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Un teatro degli affetti per Spiro Scimone e Francesco Sframeli
di Tiziano Fratus
25 GIUGNO 2003
EX CHIESA DELL’ANNUNZIATA, ASTI
Festival Asti Teatro 25
Nunzio
drammaturgia di Spiro Scimone 
con Francesco Sframeli e Spiro Scimone
regia di Carlo Cecchi
scene di Sergio Tramonti
luci di Domenico Maggiotti
produzione Compagnia Scimone Sframeli, E.A.R. Teatro di Messina, Teatro Stabile di Firenze, Istituto del Dramma Italiano, Taormina Arte

Il testo risale al 1994 quando Scimone e Sframeli lavorano insieme già da alcuni anni, dopo essersi diplomati in qualità di attori rispettivamente alla Scuola dei Filodrammatici e alla Paolo Grassi di Milano. Il testo passa fra le mani di Carlo Cecchi, che se ne innamora, e lo porta in scena con successo: l’opera vincerà la Medaglia d’oro IDI per la drammaturgia nel 1995. Nel 2002 il duo ha diretto un film, Due amici, tratto dal presente testo, lungometraggio che ha ricevuto il Leone d’Oro per il Futuro alla Mostra Cinematografica di Venezia. L’intesa fraterna che anima il rapporto fra Scimone e Sframeli trasuda nell’esecuzione degli spettacoli, raggiunge il pubblico, soprattutto nei momenti del testo dove non accade nulla, anche quando il linguaggio si fa più rarefatto.
Nunzio offre uno sguardo sulla vita di due personaggio: Pino (alias S.S.) e Nunzio (alias F.S.). Pino è appena tornato da uno dei suoi viaggi, a casa trova Nunzio, visibilmente dimagrito e affetto da violenti attacchi di tosse, che l’uomo lenisce con delle pastiglie che gli ha passato il suo principale: sono molti gli operai che in fabbrica soffrono dello stesso disturbo, e che vengono lasciati a casa per curarsi. Attraverso un chiacchiericcio quotidiano, fatto di domande e di risposte rapide, veloci (un linguaggio poi avivistato nuovamente in Paravidino), lo spettatore entra nella psicologia dei due caratteri, scoprendone alcuni segreti, l’immaginario, e definendo il rapporto di forza che anima questa convivenza. Pino vive di traffici non meglio precisati, spesso è in viaggio all’estero, maneggia alte somme di denaro, riceve cartoline e fotografie da diverse donne. All’opposto Nunzio vive proiettato in casa, è un operaio in malattia, non ha alcun rapporto con le donne, probabilmente non si è mai mosso dalla sicilia; per questa ragione ha molti sogni, è più sentimentale rispetto al rigore e alla severità di spirito che contraddistinguono l’amico. La pièce si dipana in tre scene, separate da poco tempo, un’ora o poco meno: nella prima scena i due si rivedono, nella seconda pranzano insieme, nella terza Pino attende l’arrivo della macchina nera che lo porterà all’aereoporto per partire alla volta del Brasile. Nel frattempo la salute di Nunzio peggiora. La scena, un interno con sedie e forno e frigo usurati, riporta ad un verismo “ottocentesco”, come ha scritto Cecchi in una nota di regia acclusa al volume ubulibriano che raccoglie la trilogia. Siamo in presenza di un iper-realismo che coinvolge tutti gli aspetti del teatro: linguaggio, interpretazione, tematiche, sviluppo della situazione. Cordone ombelicale fra il mondo esterno e questo micromondo “da camera” è la posta, che viene fatta passare a qualsiasi ora sotto la porta di casa: così Pino riceve il biglietto per il Brasile, così riceve il denaro, così riceve le comunicazioni. La differenza fra i due, ovvero un Nunzio più verboso, data la propria condizione anche più curioso, ed un Pino decisamente riservato (l’unica eccezione riguarda la descrizione del padre, un uomo violento) ed autoritario, lascia però spazio alla compassione, all’affetto ed anche ad una certa ironia caustica, evidente nei brindisi a ripetizione per qualsivoglia (sciocco) motivo: a Lola, O principali, O magazzinieri, O cappottu chi ti futtiu u magazzinieri, A ‘stu cazz’i tussi, O brasilianu, A’ motti buttana! Il messinese di Scimone si rivela lingua duttile, incisiva, una lingua condita talvolta di parole, mezze frasi ed inserti in italiano corrente.

26 GIUGNO 2003
EX CHIESA DELL’ANNUNZIATA, ASTI
Festival Asti Teatro 25
Bar
drammaturgia di Spiro Scimone 
con Francesco Sframeli e Spiro Scimone
regia di Valerio Binasco
scene e costumi di Titina Maselli
produzione Compagnia Scimone Sframeli e Taormina Arte

Secondo capitolo del teatro degli affetti di Scimone-Sframeli. Portato in scena da Valerio Binasco, che fu aiuto regista in Nunzio e che sarà regista nella prossima nuova produzione della compagnia per il 2003, lo spettacolo presenta due personaggi, Petru e Nino; l’ambiente che li ospita è il retro-magazzino d’un bar dove lavora Nino, una parete rosa che occupa la scena con un pochi altri oggetti: una radio che trasmette della musica all’inizio d’ogni quadro, una scala, quattro sedie accatastate. Quattro scene che vanno a delineare il rapporto d’amicizia e di confidenza, in uno svolgimento che non presenta azioni di rilievo, il dialogo, saltellante, spesso piccante, condito di giochi linguistici in messinese di raffinato humor, e gli sguardi sui corpi fermi, appoggiati, seduti, azionati per le numerose uscite di scena con un ricorso “sonoro” delle quinte, uscite atte a indicare l’esistenza d’un mondo esterno, dove al contrario accadono molte faccende, in grado di riflettersi però minimamente all’interno del mondo degli affetti dei protagonisti. E’ sempre un’attesa verso un cambiamento, un periodo di transizione fra un passato travagliato e complesso, la cui lettura a noi perviene a macchie di leopardo, ed un futuro colmo di incognite, ma al contempo aperto alla speranza. Quindi lo spettatore si trova di fronte alla rappresentazione di piccoli minuscoli mondi edificati lungo una concezione della storia che si snoda come una linea retta, una linea che prosegue; la drammaturgia di Scimone è in questo diametralmente opposta rispetto a quella di un Pirandello, di un Beckett, rispetto a quella della drammaturgia arrabbiata degli anni Novanta, dove tutto era bloccato, dove i personaggi altro non sono che marionette. La storia è molto semplice: Petru (alias S.S.) si rifugia a riflettere e a giocherellare a carte nel retro-bar dove lavora Nino (alias F.S.). Il dialogo è ricco di ironia, un’ironia sulla quale il due schiaccia maggiormente l’accelleratore rispetto a quanto facessero in Nunzio, basti pensare all’inizio della prima scena, con le battute sul vecchio orologio del padre di Petru, che varrebbe seicentomilalire ma senza funzionare, e ad uno sketch della scena successiva, il gioco d’infanzia delle mosche da catturarsi vive: “U proprietariu […] ti dava centuliri pi’ ogni mosca viva, cinquantaliri pi’ ogni mosca motta”. Nella scena tre è poi spassosissima la scoperta del comportamento della madre di Nino, che da vent’anni si alza per svegliarlo prima che la sua sveglia suoni, a qualsiasi ora essa sia stata puntata.

PETRU Ma siti voi svigghiari c’a sveglia basta chi chiudi a chiavi a stanza a unni dommi tu, così to’ mamma non po’ ntràsiri.
NINO Si chiudo a chiavi ‘a stanza a unni dommu jo, me’ mamma non po’ cchiù nésciri.

Nel quarto ed ultimo quadro due tizi fanno la loro comparsa nel bar, Petru li può osservare in cima alla scala attraverso un pertugio nel retro-bar. I due fanno domande, cercano un padre di famiglia, mostrano l’orologio del padre di Petru, ma Nino dice di non sapere niente. Petru quindi descrive il funerale di Gianni, di come tutti alla fine “ci batteru i manu”, compreso il prete, anch’egli coinvolto nei loschi affari del morituro. Lo spettacolo si conclude in sospensione, in attesa degli eventi dopo l’uscita di scena definitiva dell’antagonista.

27 GIUGNO 2003
EX CHIESA DELL’ANNUNZIATA, ASTI
Festival Asti Teatro 25
La festa
drammaturgia di Spiro Scimone 
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone e Nicola Rigagnese
regia di Gianfelice Imparato
musiche di Patrizio Trampetti
produzione Compagnia Scimone Sframeli in collaborazione con Fondazione Orestiadi di Gibellina

La festa viene scritto nel 1997 su commissione del Premi Candoni - Arta Terme, ma raggiunge la scena due anni più tardi per la regia di Gianfelice Imparato. Novità de La festa è la presenza di un terzo attore, Nicola Rigagnese - ora celebre grazie al duetto televisivo con il comico Albanese, ma con alle spalle spettacoli con Giorgio Barberio Corsetti ed Armando Punzo - oltre all’immancabile duo Scimone-Sframeli, trinità di personaggi che si ripeterà nel quarto testo, Il cortile, che debutterà in settembre alle Orestiadi di Gibellina. Altra novità del testo è la lingua, non più un messinese corrotto dall’italiano, ma un italiano televisivo corrotto dal siciliano. Si tratta della storia d’una famiglia, Padre (alias F.S.), Madre (alias S.S) ed il figlio Gianni (alias N.R.). Il figlio non fa niente tutto il giorno ma porta a casa del denaro che non si capisce in che maniera guadagni. Il padre è una figura debole, un uomo stanco, che va a lavorare per pagare i debiti che contrae al gioco. In mezzo la Madre, che cerca di mantenere una convivenza forzosa, sempre lacerata dalle liti che puntualmente scoppiano fra padre e figlio, sebbene nei modi e nelle pretese i due si assomiglino come due gocce d’acqua. Ha ragione il critico Gianni Manzella quando scrive “Ma c’è un limite nel gioco oltre cui non può andare. La necessità di non arrivare alla rottura, perché il giorno dopo si possa riprendere da capo, con le stesse parole. Lo stesso rito” (dal libretto del festival). Le due scene di cui si compone La festa stracciano dal reale due momenti della giornata, la mattina ed il pomeriggio, unificati dalla ricorrenza per il trentesimo anniversario di nozze, una festa che il marito non ricorda. Una giornata che si discosta soltanto per la ricorrenza ma che per il resto uguale a tutte le altre. La pièce si sviluppa in un interno, il soggiorno-cucina d’una vecchia abitazione, dove i personaggi maschili si alternano, mentre l’ago della bilancia resta la figura della madre, sempre in scena, a dibattere ora col padre ora con Gianni, tranne in alcuni passaggi di compresenza. E’ curioso notare che i due non si parleranno mai direttamente, ma soltanto attraverso la madre. Spiro Scimone compone con il suo solito rigore un personaggio tenace e sempre in guardia, mentre Sframeli - che si regala probabilmente la sua migliore interpretazione - costruisce e distrugge una figura paterna ridicola, vagamente autoritaria, goffa. Inoltre, lo sbriciolamento della lingua italiana, eseguita con divertimento da Sframeli, trasforma l’idioma in una sorta di dialetto alterato. Comicissimo, La festa è lo spettacolo che ha maggiormente coinvolto il pubblico di Asti Teatro che ha avuto l’occasione di seguire per tre sere l’intera produzione della compagnia. Il ritmo, incalzante, che assume lo spettacolo risente di una regia ben riuscita, che non si accartoccia sul realismo di Nunzio e di Bar, ma che crea una sorta di teatrino surreale, una musica tribale che si innesta fra uno sketc e l’altro, mentre i personaggi abbassano la testa come se venissero spenti per capriccio. Alla fine lunghi e meritati applausi.