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Una delle caratteristiche più vitali dei burattini italiani è la loro capacità di rigenerarsi continuamente e di rifondersi in nuovi personaggi. È una prerogativa strategica che ha radici antiche: ogni burattinaio deve potersi specchiare in un proprio

carattere comico che lo contraddistingue, che non lo fa confondere con altri burattinai, che lo mette immediatamente in relazione col proprio pubblico di riferimento di cui condivide la lingua (una lingua madre come il dialetto), il buonsenso, i bisogni e i desideri. Burattini insomma come specchio di un territorio e dei suoi abitanti. Caratteri forti, quindi, che orientano la drammaturgia, che piegano le storie, a volte le rimodellano, a seconda delle loro peculiarità.
Ma nel nostro contemporaneo ciò è ancora possibile? Perché oggi si sente ancora il bisogno di far nascere un nuovo burattino? 
Lo abbiamo chiesto a Walter Broggini, straordinario burattinaio di grande creatività istintiva e ponderata ad un tempo.

Alfonso Cipolla

Perché nasce un nuovo burattino?
di Walter Broggini

    1) Perché ti capita di scoprire il teatro di figura a vent’anni, da giovane studente di pedagogia. Studi mai completati, senza troppo dispiacere per me, purtroppo non per i miei genitori che con grandi sacrifici speravano nel primo dottore in famiglia. 
    2) Perché avevi la passione per la musica ma non per il teatro e non hai mai visto prima un burattino; eppure, si accende la passione.
    3) Perché è la stagione dell’impegno politico, e da “L’immaginazione al potere” e “Siate realisti: domandate l'impossibile!" siamo già passati agli anni di piombo, ma comunque vogliamo un mondo migliore e ascolti i racconti sui burattinai perseguitati da potenti e tiranni, dagli invasori francesi, austriaci e poi dai piemontesi, ah! i piemontesi, e dulcis in fundo il Ventennio. E allora tra chi sceglie la P38 e chi invece le pere di eroina, forse c’è una terza via.
    4)  Perché c’è un repertorio di eroi popolari, Gioppino, Gianduja, Fagiolino e Pulcinella e tutti sono fratelli e sono tutti servi, contadini o piccoli artigiani, insomma Lumpenproletariat, ma in scena vincono sempre loro sui borghesi, come Pantalone e il Dottor Balanzone, e anche su tiranni e cattivi di ogni sorta e addirittura sconfiggono sempre Streghe, Diavoli e soprattutto la Morte.
    5) Perché inizi a fare l’aiutante di baracca dando una mano nel carico, montaggio e scarico di uno spettacolo, “L’acqua magica”, copione che è una sorta di evergreen portato in scena da decine e decine di burattinai. Ognuno alla sua maniera.
    6) Perché il primo spettacolo in cui ti fanno animare e dar voce a un personaggio è uno spettacolo in baracca con le teste di legno, una rilettura alla lombarda di “Fagiolino barbiere dei morti”, altro intramontabile evergreen.
    7) Perché poi per un paio d’anni fai spettacoli e animi pupazzi in gommapiuma, burattini a guanto, marottes a stecche o a mano vera, pupazzoni e marionette da tavolo.
    8) Perché a un certo punto ti trovi da solo a dover decidere cosa fare, se continuare o no e finisce che provi a iscriverti a un corso estivo a Charleville- Mézières con Philippe Genty (non c’era ancora la scuola triennale) e speri che ti prendano, e invece no ma alla fine sì e ti danno anche la borsa di studio.
    9) Perché torni e fai il tuo primo spettacolo da solista, ed è per adulti, humour nero sulla Morte, solo gestuale e senza una parola e funziona.
    10) Perché poi vuoi fare il secondo spettacolo, ma non vuoi ripeterti e vuoi misurarti per vedere se sai stare in scena in un altro modo, in uno spettacolo solista dove per un’ora dai voce a tutti i personaggi.
    11) Perché torni da dove sei partito e decidi di usare le teste di legno, anche perché vuoi vedere se sei capace di scolpire un materiale tanto nobile.
    12) Perché dove vivi tu, nella provincia varesina non c’è un personaggio storico della tradizione teatrale burattinesca. C’è un grande maestro che vive vicino a te da decenni, Gualberto Niemen, maestro d’arte e di vita che trasmette il rigore e la dignità del mestiere di burattinaio, ma il suo personaggio è Gianduja e parla piemontese. Oppure passano gli spettacoli dei burattinai bergamaschi col loro Gioppino, che ti piace infinitamente ma, anche se tutta la parte materna della tua famiglia è una sorta di tribù originaria della bergamasca, tu quel dialetto un po' lo capisci ma non lo parli.
    13) Perché, siccome l’eroe deve, secondo te, possedere la sua propria lingua dialettale, decidi di creare un nuovo personaggio, che poi si chiamerà Pirù e che parlerà il tuo dialetto alto-milanese.
    14) Perché cominci a studiare tutto sui personaggi del teatro delle teste di legno, dal progenitore Pulcinella a tutti gli eroi regionali italiani e poi quelli europei.
    15) Perché così capisci che i burattini a guanto in baracca non sono “per bambini” ma per tutti e che anzi in origine erano per grandi, e che gli eroi non erano buoni, sdolcinati e bamboleggianti, ma erano figure complesse, in chiaroscuro, e che alcuni, Pulcinella e Punch, non sono poi tanto cambiati ma continuano a coltivare la loro parte trasgressiva e ribelle.
    16) Perché anni dopo, due tuoi amici critici scriveranno senza aver letto l’uno dell’altro che Pirù è un burattino punk, e col tempo capirai che è un gran bel complimento.
    17) Perché, siccome non vuoi fare Pulcinella, costruisci un burattino che ha le dimensioni dei burattini emiliani, più piccoli dei bergamaschi ma più grandi delle guarattelle, e lo fai con una fisiognomica che è un chiaro omaggio a Punch, il più ribelle di tutti che ancor oggi nei suoi spettacoli per tutto il pubblico, bambini compresi, uccide guardie, giudici, boia, draghi e diavoli ma anche moglie e figlio. E al tuo burattino fai anche le gambe, proprio come Punch, che in Italia le hanno solo i burattini toscani di Staccioli.
    18) Perché poi devi decidere come vestirlo e allora gli fai una livrea arlecchinesca di pezze varie, ma scegli che sia nelle tonalità del giallo e del rosso. Poi qualcuno ti dirà, sempre per via della tribù bergamasca d’origine, che quelli sono i colori dello stemma della Provincia di Bergamo, … ah, l’omaggio alle origini materne …, ma in realtà in quel periodo l’amico che frequenti più assiduamente è romano e tifa in modo sfegatato la Roma (per chi non mastica calcio i giallorossi) e con lui vedi la finale di Coppa dei Campioni e la Roma la perde e allora …
    19) Perché, quando Pirù sarà ormai alla soglia degli “anta” scoprirai in un librettino londinese del 1873, Punch & Judy, Bell & Dadly, che “rosso e giallo sono ancora proverbialmente chiamati Colori del fool Tom, ciò può costituire un altro piccolo legame tra Punch e il clown delle nostre vecchie commedie, e i giullari di corte dei nostri antenati”.  L’avessi scoperta prima questa assonanza d’abito tra Pirù e il fool scespiriano, chissà quanto te la saresti tirata. 
    20) Perché adesso che il burattino è finito che voce dargli? Pulcinella, Punch e altri, come il Malic catalano parlano con la pivetta, uno strano aggeggio fatto di due lamelle unite che poggiato in fondo al palato produce una voce chioccia, che privilegia nella parlata sonorità e ritmo alla comprensione. Ma la pivetta è davvero lontana dai canoni del teatro di burattini norditaliano e allora provi e riprovi, fino a che trovi una voce stridula in falsetto e da lì in poi sarà la sua.
    21) Perché poi devi anche decidere come chiamarlo, il tuo personaggio, e ci vuole un nome breve, che entri subito nella memoria e che grandi e piccoli possano scandire facilmente. E una sera a cena, la fidanzata del momento di quel tuo amico romano dice: “Ma perché non lo chiami Pirù?”  Ma sul significato del nome glissiamo …
    22) Perché anche sul nome poi ti diranno che el pirù in bergamasco è la forchetta, dunque altro omaggio al ramo materno, ma invece no e va bene così.
    23) Perché poi sul berretto di Pirù ci fai cucire un sonaglio di un Kašpárek ceco dell’Ottocento che ti ha regalato František, il tuo amico di Praga con cui hai diviso la camera a Charleville. 
    24) Perché fai il primo spettacolo e lo intitoli Pirù, Pirù e la storia è una rivisitazione del repertorio delle guarattelle, perché la riconoscenza verso le radici è importante.
    25) Perché anche qui c’è la Morte e Pirù la vince e tu hai bisogno che sia così.
    26) Perché poi pensi al secondo spettacolo che farai con Pirù e scrivi il tuo personale adattamento del mito di Orfeo ed Euridice, e stavolta Euridice Pirù la strappa dagli Inferi, e così chiudi la tua trilogia sulla Morte.
    27) Perché in Sardegna incontri persone che in breve diventeranno amici fraterni Donatella Pau e Tonino Murru, e anche loro stanno creando un loro personaggio, Areste Paganos, in una terra dove i burattini non ci son mai stati. E lavori con loro al primo spettacolo Areste Paganos e la farina del Diavolo, ed è la storia di un Romeo e di una Giulietta sardi, ma dietro la suggestione scespiriana si parla della faida tra famiglie, che in Sardegna è cosa viva. E poi ce ne sarà un secondo sulla balentia e l’abigeato.  
    28)  Perché così condividi e consolidi assieme ad altri l’idea che coi burattini a guanto, anche se nel pubblico, oltre a genitori e nonni ci sono i bambini, si può parlare di temi seri, non banali e scontati, senza per forza dover zuccherare e annacquare l’energia che hanno i burattini.
    29) Perché negli anni ti guardi attorno e scopri che, oltre a Pirù e Areste, altri burattinai hanno sentito la medesima necessità di dar vita a nuove figure e allora conosci il Lomè di Patrizio Dall’Argine, Mengone Torcicolli di Lorenzo Palmieri, Pin Girometta di Enrico Colombo, Pitin e Manacca di Gianfranco Zavalloni e Flavio Tontini, Spazzolino di Angelo Aiello e il Tavà di Dario Tognocchi e Paola Rovelli. E forse ce ne sono altri che ancora non hai incontrato.
    30) Perché alcuni di loro sono nuovi personaggi originali, altri sono trasposizioni di figure letterarie o carnascialesche e qualcuno riappare dopo essere scomparso per quasi un secolo. Ma tutti portano nuova energia nelle baracche italiane.
    31) Perché poi Pirù cresce con te negli anni e così fai altri due spettacoli, entrambi sulle dinamiche del potere, sulle menzogne e sulle strategie comunicative di chi lucra alimentando le paure, che è il modo più semplice per raccogliere consenso e successo senza proporre soluzioni. O no?
    32) Perché sono due storie semplici, ma semplicità e banalità son cose diverse se non si sbagliano occhiali e si prova a leggere in filigrana. E poi anche negli spettacoli “per bambini” si possono dire cose importanti. Quanto ci manca Rodari. 
    33) Perché nel quarto spettacolo per la prima volta osi inserire una Maschera della Commedia dell’Arte, e non l’hai mai fatto prima perché per le Maschere ci vuole rispetto. Ma forse è arrivato il momento di provarci e lo fai con Brighella, perché ti piace il suo carattere un po' carognesco e nei sacri testi hai scoperto che in origine gli facevano anche fare la parte di assassino a pagamento.
    34) Perché nel mentre hai fatto altri spettacoli, con altri linguaggi e altre tecniche di figura, perché in fondo non ti sei mai considerato un burattinaio tradizionale. Le figure animate ti affascinano tutte allo stesso modo.
    35) Perché tu non vieni da una tradizione, ma poi cos’è la tradizione? Hai avuto la fortuna di vedere lavorare Niemen nella sua “Iena di San Giorgio”, ma hai visto chiaramente che quel modo di fare i burattini, tanta parola, sovrabbondanza di testo, poca gestualità e ritmi lenti appartiene ormai a un’altra epoca.
    36) Perché usiamo magari gli stessi personaggi, ma temi e drammaturgia, recitazione e ritmi, scenografie e baracche sono cambiati. Si sono naturalmente trasformati per accompagnare i mutamenti della società e del pubblico.  Ma allora cosa intendiamo quando diciamo che facciamo la tradizione? Insomma, come cavolo lo dobbiamo chiamare questo teatro? Teatro dei burattini tradizionali, teatro dei burattini classici, teatro di burattini e basta, senza chiose? 
    37) Perché, per tornare ai temi adatti ai burattini, vallo a spiegare, a chi dice che i burattini sono spettacolini per bambini, che nella Iena c’è un salumiere fornitore delle Case di Savoia e Asburgo che per rendere speciali le sue salsicce ci aggiunge la carne di giovani fanciulle. 
    38) Perché, dopo aver tenuto per anni sul comodino Re Lear arrovellandoti sul come metterlo in scena, succede che durante una cena conviviale scopri che a un tuo amico attore lo stesso pensiero ronza in testa da anni. E succede che allestite la tragedia forse più cupa del grande Bardo mischiando attore e teste di legno, e in scena ci porti Pirù assieme a Brighella. 
    39) Perché comunque quelli che scrivono di teatro non possono esimersi dallo specificare “che i burattini non sono solo per bambini”. Vuol dire che il pregiudizio è proprio duro da scalfire. E forse in questo pregiudizio c’entriamo qualcosa anche noi burattinai.
    40) Perché comunque pare funzionare, anche se Brighella dice a Pirù “Queste no xé cose per noi, noialtri semo burattini, nialtri dovemo far commedie, farsette, commediole leggere, robe par ridere, robe de putei, per bambini, robe de Pro loco”.
    41) Perché invece Pirù gli risponde “Ma no Brighella, è adesso il momento di osare”.
    42) Perché, se non ora quando?
    43) Perché nonostante tutto, quando Roberto Leydi  e Renata Leydi Mezzanotte nel 1958 scrivevano nel loro celeberrimo Marionette e Burattini che: “… bisogna onestamente riconoscere che, non soltanto questa nobile forma di spettacolo è oggi agli ultimi giorni della sua lunga agonia, ma, ciò che è assai peggiore le sue tante memorie di cronaca e di storia si van purtroppo spegnendo fra il disinteresse più palese, sì che fra pochissimi anni saranno certo del tutto scomparse” , si sbagliavano di grosso e fossero qui oggi  sarebbero ben contenti di essersi sbagliati.
    44) Perché un amico, durante una camminata in un bellissimo parco romano, in un’assolata giornata di maggio mi ha chiesto “Perché non scrivi qualcosa su come nasce un personaggio?” Queste divagazioni sparse sono responsabilità sua e quindi rivolgete a lui eventuali reclami.