CONTE -- Dammi una mano, e fammi strada; ma stai attento, che se c’è un dirupo ce ne accorgeremo dalla tua rovina. Tu, Carmen, ricordati ciò che ho detto e tu, Leandro, figlio mio, puoi anche dimenticare tutto quello che non ti ho mai detto. Così, come vedi, ti ho risparmiato un lungo, doloroso e, tutto sommato, inutile lavoro. E tu vai piano, che non ho quattro zampe come te. Se cadi grida, se non potrai parlare fammi dei segnali luminosi; e se non potrai fare neanche questo ti licenzio. Mi raccomando, Pietro, lontano da ogni forma di scale. (escono)
LEANDRO – Che ve ne pare, non è affatto un pasto facile da digerire quest’uomo, vero?
CARMEN -- Voi lo siete?
LEANDRO -- Lo fui, un tempo. Tanto che volendo ritrovarmi nel passato oggi non riesco più a riconoscermi.
CARMEN -- Avete rimpianti?
LEANDRO -- Io sono… totalmente… un rimpianto; la melangonia in persona, direi. Posso darvi un bacio? No, scusate, volevo dire un incarico? Voi dovreste essere in grado di scoprire se veramente Ginevra è mia sorella.
CARMEN – Cosa? Ma io non sono un detective: sono solo un avvocato.
LEANDRO – Ogni donna è uno spietato detective; ciò per dono naturale. Sapete, anch’io come mio padre ho bisogno di un ottimo avvocato e, come lui, cerco sempre il meglio, sempre, in tutte le cose; ad ogni costo.
CARMEN -- Questa è una sfida?!
LEANDRO -- E’ tutto ciò che volete che sia.
CARMEN -- Già. (esce)
LEANDRO -- Vai, soldato. Vai, che la battaglia già volge al termine, e tu non puoi perdere il tuo momento di gloria; affonda la lucente lama della tua spada prima che il sole tramonti. O almeno, al fine del tuo pacato disio, tingila del caldo sangue di una vittima empia e rea, e bevine, ingorda, la gloria effimera, se vuoi, affinché un pasto di putredine annienti per un attimo la tua miserabonda noia. Amleto, ti prego, non approfittare di questo mio corpo, anche se già inizio a comprenderti; fratello di mala sorte. Tu, figlio trasfigurato in spada bramosa di sangue dalla paterna vendetta; tu, lama avvelenata, tristo dono per il re tuo zio, vile assassino, e per la flebile carne che ad esso congiunta "essosi".
Ginevra, Ofelia; Ofelia, Ginevra! Chi mi tiene lontano da te, mio immenso e unico amore, chiunque sia, ebbene questi paghi con la vita la bestemmia di essere nato, poiché mai la mia ira si è tanto ingozzata; "tantosi" nutrita. (esce)
Entrano in scena Pietro e la cuoca
PIETRO -- Ma è mai possibile che uno debba fare il maggiordomo, il cameriere, il guardiano notturno, il giardiniere? e, adesso, anche il becchino?
LA CUOCA -- Chi devi sotterrare?
PIETRO -- Nessuno. E’ la parte; la parte che mi è stata data per la rappresentazione teatrale di questa sera.
LA CUOCA -- Già. Ma chi devi sotterrare?
PIETRO -- Ofelia, morta annegata. Poverina.
LA CUOCA -- E chi farà la parte di Ofelia?
PIETRO -- Ginevra. Anche se, detto sinceramente, tu non ci staresti affatto male.
LA CUOCA – Porco! Maniaco seppellitore.
PIETRO -- Come?! Che dici? Io non ho mai seppellito nessuno in vita mia!?
LA CUOCA -- E’ incredibile! Tu seppellirai addirittura chi ti ospita, ti dà un lavoro, ti paga gli assegni e i contributi? Chi ti ha promosso becchino?!
PIETRO – C’è chi fa’ di peggio!
LA CUOCA -- Tu sei capace di questo? Tu sei veramente capace di fare una cosa del genere??
PIETRO – Non capisco di cosa vai blaterando…
LA CUOCA -- Un bastardo non si comporterebbe in modo peggiore. Ma va da se che c’era da aspettarselo. E, infine, mi vuoi anche convincere dei tuoi buoni sentimenti? E con queste prove?! Con queste prove così schiaccianti!?! Tu se pazzo.
PIETRO -- Ma ascolta....
LA CUOCA -- Ebbene....
Entra velocemente in scena Leandro
LEANDRO -- Ebbene, signori?
PIETRO -- Amleto. Oh! Il signor Leandro!?
LA CUOCA – Amleto? Già ho sentito questo nome. Chi è Amleto?
LEANDRO -- Non chiamarmi due volte, se con mille non ti sento. Fallo una sola volta; una sola volta, e ti risponderà un morto.
LA CUOCA -- Santo cielo! non chiamarlo per nulla.
LEANDRO -- Nooo! Fallo, invece, altrimenti tu sarai il morto.
PIETRO -- Signor Leandro! Amleto...Signor Leandro. Il lavoro, il dovere e gli ordini di servizio mi chiamano: hanno bisogno di me.
LA CUOCA -- Aspetta, che ti accompagno.
LEANDRO -- Donna, cosa ne sai invece della Danimarca?
PIETRO -- Le posso garantire che oggi non ha preso nulla dal frigo.
LA CUOCA – Ma che cosa stai dicendo?
PIETRO – Danimarca!? Non è quella nuova marca di marmellata?
LEANDRO -- E cosa hai sentito dire tra il popolo?
LA CUOCA -- Non esco da ieri, signore.
LEANDRO -- E’ vero Pietro?
PIETRO -- Garantito.
LEANDRO -- E non farlo nemmeno domani.
LA CUOCA – Si..? Perché? No, voglio dire… Come vuole....
LEANDRO -- Poiché fuori la porta c’è un grosso cane che aspetta. Ti giuro che ha deciso di sposarti e se gli negherai la tua mano ti sbranerà.
PIETRO -- In che senso?
LEANDRO -- Ma se gli dirai di si ti farà inesorabilmente madre di bastardi.
PIETRO -- Posso sparargli in bocca, signore?
LA CUOCA -- Come puoi? Devi.
LEANDRO -- Ottima soluzione Pietro. Ma se lo farai quei bastardi ti chiameranno padre, e per tutta la vita. E quando saranno ben cresciuti, come è inevitabile che sia, sbraneranno allegramente e inevitabilmente anche te.
PIETRO – E… Ma non c’è un’altra soluzione?
LEANDRO -- Sta al tuo posto Pietro! Se ne hai uno.
LA CUOCA -- Perdonatemi, signor Leandro, ma che cosa volete dire?
LEANDRO – (con commiserazione) Povera piccola! (irato) Non lo sai che nessuno è più chiaro di me? Non lo sai che tu hai già saputo tutto ciò che dovevi? Ed io infine ho già detto tutto ciò che "dovevo dire": ora resta il "dà fare". In quanto a te, becchino dell’ultima ora, non toccare Ofelia. Perché se quell’Amleto era pazzo "questo" Amleto non ho nulla da invidiargli. Ricordatevelo, insieme, quando scenderete mano per mano nelle fauci di Lucifero, vostro parente.
PIETRO – Visione molto romantica.
LA CUOCA – Già… Cretino! Questo Lucifero non lo ricordo affatto tra i miei parenti signore.
PIETRO -- Il signore conte voleva.. (la cuoca si allontana stizzita) Desidera qualcosa signor Leandro?
LEANDRO -- Portami ciò che vuoi.
LA CUOCA -- (sottovoce a Pietro mentre lui sta per allontanarsi) Cosa è stato a fare in clinica tutto questo tempo?
PIETRO -- (come sopra) A curare la sua pazzia.
LA CUOCA -- (c.s.) Ha curato la sua pazzia ed essa è, infatti, in piena salute.
LEANDRO -- Che immensa prigione per il mio cuore.
LA CUOCA – E’ innamorato peggio di prima. Bene...!? Voglio dire.... Signor conte, che tra noi, giusto così, come dire… insomma si è cucinato del buon cibo, oggi: cinghiale in salmì, con contorno di zucchini ripieni con aglio, ad esempio. Ma se non siete d’accordo per l’aglio passeremo immediatamente ad una frittura di rane giganti.
LEANDRO -- Cosa sono, Pietro?
PIETRO -- Rospi, signore!? Deliziose rane ben nutrite… Ma, vi garantisco, benché sembrino esseri viscidi, dopo una saggia cottura, hanno sapore eccellente.
LEANDRO -- Devi averne ingoiati molti negli ultimi tempi, povero Pietro. Né l’uno e né l’altro! Non il primo, che mi ricorda tanto mio padre, non il secondo, che se volessi assaporare voi adotterei ben altre ricette. Io desidero di quel cibo per il quale, uscendo di casa, ne vado gridando il nome. Il cui sapore resta e nelle labbra e nel cuore, e il cui ricordo, più che nella mente, è negli occhi peso e insopportabile profumo. Pietro, io già non ti vedo per quel che sei poiché la fame mi tormenta. Se avessi una spada ti aiuterei, e con un simile spiedo saresti ben cotto prima di sera. E tu, gelida e asciutta fanciulla, come ti ho sognata mentre seminavi ortiche e raccoglievi tuberi nel mio orto. Come ti ho gustata questa notte quale leggera ed elegante danzatrice di riti tribali.
LA CUOCA – Cosa?
PIETRO – Il conte ha perfettamente diritto ai suoi incubi.
LEANDRO -- Ora assecondami in questo gioco poiché se è vero che voglio da Ofelia un figlio è anche vero che mi accontenterei di un rospo, o da una mucca gradirei un puledro…Ma giurami, maledizione, che partorirai in nove giorni, in nove giorni solo; affinché al decimo io possa essere già nonno.
LA CUOCA -- Ahhh!
PIETRO – E’ alta filosofia…
LA CUOCA – Pietro togliti dai coglioni! Io non so’ che cosa io ho saputo, signore, ma quel "partorire in nove giorni" è faccenda già chiara di per se.
PIETRO -- Dovete perdonarla, signore; non s’intende di aritmetica.
LA CUOCA – E’ assodato che una gallina ci mette molto più tempo per fare un pulcino.
LEANDRO -- Conosci la moglie e i figli di quest’uomo?
PIETRO -- Io.... Io non sono affatto sposato, eccellenza.
LEANDRO -- Lo sai che quest’uomo prende a calci la sua amatissima sposa ogni volta che va nella stalla? Lo sai?? e che i suoi figli.... i suoi figli si sfamano con il sangue dei cani.... bastardi!
PIETRO -- Ti giuro... non è vero.
LEANDRO -- Osi contraddirmi?
PIETRO -- No! Mai! Però non è vero. Con tutto il rispetto, signore, costei è la mia fidanzata; dopo tre anni mi ha dato un bacio. Ieri, poi, si è fatta toccare il gomito, e per domani, immaginate, per domani mi ha promesso cose folli. Non vogliate rovinarmi.
LEANDRO -- Cose folli?!! (alla donna) Brava. Brava!! Hai capito?! Così si fa’: Se vuoi farti sposare da qualcuno devi donarti tutta e subito. Brava! Ma mai, mai al tuo amato futuro sposo. Mai!!
PIETRO -- Questo si che è un .... Cosa vi salta in mente di dire, signor conte? Voi mi incasinate il minestrone.
LEANDRO -- Però ti alleggerisco la zuppa.
LA CUOCA – Ma che diavolo…
PIETRO - Un minestrone ben coordinato è la gioia della tavola.
LEANDRO - E una zuppa appesantita e di difficile digeribilità ti rimane sullo stomaco a vita Pietro; a vita. E di questa ne morrai o sazio o schiacciato, amico mio. Pensaci Pietro. pensaci
LA CUOCA -- Ma di che cosa state parlando?
LEANDRO -- Io vi voglio aiutare. Nient’altro. (a Pietro) Come mi chiamo? Coraggio! come mi chiamo? Fermo!! Non dire il mio nome, dato che il mio nome è Amleto. E tu, conditrice di brodini e pappette, tu stessa grande e palpitante polpettona, succosa e ricca; preparati ad affrontare il morso del tirannosauro, poiché il nono giorno è già vicino.
LA CUOCA -- Ahhh!! E no. No! Io, mio egregio signore, non ci capisco un cetriolo di niente, maledizione! ma se è vero che sono solo una cuoca e non m’intendo di aritmetica è anche vero che posso prepararvi praticamente di tutto: dagli arrosti alle torte alla fragola, dai brodini alle pappette; Pietro dammi una mano, maledetto! e in questo, signor conte, ve lo posso sinceramente garantire, sono imbattibile. Tuttavia la questione di essere considerata una polpetta a mia volta, anche se succosa e ricca…
PIETRO – Su questo il signor conte non ha tutti i torti…
LEANDRO -- Stai zitto, cretino! La questione della polpetta è metaforica!
LA CUOCA – Cosa? Pietro lascvia perdera la questione della polpetta che non è di mio gradimento. Affatto! Signor conte…! E inoltre vi posso anche garantire, per aver fatto anche l’infermiera professionale in uno studio veterinario, che in nove giorni al massimo partorirebbe un verme. Al fine non riesco a capire, signore, quali maledette estronze compagnie abbiate frequentato in questi ultimi anni. (esce)
PIETRO – Ma questa è follia! E’…!? Vogliate… Vogliate perdonarla, signor conte; in fondo è una brava donna. Voi, però, con tutto il rispetto, non mettetegli, sempre con tutto il rispetto, cose... ecco, strane, leggermente strane, per la testa.
Leandro esce.
Ma dove andate signore? Vi giuro che non ho moglie, e ne figli, maledizione. Non ho nemmeno una stalla. Adesso dovrò ricominciare tutto da capo. Tutto da capo, dovrò ricominciare. Maledizione!(esce)
Apparentemente in toni amichevoli, dopo qualche frase a soggetto:....
ZIA BERENICE -- Dicevamo?
CARMEN – Su che cosa.
ZIA BERENICE -- Eppure stavamo parlando di qualcosa. Qualcosa di molto importate.
CARMEN – Già!? (di colpo ricorda tutto) Mi sono bastate poche telefonate.
ZIA BERENICE -- Davvero?
CARMEN -- La madre di Ginevra non è la moglie del conte Giangiacomo.
ZIA BERENICE -- Davvero?
CARMEN - E Ginevra non l’ha mai conosciuta, perché la bambina è stata adottata in giovanissima età.
ZIA BERENICE -- Davvero?
CARMEN -- Ho informato di tutto ciò la ragazza. Ma credo che già sapesse; forse anche più di me. Adesso non dite più davvero?
ZIA BERENICE -- Pietro! Portami delle scope, e aiutami a togliere l’immondizia da questa casa: che da qualche giorno se ne è accumulata anche troppa; specialmente nel soggiorno. Ti avverto avvocato che qui non siamo in tribunale: non c’è nessuno che può essere condannato, qui, ma soprattutto nessuno che possa essere difeso!
CARMEN -- Questo è tutto da vedere. (esce)
Entra il Conte Giangiacomo quasi in punta di piedi.
IL CONTE -- Allora?
ZIA BERENICE -- AAHHH!
IL CONTE -- Ma che hai? Un pochettino nervosa, per caso?! Dico, ma qui dentro non ci si riposa mai?! Un baccano. Non son riuscito a prendere sonno. Fammi sedere, che sono terribilmente stanco.
ZIA BERENICE -- Maledetto, mi hai fatto spaventare quasi a morte.
IL CONTE -- Davvero?
ZIA BERENICE -- Anch’io sono stanca, e non sai quanto.
IL CONTE -- Davvero?
ZIA BERENICE -- Qui la situazione comincia ad essere insopportabile.
IL CONTE - Davvero?!
ZIA BERENICE - Ed io che sono così sensibile e delicata....
IL CONTE - Davvero??!
ZIA BERENICE -- (alteratissima) Davvero un corno. Prova a ripetere un’altra volta "davvero" e ti schianto!
IL CONTE – Davv... Calma. Va bene, va bene. Ti credo. Non è il caso di comportarsi come una strega.
ZIA BERENICE -- Ma come osi? Io non sono una strega, è chiaro? Non sono una strega.
Entra Pietro con un paio di scope
PIETRO -- Le sue scope, signora contessa.
IL CONTE -- AH!
ZIA BERENICE -- Per tutti i diavoli! All’inferno, Pietro!
Pietro fugge spaventatissimo
Quella peste del tuo avvocato ha scoperto che Ginevra non è tua figlia.... (si porta una mano alla bocca)
IL CONTE -- (dopo attimi di sorpresa) AH!! Cosa? No?? Bèh…!? Bene! Benissimo: vorrà dire che non avrò da dividere i miei beni.
ZIA BERENICE -- Vecchia spugna. Così Leandro sposerà sua cugina. Lui è già pazzo e Ginevra è per la via, e tu avrai solo e soltanto nipotini bellissimi, forse, ma completamente pazzi. Ecco dove andremo a finire.
IL CONTE -- Santo cielo, hai ragione; se sposa la cugina, pazza, lui che è pazzo....?? Ma chi è la cugina? La cugina!? Da dive è uscita questa cugina??
ZIA BERENICE -- Da me.
IL CONTE - Da te? E da dove? Scusa, voglio dire: in che senso?
ZIA BERENICE - Ebbene si: Ginevra è mia figlia.
IL CONTE -- Ah?! Ah! (pausa) Per tutti i diavoli! (alzandosi in piedi) Ma qui stiamo superando ogni limite di decenza! Una tua progenie per il mondo…? Voglio dire… E… Chi è il montone?
ZIA BERENICE – (alzandosi anche lei) Non ti permeto questo linguaggio.
IL CONTE – Tu hai problemi?
ZIA BERENICE - Cosa?
IL CONTE – Tu hai problemi verso questo linguaggio?
ZIA BERENICE – Forse non ci crederai, ma io ho amato solo un uomo nella mia tormentata vita.
IL CONTE – E dopo lo hai divorato…
ZIA BERENICE – Solo di lui ricordo il nome.
IL CONTE – Appunto, l’unica cosa rimasta! Si può sapere allora, almeno, come si chiama, il divorato?
ZIA BERENICE -- Degli altri.... (pausa) Degli altri nemmeno la faccia.
IL CONTE – Attaccati alle spalle. Quindi non sapremo mai il nome del padre di mia figlia.
ZIA BERENICE -- Ma non è tua figlia.
IL CONTE – E certo! Tranquilla, va tutto bene. Però adesso io che faccio? Ormai l’ho riconosciuta per tale. Non posso rinnegare la mia parola, poiché io non sono come te.
ZIA BERENICE -- E chiaro che non sei come me; dillo a chi ti sente. Ascolta, tu puoi fare quello che ti pare, però sappi una cosa: Ginevra non sa’ di essere mia figlia, e se qualcuno dovrà parlargli di questa cosa quello sarò io; sarò solo e soltanto io. Non ti azzardare a dirle qualcosa, o intraprendere decisioni nei suoi confronti e nei miei, e anche nei tuoi, senza il mio permesso, altrimenti potrei non rispondere delle mie azioni. E ti garantisco che quello che mi passerà per le mani non sarà più nella giuristizione né del bene e neanche del male. Tra le altre cose mi è arrivata una grossa emicrania: pazzesco!
Pietro rientra in scena un attimo immediatamente prima che la contessa Berenice
nominasse l’emicrania con un grosso bicchiere ed una palla da golf in un piatto.
PIETRO -- La sua piccola pillolina contro la sua grossa e cattiva emicrania, signora contessa.
ZIA BERENICE -- Grazie, Pietro. Meno male che ci sei tu in questa casa.
PIETRO -- E’ un piacere servirla, signore... Scusi; signora.
IL CONTE - Io, con una piccola pillolina come quella, in genere, vado in buca che è una bellezza.
ZIA BERENICE -- (accorgendosi dell’errore) AAAHHH! Pietro, che cosa mi hai portato?
PIETRO -- Ho sbagliato, signora. (sta per uscire dopo aversi ripreso la palla da golf) Ho semplicemente sbagliato. (la signora contessa guarda anche il bicchiere con espressione sospetta. Pietro, offeso, torna sui suoi passi e le strappa stizzosamente il bicchiere dalle mani, poi va via indignato)
IL CONTE -- Dicevi?
ZIA BERENICE – Giangiacomo, fai tacere quel tuo avvocato in curve magne. In fondo la ciarlatana, sposando Leandro, ne avrà tutto da guadagnare, e come regalo di nozze io… sì, io offro altri duecento milioni.
IL CONTE -- Ginevra ne erediterà, forse, quasi un milione di volte di più.
ZIA BERENICE -- L’importante è .... L’importante è che resti tutto in famiglia.
La povera cuoca entra disperata e si getta ai piedi del conte
LA CUOCA -- Signor conte. Signor conte, pietà! Io do’ le mie dimissioni, se vuole...
IL CONTE -- Era ora.
LA CUOCA -- … ma mi aiuti! Il signor Leandro.... Il signor Leandro ha preteso che io lo baciassi.
ZIA BERENICE -- Bèh, in fondo il ragazzo a fisico non è male.
IL CONTE -- Taci, Berenice.
LA CUOCA -- E’ una cosa orribile, invece. Io ho baciato addirittura Pietro, sulla fronte; ma questa è una cosa disgustosa.
ZIA BERENICE -- Non dirmi che Pietro ha provato ad affondare il forchettone?
IL CONTE – Il...!? Queste volgarità!? Per favore, Berenice.
ZIA BERENICE – Per favore un corno! A me aveva detto che era gay, il maledetto.
LA CUOCA – Il conte Leandro vuole una cosa mostruosa da me…. Se dovessi essere costretta a farlo dopo mi strapperei le labbra.
ZIA BERENICE -- Non le permetterai ancora di offendere la nostra famiglia; il nostro povero Leandro?
IL CONTE -- Chiudi quella bocca, e fammi capire qualcosa di questa faccenda.
LA CUOCA -- Io non ho mai baciato una cosa del genere, signore.
Entra Leandro con un teschio in mano e una spada al fianco.
ZIA BERENICE - Adesso è troppo. AAAHHH! Aiuto!
LEANDRO -- Bestia, tu offendi Amleto. Poiché io sarò così o me o il mio compagno è uguale.
IL CONTE -- (le due donne gli si sono aggrappate addosso e quasi lo soffocano) Leandro..... aiuto. Non ti permetto. E basta, toglietevi voi: mi state soffocando.
LEANDRO -- E tu chi sei? A quale specie di ectoplasma appartieni? Tre teste, una più mostruosa dell’altra. Identificati, subito, basilisco tricefalo! Sei mio zio o il povero fantasma di mio padre? Se sei il secondo ti amo, anche se mi fai un poco schifo. Ma se sei il primo parla e ti uccido. E questa testa? hai già assimilato la divoratrice di uccelli!?
ZIA BERENICE – Ah! ti ha riconosciuto all’istante.
LEANDRO – E tu invece appartieni all’assassina…
IL CONTE – Oggi non ne sbaglia una.
LEANDRO – … e alla moglie del re: Come hai potuto? Perché, alla sua morte, al pianto legittimo e doveroso hai preferito la bocca sacrilega del suo uccisore: di suo fratello, il novello e schifoso re di Danimarca? Rispondi.
ZIA BERENICE -- Possiamo discuterne? Anche perché la Danimarca ora non centra un tubo fritto, figliuolo.
LEANDRO -- E quest’altra testa, di chi è? Ah! Sei sempre quella di prima. E tu non scordarti di partorirmi in sette giorni, è chiaro?
IL CONTE -- Mi state sbracando i calzoni.
LA CUOCA – Eravamo rimasti ad almeno nove, maledizione. Fatevi subito promettere, signor conte Giangiacomo, che non mi costringerà a baciare quella mostruosità altrimenti vi sbracherò anche il resto.
LEANDRO -- Ecco pecché mi piaci: se deciderai di sbracare qualcosa nulla ti potrà resistere. Bacia il mio amico, e presto.
IL CONTE -- Per favore, qui ci sono cose… fatti molto più importanti...
ZIA BERENICE -- Non pretenderai che questa poverina....(alla cuoca) Senti tu, io ho fatto di peggio. Dai un bacio a quel teschio e che finisca questa storia.
LEANDRO – Vedete, io non lo pretendo. Nemmeno lo chiedo. Non lo voglio affatto. Ma lei lo farà!
LA CUOCA -- E’ maledettamente pazzo. E se dopo il teschio pretende che basi anche le altre ossa? (il gruppo stramazza a terra)
LEANDRO -- Certo, che lo faro. Ma non perché sono pazzo. Semplicemente perché invece sono vivo! Vivo! Per la prima volta. E a questo stadio è inevitabile apparire pazzo ai vostri occhi. Vedi, se il buon senso ci costringe a morire, soffocati nel più profondo sconforto, per la nullità della nostra vita, ma che dico: per il fatto di assistere ogni giorno, mostruosamente, alla nullità della vita altrui; allo squallore dei nostri "non simili", allora, signori, un bagno di sana pazzia ci vuole; e come se ci vuole. Io confesso, nel pieno di tutte le mie facoltà, che respiro, ora, finalmente. Ecco, come un falco cacciatore, a cui è stato tolto d’improvviso il cappuccio di cuoio, io vedo; vedo le mie vittime. Ma che non sono tali: in verità io scorgo davanti ai miei occhi soltanto i carnefici del mio passato e del mio presente, finalmente. (alla cuoca) Chi è Ofelia parla? (la poverina è spaventatissima) Non temere, ma parla. Parla e temimi.
IL CONTE -- Ma che vuoi che ne sappia questa povera disgraziata?
ZIA BERENICE - Lei è una perfetta ignorante.
LA CUOCA -- Signo’?!
ZIA BERENICE -- Ti sto salvando il perizoma.
LA CUOCA - Non l’ho mai usato, signora.
ZIA BERENICE – Neanche io, e con questo!?
IL CONTE – Vi proibisco di farmi vomitare!
LEANDRO -- Ma chi ben sa’ non dirà nulle, vero?! Voi che conoscete ogni dettaglio della mia disgrazia non parlerete, giusto? E dimmi ancora "muto fine dicitore".. declama il vero, o questo mio compare ti ingraviderà.
LA CUOCA -- Non penso proprio, signore.
LEANDRO -- Ha già fatto quaranta figli da vivo e non pensi che ne possa fare almeno uno da morto, Arca di Noè?
LA CUOCA -- No, credo di no, signore. In questa sua nuova condizione forse potrà servire solo da biscottiera. E poi se io sono un’Arca di Noè lei è....
Entra Pietro per nulla turbato
PIETRO -- Il signore ha chiamato?
LA CUOCA - ....lo scemo del villaggio, signore. (sviene)
LEANDRO -- No, affatto. Ma giacché sei qui prendi carta e penna. Sai, questa donna vuol dettare per forza le sue estreme volontà e posseder finalmente una bara.
PIETRO -- Bene, signore.
ZIA BERENICE -- Gian Giacomo fai qualcosa.
IL CONTE – (alle due donne) Se mi date le vostre misure vado immediatamente a comprarne una dozzina.
ZIA BERENICE -- Gian Giacomo, imbecille!?
IL CONTE – Non è quello che volevi...? (sic!) Io sono.... AAAHHHH, Leandro adesso basta.
LEANDRO -- Volete impedire a questa poveretta di confessarsi? Forse perché non c'è uno straccio di prete deve morire con tutti i suoi peccati? E dov'è la vostra morale?
PIETRO -- Io sono pronto signore.
LEANDRO -- (si avvicina alla cuoca e le tira su la testa) Allora, esprimiti, confessati, parla! Giuro, per la mia follia e la tua abbondante fecondità; solo, solo il vero.
PIETRO – Chiedetele alla voliera, signore, se ha mai avuto un altro uccello… voglio dire: un altro uomo, signore.
LEANDRO -- Hai sentito? (lei annuisce) Ebbene?
LA CUOCA -- No, signor conte. (con molta indecisione)
PIETRO -- Mi era sembrato che volesse dire di si, invece.
LEANDRO -- Mi era sembrato che volessi dire di....? Volevi dire di si?!
LA CUOCA -- No! Cioé.... Non era proprio un uomo, signore.
PIETRO -- Specificare di che entità trattasi.
LEANDRO -- Allora?
LA CUOCA -- Non so’ da dove cominciare, signore.
PIETRO -- Non si lasci fuorviare. Incalzi, incalzi, signore.
LEANDRO – Fallo! Incomincia, prima che sia troppo tardi.
LA CUOCA -- Mi diceva sempre che era solo frutto della mia fantasia sfrenata, non era in carne ed ossa. Infatti apparriva di colpo nella mia camera da letto. E quando gli chiedevo perché già completamente nudo lui, poverino, rispondeva di non aver nessun merito e nessuna colpa di tutto in tutto questo e in quello che poi carnalmente accadeva tra noi... (facendosi prendere all'emozione) poiché lui veniva da un altro mondo.
ZIA BERENICE -- E come facevi a credere che venisse dall’altro mondo povera creatura sciocca?
LA CUOCA -- Perché dopo accadevano veramente cose dell'altro mondo, signora; sempre. Niente a che vedere con.... (da un colpo d’occhio verso Pietro)
PIETRO -- Possibilmente ulteriori dettagli.
LA CUOCA -- Dato che era solo una mia pura proiezione fantastica i dettagli non sono importanti.
ZIA BERENICE – Certo…? Come no!? I dettagli sono sempre importanti, mia cara. Era una cosa piacevole e consensuale?
LA CUOCA -- Se è per questo non immagina quanto, signora contessa. Tra l’altro conosceva tutte le tecniche: quelle orientali e quelle occidentali; dalla a alla z.
ZIA BERENICE - Ed era un fantasia?
LEANDRO – Non era un fantasma donna!
LA CUOCA – Certo che non era un fantasma: era un sogno, nient’altro che un sogno. Io non permetto a nessuno di abusare di me, neanche ai fantasmi! specialmente nella mia camera da letto; neanche il solo toccarmi. Però, stia attento signor Leandro, il suo maggiordomo la sta’ strumentalizzando per interessi personali.
PIETRO – Chiedetele invece, signore, se con quest’uomo/fantasma ha avuto rapporti carnali profondi non naturali o, comunque, al di la’ del quotidiano, ricordandole che in caso di falsa confessione le sarà bollito il cervello. (Leandro si avvicina minacciosamente a Pietro) Sono pronto a scrivere, signore.
LEANDRO -- Maledetto!! (Sta per aggredirlo)
IL CONTE -- Bene Amleto. Bene. Si vede proprio che la parte ce l'hai nel sangue, ormai. Andate voi, presto! Ora, affinché io ti possa applaudire in anteprima, produciti in in un monoloco ardito e forte. Forza, appunto, e non ti far vincere dall’emozione, che poi non è da te, Leandro.
LEANDRO -- "Essere o non essere, questo è il problema." (rivolgendosi di scatto a suo padre) - Chi è Ofelia padre? -
IL CONTE -- Cosa hai detto?
La zia Berenice esce di scena con atteggiamento di estrema indifferenza.
LEANDRO -- "E' forse più nobile soffrire nell'intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna... (c.s.) - Ho già saputo chi non è. - ..."o imbracciar l'armi, invece, contro il male delle afflizioni e combattendo contro di esse, metter loro un fine?" (c.s.) - E chi sono io?? -
IL CONTE -- Ma che cosa dici, Leandro?
LEANDRO -- E' un sussurro forte. Chiaro! Svetta alto su tutte le vostre voci. Chi sono io?
IL CONTE -- Non lo sai? Non sai più chi sei!?
LEANDRO -- Forse siamo sulla strada giusta. Allora, dimmi padre!
IL CONTE -- Ma che cosa?
LEANDRO -- Rispondimi, te ne prego: (uscendo) Sono figlio di un perfetto ambasciatore o di un puttaniere travestito?
IL CONTE -- Cosa? Abbi almeno rispetto per chi ti ha messo al mondo, curato e cresciuto, Amleto! Eee... Otello. Edipo..!? Ooohh!!... Guglielmo! E va al diavolo, Leandro!
Esce il conte, seguito da Leandro
LEANDRO -- Solo questo ti chiedo o padre: Anch'io sono un conte travestito o invece un perfetto figlio d'ambasciatore? O meglio ancora? .... O meglio ancora? ....
FINE SECONDA SCENA
TERZA SCENA
Entra Ginevra, e si nota chiaramente che è piena di apprensione
GINEVRA -- Pietro!
Pietro entra in scena con velocità
PIETRO -- Desidera, signorina?
GINEVRA -- Sono ore che ti chiamo.
PIETRO -- Le garantisco....
GINEVRA -- Come mai questo silenzio?
PIETRO -- Non c'è nessuno. Sono tutti nelle loro stanze.
GINEVRA -- Nessuno?
PIETRO -- Nessuno.
GINEVRA -- Nessuno, nessuno??
PIETRO -- Nessuno, nessuno.
GINEVRA -- Nessuno, nessuno, nessuno??
PIETRO – Ness…? Posso controllare se.... (comincia a cercare sotto il tavolo)
GINEVRA -- Pietro, rispondimi!
PIETRO -- Con piacere, signorina Ginevra.
GINEVRA -- Noi.... (pausa) dico io e te, siamo fratelli?
PIETRO -- Prego?!
GINEVRA -- Noi non lo siamo. No, no, noi no. Vero? Non sembri molto sicuro di te, Pietro.
PIETRO -- Come?
GINEVRA – Noi non siamo fratelli, assolutamente. Eppure ...
PIETRO -- Ma di che cosa stiamo parlando?
GINEVRA -- Eppure non ci amiamo. Non capirmi male. Tu sai quello che voglio dire?
PIETRO -- Sempre, contessina. Qualche volta. Oggi assolutamente no!
GINEVRA -- Ofelia è viva ma Amleto è morto. Amleto è morto, Pietro.
PIETRO -- Certo. Tuttavia questo è successo tanto tempo fa. Almeno credo.
GINEVRA -- Cosa dici? Amleto morirà, morirà sempre, sempre. Sempre! Ofelia annega o non annega egli muore. Amleto morirà comunque; sempre. Sai, Pietro, volevo riscattare, sinceramente, quest'uomo. L’ho desiderato da quando ero bambina. Tu puoi dirmi la ragione? Te la dico io. Perché io stessa ero a condannarlo. A condannarlo, capisci; senza pietà. Povera Ofelia, mi dicevo, pur amata....
PIETRO -- Ma, se permette signorina, queste sono solo invenzioni letterarie: prodotti di fantasia. Qualcosa che uno scrittore ha creato per divertirsi a modo suo.
GINEVRA -- Non lo nego. Tuttavia quello che per te può essere un nulla, solo un grano di polvere, per altri, avendolo vissuto nella solitudine della loro piccola e indifesa infanzia, potrebbe essere molto di più: gli resisterà dentro; sopravvivendogli, per il resto della loro esistenza. Sono solo esperienze Pietro, solo esperienze? Ma che cos'è la vita stessa, la tua, la mia, quella di milioni di miliardi di altre persone, se non una concatenazione di calvari di esperienze?! Infine queste cose, che non passano mai, e fanno male o bene non importa, costituiscono la nostra stessa realtà perché, sai, il nostro amore ci abita, ne promuove ogni garanzia di perfetta efficacia; ne fa’ la sua imperitura dimora.
PIETRO -- Soprattutto quando non ne abbiamo una nostra, signorina.
GINEVRA -- O sii! Ma tu non sai come questo momento, come quelli che son passati e anche quelli che verranno, hanno per me vera consistenza di incubo. E’ un sogno sgradevole e mortale a volte, sublime e magnifico, altre. Questo tempo non lo penso affatto mio: vorrei che passasse al più presto; perché vi riconosco il macigno che mi grava e, schiacciandomi, vanifica ogni mio respiro; vanifica la mia essenza. No, tutto sommato… non lo fa’. O meglio… lo fa’! Ma quando? E fino a che punte? E in quale delle tue mille dimensioni? E allora qual è la via di scampo? Come si fa’ a vivere sapendo che a pochi metri da te qualcuno uccide i tuoi sogni, quelli dei tuoi cari, degli altri, i tuoi figli, i propri figli, la dignità di ogni persona, solo per qualche lira in più, per un po' di potere in più, per la sublime schifosa vanità della propria gloria e codardìa? Questa è la realtà di cui tu parli?
PIETRO -- Si. No! Voglio dire che lei adesso esagera un tantino. Infine io, sulla realtà, non mi sono ancora espresso, se lei permet…
GINEVRA -- Taci. Taci! poiché, "infine", il mondo andrà avanti anche senza di me, per quel poco che andrà avanti, mentre io non posso continuare senza la mia anima. Così io, in quest’istante, sono la più morta di tutti.
PIETRO -- La prego, non parliamo di morti, oggi. Il solo pensiero mi da’ la nausea, e lei, con tutto il rispetto, ha avuto una brutta idea a darmi la parte del becchino. Inoltre ha una non perfetta cera, signorina Ginevra. Non vorrei che avesse confuso realtà e finzione nel sonno di Ofelia. Questa faccenda di Amleto non riguarda lei, signorina. Non ha niente a che vedere con la sua vera vita privata.
GINEVRA -- Pietro, se tu sapessi. Quando uno spettacolo finisce, anche se lo si replica mille volte, ti lascia libero e tu ti ritrovi a vivere. Ma questa nostra vita su questo maledetto piccolo pianeta quando ti abbandona? quando ti lascia libero di tornare alla tua vita vera, Pietro? Guarda: molti continuano a dormire.
PIETRO -- Meno male, signorina. Voglio dire: si riposano.
GINEVRA -- No: lasciano soltanto che gli assassini continuino ad ucciderci, ad ingrassarsi con il nostro sangue, ormai infetto. Siamo votati alla catastrofe, Pietro.
PIETRO – (preoccupato) Santo cielo! Ma lei non…
GINEVRA – E’ in arrivo una cometa assassina che frantunerà la terra in mille pezzi, Pietro!
PIETRO – (disperato) Dio Santo noo!! Non è possibile... Ma… non mi dica che lo ha sentito al telegiornale, sign…
GINEVRA -- Allora ascolta ciò che è accaduto a me: mentre io, in buona fede, costruivo questa nave, (indica il proprio corpo) e avevo l'illusione che venisse su bene, (esegue un minimo e limitato spogliarello nella parte superiore) perfetta, funzionale, sicura.... inaffondabile; le strutture del mio corpo animico marcivano, si svuotavano, si annichilivano; il sentimento della morte si infiltrava e mi fecondava a piene mani. Così, lottando per la vita, edificavo serenamente (con forza) la mia bara. E non lo sapevo.
PIETRO -- Si comprano anche già belle e fatte. Mi scusi, ma, se mi permette.... Sarebbe meglio che si rivestisse… Quando lo ha saputo?
GINEVRA – Di che cosa?
PIETRO – Della sua bara.
GINEVRA – Qualcuno della mia stessa carne operava contro di me, attraverso le mie mani, le mie scelte; la mia mente. Però da una simile prigione dobbiamo pur essere sicuri di poterne uscire, no!? magari da un momento all'altro. O chi ci ha fatto ci ha voluti prigionieri e cadaveri, cadaveri e prigionieri in eterno, bestie da esercizio, a passeggio liberamente per le vie del mondo?
PIETRO -- No. Voglio dire che, forse.... Non credo... Guardi, io di tutto questo casino non ne capisco un … un .. (con ritrovata calma) un nulla signorina Ginevra.
GINEVRA -- Anch’io non lo credo. Chi non ci libera non è meno mortale del peggior nemico. E infine la mia non è complicità, forse, in questo crimine?
PIETRO -- Detto pensiero mi sembra eccessivo, contessina. Io la chiamerei prudenza. Prudenza. E non c’è nulla di male ad esser prudente. Si, perché questi cadaveri che se la passeggiano liberamente, dico, oltre a dare un brutto spettacolo di se, potrebbero anche essere pericolosi; e non poco. Fare contro di noi quello che gli pare: "Tanto - essi diranno - che ci vien meno? Che ci costa? siamo già morti." Ha capito? Ha capito, signorina Ginevra?
GINEVRA -- Scusami. Ti sto obbligando ad ascoltare inutili lamenti. Lo so che per capire la realtà di un altro bisognerebbe solo essere al suo posto. Ma come si fa’ a stare al posto di gente che viene fatta ammalare, dilaniare, ardere, stritolare? Come si fa’ a stare nei panni di milioni di madri che assistono alla morte per fame dei propri figli, tra le loro stesse braccia. Morti progettate, volute, desiderate. Tu saresti capace di stare al loro posto?
PIETRO -- (si asciuga il sudore) Vorrei tanto aiutarla.
GINEVRA – Pietro, stai capendo qualcosa di quello che vado dicendo?
PIETRO – Io capisco sempre tutto quello che lei vuole. Desidera altro?
GINEVRA -- Rispondi: Chi dice che una cosa è impossibile?
PIETRO – Una… Bèh, certo… Non capisco! (sorpreso e disorientato)
GINEVRA -- Perché una cosa è impossibile e un'altra no? (c.s.) Chi lo decide? Svegliati ragazzo. Ti hanno rubato le tonsille e tu dormivi.
PIETRO -- Chi è stato?
GINEVRA -- Da quanti anni sei qui?
PIETRO -- Forse....
GINEVRA -- Da sempre. Eppure tu non sei il padrone di questa casa.
PIETRO -- Se ne è accorta anche lei, sig....!
GINEVRA – E non lo sarai mai.
PIETRO - Ma non è nei miei pensieri, contessina.
GINEVRA -- Da un momento all'altro potrebbe capitare qualcosa e tu, forse, saresti costretto ad andartene senza dire una parola.
PIETRO -- In che senso, signorina.
GINEVRA -- Ti dispiacerebbe; ne soffriresti moltissimo, ma lo faresti. Tu lo faresti. Petro, io da domani comprerò nuovi orizzonti per me e vecchie tombe per altri. (lo accarezza teneramente sulla guancia)
PIETRO -- Se dovesse voler proprio pensare anche a me la pregherei per una non usata, anche se molto economica, grazie.
GINEVRA -- Come ti pare. Ma perché pensi già alla morte? Ora pensiamo solo allo spettacolo, mi raccomando.
PIETRO -- Sarò perfetto nella parte, come da manuale.
GINEVRA -- Addio Pietro.(esce)
PIETRO -- Stia attenta, e ben si guardi dai nemici; dico quelli in scena. (si lascia andare stancamente sulla sedia)
FINE SCENA TERZA
SCENA QUARTA
Profondo silenzio, poi, all’improvviso, rumori di ferri, grida e imprecazioni
femminili fuori scena: Carmen e Ginevra irrompono duellando con bastoni.
Pietro fugge terrorizzato.
GINEVRA -- Ti ucciderò come si uccide un pollo dopo averlo spennato. Prendi!
CARMEN -- E io ti trapasserò da parte a parte. Ululerai alla luna come il più disperato dei lupi, maledetta.
Sulla porta di servizio compare Pietro, ha un vassoio con molte posate, osserva
quello che accade e subito di nuovo scompare dietro le quinte.
GINEVRA -- Prova ad affondare i tuoi colpi, se hai coraggio.
CARMEN -- E tu prova a difenderti, se puoi. Toccata!
GINEVRA -- Di striscio, strega! ma io ti spezzerò il cuore.
CARMEN -- Non ci riuscirai.
GINEVRA -- Hai ragione: lì dentro c'è un sasso.
CARMEN -- Salvati da questa.
Ricompare Pietro con un vecchio elmetto militare, ed entra in scena
GINEVRA -- E tu da quest'altra. (la stoccata colpisce il vassoio)
CARMEN -- I tuoi trucchi non mi fanno paura, iena.
GINEVRA -- I miei trucchi?
Pietro è chino a raccogliere le posate
CARMEN -- Io non ho paura di te.
GINEVRA -- No?? (lascia cadere il bastone) Allora ti sparo. (estrae una pistola)
CARMEN -- (prende da dietro Pietro per i capelli gli stringe il bastone alla gola) Se provi a fare una cosa del genere gli stacco il collo.
GINEVRA -- Fatti sparare Pietro. Cercherò di colpirti in qualche parte non vitale e sarai subito curato dai miei migliori dottori; così abbatteremo la bestia.
PIETRO -- Tutti i miei punti sono mortali.
GINEVRA -- Non fare il difficile: io ti voglio bene, ti amo, addirittura, ma fammela uccidere.
CARMEN -- Stai attenta che gli apro la gola, anch'io lo amo.
PIETRO -- Vi prego, odiatemi con tutto il cuore.
GINEVRA - C’è sempre una causa superiore che ci chiama a rinunciare alla nostra vita per il bene comune.
CARMEN - Pietro, se ti fai sparare sei un traditore.
GINEVRA - Se ti fai sparare ti regalo un miliardo.
PIETRO - Ha disinfettato le pallottole almeno, stamane, contessina?
Entra in scena la zia Berenice
ZIA BERENICE -- Cosa sta succedendo? Pietro spiegami immediatamente perché sei in quella posizione?
PIETRO - Ebbene...
ZIA BERENICE - Allora, Pietro?!
PIETRO - Non so che cosa....
ZIA BERENICE - Muoviti a darmi una spiegazione accettabile, altrimenti....
CARMEN -- Pensa alla tua gola.
GINEVRA -- Sappi che posso uccidere una mosca a cento metri garantiti.
PIETRO – Una spiegazione accettabile? Ebbene signora contessa io stavo apparecchiando la tavola, - facevo il mio dovere - quando all'improvviso sono entrate queste due.... queste due ragazze. Immediatamente un terribile raptus erotico si è impossessato di me. Stavo per aggredirle, ma qualcosa mi ha dato la forza per gridare e avvertirle del pericolo. Ecco, loro si stanno difendendo.
ZIA BERENICE -- Ragazze, ma che diamine. Posate quei ferri e rilassatevi. Era certamente uno scherzo. Quest'uomo non potrebbe fare del male ad una mosca. Me l'ha confidato lui.
PIETRO -- Grazie signora.
ZIA BERENICE -- Non è roba per lui, anche se glielo chiedeste supplicandolo. E' impotente, vero Pietro?
PIETRO -- Non occorre difendermi fino a questo punto signora.
ZIA BERENICE -- E' un uomo di fiducia. Non è un uomo ... Non è un uomo!
GINEVRA -- (Porgendogli la sua pistola) Pietro, quello che devi fare fallo presto.
Ginevra esce confabulando amichevolmente con Carmen, che la segue
abbracciandola dopo aver dato un’affettuosa pacca sulla spalla di Pietro.
ZIA BERENICE -- Pietro, poi faremo i conti anche per questo. Ma se io fossi in te mi sparerei; che codardo. Ora, però, non perdiamo tempo, presto! Presto Pietro!! (Pietro si porta l'arma alla tempia) Fai sistemare a qualcun altro qui e tu va in fretta dove devi andare, presto! Quello che devi fare fallo presto. (la mano di Pietro comincia tremare) Qui la situazione precipita. E non giocare con quel giocattolo!!
Pietro esce di scena
VOCE DI GINEVRA FUORI SCENA – Guarda che è carica, Pietro!
PIETRO – Ahhh!!
ZIA BERENICE – Che diavolo…?
Colpo di pistola fuori scena: Pietro rientra in scena con la pistola in mano.
PIETRO -- E' partito un colpo signora.
ZIA BERENICE -- Idiota. L’ho sentito! Ebbene?
PIETRO -- Che cosa "è bene"?
ZIA BERENICE – Non ho detto questo. E' successo nient'altro?
PIETRO -- Si!! Credo di aver imparato a mettere la sicura.
ZIA BERENICE -- Bravo. (con estrema violenza) Ma adesso levati dalle scatole e accompagna quell'affare da un'altra parte. Grazie!
PIETRO -- Ai vostri ordini.
Pietro esce di nuovo
ZIA BERENICE -- Non se ne salva nessuno. Specialmente quell’imbecille del maggiordomo. Prima che succedesse questo macello stavo pensando a qualcosa. Ma a che cosa? Ecco… Ecco, ora ricordo…
Altro colpo di pistola: dopo qualche secondo Pietro rientra in scena c.s.
PIETRO -- (mentre parla le punterà spesso, tremando, l’arma sulla faccia) Non era la sicura. Può metterla lei, la sicura?
ZIA BERENICE -- (Esasperata, cercando di spostare la testa mentre Pietro la terrà comunque sotto tiro) Pietro, maledizione....
PIETRO - Io non ho fatto neanche il militare per via del terrore che le armi mi procurano al solo vederle. La scongiuro, mi tolga questa mostruosità dalle mani, o almeno metta lei la sicura.
ZIA BERENICE - (sempre più esasperata) Mettiti la sicura in testa, piuttosto; e vai dove ti mando spesso!
PIETRO – Non so se ho capito bene…
ZIA BERENICE – Vacci, vacci, Pietro! una buona volta!!
FINE PRIMO ATTO
(Canto) OFELIA
Ginevra
O heat, dry up my brauns! Tears seven times salt,
Burn out the sense and virtue of mine eye! –
By heaven, thy madness shall be paid by weight,
Till our scale turn the beam. O rose of May!
Dear maid, kind sister, sweet Ofhelia! –
O heavens! Is’t possible a young maid’s wits
Nature is fine in love, and where ‘tis fine
It sends some precious instance of itself
After the thing it loves.
ATTO SECONDO
SCENA PRIMA
Sulla scena tre sedie disposte in obliquo di fronte ad una pedana ben illuminata
prospiciente la colonna. Il resto dell'ambiente è nella penombra. Entra in scena la
cuoca portando con se una sedia.
LA CUOCA -- Questa faccenda è quanto di più curioso e privo di senso a cui io abbia mai assistito in vita mia. Non ne capisco la ragione, non ne vedo la necessità. Ma se pure ci sono non mi possono interessare, in nessun caso. Perché poi io? In fondo sono una cuoca. "Esoneratemi, per favore" Ho detto. "Tu sei il pubblico per eccellenza". Mi ha risposto la signorina Ginevra. "Devi onorare il tuo dovere e la tua missione altrimenti, come il sale che ha perduto ogni sapore, sarai gettata nella polvere o data in pasto alle formiche." "Mangeranno per un secolo!" ha controbattuto la matrona blasonata. Maleducata! Ma dove scappano tutti? prima o poi li avveleno! "Questo serve al tuo vero nutrimento." Ha aggiunto la zia rompiballe. Nutrimento? Ecco di che cosa si nutre lei: di veleno, e allora penso che il peggiore dei miei le farà solo da digestivo, doppiamente maledetta!! E a questo punto gli ho detto che pane e prosciutto mi piace molto di più di queste ridicole messe in scena, pure se il piacevole sapore dell’insaccato dura solo fino a un secondo dopo aver inghiottito l’ultimo boccone. Amleto? lo odio! Anche se non so chi cavolo sia. E non vedo la ragione per cui io ci debba averci a che fare. La mia vita cambierebbe di una virgola con la sua conoscenza? Se mi potesse sposare, e assicurarmi che so’? Una bella casa, un sacco di soldi, un po’ di prestigio; una villetta al mare e un’altra in montagna. Una vacanza per ogni stagione. Ecco, si, forse.... Ma se è solo un bell’uomo; anche se ben educato e raffinato, buono di cuore e ricco di tutte le virtu dello spirito e dell’intelletto.... ce lo sbattiamo allegramente.
Entra in scena Carmen
CARMEN -- A che ora inizia lo spettacolo? Per un attimo ho avuto la tentazione di pagare il biglietto.
LA CUOCA -- (allungando la mano) Se proprio insiste...
CARMEN -- Senti, buona donna, ha saputo qualcosa di più di Amleto?
LA CUOCA -- (al culmine della propria pazienza) Signora avvocatessa, adesso basta! Con tutto il rispetto, eh!? Io sono una cuoca e non capisco un tubero di aritmetica, m'interesso solo di cucina, e forse, per non rimanere proprio zitella, se non trovo di meglio, sposerò un maggiordomo, il quale negli ultimi tempi è stato anche promosso, a mia ulteriore beffa, becchino nonché pagliaccio. E' vero che non ho sentito ancora cattive voci sul suo conto, però è tutto da verificare poiché, anche se in giro non si trovano facilmente polli ben disposti al matrimonio, non possiamo rischiare di rovinarci l’esistenza con qualche animale, come lei potrebbe ben insegnare. Conosco dei barristi, dei pizzicagnoli e qualche vigile, se lo vuole sapere, ma Amleto, signora mia bella, non lo conosco. Non lo conosco! Non lo conosco affatto. E non ho nessuna intenzione di perdere tempo ad informarmi sul suo conto. Dobbiamo ammettere, comunque, che da qualche giorno qui dentro se ne sente parlare spesso, ma a vederlo, toccarlo e annusarlo neanche per idea. Al di là di ciò io non so’ assolutamente, e ripeto assolutamente, chi sia questo gran figlio di buona donna.
Entra in scena il conte
IL CONTE -- Avvocato mio, in questa penombra sei ancora più bella. Non so’ se sono le perle a illuminare il tuo volto o quest'ultimo a oscurare le prime.
LA CUOCA - E anche stamane, caro signor conte, ci siamo dimenticati gli occhiali.
CARMEN -- Giacomo, sono riuscita a parlare con Ginevra e ho capito anche le sue ragioni.
IL CONTE -- Brava. (la cuoca esce) E’ una delle peggiori cuoche che la mia famiglia abbia mai avuto. Le sue ragioni?? E con questo? E con questo?? Forse che io non possa avere mille ragioni in più per farmi comprendere? Il mondo è quello che è, e quasi tutte le nostre azioni sono determinate da ben diverse componenti che quelle teoriche. Ciò che appare, raramente coincide con ciò che è; tanto che quando, miracolosamente, qualcosa di puro e cristallino ci passa fra le mani, noi lo lasciamo cadere: non riusciamo più a credere vero niente se non i nostri meri preconcetti. Hai presente i grandi introiti?
CARMEN -- Ginevra è molto giovane: non può.
IL CONTE -- Può!! Può, perché deve! Può perché non ha altra scelta. Non ha altra scelta perché così dev’essere. Come ho dovuto io; come ha dovuto mio padre. Deve come devi anche tu. Non siamo liberi; se non nella nostra illibertà. Niente di più facile che sacrificare la libertà di molti per il piacere di noi pochissimi, e non sempre solo quella, mia cara. Vedi, dolce fanciulla, più siamo schiavi e più vogliamo potere; più abbiamo potere e più ci accorgiamo di essere determinati. In realtà non ci resta che non sbagliare. O meglio; sbagliare il meno possibile, meglio ancora non sbagliare sbagliando, anche sapendo che, inevitabilmente, sbaglieremo sempre, sempre! Ginevra, Leandro, mia sorella Berenice ed io, faremo ciò che deve essere fatto, senza meriti e senza colpe.
CARMEN – (pausa) E il libero arbitrio?
IL CONTE - E’ una cosa che a noi ricchi non serve più. Oppure ci fà paura?! Potrebbe anche darci dei grossi problemi, sai. Infine, c’è a chi piace e a chi no.
Pietro in scena, mezzo truccato
PIETRO -- Tra qualche minuto, signori, inizia lo spettacolo.
IL CONTE -- Grazie Pietro.
Pietro esce.
CARMEN -- Senza colpa, dunque.
IL CONTE -- Avvocato, ora ti faccio una confidenza: Ginevra è figlia a Berenice.
CARMEN -- Tua e di Berenice? (con orrore)
IL CONTE -- Ma no. Per carità, avvocato?! Due mostruosità in una non è da me. Di Berenice!!
CARMEN -- Clonazione?!
IL CONTE – No, no, no! Sarebbe anche peggio; Dio ce ne liberi! E anche di qualcuno del quale mia sorella non ricorda più il volto, ormai. L'ho saputo da poco. Vedi, oltre venti anni fa’ sono stato ambasciatore in Danimarca e in quegli anni con me c'era anche lei: la mia amata sorella. Mi sento leggermente male ogni volta che la chiamo sorella. Poi avvenne che io fui trasferito, mentre lei vi restò. E non ci vedemmo da allora, fino a quando la disgraziata se ne tornò qui a Roma. Un bel giorno si è presentata con una bambina di due anni. Mi disse che la piccina era la figlia di suoi amici morti, purtroppo, cadendo per le scale di casa. E così, era tanto dolce e cara; la bambina! ce la siamo tenuta. Che cara! Chi avrebbe mai potuto pensare ad una tale, nefasta, maternità? Così tutto andò bene fino a qualche anno fa, quando Leandro, al ritorno dall'Inghilterra, dopo sei anni di studi, si trovò al cospetto di un bel pezzo di.... di "fanciulla": praticamente donna, con tutto il bagaglio giusto ai posti più che giusti. Ed essendo egli figlio di tal genitore puoi capire il resto Io non mi accorsi di nulla, perché ormai per me queste acque, anche se abbondantissime, sono passate. Ma il guaio è che, invece, lo capì la megera, ai cui occhi di rapace sanguinario nulla sfugge. E una sera, il mostro, mi prese in disparte e mi disse: "Giangiacomo, caro....
CARMEN -- E tu le hai creduto?
IL CONTE -- Contro questa medusa non ci sono antidoti. Con una voce da serpente del paradiso terrestre continuò:"Amato fratello, ecce. ecc.....Ginevra… è tua figlia, e tu devi riconoscerla per tale. Non puoi non farlo, dato che ti è negata ogni altra via". Lei sapeva di tutte le mie amanti.
CARMEN -- Erano molte?
IL CONTE -- Quante ne sono state necessarie. Comunque mi convinse, e durante la nostra festa di famiglia, che ogni anno diamo in onore dei nostri più agguerriti nemici, e nella quale, a sorpresa, annunciavo il lieto evento, cioè che Ginevra era veramente mia figlia e che la riconoscevo ufficialmente per tale.... - Ripeto, io non sapevo di ciò che c‘era tra i ragazzi, e che era alla base della necessità di questo pubblico riconoscimento, molto indotto - Ginevra svenne, e Leandro, dopo l'ospedale, fummo costretti a trasferirlo in una clinica. Infine oggi vengo a scoprire che Ginevra non è mia figlia, affatto, ma semplicemente mia nipote.
CARMEN -- Mostruoso.
IL CONTE -- Con Berenice non c'è mai nulla che non lo sia: minacciandomi di un ulteriore e più grave pubblico scandalo è riuscita a neutralizzare qulsiasi altra mia reazione. Non sai quanto ho imparato da lei per la mia professione di diplomatico. Altrimenti perché sopporterei la sua perfida presenza?
Rientra portando con se un piccolo tavolinetto
LA CUOCA -- Scusate. Adesso siamo quasi al completo. (esce di nuovo)
IL CONTE -- Ecco, invece, una presenza che non riesco a digerire, nessuna possibile ragione la giustifica. Avvocato mio, non assisto ad uno spettacolo di prosa da anni. La mia nipote-figlia da bambina era un vero artista in queste cose. Ma ha avuto sempre il difetto di mettere su le sue invenzioni in momenti per nulla opportuni.
CARMEN -- Non ci giurerei questa volta, signor conte.
IL CONTE -- Tu dici!? E allora vediamo se finalmente ci divertiamo.
La cuoca rientra ancora e porta con se un vassoio di patatine croccanti, che
depone sul tavolinetto davanti alle poltroncine.
LA CUOCA -- Ci può giurare, Eccellenza!
Il conte la osserva con sofferenza. Entra anche la zia Berenice e, in perfetto
silenzio, si porta ad un lato della scena.
Ora sì che siamo al completo.
Dopo qualche attimo appare, dirigendosi verso la pedana, Ginevra. Applauso
d'apertura del piccolo pubblico, ancora in piedi per la sala, e commenti a
soggetto. La zia Berenice resta impassibile.
GINEVRA -- Prendano posto i magnifici signori di questo nostro pubblico, - ecco, così, bravi! - perché lo spettacolo va’ ad incominciare. Davanti a voi si aprirà un sipario di suoni e luci, e parole e canti; quale dolce diletto in un giorno intriso di tormento. Di Amleto vi daremo un saggio; della sua avventura un piccolo raggio. Pochi tratti, ahimé, ma in verità eccelsi: vivi, vivi; più vivi della vita stessa. Vedrete i becchini a lavoro tra le tombe e le lapidi affollate; Amleto immortale,
principe Erinni; poi verrà Ginevra, vostra umile ancella: unica vittima sacrificale, vergine e olocausto. Un applauso a incoraggiar gli attori: evoluzioni anch’essi di anime antiche. E a voi, o magnifici e incalliti giocatori di un’infame partita che non ha mai fine, ecco l’azione, ecco l’evento. (esce)
Tutti applaudono
IL CONTE -- Brava! Non ho capito le ultime parole.
LA CUOCA -- Chi parla muore, di questi tempi.
IL CONTE -- (alla cuoca) E non immagini ai miei, di tempi, piccola creatura.
(A Carmen) Questa, per me, è soltanto l’evoluzione di una capra.
Si abbassano completamente le luci nella scena. Musica. Nuove luci sulla pedana.
Entra in scena Pietro perfettamente truccato e con una pala.
PIETRO -- Permettete signori? Dovendo scavare si disperderà nell'aria della polvere. Informo pertanto il nostro amato pubblico che non essendoci altro attore disponibile sono stato costretto a fare doppia parte. Posso procedere, eccellenza? (il conte fa un gesto di assenso) Grazie! (mima due becchini dei quali, sulla pedana, uno scava e l'altro osserva. Inizia l'osservatore).
1°-- Ti voglio fare una domanda, compare.
2°-- (lavorando furiosamente con la pala) Vai, che oggi sono in forma.
1°-- Chi edifica in modo più duraturo: il muratore, il costruttore di navi o il falegname?
2°-- Colui che innalza le forche, perché quella fabbrica sopravvive a migliaia di inquilini.
1°-- Il tuo spirito mi piace, le forche vanno proprio bene. Ma in che modo vanno bene? Vanno bene per quelli che fanno male.
ZIA BERENICE -- (rompendo il silenzio) Maledizione. Non ci capisco nulla. Con chi sta parlando?
IL CONTE -- Con se stesso. Sono due becchini in uno.
LA CUOCA -- Due in uno?!? Questo non me lo aveva detto. (mangia rumorosamente) Col cavolo che me lo sposo.
PIETRO
1°-- E' chiaro che sbagli nel dire che le forche sono edificate in modo più duraturo delle chiese. Ergo, la forca potrebbe andar bene per te. Quindi rispondimi in modo corretto.
2°-- Per tutte le stelle del firmamento, che ora non te lo so dire!
1°-- Avanti, provaci.
2°-- Corpo di mille diavoli, non me lo ricordo più.
1°-- Sei proprio un somaro. Te lo dirò io e dopo andrai a prendermi un boccale di birra: "il becchino!". E sai perché? Perché l'abitazione che edifica lui sta in piedi fino al giorno del giudizio.
ZIA BERENICE -- Ehi!! Becchini! Questa storia andrà avanti così per molto?
PIETRO -- Sono rimasto solo, signora contessa zia. Quando verrà il mio compare berremo una birra, finiremo il lavoro e andremo via.
Leandro entra in scena con solennità.
LEANDRO -- Di chi è questa tomba, buonuomo?
PIETRO -- E' mia, signore.
LEANDRO -- Credo bene che sia tua perché ci stai dentro.
PIETRO -- Voi ne restate fuori, signore, e perciò non è vostra. Per parte mia, io ancor non giaccio nella fossa, eppure è mia.
LEANDRO -- Ebbene tu menti lì dentro, mentre ci stai e dici che è tua. E' per i morti e non per i vivi e quindi tu menti.
PIETRO -- Chi vuole che non menta di questi tempi, signore?! Tuttavia almeno la mia è' una menzogna viva, e se ne fuggirà da me per venir da voi.
LEANDRO -- Per quale uomo stai scavando?
PIETRO -- Per nessun uomo, signore.
LEANDRO -- E per quale donna, allora?
PIETRO -- Per nessuna.
LEANDRO -- Chi dev’essere seppellito lì dentro?
PIETRO -- Qualcuno che era una donna ma, pace all'anima sua, adesso è morta.
LEANDRO -- Quant'è meticoloso questo furfante! Dobbiamo parlare secondo le regole, ché altrimenti le ambiguità avran ragione di noi. Ho potuto osservare che in questi ultimi tempi il secol nostro si è fatto così raffinato che l'alluce del bifolco s'approssima di tanto al calcagno del cortigiano da grattargli i geloni. Da quanto tempo fai il becchino?
PIETRO -- Fu proprio il giorno che è nato il giovane Amleto, quello che è pazzo e che è stato mandato in Inghilterra.
LEANDRO -- Ah, perbacco! E' stato mandato in Inghilterra?
PIETRO -- Mah, perché era pazzo, lì potrebbe ritrovare il senno smarrito: che se poi non lo ritrova, non ci fanno gran caso.
LEANDRO -- E perché?
PIETRO -- Ma perché non se ne accorgeranno. Là son tutti pazzi come lui.
LEANDRO -- E come lo sono diventati?
PIETRO - Dopo aver fatto mangiare pecore alle mucche.
LEANDRO - Mentre prima non lo erano?
PIETRO - Lo erano di certo, signore: chi avrebbe mai fatto una cosa del genere?
LEANDRO -- Interessante. E Amleto come è diventato pazzo?
PIETRO -- Semplice: perdendo il senno.
LEANDRO -- Questo si, che è interessante. E per quale ragione perse il senno?
PIETRO -- Non lo sapete? Diventando pazzo, signore. (Pietro mima di ascoltare qualcuno che gli parla all’orecchio)
IL CONTE -- Questo lo farebbe perdere anche a me il senno.
PIETRO -- (con apprensione) Devo comunicarvi, signore, che questa tomba non è più per Ofelia.
LEANDRO -- Ho sbagliato becchino?
PIETRO -- No, signore. E’ solo che il mio compare, di ritorno dall'osteria, ha riferito proprio in questo istante di aver saputo che Ofelia è viva.
CARMEN -- Ma no, no! ma che dice? a questo punto Ofelia è morta, essendo ella ben annegata nel fiume.
PIETRO -- Così doveva essere, milady, infatti- non perché noi lo desiderassimo, che Iddio ce ne liberi, -, ma perché pazza anch'ella. Infatti! Ma avendo seguito con profitto un corso estivo di stile libero e tuffo dal trampolino la poverina si è salvata allegramente.
LA CUOCA -- Come sono contenta, "infatti".
PIETRO -- C'è poco da esserlo, "invece". Adesso la parte che avevo imparato non serve più. Io non servo più! (esce gettando con sdegno la pala a terra) Per la prima volta in vita mia mi sento inutile.
ZIA BERENICE -- Bene, bravi. Un applauso. Era ora.... Ora possiamo anche andarcene.
Ginevra entra in scena velocemente
GINEVRA -- No! Fermi, signori, poiche è in questo istante che inizia il vero spettacolo. Ofelia viva costringerà Amleto a vivere, e Amleto vivo, guardandola bene in faccia, potrà perdonare sua madre.
LEANDRO -- Che dici Ginevra?
ZIA BERENICE -- Ma che deve dire: è pazza. E’ pazza anche questa. Ed è per questo che il buon Shakespeare, giustamente, è stato costretto a farla annegare.
IL CONTE -- Mi hanno detto che il barbagianni è la figlia del mugnaio.
ZIA BERENICE -- Gian Giacomo, non dire corbellerie.
IL CONTE -- E' l'unico brano dell’Amleto che ricordo. Nel ‘47 mi fece crepare dal ridere.
LA CUOCA -- Silenzio! Non cucinerò per una settimana intera se qui non si risolve il problema.
IL CONTE – Giusto!…? Ma di quale problema parli, o infelice creatura?
ZIA BERENICE -- Io vado a casa.
LEANDRO -- (sguaina la spada) Non un passo, o ti decomporrai prima di entrare nella fossa, donna.
GINEVRA – E invece non lo farai! perché potresti scoprire mille ragioni per farlo ma anche mille e una per non farlo affatto.(al conte) Maestà, perdonate la vostra serva, ma devo correggere il tiro al mio signore: la vostra spingarda spara in basso.
ZIA BERENICE – Se è per questo ha le polveri ammuffite da un bel pezzo ormai, mia cara.
GINEVRA - Il barbagianni non è la figlia del mugnaio ma del fornaio.
IL CONTE -- (a Ginevra) Non ricordavo bene, figliuola. (a zia Berenice) Quale è il tuo problema, sorella?
ZIA BERENICE -- (al conte) Per favore, vecchio macinino.. (a Ginevra) E finiamola con queste stupidità.
CARMEN -- Non lo sono! Non sono stupidità! Filologicamente la corretta interpretazione di un testo è basilare, E Amleto è un’opera fondamentale per la nostra cultura.
ZIA BERENICE -- Quindi è importante anche sapere se il fantasma del padre era peloso; se la madre di Amleto aveva le pulci e Ofelia fosse sofferente di gonorrea?! E poi a te, avvocato, nessuno ha chiesto nulla.
IL CONTE -- Sorella carissima...
CARMEN -- I vostri, signora.... Signora, poi!? I vostri modi sono assolutamente incivili.
ZIA BERENICE -- Lo credo bene: è l’unico difetto che non ho. Ma sai, invece, che cosa me ne faccio della tua civilissima faccia di cavallo, avvocato?
IL CONTE -- Non ti permettere, Berenice!
ZIA BERENICE -- E tu stai zitto! Spingarda ammosciata.
CARMEN -- Non so chi mi trattiene! Questa donna è scandalosamente oscena.
IL CONTE -- Questa donna fa’ schifo! Anzi, farebbe schifo, se…
ZIA BERENICE -- Dovevi laurearti in giurisprudenza per poterti liberare dei tuoi putridi gas, così, in pubblico? (al conte) E tu, piccolo cannoncino fetecchioso, tappati lo spiffero, capito.
CARMEN – Mai avrei pensato di conoscere tanta bassezza.
ZIA BERENICE -- Io ti spacco la faccia, equino laureato.
CARMEN -- Se non foste già vecchia vi ammorbidirei quel sorriso da gallina padovana.
ZIA BERENICE -- Mi ha dato della gallina!?!?
LA CUOCA – Padovana! Cosa? Quando ve l’ha data? L’unica cuoca in questa casa sono io!
ZIA BERENICE -- Avvocato Lesini, "voleva" offendermi, per caso?
IL CONTE -- Ma no! Era solo per non farti uscire dal pollaio. Ah, ah!
ZIA BERENICE – (battendo le mani improvvisamente davanti alla faccia del conte) Bum!
IL CONTE – (si spaventa moltissimo) Ahhh!! (serio, con una mano sul cuore e come se improvvisamente avesse l’affanno) Ricordati sorella che siamo dei nobili!
ZIA BERENICE – Infatti, ed è per questo che io ora la purgo. (a Carmen) Hai capito cosa ti faccio? Ti purgo. (indicando il fratello) E domanda all’imbecille se non ne sono capace.
CARMEN -- Gian Giacomo!?
IL CONTE -- In senso metaforico, è bravissima! Mi stai dando del costipato, Berenice?
LA CUOCA -- Non so’ se lo sia anche la "contessa zia", (alzandosi di scatto e tirandosi su le maniche) ma io, ex infermiera professionale, sono ai vostri ordini, e vi garantisco che… (con decisione) E se non la smettete inizio immediatamente.
ZIA BERENICE - In questo modo, mia capiente pattumiera grassoccia e turbolenta, potrai parlare solo al ronzino qui presente.
CARMEN -- Questa storia comincia a darmi ai nervi.
GINEVRA -- Signori! (con la solita pistola spara un colpo in aria e... e torna il silenzio) Bene, lo spettacolo può continuare.
CARMEN – (quasi sottovoce) Qualcuno dovrebbe chiamare la polizia. (vedendosi osservata da Ginevra) Tra fornaio e mugnaio c'è differenza.
LA CUOCA – A si!? E allora?
CARMEN -- Lo spettacolo dovrebbe continuare sui giusti binari. (sorrisi di occondiscendenza verso Ginevra che è sempre più minacciosa)
LA CUOCA -- E allora?
CARMEN -- Si potrebbe tradire la dirittura filologica....
LA CUOCA -- E allora??
GINEVRA -- E allora...! (tiene sotto tiro la testa della cuoca) Tu, Amleto, non sei contento che io sia viva?
LEANDRO – Veramente…
LA CUOCA – Dica di si, maledizione!
LEANDRO -- In questi ultimi anni non ho vissuto altro che per te.
GINEVRA -- Ofelia è viva! Non sei contento…
LEANDRO -- Non ricordo né i giorni né le notti...
GINEVRA – Non… Come no?
LA CUOCA – Porca miseria. Dica di si, maledizione!
LEANDRO -- Né i volti né il sapore dei cibi. Tutto è evanescenza, e ora che ti vedo davanti ai miei occhi mi accorgo che i miei possibili pensieri sono stati e saranno sempre…
GINEVRA – (spingendo la pistola sulla testa della cuoca) Per chi?
LA CUOCA – Porca zozza… Signor Leandro…
LEANDRO -- … per te.
Ginevra infila la pistola dietro la cintola; la cuoca cade a terra semisvenuta
GINEVRA -- Non parlare te ne prego, che contengo appena la voglia di abbracciarti e baciarti. Tuttavia non si può perché noi siamo quel che siamo.
LEANDRO -- Ma non esiste....
ZIA BERENICE – (con violenza) Esiste, invece!! (poi, ricomponendosi…) Voglio dire...
La cuoca da terra si alza di scatto e, insieme a Carmen, tiene la bocca alla
contessa
CARMEN + LA CUOCA -- Lo spettacolo deve continuare.
GINEVRA -- Si, va bene. Lo spettacolo deve continuare, perché tale è: "Uno spettacolo"! La mia vita, la sua: messinscena. La nostra passione, per la quale noi vorremmo dare mille volte l’anima, l'uno per l'altra, sono diletto per lor signori. E noi siamo contenti anche di questo, perché almeno così, in questo unico modo, esistiamo. Guardami, Amleto. Guarda la tua Ofelia e non dimenticarla, perché la prossima volta niente la salverà.
La cuoca va a sedersi, così Carmen, e comincia a divorare famelicamente il
sacchetto di patatine e ad asciugarsi gli occhi pieni di lacrime.
LEANDRO -- Io ti posso spiegare. Tutto si può spiegare.
GINEVRA -- Ascolta quella voce che viene dal più profondo anfratto della coscienza, o Amleto.
LEANDRO -- Basta con questa farsa. Ginevra, tu non sei mia sorella.
ZIA BERENICE -- Non vi permetto…!
LEANDRO -- Fate tacere quell'arpìa.
IL CONTE -- Taci arpìa. Scusami, lo so’ che sarebbe bastato dire: (con più foga) Taci Berenice!
LA CUOCA -- Se mi autorizza l’accoppo.
IL CONTE -- Non ancora.
LA CUOCA -- E vai! (alla seconda porzione di patatine) Questo si che è uno spettacolo....(mangia) "magnifico".
GINEVRA -- Non senti quel sussurro che viene dalla più profonda radice della tua anima? Non senti quella parola che senza parole comunica ciò che nessuna parola può dirti? Credimi, non vi è nient'altro da spiegare. O meglio, quand'anche fosse ben spiegato il tutto ... tutto sarebbe come prima. E allora, se tu ascoltassi quel sussurro infinito, saresti al di là delle misere nebbie umani e, superata la tua pazzia, saremmo liberi di amarci veramente, al di sopra di ogni peccato, di ogni limite, di ogni oscura carnalità, di ogni possibile confine.
LEANDRO -- Ti prego...
GINEVRA -- Guarda quella donna, quella che siede accanto a quei tre. La vedi? Ha una sciarpa nera, una collana di perle e non sta mangiando patatine; non è un avvocato e non ha l'aria di un vecchio barbagianni.
ZIA BERENICE -- (guardando il conte) Affatto, direi.
GINEVRA -- Quella donna è mia madre.
LEANDRO -- E' quello che volevo dirti poco fa. Siamo.... Come tua madre? E' ... è ... è mia zia .... O no!? Ma non è la stessa cosa esser cugini dall’esser fratelli. Io non posso vivere senza di te.
IL CONTE -- (zia Berenice lo guarda minacciosa) Non ho detto una parola.
LEANDRO -- Tacete maledetti irrequieti.
GINEVRA -- Fammi finire, Leandro. Ora guardala di nuovo, quella donna. A chi non la conosce da l’impressione di essere innocua, gentile, disponibile.
LEANDRO -- Guarda che la conosciamo bene tutti.
GINEVRA -- No. Quella donna.... Quella donna è tua madre.
Dopo un lungo silenzio dove tutti guardano zia Berenice, ella si alza ed esce di
scena lentamente, dalla parte delle scale.
IL CONTE -- (Dopo amcora qualche attimo) Berenice! Non fuggire, maledetta. Spiegami questa faccenda, prima che mi prenda un colpo! BERENICE!! (le va dietro, le luci si spengono; forti rumori fuori scena: è il conte che è caduto per le scale... per l’ultima volta)
FINE PRIMA SCENA
SCENA SECONDA
Entrano in scena la cuoca e Pietro; portano con se il tavolo e risistemano la
scena.
LA CUOCA -- Come ti sei prestato ad una cosa del genere? Un professionista come te.
PIETRO -- Non hai nient'altro di cui parlare?
LA CUOCA -- Due becchini in uno. Non riesco a non pensarci. E adesso chi sei dei due? O forse non c'è nessuno in casa? (lo guarda, poi con orrore lo aggredisce) Adesso sei da solo. Allora, a volte, siete anche in tre?!? Tre contro una povera donna. Non ti vergogni?
PIETRO -- Vediamone anche l'aspetto positivo.
LA CUOCA -- E qual è?
PIETRO – C'è sempre un...
LA CUOCA -- Non in questo caso; e te lo dimostro. Di fatto ci sono le prestazioni di uno solo, (con commiserazione) le tue. Se poi ti riferisci all'allegria della compagnia ricordati che un sotterratore di morti è solo più allegro del proprio lavoro e anche di poco; figurati due. Inoltre grazie a te c’è stato veramente un morto finito al cimitero.
PIETRO -- E dove altro doveva andare? Povero conte, sentirò la sua mancanza. Tuttavia.... se non fossi in servizio, e non fossimo in lutto, e non fossimo in scena…(con vigore) ti bacerei per un ora intera.
LA CUOCA – (scostandosi disgustata) Bacia tua madre, invece, che nell'allevarti ha sacrificato i migliori anni della sua vita per nulla. (sta per uscire)
PIETRO -- Io non ho mai conosciuto mia madre.
LA CUOCA -- (Avvicinandosi a Pietro fingendo terrore) Davvero? Cielo, per quel che una come me possa aver capito della vita ... ché la contessa Berenice fosse anche madre a te?
PIETRO -- (non sa cosa pensare poi, convinto...) E tu? hai una madre sicura?
LA CUOCA -- L'unica cosa sicuramente positiva di questo massacro è che la cara contessa zia si leverà finalmente dalle scatole. Almeno questo.
Carmen entra in scena con un'espressione di tristezza sul volto
CARMEN -- Pietro, hai preparato le mie valigie?
PIETRO -- Come voi avete comandato, signor avvocato.
LA CUOCA -- (dopo una gomitata nello stomaco a Pietro) E questa? Se fosse anche lei ....?
PIETRO -- Che cosa? Per favore, non esageriamo.
Leandro entra in scena: appare svuotato; come se la sua stessa anima fosse
altrove.
CARMEN -- Mi hai fatto attendere, Leandro. (la servitù si allontana) Vi ringrazio amici.
LEANDRO -- Grazie, Pietro, per quei colpi di pala che hai dato al mio posto. Grazie.
PIETRO -- Ho fatto solo il mio dovere, signore. Solo il mio dovere.
LA CUOCA - Il tuo dovere, eh!?
Leandro e Carmen escono di scena. La cuoca resta a guardare con oscura
espressione Pietro.
PIETRO -- Neanche una parola! Neanche una. E se insisti ...
LA CUOCA -- Un becchino di professione, ecco quello che sei veramente. (si toglie il grembiule e lo getta con disprezzo sul tavolo) Nient'altro che un becchino. Pietro, oggi stesso torno da mia madre. (sta per uscire…) Tutto sommato ... Tutto sommato ... Ma guarda!? Chi lo avrebbe mai detto! Mi dispiace. Addio Pietro. Del resto, da quando è morto il conte io qui non servo più a nulla. Malgrado l’età era un antico ferro; metallo di altri tempi .... Ehm....Scusa: la mia immaginazione.... Anche se ben pagata, perché la signorina Ginevra è molto generosa, mi sentirei inutile. E questo, credimi caro, insieme al fatto increscioso di sposare due becchini e uno stupido maggiordomo con un’unica fava; voglio dire un unico sì, non mi riesce di sopportare. Ma tu che farai? Come vivrai? Ce la farai? (Pietro si sta avvicinando appena commosso) Siii! Ce la farai? Perché tu sei una persona misteriosa, eccezionale; forte; coraggiosa, ecc. ecc. Bravo, chi più di te. Addio Pietro. (esce e Pietro la accompagna)
FINE SCENA SECONDA
SCENA TERZA
VOCE DEL CONTE FUORI SCENA - Bravo, Pietro.
Pietro torna subito in scena
PIETRO -- Non se ne può... Non se ne può più.
VOCE DEL CONTE FUORI SCENA - Insomma Pietro, vuoi aprirmi e farmi entrare, si o no?!
PIETRO – (non riuscendo a capire da che punto valutare questa situazione…) Forse… forse è conveniente obbedire!
Entra il conte; è elegantissimo, nel suo magnifico vestito bianco.
IL CONTE -- Era ora! Pietro, malgrado la mia morte non hai perso le tue pessime abitudini!
PIETRO – Ahhhhh! Scusatemi eccellenza.
IL CONTE -- Sono passato per salutarti.
PIETRO -- Onoratissimo, eccellenza. Ma....(si rende di colpo conto che veramente stà parlando con un morto) Non eravamo morti?
IL CONTE -- Certo, altrimenti perché sarei venuto a salutarti?!
PIETRO -- Già!? E co.... co.... come fate a.... a.... a stare qui.... a.... a.... adesso? Scu.... scu.... scusatemi!
IL CONTE -- Da quando in qua vai balbettando? Era un difetto questo che non avevi.
PIETRO -- Sto' pa.... pa.... parlando co.... co.... con un morto, signò.... signore.
IL CONTE -- Davvero? Vai innegabilmente peggiorando. Ah, ah, ah!!
PIETRO -- Il mo.... il mo.... il morto.... siete voi.... ecce.... ecce.... eccellenza.
IL CONTE -- Ahhh!! Ah, ah. ah! E' vero! Ma non ti preoccupare. Non c'è problema.
PIETRO -- Se lo dite vo.... vo.... voi, signore.
IL CONTE -- Ti devo confessare, caro Pietro, che se ti ho lasciato quasi tutto il mio patrimonio non è stato perché volevo più bene a te che a chi credevo mio figlio, anche se ora, se potessi, ti porterei con me. Non sai quanto sarebbe bello.
PIETRO -- Che pecca...ato, si...signore.
IL CONTE – Pietro, che sensazione provi nel saperti ricco?
PIETRO – Senzazione? Ricco? Volete dire che sono veramente ricco o devo solo imma… imma… immaginare di esserlo?
IL CONTE - Tanto ricco che la tua imma… immaginazione non può immaginarlo. Ma anche se lo potesse sarebbe una gran perdita di tempo.
PIETRO – Voi state dicendo questo perché siete mor…? O! scusatemi. Voglio dire perché non siete più vivo, si… signore.
IL CONTE – Pietro, chiamami papà. Almeno ora. Devi sapere che più vivi e più muori; più muori e più prendi coscienza della vita. Una volta morto ho avuto accesso alla verità: tu sei il mio unico vero figlio. Quindi un addetto mi ha …
PIETRO – Un caca’ uncaca’ cancelliere marchese?
IL CONTE – Noo!? Un ex pescatore, un tuo omonimo. Questa brava persona mi ha permesso di tornare nel momento preciso in cui ho redatto il testamento e lì ti ho fatto intestare il 99 % dei beni, dei capitali, delle industrie, delle azioni, di tutti gli immobili Ortazzi. Ma non ti preoccupare, caro: per tre anni non potrai toccare neanche un soldo. Per te stesso dovrai chiedere prestiti, aprire fidi; tirare la cinta come non ti è mai successo; stare in guardia contro tutti gli sciacalli che, inevitabilmente, ti tenderanno le peggiori trappole, e fare anche, perché no, il mendicante, se sarà necessario. Inoltre dovrai prenderti cura nel modo migliore dei miei parenti, senza mai né viziarli e né abbandonarli. Mi raccomando, Pietro, stai attento: poiché per tre anni non avrai un soldo.
PIETRO - Mi accade già da due. Per tre anni? E dodo’.... dodo’....dopo?
IL CONTE - Se gli investimenti avranno fruttato bene; se qualche operatore non ti avrà silurato; se non sarai morto per infarto, o avvelenato, o di fame, avrai trecentomila miliardi circa, se va nella media dei nostri attuali successi finanziari. Scaduti i tre anni sarà tutto tuo e darai un vitalizzio opportuno ai tuoi affidati, se vorrai.
PIETRO – I miei??
IL CONTE – Tua cugina, tuo cugino, il mio dolce avvocato, che potrai sposare, se vorrai; e infine tua zia. Ma non disperare, ti ho salvato il sedere: se ti dovesse accadere qualcosa andrà tutto in beneficenza al Piccolo Convento delle Piccole Figlie della Piccola Maria.
PIETRO - Gra... molte grazie... E se la Pipì.... pipì.... piccola Madre Badessa del pipì pipì piccolissimo convento dovesse assosò... assosò.... assoldare un super pipì.... super pipì.... pipiccolissimissimo killer?
IL CONTE - E’ una santa donna.
PIETRO - La necessità fa’ spuntare le zanne anche alle ga....alle gagà....alle galline...
IL CONTE - Pietro, smettila... con questo balbettìo.
PIETRO - Ho aà....aà...ho… Ho alternative?
IL CONTE - No! Non devi avere alternative, se non una: licenziarti ora, subito, e perdere tutto. E, credimi, sarebbe la soluzione di lunga più opportuna per la tua vera felicità e ricchezza. Ho poco tempo, ormai. Vedi, mi aspettano per una lunga partita a golf. Qualsiasi cosa ti dovesse occorrere, da vivo o da morto, sai a chi rivolgerti, caro. Basta chiamare.
PIETRO -- Col ca’... col calore del mio affé....affetto ve ne sarò...sarò grato a vita... Voglio di...dire da momò... Insomma... per sempre, ecce... ecce... eccellenza!! Un’ultima dodò... domanda.
IL CONTE -- Come è possibile che Leandro non sia mio figlio.
PIETRO - Esatto..... Come avevé.... avete fatto a capire?
IL CONTO - Non si muore per nulla, mio caro. Ebbene sappi che è per la stessa ragione per cui tu… sei mio figlio. La zia Berenice sostituì i bambini nella culla, ovvero voi due, senza che nessuno se ne accorgesse, dopo che lei aveva portato a termine la sua gravidanza, volutamente e in perfetta sincronia con quella di mia moglie, e nella più assoluta segretezza.
PIETRO – La zia Berenice…!? Ed io?
IL CONTE – In convento… Già; hai vissuto in convento i tuoi primi mesi di vita. Poi sei stato adottato e infine, per una sceneggiatura scritta dall’alto, sei venuto a lavorare come maggiordomo nella nostra casa. Ti hanno buttato fuori dalla porta e sei rientrato dall’uscio di servizio. Ah! Ah! Ah! Ma sappi comunque, caro amico e figlio mio, che "infine" spiritualmente siamo tutti, tutti terribilmente, inconciliabilmente figli di noi stessi.
PIETRO – Lo avete sasà… sasà…sapu… puto da un gran duca ingegniere genetico?
IL CONTE – No, questo era un ex falegname. Pietro, buona morte, Pietro, buona morte! E credimi, è il miglior augurio che qualcuno ti possa mai fare… per vivere.
PIETRO -- Sempre mo.... mo.... molto gentile, ecce.... ecce.... (Si baciano. Poi il conte va via)
ecce .... eccì.... e ci mancherebbe altro. Porca miseria!
CORO con balletto
To be, or not to be:
to be, or not to be
SOLOIST (Ginevra)
that is the question
CORO
To be, or not to be:
to be, or not to be
SO.
Whether ‘tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms againts a sea of troubles,
And by opposing end them?
To die to sleep.
No more
No more. No more:
CORO SO.
a cui si unisce anche Pietro
To be, or not to be: …and by sleep to say we end the heart-ache,
to be, or not to be and the thousand natural shocks
to be, or not to be That flesh is heir to, ‘tis a consummation
to be, or not to be Devoutly to be wish’d.
F I N E