PARCHEGGIO CUSTODITO
di
Gerry Petrosino



- Avalon 1999-

Personaggi:
Giulio (padre) 
Costanza (madre)
Chiara (figlia)
Arturo (figlio)
Filippo (nonno)
Matilda (cameriera)
Mimi (portinaio)
Nicolino (nipote di Mimì)
Ciro (il cane S.Bernardo, non comparirà mai)
Francesco Maria Barba (finto medico)
Karim (finto Albanese)
Remigio Baldassarre (psicologo amico di Chiara)


Siamo alle soglie del 2000. Ci troviamo all’interno di una bella casa al settimo piano di un palazzo moderno. In questa casa vivono: Giulio, professore Universitario di lettere moderne; Costanza, la moglie, ex insegnante di latino e greco; Chiara e Arturo i figli; Filippo padre di Giulio, settantenne in pensione; Matilda la cameriera e Mimì portinaio dello stabile. Giulio pur essendo un uomo di grande cultura, preferisce partecipare alle discussioni dell’uomo di strada, di cui apprezza la spontaneità e la semplicità. A tale proposito, spesso s’intrattiene a chiacchierare con il buon don Mimì che di frequente con le sue massime e i suoi ingenui strafalcioni, gli regala attimi di pura allegria. Giulio è un uomo, un padre ed un insegnante moderno. Costanza, dopo aver sofferto di un forte esaurimento nervoso, ha abbandonato l’insegnamento attivo presso il liceo cittadino. Con i figli oramai grandi e il marito sempre impegnato con il suo lavoro, riversa tutto il suo affetto nelle cure e nelle attenzioni che occorrono per far crescere sano e robusto Ciro, cucciolone di S. Bernardo. Chiara, è una giovane intelligente e brillante, piena d’energia, molto concreta. I suoi obiettivi sono: “La danza e la carriera”. Arturo è il classico giovane figlio di famiglia, scanzonato e con poca voglia di decidere cosa farà da grande. Ad Arturo piace ridere e scherzare. Per lui il saper vivere è ironizzare su tutto. Il nonno, padre di Giulio, vive in famiglia, ex postale ora in pensione. Sarà proprio nonno Filippo tema di discussione in famiglia, soprattutto quando bisognerà partire per le vacanze e non si saprà dove “parcheggiare” il vecchietto. A sciogliere ogni dubbio sarà lo stesso nonno che per mettere alla prova la capacità di sacrificio della sua famigliola, organizzerà un simpatico scherzo. Nonno Filippo, infatti, accanito giocatore di lotto e Super Enalotto, è stato baciato dalla fortuna ed è diventato arcimiliardario. Ora grazie a questi soldi può mettere alla prova la famiglia e capire se e chi gli vuole veramente bene. Escogita un piano per saggiare le intenzioni ed i sentimenti dei suoi cari, il tutto con l’aiuto di Matilda e Mimì. Filippo fingerà di essersi ammalato, e a causa della sua malattia la famiglia sarà costretta a rimandare le vacanze e pensare al recupero psicofisico del vecchietto. Nonno Filippo è tornato ad essere un bambino, bisogna accontentarlo in tutto, ogni suo desiderio deve essere esaudito. Questo, infatti, è quanto il finto medico ha raccomandato ai familiari. Per il buon esito della terapia è necessario che tutta la famiglia collabori.

Ad Ugo, mio Maestro.


Giulio, si trova in cucina e dalla vetrata s’intravede che sta sorseggiando del caffè; poi con la tazzina tra le mani si affaccia all’ingresso.


GIULIO: Tesoro, dov’è mio padre? Stamattina non l’ho ancora visto per casa.

COSTANZA: ( distratta, mentre tenta di abbinare collari e guinzagli) Cosa caro?

GIULIO: Dicevo, dov’è mio padre? Hai visto mio padre?

COSTANZA: (ancora distratta) Caro, in cucina ci sono i biscottini ancora caldi preparati da Matilda.

GIULIO: I biscottini di Matilda! I miei preferiti. (ritorna in cucina, prende un biscotto, lo morde e si porta di nuovo sull’uscio) A proposito, prima non mi hai risposto. Hai visto papà in giro?

COSTANZA: (finalmente osserva il marito) Ma cosa fai?! Sei impazzito!

GIULIO: (Interdetto) Che c’è! 

COSTANZA: Il biscotto!

GIULIO: Di Matilda!

COSTANZA: No, di Ciro.

GIULIO: (sputa disgustato) Che schifo, i biscotti di Ciro! Che cosa ci fanno i biscotti del cane nel barattolo di creta?

COSTANZA: E già, fosse per te quel povero cucciolo dovremmo trattarlo come una bestia. Bello di mamma sua!

GIULIO: Il S.Bernardo di 85 kg! Lo chiami cucciolo?! 

COSTANZA: Anche lui poverino ha diritto a qualche attenzione.

GIULIO: Vorrei ricordarti, che quel povero cucciolo, come lo chiami tu, é un S.Bernardo di due anni. Dico io, come si fa a trattare un animale come se fosse una persona, nel senso di viziarlo come un bambino. Persino una stanza gli ho dovuto arredare, una stanza tutta per Ciro. Addirittura mi avete costretto a mettergli la carta da parati in camera, con prati verdi ed alberi secolari dove lui puntualmente alza la zampetta per fare ettolitri di pipì e qualche volta anche di puppù.

COSTANZA: No, la puppù non l’ha mai fatta. Bello di mamma sua!

GIULIO: L’ha fatta, e come se l’ha fatta, e pure grossa, di una forma che sembrava la copia perfetta delle soppressate regalatemi da don Mimì. Altro che soppressate! (disgustato) Solo quando ho tentato di raccoglierle, mi sono accorto che si trattava d’altro, e lui mi ha pure ringhiato. Bastardo di un S.Bernardo! (a voce alta all’indirizzo del cane, il quale non nutrendo molta simpatia per Giulio, abbaia ogni volta che si sente nominare dal suo padrone).

COSTANZA: Lui è geloso delle sue cose.

GIULIO: Allora, mia cara, se è geloso delle sue cose, sarà bene non toccare la sua merda. Dobbiamo lasciare che egli contempli i suoi capolavori, le sue opere d’arte. Ma come si fa a rincoglionirsi a tal punto. Se penso che mi avete fatto spendere settecentomila lire per comprargli il materasso e la rete ortopedica, mi farei rinchiudere oggi stesso. Oltretutto non mostra neanche segni di riconoscenza. È un ingrato, ecco quello che è. (alzando un po’ la voce affinché il cane possa sentirlo) Ah, ma io prima di partire lo porto con me in autostrada e lo abbandono sulla prima piazzola che incontro. Bastardo di un S.Bernardo! (si sente ancora abbaiare; Giulio si rende conto che forse il cane ha capito che si sta parlando di lui ed allora insiste) Bastardo di un S.Bernardo! (il cane abbaia) Bastardo… (il cane abbaia ancora più forte) Bastardo…Bastardo…Bastardo (il cane abbaia ancora).
Beh, credo che per oggi sarà meglio che lui non veda la mia faccia in giro, potrebbe aver dimenticato che in fondo sono io il suo padrone. (guardando Costanza, quasi a chiederle conferma)

COSTANZA: (con la testa fa cenno di no) Su non scherzare lo sai che è molto sensibile. Bello di mamma sua!

GIULIO: (scocciato) Certo che è sensibile, ma io voglio sapere di mio padre. Dov’è!

COSTANZA: (ancora una volta distratta, credendo si stia parlando del cane).È di là nella sua stanza che aspetta di essere portato giù in cortile. Mi raccomando, la pipì fagliela fare lontano, sotto l’oleandro. 

GIULIO: Da quando in qua mio padre ama fare la pipì in cortile sotto l’oleandro?

COSTANZA: Ma io sto parlando di Ciro, non di tuo padre. Bello di mamma sua!

GIULIO: Ciro, Ciro, sempre Ciro, ma perché se la sua pipì gliela facciamo fare con la zampetta alzata su una bella ruota d’automobile, che cosa succede? 

COSTANZA: (ironica) Sotto il Nerium Oleander, anzidetto da noi Campani Leandro, perché Ciro, ancora cucciolo, si accostò alla pianta attratto dal bel colore dei suoi fiori, e ignaro, ne morse alcune foglie velenose che lo fecero star male per diversi giorni. Andare a fare la pipì ai piedi di quella pianta è il suo modo di vendicarsi.(scompare in camera di Ciro)

GIULIO: Questo non è un cane, questo è il giustiziere della notte, Rambo due la vendetta, il vendicatore solitario “Ciro, la zampetta più veloce del west!”. (alza la gamba per imitare il cane che fa la pipì, vorrebbe continuare con la sua farsa, ma è interrotto da Matilda). 

MATILDA: (ha appena finito di sistemare le valigie) Professò, bene alzato!

GIULIO: (imbarazzato) Ehm...salve Matilda…la prossima volta i biscotti di Ciro cerca di sistemarli da qualche altra parte, li ho mangiati quasi tutti.


MATILDE: Erano buoni? Io l’ho sempre detto, Ciro ha il palato fino, mangia solo i biscotti della “Premiata Pasticceria Canin”. 

GIULIO: Ma perché esiste una pasticceria che prepara dolci per cani? (incredulo)

MATILDA: No, anche per altri animali. Professò avete saggiato quelli al gianduia per i cavalli, sono una vera…

GIULIO: (al colmo dell’ira)... e biscotti d’’o cane Matì! Ma ti pare che io la mattina mi reco presso la “Premiata Pasticceria Canin” ad assaggiare le varie specialità, e magari dietro al bancone c’è un Mastino Napoletano che mi consiglia...(imitando) Professò vulisseve ‘nu’ babbà, o preferite una bella sfogliatella? (si dirige verso la cucina)

MATILDA: No, no, non può essere, quelli i proprietari sono del nord….”Canin”…al massimo dietro al bancone potete trovare un Pastore Bergamasco.

COSTANZA: (rientrando) Matilda, allora hai finito di sistemare tutte le valigie?

MATILDA: Signò la settima valigia è pronta, con tutto quello che avete deciso di portarvi, vi conviene incartare direttamente l’armadio.

COSTANZA: (infastidita dalla battuta ) Non fare tanto la spiritosa. Oltretutto sai bene che io senza il necessaire non riesco a muovermi di casa.

MATILDA.: Signò per spostare quelle valige è “necessaire un pullman”.

COSTANZA: Insomma, per il momento finisci di sistemare tutto, poi vedremo se sarà il caso di alleggerirne qualcuna. (mentre esce dalla scena con Matilda, che successivamente nel sbrigare le faccende di casa, con discrezione assisterà ai dialoghi tra Giulio ed i figli.) 

ARTURO: (appena sveglio, ha proprio l’aria di uno che ha appena fumato lo
spinello, attraversa la camera e si dirige in cucina). 
Matildaaaaa! È pronta la mia colazione?

GIULIO: Arturo, hai per caso incontrato Nonno? (rientrando dalla cucina)

ARTURO: (ancora mezzo addormentato) Il caffè è prontoooo? 

GIULIO: Arturo, ti ho chiesto se hai visto Nonno. (Arturo non risponde). Arturo..ti ho chiesto…se hai…visto nonno.

ARTURO: Nonno? Ah si…! È morto...sbranato da una tigre. (sbadigliando).

GIULIO: Papà sbranato da una tigre? (con rassegnazione – per Giulio è oramai una regola, ascoltare ogni giorno un nuovo racconto allucinato del figlio) 

ARTURO: Se lo stava mangiando la tigre a colazione…e allora è arrivata Oira Morfei…Morfa Feira…Mora Maffei…Moira Orfei, che ha offerto alla tigre una sua unghia finta e le ha detto: “Toh prendi! Con questa potrai togliere il nonno dai denti”. (vaneggia, abituato com’è a fare le ore piccole) …Forse più che un sogno deve essere stato un incubo. 

GIULIO: Incubi, magari avessi gli incubi, vorrebbe dire già qualcosa, che so, che un mezzo neurone ancora intatto c’è e riesce anche se disturbato a dare segni di vita.

ARTURO: Ma dai Pa’, era solo un sogno. Se Nonno morisse in questo momento, per me sarebbe una grave perdita...ancora deve sganciare la paghetta del mese.

GIULIO: La paghetta? Ecco quello che siete voi giovani d’oggi: cinici senza pietà.

ARTURO: Hai ragione siamo un po’ come quei tizi di “Natural Born Killer”.

GIULIO: E chi sarebbero?

ARTURO: Non conosci il film? (scherzando, sapendo di far arrabbiare il padre, racconta la trama) Una giovane coppia che delusa dalla routine quotidiana, decide di disfarsi della famiglia di lei, e così sventrano il padre, massacrano la madre, e se ne vanno in giro per l’America ad uccidere tutti quelli che gli stanno “on the balls”. Che cosa dici, ti piace l’idea?

GIULIO: Sì l’idea è caruccia, solo che io avrei cambiato un po’ il soggetto della sceneggiatura. (imitando il figlio). Un giovane figlio, parassita, fannullone e perditempo, che alla fine si ritrovò per strada barbone, preso a calci in “the deretan” da tutti.

ARTURO: Papà, ma io scherzavo, e poi tu non lasceresti mai che tuo figlio finisse barbone... o si?

GIULIO: Come un barbone forse no, ma all’angolo di qualche semaforo con secchio e spugna a lavare vetri sì. (Arturo si allontana in cucina)

ARTURO: (viene fuori dalla cucina con un barattolo di nutella, nel quale ha immerso un lungo coltello, mangiando si avvicina al padre). Lo dici come se ti facessero schifo, tutti quei poveri immigrati agli angoli delle strade. Pure quello è un lavoro. (si allontana di nuovo in cucina).

GIULIO: Non sono mica loro che mi fanno schifo. Loro quel lavoro lo fanno con gran dignità, in cambio ti danno qualcosa, fazzoletti, deodoranti, ti lavano il vetro, ma sempre mostrando fierezza nello sguardo. Tu invece che pretendi, che elemosini, che non sudi e non guadagni quello che ricevi, mi sai dire la tua dignità dove la metti?

ARTURO: (dalla porta della cucina) La dignità? Ora al massimo posso dirti dove metterò questo bel cornetto con la nutella. 

GIULIO: (sconsolato siede in poltrona. A tempo di musica fa il suo ingresso Chiara, che avendo le cuffie alle orecchie, non sente ciò che il padre le sta chiedendo) Chiara, hai visto nonno? Chiara, hai per caso visto nonno? (Chiara continua a ballare) Ma insomma... Chiara hai per caso visto nonnoooo? (le toglie le cuffie e le grida nell’orecchio). 

CHIARA: Babbo scusa ma cosa gridi, non sono mica sorda!

GIULIO: (imbarazzato) Scusa…è che stamattina nessuno mi sente e soprattutto nessuno mi risponde. Allora? (nel frattempo Chiara ha rimesso le cuffie e continua a ballare) Chiara, Chiaraaaaaaaaa? Tesoro, ti prego, fermati un momento.

CHIARA: Papi non posso interrompere prima di: (osserva l’orologio) venti minuti, altrimenti mi salta il bioritmo. (prende la mano del padre) Su avanti, se vuoi possiamo parlare ballando, ti faranno sicuramente bene venti minuti d’aerobica, ti devi rimettere in forma per la spiaggia. (Giulio si lascia convincere. Chiara inserisce una musicassetta. Parte la musica, anche il pubblico la sente. Si posizionano uno di fianco all’altro, verso il pubblico) Allora Papi sei pronto?

GIULIO: Si.

CHIARA: Allora via….e…quatt’…cinq’…sei…sett’…otto…(e parte il balletto)

GIULIO: (goffamente, cerca di seguire i movimenti della figlia) Chiara, io e te dovremmo trovare un po’ di tempo per discutere, per parlare, non come padre e figlia, ma come vecchi amici. Sai, è da molto tempo che…

CHIARA: (nel frattempo ha osservato i movimenti del padre)...Papi...Papà ma che cosa mi combini? I passi devono essere sincronizzati. Su da bravo daccapo, e…cinq’…sei…sett’…otto… (Giulio nel frattempo ha ripetuto sconsolato) 

GIULIO: Lo so, è anche colpa mia, ho sempre così poco tempo, il lavoro, gli impegni, però pure tu con questa musica in testa, mai una pausa, mai un minuto da poter dedicare al tuo babbo.

CHIARA: Papi ma tu lo sai che per me lo sport, la forma, il fisico, sono tutto, e poi la danza fortifica il corpo e sublima la mente. (osservando il padre si accorge che ancora una volta non rispetta i tempi) Papà, ma insomma, questi venti minuti li vuoi fare come si deve? Su da bravo, concentrati. Daccapo…e…cinq’…sei…sett’…otto…

GIULIO: (oramai allo stremo, senza forze e senza fiato, riesce con difficoltà a parlare) Chiara….Chiara per fortuna tu a differenza di tuo fratello sai quello che vuoi dalla vita. Una brillante carriera Universitaria, collabori con un importante studio d’avvocati, per questo non posso che essere felice. Però, poiché non posso contare su tuo fratello, desidererei che almeno tu, qualche legame, qualche affetto, lo stabilissi…

CHIARA: (interrompendo) Papi ti prego ne abbiamo già parlato, se ti aspetti di diventare presto nonno, scordatelo, perché per il momento il mio unico amore è la danza. Su, di nuovo e...

GIULIO: ...E…cinq’…sei…sette…otto litri d’acqua ed una bombola di ossigeno mi ci vogliono per recuperare. (si accascia sul divano)

CHIARA: Pigrone, quella pancetta non la smaltirai mai, io vado a farmi la doccia. (bussano alla porta…poi ancora un suono con insistenza)

MATILDA: Un momento. Arrivo. Don Mimì, siete voi! Che cosa è successo, la mano si è incollata al campanello?

MIMI: Mi sono distratto. Matì, il Professore ci sta?

MATILDA: Il professore adesso ha finito di fare un balletto troppo simpatico insieme alla figlia. Mi pareva Enzo Paolo Turzo, il marito di Carmen Russo.Ora sta seduto in poltrona, è rimasto senza sciato. Trasite, accomodatevi. (si avvia in cucina)

MIMI: (dall’ingresso) Professò buongiorno. (inizia con uno dei suoi proverbiali consigli) Portate le braccia in alto e fate un sospiro profondo, il segreto per riprendere fiato è quello di “spirare” con il naso ed “espiare” con la bocca. Vedete, io per mantenermi in forma sono salito fino a casa vostra a piedi, con le borse in mano, vi ho portato un paio di bottiglie di vino. Gragnano, riserva personale.

GIULIO: Don Mimì, vi prendete troppo disturbo, ma un buon Gragnano lo accetto volentieri. Matilda, per favore porta dell’acqua e avverti mia moglie che c’è qui don Mimì.

MIMI: (sfogliando un periodico d’enigmistica) Professore, nell’attesa, vi volevo chiedere man forte per risolvere questo rebus. Non riesco a far combaciare il 45 orizzontale con il 34 verticale. La domanda è: “Alveari”.

GIULIO: Permettete? (prende il cruciverba, e controlla). Mio caro, la risposta è “Apiari”... e poi, questo uno orizzontale non è “Segni” ma “Senni”, infatti, la domanda è “Quelli di poi”. In ogni modo, l’errore che ha originato questi incastri viziati è la due verticale, sei lettere “Il nome di Fermi lo scienziato”.

MIMI: No professò è impossibile. Il nome di Fermi è Egidio, lo conosco personalmente.

GIULIO: Avete conosciuto Fermi?

MIMI: Certo, è il guardaporte di palazzo Piscitelli.

GIULIO: (sorridendo) Don Mimì, qui si parla del “grande Fisico”.

MIMI: Grande? E allora è proprio lui, Egidio, quello tiene un fisico piazzato, è alto circa un metro e ottanta, due braccia di questa maniera…

GIULIO: ...Io sto parlando di Enrico Fermi, lo scienziato, quello che inventò la bomba atomica. Credetemi non si tratta del vostro amico.

MIMI: Siete sicuro professò, no perché pure al mio amico Egidio lo chiamano “’o scienziato”, per via del fatto che era riuscito quasi a prendersi il diploma di ragioniere.

GIULIO: Mimì, con tutto il rispetto per l’amico vostro, ma lo scienziato di cui parla il cruciverba è Enrico Fermi, nato a Roma nel 1901, ed insignito del premio Nobel per la Fisica nel 1938. Egidio non c’entra.

MIMI: A volte uno è talmente sicuro di una cosa, che si giocherebbe tutto, eppure è così facile sbagliare, che ci vuole…(come se leggesse l’annuncio sul giornale, e al nome Egidio cala di tono) La bomba atomica fu inventata dal grande scienziato E.i.d.i.o Fermi. Vedete, voi avete avuto l’impressione che io abbia detto Enrico, invece ho proprio detto Egidio.

GIULIO: Mi dispiace per voi, ma conosco bene la storia del Fermi. (in modo confidenziale) Il grande scienziato si dovette rifugiare negli Stati Uniti per via della guerra, e per via del fatto che la Mamma era ebrea...

MIMI: ...Adesso è tutto chiaro, di secondo nome faceva Egidio. Gli Ebrei sono abituati al doppio nome, la mamma teneva a cuore due Santi, e per non scontentare nessuno lo avrà chiamato Enrico, Egidio Fermi.

GIULIO: (esausto prende un libro, lo apre e lo porge a Mimì) Leggete qui! Troverete tutto quello che riguarda Fermi. Contento ora?

MIMI: (legge, poi riflette) A pensarci bene, mi suonava un po’ strano che a Egidio lo mettessero addirittura sui cruciverba.

MATILDA: (rientrando dalla cucina) Don Mimì, questa volta abbiamo fatto cilecca. Appena lo saprà don Egidio che quello là sopra non è lui, farete una bella figurella. Pensate professò che don Egidio ha invitato tutti i guardaporte di Napoli a casa sua. Ha organizzato una festa in grande, per l’occasione si è fatto fare una cornice d’oro zecchino di questa maniera, e dentro ci ha messo una copia del cruciverba. (ridendo, si avvia verso l’interno) Egidio o’ guardaporte inventava la bomba atomica, ha, ha, ha! Signò c’è qui il guardaporte.

MIMI: Concerge prego.

MATILDA: (verso l’interno, all’indirizzo di Costanza) E’ venuto con Sergio.

GIULIO: Matilda, “Concerge” è il termine Francese per indicare il portiere.

MIMI: Bisogna capirla Professò, non potiamo mica pretendere che lei abbia il nostro grado di coltura. Dobbiamo aiutarla nel suo percorso di formazione e di accolturazione. Professò, come dicono i Latini, per questo “sine qua non” siamo qui noi.

COSTANZA: Mimì buongiorno, scusateci se per queste cose approfittiamo sempre della vostra disponibilità. Ecco, potete sistemare tutto nella dispensa. Seguitemi per cortesia. 

MIMI: Nessun disturbo signò, comandate pure.Vi eseguo. (si allontana con Costanza).

GIULIO: Matilda, dimmi una cosa, hai visto il babbo in giro?

MATILDA: IL babbo ? ...Si, l’ho visto a Natale sopra all’albero. Professò il babbo come lo chiamate voi, stamattina alle cinque si è sentito male. Adesso è in ospedale.

GIULIO: (incredulo) Papà in ospedale?!

MIMI: (rientra, e si dirige verso l’ingresso per prendere le casse dell’acqua) Già… povero don Filippo, steso in un letto d’ospedale.

MATILDA: Proprio così, in Ospedale, e anche di corsa. (anticipando Giulio che evidentemente vorrebbe interromperla). Comunque, niente di preoccupante, si è trattato solo di una specie d’infarto.

GIULIO: (preoccupato) Ma come sarebbe una specie d’infarto.

MATILDA: (pronta) Vi spiego. Stamattina alle cinque, mi sono presentata come ogni mattina in camera sua per portargli caffè e giornale, ho bussato, come faccio sempre, ma niente, ho ribussato e ancora niente, nessuna risposta. Allora ho pensato: vuoi vedere che don Filippo si sente male? A questo punto, ho deciso di imbarcare la sogliola…

MIMI: La soglia… varcare la soglia.

MATILDA: Appena entrata, ho assistito ad uno spettacolo spaventoso, ho trovato vostro padre che “arraspava”. 

GIULIO: Arraspava? 

MATILDA: Branculiava! ( mima un uomo che barcolla)

MIMI: (sistemando l’acqua, interviene) Annaspava! Muovere scompostamente le braccia, 17 verticale, nove lettere.

MATILDA: Esatto, movendo scostumatamente le braccia, mi ha guardato in faccia e mi sono accorta che era diventato “Caotico”. 

GIULIO: Caotico!!! (la velocità con cui i due raccontano questa storia, non consente a Giulio di ragionarci sopra e di fare caso alle fesserie che gli stanno dicendo.) 

MATILDA: Livido!

MIMI: Cianotico! Il blu della pelle, quando manca l’ossigeno, 18 orizzontale nove lettere. 

MATILDA: E alla fine ho visto che cacciava la “lava” dalla bocca.

MIMI: Bava professò, cacciava bava…si vaviava.

MATILDA: Poi, mi ha guardato con occhi “dilaniati” ed è caduto a terra.

GIULIO: Dilatati, teneva le pupille dilatate.

MATILDA: Esatto, teneva le “papille allargate”.

MIMI: (ironico) Teneva ‘a lenga tanta.

MATILDA: Bravo, a forma ‘e mulignana. Io comunque, vista la gravità ho immediatamente chiamato la croce….la croce…..

GIULIO: Rossa!

MIMI: Rossa?

MATILDA: No!

GIULIO: Verde!

MIMI: Verde?

MATILDA: No!

GIULIO: Azzurra!

MIMI: Azzurra?

MATILDA: No!

GIULIO: Se po’ sapè, che culore era sta croce?

MATILDA: Argentata, servizio per gli anziani. Mi hanno chiesto per telefono un dipinto della situazione e….

GIULIO: Un dipinto!?

MIMI: Un quadro professò, un quadro.

MATILDA: E sono arrivati in sette e sette otto. Il dottore dentro all’ambulanza ha effettuato una prima rapida visita. Mentre lo visitava, sentivo che parlava per radio, forse con quelli dell’ospedale, ho capito che diceva: “Paziente con ictus generale, con emiparesa destra”; poi ha parlato di un probabile shock da profilattico, ed ha concluso dicendo: “Presto preparate la sala operatoria, il paziente sta per schiattare”

GIULIO: (confuso e preoccupato) Ictus cerebrale, emiparesi destra da shock anafilattico? Ma come, papà si è sentito male e in questa casa nessuno si è accorto di nulla? Oh mio Dio! Matilda, ma tu perché non ci hai avvertito? Perché me lo dici solo adesso?

MATILDA: (Imbarazzata) E perché ve lo dico solo adesso? Perché?…Perché vostro padre è stato categorico. (imitando) “Matilda ti prego non dire niente a nessuno, è un ordine”.

GIULIO: Ma come dopo l’ictus, riusciva persino a dare ordini?

MATILDA: A dare ordini mo, (imbarazzata) parlava, ma con molta difficoltà. Comunicava un po’ mordendosi la lingua un po’ a gesti. (imita nonno Filippo)

MIMI: Balbettava.

GIULIO: (si avvia all’ingresso e incrocia Costanza) Costanza, io devo correre in ospedale, papà non si è sentito bene.

COSTANZA: Ma come a quest’ora?

GIULIO: No! Veramente stamattina alle cinque.

COSTANZA: No, dicevo a quest’ora vai in ospedale? Dobbiamo ancora preparare le
valigie. E poi, Ciro non ha ancora fatto colazione.

GIULIO: Ma cosa vuoi che mi importi delle valigie e della colazione di Ciro. Io vado. (ritorna sui suoi passi, a Matilda) A proposito, in quale Ospedale è stato trasportato mio padre?

MIMI: Ospedale… Pasquale, primo piano, stanza cinque.

GIULIO: Pascale? Quello è un istituto per malattie neoplastiche.

MATILDA: (imbarazzata temendo di essere scoperta)… plastica o non plastica, là si era liberato il posto e là lo hanno portato.

MIMI: E sì, è vero, professò, ‘a ggente accussì! (la parola è seguita dal classico gesto per indicare folla) 

ARTURO: (rientra dalla cucina) Pà che fai esci?

GIULIO: (affranto, come a chiedere il conforto del figlio) Sì, corro da nonno in ospedale, sai potrebbe essere in fin di vita, stanotte si è sentito male.

ARTURO: (continuando a mangiare si allontana nella sua camera) Ok! Ciao.

COSTANZA: (accompagna Giulio alla porta) Il solito egoista tuo padre. Ammalarsi proprio mentre sono in corso i preparativi per le vacanze, sembrerebbe quasi fatto a posta. In ogni caso, vedrai caro che si è trattato di un semplice malessere. Facci sapere, così magari io e i ragazzi ti raggiungiamo dopo. (si sente il cane abbaiare) Cirooo! (si avvia verso la stanza di Ciro)

MATILDA: (Controlla che la stanza sia sgombra e crolla esausta sul divano).

MIMI: (a Matilda, con ironia) Ictus generale… ho visto che arraspava… la lava dalla bocca. Insomma, c’è mancato poco che si scoperchiassero le caccavelle. Dopotutto il professore non è mica fesso. Quello non per niente è professore. Siamo stati fortunati perché la notizia lo ha preso all’improvviso, e allora non ha avuto il tempo di ragionare sulle fesserie che gli stavi raccontando. 

MATILDA: Don Mimì, la cosa importante è che il Professore ha creduto a tutto quel che gli ho detto. Io di termini scientifici non me ne intendo, poi don Filippo ha detto: inventati qualche cosa, trova una scusa sulla mia malattia, digli che sono ricoverato al Pasquale, perché là c’è il primario amico mio. Ho dovuto lavorare molto di fantasia.

MIMI: Matì, questa è una cosa seria, molto seria. Qua ci sono in ballo quaranta miliardi… quaranta miliardi… (estasiato, mentre si accascia sul divano) quaranta miliardi…

COSTANZA: Quarantamiliardinovecentosessantacinquemilioni. (rientrando ed avendo sentito)

MIMI: Millelire in più o in meno non fa la differenza. (si accorge della presenza di Costanza, e rimane senza parole, farfuglia) Si...sisì…sssignora allora voi…vo…vvvoi sssapete?

COSTANZA: Certo che so, tutti lo sanno, una notizia del genere in un attimo fa il giro della città.

MIMI: Uh Gesù! Uh Maronn! Uh S.Antonio!…Don Filippo e i quaranta… (vorrebbe far capire a Matilda di essere stati scoperti) 

MATILDA: (interrompendo) Ladroni?

MIMI: Alì Babà e i quaranta... Don Filippo e i quarantamiliardi. Adesso chi glielo dirà?


COSTANZA: Caro Mimì, il povero Filippo è in ospedale, e anche se accanito giocatore, in questo momento gli premerà sapere della sua salute, piuttosto che conoscere il fortunato vincitore del superenalotto.

MIMI: Ahaaahaaa, ma allora voi ancora non sapete chi ha vinto i numeri?

COSTANZA: Certo che no! Ma perché voi lo sapete?

MIMI: Io?! Nooo! (sicuro) E come si fa a saperlo, io so solo che deve essere uno di Milano che si trovava in visita presso parenti, in via De Dominicis n° 75, interno otto, sesto piano. 

COSTANZA: Milanese dite? Chissà che non si tratti del Parente di Pironti, che proprio in questo periodo è qui per la divisione dell’eredità lasciata dal padre. Certo che la fortuna a volte bussa proprio alle porte sbagliate.

MIMI: E che volete fare signora, come si dice: Audac fortuna juventa, a lanterna ‘mmano ‘e cecate ‘o pane a chi nun’ tene e diente, chi troppo vuole poco stringe, chi semina prima o poi deve raccogliere, chi si accontenta gode, chi vuol essere lieto sia di doman non c’è certezza…(tutti lo guardano aspettando la fine di questa sconclusionata carrellata di proverbi)...tanto va la gatta …(si accorge della situazione, e con imbarazzo…)...al lardo…che…che è stato?

MATILDA: E’stato che se non la smettete, la gatta…(ammiccando) ci lascia la zampina! 

MIMI: La gatta per la verità ci lascia lo zampino.

MATILDA: Ah! È una gatta femmina con le zampe da maschio.

COSTANZA: (con ironia) “Indocti discant et ament meminisse periti”…imparino gli ignoranti, e quelli che sanno amino di rinfrescar le loro cognizioni.

MIMI: Avete perfettamente ragione signò, io lo dico sempre a Matilda che il latino è più conosciuto dell’inglese…ad hoc, ad libitum, ad litteram, ad malora, urbi e sordi, Deus ex macchina, Deus ex camion, in vino veritas, in acqua annegas, coitus interruptus, induratio penis, lupus in fabbula…

COSTANZA: (ironizzando) E topus in trappula. (con la sua aristocratica superiorità) “Sufficit diei malitia sua” (tra i denti). “A ciascun giorno basta la sua pena”. Per oggi quello che hanno sentito le mie orecchie rinfranca appieno il mio spirito.

MIMI: Come dite signò?

COSTANZA: (per tagliare corto) Dicevo che se non era troppo disturbo, volevo chiedervi la gentilezza di fare un salto in terrazzo per controllare l’antenna. Sono giorni che il televisore fa i capricci, stasera non posso assolutamente perdere la puntata di “Un posto al sole”. 

MIMI: Ai vostri ordini signora, per un posto al sole farei questo ed altro. (ridendo, convinto che la battuta abbia suscitato ilarità) Mi vengono così di getto.

COSTANZA: Come il latino, tutto di getto.

MIMI: No, no, il latino è frutto di intensi e meticolosi studi condotti su…

MATILDA: Quintali di cruciverba, anche quelli tutti rigettati.

MIMI: (a Matilda) Verbo volant scripta rimanent. (a Costanza) Quando parto con le rimembranze, quando vado a scavare nel pozzo di sapere accumulato nel mio cervello, non riesco più a fermarmi. Devo sciorinare.

MATILDA: Don Mimì trattenetevi, vi accompagno al bagno.

MIMI: Al bagno? Perché?

MATILDA: Non me la volete fare mica a terra? Siete grande, trattenetevi. La prostata, gioca brutti scherzi lo so, anche don Filippo ha lo stesso problema, e pure il professore ogni tanto, vedo che scappa di corsa al bagno. Deve essere una cosa ereditata. 

COSTANZA: Matilda! Insomma come ti permetti, sbandierare ai quattro venti tutti i nostri problemi.

MATILDA: Pure voi signò tenete la prostata infiammata? Io l’ho detto che è una questione ereditata.

MIMI: Ma cosa hai capito, la signora la prostata non la tiene.

MATILDA: Avete fatto bene signò. La soluzione migliore è operarla. Dovete convincere pure vostro marito, adesso la fanno con il laser. La deve fare, altrimenti prima o poi finisce che gli dobbiamo comperare i pannoloni.

COSTANZA: (esasperata) Io non riesco a capire come sia possibile che tu, pur vivendo da tanti anni in una casa di persone colte, istruite, non sia riuscita almeno in parte a colmare la tua ignoranza. Almeno cerca di approfittare, quando ci senti parlare tendi l’orecchio, fai tesoro del nostro vocabolario e delle parole di cui non comprendi il significato chiedine spiegazione. In questo modo, presto o tardi riuscirai a comprendere meglio le cose. Ora sapresti che la prostata è un organo maschile.

MATILDA: Il fatto è che io a volte vorrei seguire i vostri discorsi, però poi mi perdo perché usate parole troppo difficili. Per esempio ieri sera, il signorino Arturo mi disse di non disturbarlo, e di non fare entrare nessuno in camera sua perché doveva vedere un film “hard core”. Ho chiesto pure al professore che cosa significa, ma non mi ha risposto, ha detto che andava di fretta. Voi lo sapete cosa vuol dire?

COSTANZA: (in evidente imbarazzo) No, non lo so, è un termine inglese, sarà il titolo di un film.

MATILDA: Voi manco lo sapete don Mimì?

MIMI: (convinto) Certo che lo so. Tradotto significa “arde il cuore” Sono film che parlano d’amore… che fanno ardere il cuore. Anche io, come il signorino ho preso l’abitudine prima di addormentarmi di vedere questo genere di film. Conciliano il sonno, quando ti metti a letto ti senti più sollevato, più scarico. Ci sono sempre belle donne che s’innamorano. Io, la sera mentre mia moglie dorme, mi metto comodo in poltrona davanti al televisore e faccio partire la mano…su e giù, destra e sinistra, sopra e sotto…

COSTANZA: Che schifo!

MIMI: Avete ragione signò, è proprio uno schifo; purtroppo a casa mia l’unico modo per riuscire a vedere un film per intero, è quello di muovere continuamente l’antenna…su e giù, giù e su, destra e sinistra…

COSTANZA: Vi prego risparmiateci i particolari. In quanto a mio figlio, ora capisco perché la mattina si sveglia sempre così tardi. 

MATILDA: Già, sempre con una faccia bianca, gli occhi scavati. Questi film strappalacrime a lui non fanno certo bene. Ecco perché la mattina mi chiede sempre di fargli quattro uova sbattute con molto miele. Bello di mamma sua!

COSTANZA: (interrompendo) Adesso vai cara, ci sono le valige da portare in garage, non lasciamo lavori fatti a metà.

MATILDA: Vado signò. Però una cosa ve la debbo proprio dire. Da quando non insegnate più per via dell’esaurimento nervoso vi siete un poco inacidata, siete diventata più instabile sotto l’aspetto effettivo. 

COSTANZA: Nigro notanda lapillo...

MIMI: E’ vero signò, e’ nigre teneno ‘a mutanda ‘ncoppa e’ capille. 

COSTANZA: Nigro notanda lapillo...questo è un giorno da segnare con una pietruzza nera. Sei incorreggibile mia cara. Non so più cosa fare per frenare questa tua spontanea e ingenua franchezza. Ecco, mancava solo don Mimì nell’elenco di quelli che sanno del mio esaurimento nervoso.

MIMI: Per la verità signò, manco mia moglie e la madre lo sanno, ma non vi preoccupate mo che scendo ci spiego tutto per bene.

COSTANZA: “Post nubila Phoebus” Ecco, dopo la pioggia, il sole. 

MIMI: Nu’ poco e’ sole ci voleva, ha fatto tanta di quell’acqua.

MATILDA: Signò, allora vado.

COSTANZA: Vai cara, vai pure.

MIMI: Matilda, visto che ti trovi a scendere, per cortesia avverti il mio apprendista in guardiola che se qualcuno mi cerca, sono sul terrazzo.

COSTANZA: (meravigliata) Dunque, tenete pure l’aiutante?

MIMI: E si capisce signò, oggi per imparare un mestiere ci vuole tempo, dedizione, applicamento, per questo ho deciso di tramandare il mestiere a mio nipote, il quale ha imparato l’arte del guardaporte pressso don Michele, il portiere di palazzo Tagliaferri, un palazzo prestigioso. E così finito il praticantato, ho deciso di assumerlo alle mie dipendenze. Allora signò io vado sennò si fa buio e dopo addio “sole”. Ad malora. 

ARTURO: (scende le scale, aggiustandosi gli abiti – si è appena cambiato) Mamma cos’è questa storia del vecchio? Del vecchio…? (in una delle sue tante allucinazioni, rivive alcuni momenti calcistici e parte con la telecronaca) Del Vecchio per Totti, Montella goal…goaaaaaal, campioni d’Italia, siamo campioni d’Italia...

COSTANZA: Arturo! Smettila di scherzare sempre. In un momento come questo, così delicato, in cui la concretizzazione delle nostre vacanze è legata alla vita di un uomo, tu scherzi? Potremmo anche non partire sai.

ARTURO: Mamma scusa, hai ragione. Però anche se ci tengo a partire, mi dispiace soprattutto per Nonno. Ho sentito che lo hanno scaricato in ospedale. (continua a scherzare, fingendo di fare telecronaca sportiva)

COSTANZA: Già, tuo Nonno stanotte si è sentito male e nessuno di noi si è accorto di nulla. Non un rumore, un lamento, un gridolino…

CHIARA: (dalle scale, ballando a ritmo di flamenco. Non ha più la tuta sportiva. Indossa un tailleur)

ARTURO: Mamma cosa avremmo dovuto sentire? Qualcosa del tipo: a..i..u..t..a..t..e..m..i...! Mi sento male! (ancora telecronaca sportiva)

COSTANZA: Oh insomma basta! Tu pensi sempre a scherzare, intanto questa storia blocca tutti i nostri progetti, ora che finalmente dopo tanti anni si poteva fare una vacanza insieme. Questa malattia del nonno proprio non ci voleva, adesso tuo padre per una sciocchezza simile vorrà addirittura disdire la prenotazione in agenzia. (isterica) Gli toccherà accudire il padre, dargli da mangiare, lavarlo dopo la cacca, dargli le medicine, vestirlo, organizzare la casa senza barriere …

ARTURO: Però sarebbe simpatico organizzare con Il Nonno “giochi senza barriere”, lo immagino in carrozzella nel tentativo di raggiungere prima di me il cesso. (si accorge con imbarazzo di divertirsi per una cosa che gli altri di sicuro disapprovano)

COSTANZA: (chiaramente si è accorta della figlia) Chiara, tesoro ma ci pensi, bisognerà stare al suo fianco, notte e giorno, fino all’esalazione del suo ultimo respiro e poi provvedere ai fiori, alla bara, alla tumulazione….

CHIARA: Mamma non drammatizziamo, nonno è sempre stato autosufficiente e non sarà certo un ictus ad impedirgli d’autogestirsi.

ARTURO: Ma si, vedrai che si rimetterà presto, e poi ha una fibra dura quella vecchia carogna…(si accorge che la sorella lo guarda con rimprovero) Scherzavo...! Lo so che non è vecchio…è solo una carogna.

CHIARA: Ma come fai a scherzare su cose così delicate!

ARTURO: Cara sorellina, il modo migliore per superare i momenti difficili è quello di sdrammatizzare ridendoci sopra.

CHIARA: Tu saresti capace di ridere anche al mio funerale.

ARTURO: No! A quello no, a quello piangerei, perché non avrei più nessuno cui dare i tormenti.

CHIARA: (scherzando) Sai mi auguro di morire quanto prima, per vederti soffrire di solitudine. Sentite perché piuttosto non cerchiamo di raggiungere papà in ospedale per sapere come sta nonno?

MATILDA: (rientrando) Signò le prime due valigie sono al loro posto. Avete altri comandi?

COSTANZA: Si, noi dobbiamo andare in ospedale a salutare Filippo. Per piacere chiamaci un taxi. (si avvia all’ingresso, accompagnata dai figli, si accorge del quadro poggiato a terra nel corridoio) Ragazzi avviatevi! Arrivo subito! (prende il quadro ancora incartato) Senti cara, (invita Matilda a sedersi, ed in tono confidenziale...) avrei piacere che tu mettessi questo quadro, lì nel corridoio, su quella parete bianca. Non appena avrai finito di sistemare le valigie, vorrei che tu lo osservassi attentamente (quel quadro), almeno per una trentina di minuti. Ho bisogno di sapere quali emozioni, quali stimoli, quali sensazioni provi nell’osservare questa magnifica natura morta di Morandi. 

MATILDA: E’ morta da parecchio signò? Ho lavato e profumato la casa proprio stamattina, non vorrei che lasciasse cattivi odori.

COSTANZA: Cosa hai capito, è una natura morta ad olio.

MATILDA: Peggio ancora, quello l’olio unge parecchio, poi per farlo andare via ci vuole lo sgrassante.

COSTANZA: Matilda! Si tratta di un dipinto, una natura morta dipinta ad olio. Ecco, vedi? (toglie il quadro dall’involucro e lo mostra a Matilda) Hai capito adesso?

MATILDA: Ah, ho capito. Ma io di quadri non capisco niente signò, sono completamente ignorante in materia.

COSTANZA: Proprio per questo voglio che tu osservi il quadro attentamente, voglio fare un esperimento. Ho bisogno di sapere se, come dicono gli esperti, la bellezza è universale, e di conseguenza anche i giudizi sulla contemplazione di capolavori come questo, possono essere simili ed accomunabili a tutte le classi sociali, ad ogni grado di cultura.

MATILDA Ma come signò con don Filippo in quelle condizioni voi pensate al quadro, alle valigie….

COSTANZA: Ah sì, mio suocero? Beh! Certo non lascerò che finisca nella prima casa di cura che capita. Baderò a farlo internare...rinchiudere...segregare...insomma, parcheggiare nella migliore clinica della città, così quando ritorneremo dalle vacanze sarà come rimesso a nuovo. Allora vado, forse io e i ragazzi faremo in tempo a sentire le ultime volontà di Filippo. (esce)

MATILDA: Se fosse per la signora, a Don Filippo lo metterebbe in un bel “Parcheggio Custodito” e lo andrebbe a ritirare a cose fatte. (esausta, accasciandosi sul divano) Mamma mia del Carmine e quant’è longa sta jurnata. Eppure la fase più delicata del piano ancora non è arrivata. (bussano alla porta). Questa deve essere la signora che si è scordata qualcosa. (va ad aprire)

MIMI: (entrando) Matì eccomi qua, ho atteso che la famiglia uscisse, dobbiamo immediatamente attivarci per la fase due del piano. Allora ti ricordi? Operazione Ottopussa!

MATILDA: E nove feta. Mimì sbrighiamoci, bisogna chiamare vostro nipote Nicolino.

MIMI: Giusto! Lo faccio salire. (chiama il nipote a citofono) Look the door uno a look the door due, via libera al piano. (nessuna risposta) Look the door uno, a look the door due, ripondi... Nicolino rispondi…Nicolì..e vvuò risponnere..(si sente ronfare) S’è addurmuto Nicolino.

MATILDA: Che bell’assistente che tenete don Mimì…dorme.

MIMI: Nicolino...Nicolì sosate sta arrivanno Ciro ‘o S.Bernardo. (rumori dall’altro capo del citofono) Te mise appaura eh! (risata). Cretino non c’è nessun cane…Bisogna attivare il secondo piano… No, non devi salire al secondo piano…. Devi salire all’ultimo di piano.. Animale…Non il cane, sei tu l’animale, cretino. Nicolì devi venire di corsa sopra, hai capito?…Si… di corsa. Scattareee! 

MATILDA: Don Mimì, ma siamo sicuri che vostro nipote ha capito quello che deve fare?

MIMI: Certo che ha capito…un po’ in ritardo ma ha capito. Purtroppo il ragazzo è per così dire lento al “comprensorio”.

MATILDA: Cosa erano quelle parole in Francese, che vi siete scambiate con vostro nipote?

MIMI: (pavoneggiandosi) Look the door? Questa è una parola tedesca. Significa guardaporte, è la parola d’ordine tra me e mio nipote. Modestamente a fare il guardaporte in uno stabile come questo, con gente straniera che va e viene, si finisce per diventare un po’ poligrotta, insomma come si dice si diventa multirazzisti. (bussano alla porta, Mimì va ad aprire) Matì non ti scomodare vado io, questo deve essere Nicolino. (fuoriscena) Quante volte te lo debbo dire che il posto di lavoro non si abbandona mai.

NICOLINO: Ma io non mi sono mai mosso dalla guardiola. (con evidente affanno, perché ha fatto le scale a piedi).

MIMI: Si però ti sei addormentato, tergo eri assente. Per punizione domani ti fai tre ore di straordinario. (a Matilda) Con i dipendenti bisogna usare il pugno di ferro nel guanto di velluto, soprattutto se sono parenti.

MATILDA: Nicolino! Ma che cos’è quest’affanno, sei salito a piedi?

NICOLINO: Certo, e che prendevo l’ascensore! Zio Mimì per citofono mi ha ordinato di salire di corsa, poi le istruzioni parlano chiaro: prima regola agire con “circoscrizione”. Io se salivo al settimo piano con l’ascensore, qualcuno mi poteva domandarmi a me: Nicolino dove andate con l’ascensore? A chi andate a trovare? Da chi dovete bussare? Tenete la spesa per qualcuno? Vi ha chiamato qualcuno? Che cosa ci nascondete? E’ successo qualcosa? E perché….

MATILDA: Ma chisto nun’è nu palazzo è un tribunale, un commissariato. Senti 007, hai portato il numero di telefono del tuo amico attore?

NICOLINO: Certo, lo tengo ben custodito. È qui (indica la zona intima) a prova d’indagine. (a Matilda) Voltatevi per piacere. (si cala i pantaloni, ed inizia a frugare con la mano all’interno della sua ridicola mutanda). Ecco il numero! Leggi tu zio.

MIMI: (imbarazzato) Non posso sto senza occhiali. Matì leggi tu.

MATILDA: Ma scusa non facevi prima a ricordarlo a memoria?

NICOLINO: E che so fesso! Se mi fermava il controspionaggio mi poteva sottopormi ad interrogatorio. Io poi sotto tortura non avrei resistito. Schiaffi, pugni, calci, scariche elettriche, scottature con il ferro rovente, denti e unghie strappate, mozziconi di sigarette spenti sulla pancia….

MATILDA: Ma che ci stanno le “SS” in questo palazzo. 

NICOLINO: Sì, le zitelle del terzo piano sono più pericolose dei Razzisti. Una volta per sapere se il figlio del professore si fumava lo spinello, mi hanno, con una scusa, invitato in casa loro, e poi, per farmi confessarmi mi hanno puntato un fucile a canne mozze in bocca. 

MIMI: E tu hai parlato?

NICOLINO: Quando mai! Come facevo, con due canne di quella maniera in mezzo ai denti. (mette due dita in bocca, come a voler simulare l’episodio, intanto però, non si comprende quello che dice, allora lo zio gli sposta le dita, e Nicolino riprende a parlare) Come facevo con due canne di quella maniera in mezzo ai denti?

MATILDA: Tutta colpa di “Un posto al sole”.

MIMI: Che ci azzecca “Un posto al sole”.

MATILDA: La gente, e soprattutto quelli che vivono da soli come le zitelle, riempiono le loro giornate con le storie di questi personaggi, come se fossero loro parenti. Quando poi la puntata finisce, hanno bisogno di nuove storie. Ecco che allora cercano storie che hanno a portata di mano, soprattutto quelle che succedono nel palazzo. Situazioni vere, Fiction dal vivo, dove i protagonisti sono: padri, madri, figli, assistenti portieri, che vivono o lavorano in questo palazzo. Le zitelle stanno scrivendo una telenovela. S’intitola “Morire”.

MIMI: Una cosa divertente! Sa quanta risate!

MATILDA: Per questo hanno sempre bisogno di sapere tutto di tutti, per il loro sceneggiato.

NICOLINO: Io perciò ho utilizzato questo stratagemma. Anche se mi bloccavano come l’altra volta, non me lo potevano mai trovarmelo addosso. Ecco qua! (porge il foglietto allo zio) Ben custodito!

MIMI: (evidentemente disgustato dall’odore) Ci puoi giurare.

MATILDA: Sentite, non possiamo perdere altro tempo, i padroni possono rientrare da un momento all’altro. Dobbiamo attenerci scrupolosamente alle indicazioni che ci ha dato Don Filippo. Bisogna fissare un appuntamento con l’amico tuo attore, Nicolì hai capito? Intanto mentre noi spieghiamo all’attore quello che deve fare, don Filippo continuerà a stare per qualche altro giorno in ospedale…

NICOLINO: Quanto mi dispiace…povero Don Filippo…è grave?

MIMI: Qua l’unico grave sei tu. Ma allora nun’‘e capito niente! Ma di chi hai preso? (si accorge che Matilda lo guarda, e quindi precisa) Io non c’entro mi è nipote da parte di mia moglie…perciò è così fesso. Insomma ma comme t’aggia spiegà. Don Filippo sta bene, questo è tutto uno scherzo, lui finge d’essere malato perché vuole come dire, “sperimentare l’affezione della famiglia”, li vuole mettere alla prova. Con questi quarantamiliardi che ha vinto al superenalotto…(in estasi) quarantamiliardi…quarantamiliardi…

MATILDA: Di nuovo l’estasi don Mimì? Quando si parla di soldi, per voi è comme se vedarrisseve ‘a’ Maronna! Ad ogni modo ci tengo a sottolineare che si tratta di “quarantamiliardinovecentosessantaciquemilioni!”

MIMI: E comme sì pignola Matì. Figuriamoci se Don Filippo se ne importa degli spiccioli. Che saranno mai 965milioni di lire.

MATILDE: Giusto. Sicuramente li vorrà lasciare a Nicolino per le sigarette. 

NICOLINO: (ripete con ingenuità, a modo suo, tutto quello che fin da piccolo ha sentito dire sul fumo e sulla droga) E che me ne faccio, io non fumo. Il fumo nuoce gravemente alla salute, c’è scritto pure sopra ai pacchetti. Le sigarette fanno male al cuore e ai polmoni; e poi dalle sigarette si passa allo spinello, e dallo spinello si prende la pillola, ma non quella per non rimanere incinti, quella con la faccia di Superman sopra, che ti fa ballare tutta la nottata senza stancarti. Allora davanti alla scuola arrivano e ti danno una pillola e un francobollo da leccare, che a me non serve perché io non scrivo mai a nessuno, e se continui a fumare ti fanno una siringa dentro il braccio che prima ti fa scordare chi sei, dove sei nato e dove stai, e poi ti fa scordare tutti i problemi, ma solo per una mezz’oretta, perché poi ti ricordi chi sei, dove sei nato e dove stai, e allora sono guai, perché i problemi tornano più assai di prima, al punto che diventi tossicoindipendente, e per comprare l’ago, la pera e il limone vai dal fruttivendolo che le pere e i limoni li tiene, ma gli aghi e le bustine no. Per quelli devi andare dal farmacista e chiedere: “datemi uno e uno” e siccome io lo so che uno più uno fa due, ho capito che quando ti finiscono i soldi per le bustine t’incazzi perché stai male e inizi a rubare. Rubi gli stereo, le macchine, i motorini, le biciclette, le borse e le catenine, le pensioni alle vecchiette. Quando poi non hai più niente da rubare, i soldi per le bustine li vai a chiedere ad amici e conoscenti, che non sempre ti sono amici e conoscenti, e alla fine ti evitano e tu t’incazzi ancora di più, perché senza la neve non sai stare. Per un po’ di neve saresti capace di ammazzare pure tua madre. Io non prenderò mai il vizio di fumare, perché a mia madre la voglio troppo bene. 

MIMI: Questo ragazzo è la copia perfetta della zia, non dal punto di vista estetico s’intende, ma in quanto a quoziente d’intelligenza, il suo e quello di mia moglie messi insieme, non raggiungerebbero il tuo cara Matilda. Ma comme…don Filippo così generoso da volerti lasciare 965milioni per le sigarette, e tu non li accetti perché non fumi! Allora sei proprio ritardato nipote mio bello. Dovevi dire grazie don Filippo, mi servivano proprio questi soldi, mi faranno comodo perché io fumo proprio tanto, mi faccio trecento pacchetti di sigarette al giorno e tutte marche diverse: Marlboro, Merit, Zenith, Pal, Mal, Camel, MS, Capri Anacapri, Ischia e Positano, senza contare i sigari cubani, la marijuana, l’hashish, ‘o fumo indiano, ‘o pakistano, ‘o peruviano, e poi le piantagioni, già, ettari ed ettari di terreno affittato e piantato a tabacco. Tutto per uso personale s’intende. I creditori pronti, ogni giorno a chiedere soldi: “O ci dai i soldi dell’affitto oppure ci restituisci il tabacco. Il tabacco non ve lo posso dare, è tutto andato in fumo nei miei polmoni. Allora trova qualcuno che ti regala 965milioni di lire, altrimenti ti ammazziamo”. Grazie don Filippo, mi avete tolto da mezzo agli impicci. Questo dovevi dire. Adesso finisce che per il fatto che tu non fumi, questi soldi li regala a qualche altro.

MATILDA: Don Mimi, siete sicuro che il ragazzo appartiene a vostra moglie? 

MIMI: Sicuro? Non ci sono dubbi! Il ragazzo ha preso tutto dalla famiglia di mia moglie. È ignorante come loro.
MATILDA: (che ha capito l’allusione) Certo, Don Mimì, si vede che la vostra è diciamo così, un’ignoranza più altolocata. Vuje site ò ciuccio di via dei Mille, io l’ignorante di Spaccanapoli. La differenza tra me e voi, è che voi leggete molti cruciverba, mentre io l’ultima cosa che ho letto sono le istruzioni del Bimby. Comunque veniamo a noi, Nicolì hai spiegato bene al tuo amico attore quello che deve fare?


NICOLINO: Certamente. Gli ho affermato che la settimana prossima lui doveva solo fare finta davanti ai familiari dei De Filippo d’essere quello che non è, in pratica doveva impersonarsi in altre persone.

MATILDA: (ironica) Giusto, e magari, se la rappresentazione va bene, gli facciamo fare un provino con i Giuffrè, che ne dite Don Mimì?

NICOLINO: Lui per la verità ci terrebbe a lavorare con Vincenzo Salemme.

MIMI: Ecco il genio marcio della stupidità che si ripresenta in tutta la sua virulenza. Nicolì ma allora non hai capito proprio niente. Io ho parlato di Don Filippo, non De, Don...Don, hai capito! De no Don!

NICOLINO: (assorto ripete, come se stesse ascoltando il suono delle campane) Don de, de don...din don, don din...

MIMI: Basta! E ora ascoltami bene. Il tuo amico deve impersonare dei tipi, dei soggetti che lo stesso Don Filippo gli dirà di interpretare. Don Filippo, come ti avevo anticipato, si finge malato perché vuole mettere alla prova i sentimenti dei suoi familiari. Ora tu devi telefonare al tuo amico e dirgli di recarsi in ospedale, dove Don Filippo d’accordo con il Primario suo amico si è fatto ricoverare. Una volta giunto là sarà Don Filippo stesso a dargli istruzioni. Ora ti è tutto chiaro?

NICOLINO: Ora ho capito. Ma pure prima avevo capito. L’unica cosa che ancora non ho capito, è per quale malattia Don Filippo è stato ricoverato.

MIMI: Oh santi numi! Datemi la forza di sopportare l’ignoranza di mio nipote.

NICOLINO: Ah, ora ho capito!

MIMI: Che cosa?

NICOLINO: Perché la Domenica non vieni mai a messa. Frequenti altre religioni, ti sei fatto amico di questi Santi forestieri…Numi…Santi numi. Sono Santi musulmani eh? 

MIMI: Senti Nicolì, bello di zio, perché non fai una cosa, fatti ricoverare pure tu in Ospedale, così ti fai una bella visita dal Neurologo.

NICOLINO: Zio sono già stato dal neurologo, il mese scorso. Ha detto che non debbo far lavorare troppo il cervello, altrimenti mi posso stancarmi e poi mi vengono le crisi elettriche. Riposo assoluto. Io in portineria devo stare seduto, e proprio per darti una mano, al massimo mi posso sforzarmi di rispondere al citofono. Mi ha dato pure qualche medicina (tira fuori un foglio di carta lunghissimo) devo prendere: Al mattino, due Sereupin, mezza Zoloft e venti gocce di EN, Equilid compresse, Zanizal per lo stomaco. Al pomeriggio, Sermion 20mg, Serenase fiale, Largactil fiale e Valium fiale. Alla sera, Tavor 4mg di nuovo Sereupin e ancora Equilitium, Rizen gocce per dormire, poi…

MATILDA: Nicolì ti conviene farti assumere come garzone nella Farmacia, così non devi fare nemmeno lo sforzo di portartela a casa. Ora se è tutto chiaro vi pregherei di portare a termine questa prima fase, senza fare errori. Io telefonerò per prendere accordi con l’amico di Nicolino, per fargli sapere esattamente quando deve venire, Don Mimì, mentre voi mi farete da spalla…

NICOLINO: Io vi farò da guardia del corpo! (strofinandosi sul corpo di Matilda, come fosse un Bodyguard)

MATILDA: Tu ci farai la cortesia di non aprire mai bocca. Nemmeno sotto tortura.

NICOLINO: Per chiedere aiuto?

MATILDA: No!

NICOLINO: Per mangiare?

MATILDA: No!

NICOLINO: Per un bicchiere d’acqua?

MATILDA: No!

NICOLINO: Per respirare?

MATILDA: No!

NICOLINO: Per andare al bagno?

MATILDA: (prende del nastro adesivo e gli incerotta la bocca) No, no e ancora no. Se devi andare al bagno alzi la mano. Nicolì t’è sta zitto, muto come una tomba, non devi nemmeno risciatare, altrimenti il nostro piano va a farsi benedire, chiaro?

NICOLINO: (farfugliando) Chiaro! Agli ordini.

MIMI: (prendendo il nipote per il collo della camicia) Allora Matì noi andiamo, per ogni emergenza comunicheremo attraverso il nostro canale segreto.

MATILDA: Canale segreto? E qual è?


MIMI: L’interfono, linea diretta con la guardiola. (escono lui ed il nipote).

MATILDA: (senza parlare, prende il quadro, lo osserva e lo appende alla parete. Si siede ed inizia a fissarlo, poi canta una canzone di G. Morandi. Parte la musica). Banane…lampioni…chi c’era stasera con te…(fischiettando, continua a fissare il quadro). Cu’ chella bella voce perché mai avrà deciso di darsi alla pittura? Nooo, non c’è niente da fare...‘a morte ‘e Morandi è col microfono in mano. Banane...lampioni...chi c’era con te...




Fine primo atto



Secondo atto




La scena è sempre la stessa. Nonno Filippo è rientrato a casa da diversi giorni. 
Giulio legge il giornale, comodamente seduto in poltrona. Suonano alla porta. 
Nessuno va ad aprire.




GIULIO: Matilda, Matilda, la porta, stanno suonando! Ti dispiacerebbe, andare ad aprire?

MATILDA: (distesa sul pavimento a contemplare il quadro) Non ci penso proprio. Professò se mi sposto da questa postazione, mi sconcentro, perdo la giusta angolatura, ed il messaggio dell’artista va a farsi benedire.

GIULIO: Ma insomma, è più di una settimana che passi ore intere a contemplare quel quadro. Lascia stare quel Morandi, e vai ad aprire.

MATILDA: Non se ne parla proprio. Vostra moglie è stata categorica. Dopo avermi spiegato che si trattava di un anonimo del cantante, mi ha chiesto di esprimere il mio parere su questo quadro. È un ordine.

GIULIO: (intanto continuano a bussare) Ho capito, anche questa volta sarò costretto a vestire i panni del maggiordomo. (si alza per andare ad aprire, poi torna verso Matilda) Almeno questa perdita di tempo è servita a qualcosa? Questo quadro, cosa ti ha ispirato?

MATILDA: Tristezza Professò, tanta tristezza. Dico io, questo quadro si chiama “Natura Morta” e già il fatto che è morta mi dispiace. La cosa che non riesco a capire però; è come fa un vaso, una bottiglia, un libro, a morire? Forse l’artista ci vuole dire, che anche le cose che non sono fatte di carne ed ossa possono avere un’anima.

GIULIO: Brava Matilda, hai colto in pieno il messaggio dell’artista. Morandi, infatti, dipinse quasi esclusivamente nature morte di bottiglie e brocche; composizioni contemplative di potente semplicità, nelle quali voleva esprimere la pura e poetica bellezza di quegli oggetti (andando ad aprire). La tua impressione, conferma in pieno la tesi secondo la quale, il concetto di bellezza è universale. (a questo punto scomparso alla vista del pubblico, va a ricevere don Mimì). Don Mimì, prego accomodatevi. Perdonateci se vi abbiamo fatto attendere ma….

MIMI: Figuratevi Professò, ci mancherebbe. Capisco bene che qualche oretta di sonno è indispensabile, come si dice: “qualche oretta di sonno leva il medico di torno”. È importante riposare, così il pomeriggio ci si alza con la giusta carica che serve a completare la giornata. 

GIULIO: No, no, niente di tutto questo, tardavo ad aprire perché…

MIMI: (poggia una mano su quelle di Giulio, proprio a voler interrompere bonariamente il discorso). Professò non c’è bisogno…mica è una colpa…un pasto un po’ più abbondante, nu’bicchiere ‘e vino ‘e Gragnano, e alla fine ci si abbacchia, l’occhio langue, il polso si fa veloce, ‘o cerviello è tutto invaso da una nebbiolina fitta e leggiera, e si cade come in uno stato di trancia. Succede Professò, succede.

GIULIO: (inizia ad infastidirsi). Certo che succede, ma io, non dormivo. Ero lì sulla poltrona, a leggere il giornale, quando…

MIMI: Vi è scappato il sonnellino. Probabilmente vi avrò beccato durante la fase “Remma”… stavate sognando…la spiaggia, il mare…le femmine col perizona…

GIULIO: ‘E seggie a sdraio, l’ombrellone e i pedalò. (arrabbiato, ma senza perdere il controllo) Insomma Mimì! Vi sto spiegando che non dormivo. Qualche volta di pomeriggio, mi concedo una mezz’oretta, ma vi assicuro che oggi no. Ero sveglio, stavo leggendo con estrema attenzione una notizia sul giornale, e allora…

MIMI: …. vi siete assopito!

GIULIO: Assopito! Ma come ve lo debbo far capire che ero vispo, lucido, tirato, stavo fresco una bellezza, tenevo duie uocchie tanto, avevo bevuto una macchinetta di caffè per dodici persone tutta da solo. E tra un caffè e l’altro...

MIMI: … vi siete addormentato!

GIULIO: (oramai sfinito, arrabbiatissimo cede) Bravo! Sono letteralmente andato in letargo. In catalessi, quasi in semicoma tanto dal sonno. Mi stavo talmente abbuffando di sonno che nemmeno le cannonate mi avrebbero svegliato, e se non fosse stato per la vostra scampanellata io a quest’ora dormivo ancora, sarei rimasto comodamente, fino a domani mattina, tra le braccia di Morfeo. Va bene?

MIMI: Si è addormentato con voi? Allora oggi tenevate ospiti! Che cosa simpatica eh Matì!…’O Professore che si ubriaca e si addormenta abbracciato con l’amico suo. Professò permettete un consiglio? (quasi come fosse un segreto) Quando state in compagnia fate come mi ha insegnato mio padre buon’anima. Il bicchiere sempre pieno a metà, il resto acqua, accompagnate sempre la bevuta con un bel pezzo di mollica, in modo che quando arriva nello stomaco si assorbe il vino in eccesso. Io lo dico per voi Professò, perché la vostra salute mi sta a cuore. Voi dovreste stare molto attento. Quando alzate il gomito, la vostra prostata ne risente, s’indebolisce ancora di più, e rischiate di menzionare senza accorgervene. Se non state attento, finisce che perdete acqua per la via. La “prostrazione” è una brutta malattia! 

GIULIO: (incredulo) ‘A prostata? Che ci azzecca la prostata!… Quando mai ho avuto problemi alla prostata?

MIMI: Professò vi prego! (cingendogli di nuovo le mani) Quando parlate con me, mi dovete vedere come a un fratello, un amico, un confidente, ‘nu’ prèvete….confessatevi… apritevi senza timore. Anche io, tenevo lo stesso problema e avevo vergogna a farlo sapere agli altri …

GIULIO: (è alla frutta) Bastaaa!!! E che cazzo! Don Mimì, andate a raffica, non vi fermate un momento. E respirate ogni tanto! Fareste diventare nervosa persino la camomilla. Benedetto uomo! Vi sto dicendo che io non ho nessun problema, nessuna malattia, niente. Sono sano come un pesce. Guardate! ( improvvisa degli esercizi ginnici, per far capire a Mimì che gode d’ottima salute) 
MIMI: Lo dite per farmi piacere, per non farmi preoccupare. Professò di questi problemi è meglio parlarne. Uno tiene e tiene, e poi finisce che schiatta la prostata. Parlatene invece, rideteci sopra, raccontatelo a tutti. Come dicono i latini: “ L’ homo sapiens, che la iena ridens ”. 

GIULIO: (contro un fiume in piena come Mimì non c’è nulla da fare. L’unico modo per uscirne, è assecondarlo ridendo) Ha, ha, ha! Ecco vedete, sto sdrammatizzando per dimenticare il mio problema. Siete contento? Ora per favore visto che mi avete svegliato dalla lunga pennichella…(ovviamente ironico) potrei almeno conoscere qual è il motivo della vostra visita?

MIMI: Certamente Professò, è un vostro diritto. Sono qui per tre motivi, ambedue importanti…

GIULIO: Sono due o tre?

MIMI: Che cosa?

GIULIO: I motivi.

MIMI: Ve l’ho detto: sono tre motivi ambedue importanti.

GIULIO: Mimì, se i motivi per cui siete qui sono due, direte ambedue, se sono tre dovreste dire…ambitre ...ma cosa mi fate dire. (arrabbiato, scocciato, esausto)

MIMI: (che evidentemente non ha capito) Calmatevi Professò, non vi arrabbiate. Vi esporrò ambitre i motivi, così va bene?

GIULIO: Va bene, allora su, avanti sentiamo.

MIMI: (mostrando il cruciverba) Ecco qua! Su questa pagina ci stanno buttate almeno quattro, cinque ore della mia giornata. Ad un certo punto, poiché non riuscivo a sciogliere il bando della matassa ho pensato: “Qua ci vuole il professore, solo lui può riuscire a farmi trovare il filo di Marianna!”

GIULIO: (come se raccontasse per la centesima volta lo stesso fatto, ad una persona che comunque difficilmente capirà) Arianna… Mimì, il filo di cui parlate voi era di Arianna…figlia di Minosse re di Creta. Il mito vuole che Pasife, moglie di Minosse, nutrendo una forte passione per un toro volle unirsi alla bestia. Da questa unione nacque il Minotauro, un essere mezzo uomo e mezzo toro. Siccome la bestia era pericolosa, Minosse la rinchiuse nel famoso labirinto, e ogni anno le portava in sacrificio sette giovani e sette fanciulle. Teseo, figlio del re di Atene, stanco di queste atrocità, decise di ammazzare la bestia. Entrò nel labirinto, uccise il Minotauro e ritrovò l’uscita grazie al famoso filo di Arianna. 

MIMI: Arianna dite…quindi il filo non apparteneva a Marianna. Io lo sapevo. Lo immaginavo. L’equivoco, nacque un giorno, quando un mio collega mi disse: “Mimì, qua per risolvere la nostra posizione contrattuale bisogna trovare il filo di Marianna, solo lui ci potrà fare uscire da questo labirinto”. Allora mi misi a girare per tutte le mercerie, alla ricerca di questo filo senza però trovarlo. Non lo vendeva nessuno. Poi ho capito: il filo di Arianna serve per uscire dal labirinto, serve a trovare la capa e la coda di tutte le cose. Fu un commerciante a spiegarmelo. Certo lui non fu preciso come voi, si limitò solo a spiegarmi la morale estrinsecante della parabola.

GIULIO: Tutto sommato, il negoziante non aveva tutti i torti. Mimì questa storiella mitologica, in fondo vuole dirci che l’uomo e solo l’uomo può comprendere ed affrontare la battaglia contro i suoi vizi e contro la sua natura bestiale. Spetta a lui solo scavare oscure e profonde prigioni in cui relegare per sempre il vizio. Vedete, in ogni uomo c’è un santuario ed il compito di ognuno è riuscire a trovarlo. Mimì, la storiella c’insegna che la vittoria è appesa ad un filo. 

MIMI: Meno male che io non sono soprappeso, altrimenti il filo si spezzava, e io perdevo la guerra. In ogni modo, grazie Professò! Grazie perché quando sto con voi mi accorgo d’avere anche io qualche piccola laguna culturale. Ah, quanto mi pento di non aver ascoltato quello che mi diceva il professore mio in prima media. 

GIULIO: Che cosa vi diceva?

MIMI: E che ne so! Non ascoltavo. Certo che le donne a volte sono strane. Prendete questa Pasifa. Nientedimeno aveva deciso di fare le cose sporche con un toro. Quella, sicuramente avrà sentito le amiche che dicevano: Lo sai a letto è come un toro, a letto è come un toro”, e per tagliare la testa al toro ha voluto provare direttamente con l’animale. E poi dicono che la vacca è pazza. La “pervertitudine”, può inguaiare intere famiglie. Il problema di noi uomini, caro professore, è che intravediamo troppo per le donne, basta che alla televisione si presenta una tutta svestita e non capiamo più niente, rimaniamo incollati, con la bava alla bocca.

GIULIO: Avete ragione, il tubo catodico, ha preso il posto di fantasia e immaginazione. Mangiamo, beviamo, parliamo, facciamo all’amore, sempre e comunque alla presenza della sovrana di tutte le case: “La televisione”. 

MIMI: Ascoltarvi, caro Professore è sempre un momento di apprensione. Avete ragione, anche a casa mia si mangia solo pane e televisione. Mia moglie e sua madre Rita per esempio, stanno sempre inchiodate davanti ad un televisore, e piangono, piangono, secchiate di lacrime, mentre guardano: Beautiful, Affari di cuore, Carramba che Sorpresa, Terra Mia, e poi il più bello di tutti; il Grande Fratello. Mi chiedevo in questi giorni, ma sarà grande perché è il fratello maggiore, o è grande perché è gruosso, ‘nù piezzo ‘e guaglione? 

GIULIO: Il Grande Fratello? Diciamo che è come un fratello maggiore che osserva ogni nostro movimento. (Giulio deve assolutamente cambiare argomento) Ora però, sarebbe il caso di andare avanti con le cose che avevate da chiedermi, vi pare?

MIMI: Giusto. (mostrando il cruciverba) Ecco: È il quindici verticale che mi sta uccidendo la salute, “Can che abbaia”, otto lettere. Ho provato di tutto: Mastino sono sette lettere e non va bene. (si sente Ciro abbaiare) Il Dobermann abbaia parecchio, ma sono nove lettere... è inutile che abbai (rivolgendosi a Ciro). S. Bernardo manco ci sta, sono undici lettere. 

GIULIO: Non si tratta di razze canine. La riposta a can che abbaia è “Non morde”. Semplice no!

MIMI: Semplice, si fa presto a dire semplice. Intanto quando la settimana scorsa sono passato dal vostro terrazzo per aggiustare l’antenna, il vostro cane oltre ad abbaiare, mi ha anche azzannato una gamba. (mostra il polpaccio) Guardate, tengo ancora i posteri della ferita.

GIULIO: Postumi, si dice postumi Mimì. I posteri sono coloro che rimarranno dopo di noi. 

MIMI: Allora mia moglie Speranza di sicuro è una postera. Lei certamente se ne andrà dopo di me. Lo hanno detto pure in televisione: le donne tengono un genio che le fa campare molto più di noi. Mai una tosse, nu’raffreddore, na’ brunchitella, che so na’ bella pulmunita. Fosse ‘na vota che rimanesse attaccata sotto il casco del parrucchiere, oppure le venisse una paralisi alle corde vocali. Niente, è una donna tutta di ferro. Ci vuole un grande coraggio a sopportare la sua presenza, e quella della madre Rita. Oramai mi sono abituato, dove c’è Rita c’è Speranza. Allora, (riprendendo il cruciverba) come stanno le cose mi sono sbagliato un’altra volta? Can che abbaia, giustamente non morde. Ma tu guarda un poco, per una frase che ho sbagliato, adesso devo correggere tutto.

GIULIO: Mimì, per la verità ci sono diverse cose da aggiustare. Per esempio, questo sette verticale: “si apre in banca o alle poste” cinque lettere. Perché mai avete messo fuoco? In banca e alle poste, si apre il conto.

MIMI: Ho messo fuoco, perché io il conto non lo tengo, e poi perché qui a Napoli banche e poste le usano solo per farci le rapine.

GIULIO: A proposito di banche don Mimì, avrei bisogno del vostro aiuto. Domani dovrei accompagnare mio padre all’ufficio postale. Io sono impegnato, i ragazzi pure, Costanza ha il suo da fare. Ho pensato che forse lo potete accompagnare voi. 

MIMI: E che volete fare Professò, con i ritmi della vita moderna non riusciamo a fermarci nemmeno per un momento, la gente ci muore intorno e noi continuiamo a correre. (quasi come ad ammonire Giulio)

GIULIO: Sì, avete ragione, è una vergogna che con quattro persone in questa casa devo chiedere il vostro aiuto per questa cosa.

MIMI: Ma figuratevi Professò, io lo faccio volentieri, però come consiglio, dovreste trovare un po’ di tempo per vostro padre.

GIULIIO: Ne abbiamo parlato sapete, e siamo tutti consapevoli di averlo trascurato. Perciò, abbiamo deciso che non appena si rimetterà, andremo a fare una lunga vacanza tutti insieme. Ora però dobbiamo pensare al suo recupero. Mio padre dopo il brutto incidente non è più autosufficiente. (non visto, fa il suo ingresso Nonno Filippo sulla sedia a rotelle)

MIMI: Purtroppo, “a cane che se fa viecchio ‘a vorpe ‘o piscia ‘nculo”. 

GIULIO: (infastidito) Mimì!

MIMI: Antico proverbio napoletano.

FILIPPO: (non visto dal figlio allunga energicamente un braccio, come chiaro segno scaramantico, Giulio sente il rumore e si volta, Filippo nel cercare di camuffare il gesto, stende il braccio accennando ad un saluto un po’ goffo)

GIULIO: Papà cosa c’è, non ti senti bene? Ti prego non ti affaticare, tra poco sarà qui il medico. Vedrai che con un buon programma riabilitativo, ti rimetterà a posto. Ora devi solo pensare a riprenderti.

FILIPPO: Matilda? (parla mordendosi la lingua) Dov’è Matilda?

GIULIO: Eccola Papà è lì a fissare quel quadro. (si accorge solo ora che Matilda è stata per tutto il tempo immobile a guardare quel quadro) Matilda! Ma come sei ancora lì? Ma non ti sei stancata? (non risponde perché dorme) Matilda! Matilda!…(avvicinandosi, le tocca un braccio) Matilda! (musica, banane e lamponi di G. Morandi)

MATILDA: Perdonatemi Professò, mi sono sognata la banana di Morandi.

GIULIO: La banana di Morandi?

MATILDA: Ho sognato a Gianni Morandi che cantava con la banana al posto del microfono.(sbadiglia). Adesso vi preparo un bel caffè e due biscottini.
Don Filippo, come vi sentite oggi? (dirigendosi verso la cucina)

FILIPPO: ‘Na chiavica!

GIULIO: Come?

FILIPPO: La schiena!

GIULIO: Ah, la schiena! Non preoccuparti, lo specialista sarà qui più tardi. Dicono che ha messo a punto una tecnica rivoluzionaria. Pare faccia miracoli. 

MIMI: Don Filì, farà come Gesù, vi dirà: “Filippo alzati e cammina” 

FILIPPO: (parla a bassa voce per non far sentire agli altri) Non scherzare, altrimenti ci scoprono.

MIMI: Come dite? (non capisce perché Filippo parla sia cercando di simulare la malattia, sia per non far capire nulla a Giulio)

FILIPPO: Statte zitto! Stai zitto, altrimenti Giulio potrebbe capire! Cerca piuttosto di fingerti dispiaciuto per la mia malattia.

MIMI: Ahhh! Dice vostro padre che si sente molto stanco poverino. La lingua si muove da sola, il braccio non lo può muovere, le gambe nemmeno, è diventato una chiavica umana, ‘na schifezza d’’omm’. 

FILIPPO: Non esagerare!

MIMI: Come dice il proverbio: “a mosca mozzeca ‘o cavallo sicco” (lasciandosi andare in un pianto ridicolo) Quanto mi dispiace per vostro padre, e pensare che era così una brava persona. Che fine che ha fatto, guardatelo, è vivo ma sembra già morto.

FILIPPO: Non esagerare!

MIMI: Don Filì, stanotte vi accenderò un bel lumino, e pregherò i morti, tutti i vostri morti, e i morti dei morti vostri, affinché appena sarete lì con loro vi possano accogliere come a uno di casa. (nel frattempo Filippo si sta consumando i pantaloni nel tentativo di fare gli scongiuri).

FILIPPO: E di quella casa, tu sarai il portiere.

COSTANZA: (dalla sua stanza) Salve. Come si sente oggi il nostro vecchietto? E pensare che lo abbiamo tirato via da un sicuro trapasso, proprio per i capelli. A quest’ora, poverino, poteva essere sotto due bei metri di terra. La natura però…per fortuna, è stata clemente. Ma ci siamo qui noi, “sine qua non” come ama dire Mimì. Siamo pronti a fare ogni sacrificio. Caro Filippo, da oggi approfitti pure di noi, visto che è menomato, che non può parlare, chieda pure. Io e i ragazzi siamo disposti a farle da infermieri, da maggiordomi, camerieri, autisti, tutto, pur di renderle ciò che le rimane da vivere più vivibile.

FILIPPO: (del suo pantalone tra non molto non rimarrà nulla, continua a grattarsi, e per ripicca…) Costanza, cara… (con la mano fa segno di avvicinarsi)

COSTANZA: Siii, mi dica.

FILIPPO: Pipì!

COSTANZA: Come?

FILIPPO: Pipì, devo fare la pipì. Accompagnami!

COSTANZA: Io?! Ma io non sono abituata a prendere il cos… Filippo! Non sono mica un’infermiera io. Giulio porta tuo padre a fare…i suoi bisogni, del resto sei tu il figlio. (si sente il cane abbaiare, Costanza ne approfitta subito per allontanarsi) Ciro bello di mamma sua, devi fare pipì? Vengo subito! (si allontana nella stanza di Ciro)

GIULIO: Dimmi tutto Babbo. Che cosa ti occorre?

FILIPPO: Pipì, aiutami a fare pipì!

GIULIO: (in evidente imbarazzo) Cosa?

FILIPPO: Devo pisciare!

GIULIO: (cercando di sviare, ma ha già capito) Certo, capisco...vuoi che ti accompagni fino all’ingresso del bagno Papà?

FILIPPO: No, voglio proprio che mi aiuti a fare un po’ d’acqua.

GIULIO: Ma io non saprei proprio che pesci prendere...cioè da che parte cominciare. Papà, non sarebbe il caso che tu la facessi nel pappagallo?

FILIPPO: ‘O pappavallo mi fa senso! Muoviti, altrimenti mi faccio sotto!

GIULIO: (l’ingresso del figlio in questo momento è per Giulio la salvezza) Arturo, Arturo per favore potresti accompagnare Nonno a fare la pipì? Sai, da solo non è capace.

ARTURO: Io?! Ma dico siamo impazziti? 

GIULIO: Dai Arturo, è un piacere che ti chiede papà, su da bravo, ti prego.

ARTURO: E va bene, proprio perché me lo hai chiesto tu. Proprio perché si tratta di farti un piacere. Per questo tipo di servizio ci vorrebbero almeno duecentomila, ma visto che sei mio padre, centomila basterà. Lo faccio solo per amore.

GIULIO: Per amore dei soldi.

ARTURO: Certo, altrimenti come potrei far tacere la mia coscienza, come potrei non sentirmi ferito nella mia intimità, come potrei vincere il naturale imbarazzo, come potrei guardarmi domani mattina nello specchio e non dire…

GIULIO: …sono proprio uno stronzo, ricattare a questo modo mio padre. Ingrato, ecco prendi!…(gli molla le centomila lire) E ricorda: “oggi hai ricattato tuo padre, domani tuo figlio farà lo stesso con te”.

ARTURO: Il che significa che anche a te verrà un ictus, e che anche tu sarai costretto a farti portare l’uccello in giro. (prende la carrozzella con il nonno, e si avvia in bagno cantando). “Il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa!”...Andiamo nonno, di corsa.

MIMI: Professò non ve la prendete, quello è ragazzo. Sono sicuro che quando un giorno finirete pure voi sulla sedia a rotelle, vostro figlio vi accudirà in tutto e per tutto. 

GIULIO: (ironico) Grazie don Mimì, siete veramente una persona preziosa. Non so proprio come ringraziarvi.

MIMI: Niente, niente Professò. Ora vado, appena arriva il dottore, vi avverto con l’interfono e lo faccio salire. Per quanto riguarda domani, state tranquillo, a don Filippo lo accompagno io all’ufficio postale.

GIULIO: Questa sì che è una vera gentilezza. Grazie!

MIMI: Non lo dite proprio, e poi come si dice: “l’ommo campa all’ommo e ‘o cielo campa a tutte quante”. Professò, allora: “quo vadis” io vado.

CHIARA: (All’ingresso s’incrocia con don Mimì, e si salutano. È accompagnata da un suo amico, Remigio, tipo curioso, da topo di biblioteca. Remigio è assistente universitario presso il Dipartimento d’Igiene mentale. Egli è Psicologo) Arrivederci don Mimì. Ciao papà, lui è un mio amico, Remigio. 

REMIGIO: Molto lieto, Remigio Baldassarre.

GIULIO: Piacere mio! Gli amici di mia figlia sono sempre i benvenuti.

CHIARA: Papà, io vado un momento di là a preparare la borsa per la palestra, ti prego fai tu gli onori di casa.

GIULIO: Fai pure tesoro, farò io compagnia al tuo amico. Remigio vero? Anche tu ballerino?

REMIGIO: Assistente Universitario. Sono Psicologo. Ho conosciuto Chiara nella comunità di recupero per alcolisti. Offro come lei, la mia assistenza gratis per gli ospiti della comunità.

GIULIO: Bel gesto, dedicare parte del vostro tempo ad assistere questi bisognosi. Sono fiero di mia figlia, e ho piacere che abbia degli amici pronti come lei, a fare dei sacrifici per il prossimo. La carità, pare sia un aspetto dell’umanità in via d’estinzione. Eppure, anche il Santo Padre non perde mai occasione di ricordare che la carità è un sentimento nobile. La carità!…La carità…Fate la carità!…(tende la mano, come se stesse ricordando le parole dell’ultima omelia del Papa).

REMIGIO: (dalla tasca, cava diecimila lire, e la mette tra le mani di Giulio, i due si guardano per alcuni secondi) Ha ragione è poco, ma io prima di sborsare cifre considerevoli, ho bisogno di sapere suo padre cosa ci deve fare.

GIULIO: Cosa ci deve fare con cosa?

REMIGIO: Con i soldi! Con i soldi che lei chiede per lui.

GIULIO: C’è qualcuno che chiede i soldi per conto di mio padre?

REMIGIO: Lei Professore! Lei poco fa mi ha chiesto dei soldi, non c’è nulla di cui vergognarsi, se servono per una giusta causa.

GIULIO: Ma cosa hai capito? Quando parlavo del padre, mi riferivo al Santo Padre, al Pontefice, al padre di tutti i padri, a Giovanni Paolo II. 

REMIGIO: Mi scusi, non avevo capito. Pensavo si riferisse al suo di padre. Chiara mi ha raccontato dell’ictus. Credevo dovesse raccogliere dei soldi per delle cure speciali.

GIULIO: Caro Remigio, sarei pronto ad ogni sacrificio pur di rivedere mio padre in forma come una volta.

REMIGIO: Il problema più grosso del processo riabilitativo è quello di far riacquistare piena fiducia al paziente, fiducia in se stesso, nelle sue capacità di riprendersi dal trauma. A volte bastano delle coccole, delle carezze, giocare, parlare, coinvolgerli. È necessaria molta pazienza, sono un po’ come i bambini, e come tali vanno trattati.

GIULIO: Lo so, il professore che ha seguito mio padre in ospedale, mi ha infatti avvertito che ci vorrà tempo e pazienza prima che egli riesca a riprendersi completamente. Ma non vorrei annoiarti con questi discorsi. Gradiresti una buona tazza di caffè? O preferisci un Martini, un Whisky, un Cognac…?

REMIGIO: Tè, un bicchiere di tè! Grazie. In genere bevo solo latte. Questa volta ho deciso di fare uno strappo alla regola.

GIULIO: Hai deciso proprio di ubriacarti! Intanto mettiti comodo.(andando in cucina) Il tè, lo gradisci con una fetta di limone?

REMIGIO: Latte, con un bicchiere di latte grazie. (rientra Filippo, accompagnato da Arturo) Il bianco rilassa.

ARTURO: (spingendo il Nonno) Pistaaaa. Salve! (dando la mano, si presenta) Arturo! Hai appena stretto la mano che poco fa ha toccato un residuato bellico della prima guerra mondiale. Un missile unico al mondo.

REMIGIO: (curioso) Davvero? E dov’è?

ARTURO: In mezzo alle gambe del Nonno! Vuoi toccare anche tu? Scherzavo! Vieni, ti presento Nonno Filippo, lo Shumy della carrozzella. Purtroppo oggi nelle prove è stato un po’ lento, è riuscito a fare il giro del palazzo in due minuti e trentasei. Nonno ti presento…com’è che ti chiami?

REMIGIO: Remigio Baldassarre, molto lieto! (cercando di dare la mano a Filippo)

ARTURO: Senti Re magio…(appoggia il braccio intorno al collo)

REMIGIO: Remigio, Remigio Baldassarre.

ARTURO: Baldassarre…ma tu sei quello dell’incenso, dell’oro o della mirra? (lo osserva). Mi sa che sei quello della mirra. E dai scherzavo! Senti come mai solo? Il “pater familias” dov’è?

REMIGIO: È in cucina a preparare il tè.

ARTURO: Bene, ti affido il vecchio, mi raccomando, fatevi una bella chiacchierata.

REMIGIO: (si guarda intorno, non sa cosa fare e soprattutto cosa dire) Dunque, lei è il famoso Nonno Filippo. Conosco il suo problema. Lei è handicappato. (Filippo non risponde) Io la posso aiutare, sono psicologo. Che cosa ne dice di fare un bel gioco? Io le dirò delle cose molto semplici e lei le dovrà ripetere, ci sta? Si! Ha detto si! Bene! Fase numero uno, si procede con la lallazione. (si posiziona di profilo, in modo da essere visto da Filippo e dal pubblico) Enguè, embumba, lalà, cucù settetè, ganga brrr, e cippi cippi ciù, pappa puppa, lalla lulla…

FILIPPO: (gli sputa in faccia)

REMIGIO: No, no, no, cattivone sei tu, monello birichino. Non si fa. Mi segua, ripeta con me: Pucci, pucci pù, anguè po’ po’, e bù, bù tottò a te, embumba, embumba…Su da bravo ripeta con me…embumba…

FILIPPO: (ancora uno sputo)

REMIGIO: (inizia a perdere il controllo) Ma sei proprio mascalzone tu! Filippino cattivino, ti meriti proprio una tiratina d’orecchi. (tira l’orecchio di Filippo) 

FILIPPO: (di nuovo uno sputo)

REMIGIO: Adesso mi spazientisco vecchiaccio brutto. Lo vuoi fare questo cazzo d’esercizio? Su, altrimenti ti sculaccio.

FILIPPO: (gli molla un calcio nei testicoli) Sculacciò a te, brutto stronzone!

REMIGIO: (senza fiato) Ahi, ahi, ahi porc...vecchio bastardo rincoglionito. Dio che dolore. Brutto vecchio paralitico, Ahi...Dio che dolore! Possa tu buttare il sangue!Vaffanculo tu, tuo nipote, la tua malattia e quel coglione di tuo figlio! (fa per andarsene, ma incontra Giulio, che intanto rientra dalla cucina con un vassoio)

GIULIO: Eccomi qua. Tè ma senza latte. Purtroppo lo ha bevuto tutto Ciro, il nostro cane.

REMIGIO: Ma vada a farsi fottere, lei e il suo cane! A me il te non piace! (esce) 

GIULIO: (disorientato, rimane immobile con il vassoio tra le mani)

CHIARA: (rientra in scena con la borsa da palestra. Dalle scale) Sono pronta. Papà dov’è finito Remigio?

GIULIO: Il latte!

CHIARA: Il latte?!

GIULIO: Già, senza latte proprio non sa stare. Deve soffrire di una strana forma di dipendenza. Quando gli ho detto di non avere il latte da mettere nel tè, è andato via mandandomi a quel paese. Per un po’ di latte?!

CHIARA: Non ti devi preoccupare Papà, Remigio è un tipo strano, ma è un bravo ragazzo. (saluta il padre e il nonno con un bacio) Ciao nonno, a più tardi! (all’ingresso della cucina, chiama il fratello ed escono insieme) 

GIULIO: Hai visto quel Remigio? Sembrava un ragazzo così tranquillo. Sarà per la professione che svolge, assistere matti tutta la giornata non deve essere una cosa facile. 

FILIPPO: Credo abbia bisogno di uno psicologo. Mi è sembrato un tipo molto infantile. Ambumba, nguè, puppù...!

GIULIO: Cosa?

FILIPPO: (cambia discorso, il figlio potrebbe capire) Nulla… la tosse...

GIULIO: Stai tranquillo, tra poco sarà qui il medico. (suona il citofono, Giulio va a rispondere) Sì, Don Mimì dite pure...chi il dottore? Ah, bene! (al padre) Che caro don Mimì, a preoccuparsi e a darsi tanto da fare per te.

FILIPPO: Mimì, Matilda, sono dei puri, degli animi semplici. In tanti anni mi hanno sempre dimostrato la loro incondizionata devozione. 

GIULIO: Papà capisco il tuo attaccamento, però questa è casa tua, noi siamo la tua famiglia, ti vogliamo bene. E’ vero ti abbiamo un po’ trascurato, soprattutto io, ma vedrai che recupereremo. E poi come si dice... “gli amici si vedono nel momento del bisogno”

FILIPPO: Appunto...vedremo quanto sarete disposti a sacrificarvi. (bussano alla porta)

GIULIO: Deve essere il dottore.Vado ad aprire. (si avvia all’ingresso)

BARBA: (dall’ingresso) Buonasera, molto lieto, dottor Barba!

GIULIO: Venga dottore, la stavamo aspettando.

BARBA: Allora dove è il nostro paziente? 

GIULIO: Da questa parte, faccio strada. 

BARBA: (si avvicina a Filippo e lo saluta). È lei dunque che dobbiamo rimettere a posto? Molto lieto, dottor Francesco Maria Barba. Sono stato inviato qui dal nostro amico in comune, professor Nardi. Stia tranquillo, da oggi lei è nelle mie mani. Io le ridarò la parola, l’udito, le gambe, le braccia. Io le ridarò la vista, io le ridarò...

FILIPPO: I soldi...! Tu mi ridarai i soldi se non la smetti di dire stronzate...

BARBA: Ehm! Bene! Iniziamo subito la terapia. Prevedo grandi progressi per lei. Il cuore è a posto, la pressione anche, livello olio, livello acqua ok! Ah, ah…scherzavo! (si accorge che Giulio è impassibile) Ora sarà meglio procedere con una visita dettagliata. (inizia a visitare Filippo) Dunque vediamo, chiuda l’occhio destro con la mano destra, e l’occhio sinistro con la mano sinistra. Fatto? (Filippo esegue) Bene, bene. Che cosa vede?

FILIPPO: Niente!

BARBA: Bene, molto bene. Ora chiuda l’occhio destro con la mano sinistra e l’occhio sinistro con la mano destra. Fatto? Bene molto bene. Che cosa vede?

FILIPPO: Niente!

BARBA: Bene, bene, molto bene. A quanto pare lei ha anche perso l’uso della vista.

GIULIO: Ma come sarebbe scusi! Mio padre fino a qualche istante fa ci vedeva benissimo. 

BARBA: Purtroppo, la situazione è rovinosamente precipitata, ma non bisogna allarmarsi. Ora grazie alla mia tecnica, imponendo le mani, ridarò la vista a suo padre. (si avvicina a Filippo gli poggia le mani sugli occhi e da sfogo alle sue velleità attoriali, citando Shakespeare) “Con la mia arte potente, al mio comando, le tombe svegliarono i morti”...William Shakespeare, La Tempesta.

FILIPPO: Imbecille, ti avevo chiesto di fingerti dottore, non di fare il mago.

GIULIO: Che cosa dice?

BARBA: Dice che non riesce a credere ai suoi occhi, ci vede meglio di prima.

GIULIO: Ma come ha fatto?

BARBA: Anni e anni di studi, anni e anni di contemplazione con i monaci tibetani, sul mistico Kilimangiaro.

GIULIO: Kilimangiaro?! Ma guardi che i monaci tibetani vivono sugli altipiani dell’Himalaya.

BARBA: (con imbarazzo) Himalaya? Si è vero lo so, ma io frequentavo una sezione distaccata sul Kilimangiaro. Ma ora continuiamo con la visita, e passiamo alla verifica delle facoltà neuromotorie. (prende un martelletto dalla borsa, e con esso inizia a picchiare sulle articolazioni di Filippo) Gamba destra fuori uso! Gamba sinistra fuori uso, braccio destro fuori uso, braccio sinistro...! (Filippo allo stremo, gli molla un ceffone) In grande forma. Questo è un ottimo segno. Tempo un anno, e lei tornerà ad avere voglia di fare all’amore, almeno sei volte al giorno.

FILIPPO: Ma manco quando avevo vent’anni riuscivo a farlo sei volte al giorno.

BARBA: Appunto! Il mio metodo è in grado di far resuscitare i morti.

GIULIO: (evidentemente interessato, lo prende sottobraccio, per non farsi sentire dal padre) Dica dottore, ma uno che abbia, diciamo così una normale attività sessuale...

FILIPPO: Diciamo pure scarsa attività sessuale.

GIULIO: Papà ti prego. Dicevo...(imbarazzato) se uno volesse...diciamo così...

BARBA: Capisco! Lei vorrebbe, diciamo così, aumentare le sue prestazioni sessuali vero?

GIULIO: Si...voglio dire...non che io ne abbia bisogno sa...è solo che...magari un piccolo aiutino, ho sentito parlare di un farmaco miracoloso...

BARBA: Appunto, lo ha detto, miracoloso. Non credo lei abbia bisogno di un miracolo, o almeno non di uno solo. Mi dica, quanto dura una sua performance, un’ora?

GIULIO: Beh, proprio un’ora forse no ma...

BARBA: Cinquanta minuti?

GIULIO: Cinquanta forse è...

BARBA: Troppo, già è troppo, facciamo trenta minuti?

GIULIO: Trenta minuti! Trenta proprio trenta forse no ma...

BARBA: Ho capito, lei soffre di “ejaculatio precox”.

GIULIO: Io?! Ma vuole scherzare, altro che, io quando sono in forma, sono capace di resistere diciamo così circa...circa...sette...otto...

BARBA: Minuti?

GIULIO: Secondi, sette, otto secondi, quando va bene (rassegnato). Sa è che ultimamente, il lavoro, lo stress, mio padre...

BARBA: La prostata!

GIULIO: La prostata? Ma cos’è ci stanno le spie in questa casa.

BARBA: Professore, lei non ha bisogno di farmaci. Faccia del moto, si distragga e si dedichi con più serenità agli affetti familiari. Si liberi dagli ingorghi mentali, e vedrà che riuscirà a fare sesso anche più di sei volte al giorno. (citazione) “La natura, sviluppandosi, non aumenta soltanto di corpo e di muscoli; è anzi un tempio che si allarga, e in questo l’ufficio interiore della mente e dell’anima gli tiene dietro”. 

GIULIO: Si sente bene dottore?

BARBA: Oh! Mi perdoni, era Shakespeare, citavo Amleto per dirle con le sue parole, che il corpo segue l’anima, e l’anima ne influenza molto la condizione. Ha capito?

GIULIO: Forse ha ragione! È proprio vero! “Mens sana in corpore sano”.

BARBA: Giusto! La mensa quando è buona aiuta anche il corpo. Ma ora bisogna pensare al corpo di suo padre. Sarà fondamentale, seguire scrupolosamente la terapia che ora vi consiglierò. Le prescriverò un farmaco miracoloso, ma molto costoso, una scatola costa circa un milione ed è sufficiente per...

GIULIO: Un anno?

BARBA Noo!

GIULIO: Un mese? 

BARBA Noo! Una settimana. È indispensabile portare a compimento la terapia, che durerà giusto...

GIULIO: Una settimana!

BARBA: Noo!

GIULIO: Un mese!

BARBA Un anno! Se non volete aspettare, sarà bene che vi rivolgiate al vostro portinaio, Mimì. Lui conosce l’agente del mercato nero. Oltre la terapia farmacologica, occorrerà diciamo così, una terapia dei sentimenti. Caro professore spetta soprattutto a lei e alla sua famiglia fare in modo che questa terapia abbia successo. Suo padre si trova in una fase come dire primordiale...come se fosse tornato bambino.

GIULIO: Bambino?

BARBA: Certo, bambino...criaturo! Pertanto necessita d’ogni accortezza. Sarà necessario trattarlo con affetto, tenerezza e attenzione. Sarà fondamentale, non negargli alcunché. In poche parole, qualunque tipo di negazione, di dispiacere, potrebbe riportare suo padre in uno stato mentale di tipo fetale.

GIULIO: Fetale? Ma fetale proprio nel senso d’embrionale? 

BARBA: Certo, fetale proprio nel senso di fieto...criaturo...

GIULIO: Bambino!

BARBA: Esattamente! Infatti, sarà necessario apportare delle modifiche alla casa. Giù pareti, scalini, impedimenti d’ogni sorta. Via, eliminare! Luce e spazio, spazio e luce. Per ristrutturare il tutto, occorreranno diverse decine di milioni, ma cosa importa, si ricordi che è per il bene di suo padre. Comunque, sarò di nuovo qui tra una settimana per un altro consulto. Ora vi devo lasciare. Il dovere mi chiama al capezzale di un altro moribondo. 

FILIPPO: (solito gesto scaramantico) Puozz’ passa’ nu’ guaio nire. 

BARBA: “Non temere vecchio! La morte ha il palato fino. Quando a te verrà, ti guarderà, ti scruterà, t’annuserà e... di corsa se ne scapperà”.

GIULIO: William Shakespeare?

BARBA: No! Francesco Maria Barba! Allora addio, l’arte mi chiama!

GIULIO: Ha ragione, vada, l’abbiamo trattenuta fin troppo. Da questa parte. Faccio strada. Mi dica dottore cosa le debbo per il disturbo?

BARBA: Un milione, grazie!

GIULIO: Azz! Azz...identi stavo per cadere! (per non far capire di essere rimasto molto sorpreso dalla cifra, trova la scusa della caduta) Papà mi dovresti... (Barba lo interrompe, afferrandolo per il braccio).

BARBA: Ma allora nun’’ ‘e capito niente? (immediatamente si corregge) Non ha capito nulla? Professore suo padre non deve assolutamente subire traumi. Chiedergli dei soldi, potrebbe fargli affiorare alla mente momenti difficili e penosi della propria esistenza.

GIULIO: Giusto, non ci avevo pensato. Mi scusi, le faccio un assegno.

BARBA: Bravo! Si ricordi, bisognerà accontentare ogni sua richiesta, ogni suo desiderio, senza mai contraddirlo. Mi raccomando, non faccia sapere mai a suo padre, quanto state spendendo per il suo recupero. Ricordate che lo state facendo solo per il suo bene. (citazione Pirandelliana) “Che altro possono voler da me lor signori? Qui c’è una sventura, come vedono, che deve restar nascosta, perché solo così può valere il rimedio che la pietà le ha prestato”. Così è se vi pare.

GIULIO: Se lo dice lei dottore.

BARBA: Cosa ha capito? “Così è se vi pare” di Luigi Pirandello. 

GIULIO: Oh! Che stupido, non avevo intuito.

BARBA: Beh! cosa vuole, quando si dice l’arte. Signor Filippo la saluto...e mi raccomando pensi sempre alle sei galoppate. (Giulio ed il dottore si allontanano all’ingresso)

FILIPPO: (approfitta dell’assenza del figlio per alzarsi dalla sedia) Non male nella parte del dottore, spero solo che anche come finto Albanese possa essere credibile..!

COSTANZA: (all’improvviso è in scena, ha in mano un quadro incartocciato) Giuliooo, tesoro vieni voglio farti vedere...(finalmente si accorge di Filippo che nel frattempo è rimasto immobile) Ah Filippo, dov’è finito Giulio...? (si accorge della novità) Oh perbacco! Ma lei è in piedi?!

FILIPPO: (realizza). In piedi?! No è un falso allarme. (si accascia a terra)

COSTANZA: (nel tentativo di sollevare Filippo da terra) Giulio, Matilda...! Qualcuno mi aiuti.

GIULIO: Ma cosa succede? Papà non posso lasciarti un minuto da solo. (mentre aiuta il padre a sollevarsi da terra) È vero che i metodi del dottore sono miracolosi, ma addirittura pensare di poter già camminare, mi sembra un’esagerazione. Occorrerà forse un anno, prima che tu ti ristabilisca completamente. 

COSTANZA: Sicché, per un anno dovremo dedicarci completamente al caro Filippo.

GIULIO: Sì Costanza, bisognerà fare in modo che Papà riceva la massima attenzione, e soprattutto che non subisca nessun tipo di trauma. Bisognerà accontentare ogni suo desiderio, ogni sua richiesta. Su questo il dottore è stato categorico.

GIULIO: Adesso devi riposare Papà. Andiamo di là, ti accompagno in camera tua. Dirò a don Mimì di andare a comperare le tue medicine. A proposito Costanza, ci toccherà fare economia. Per comperare le medicine dovremo spendere in un anno quasi cinquantamilioni, senza contare quello che ci vorrà per ristrutturare casa. Mi dispiace, ma per il momento dovrai rinunciare all’acquisto di quella litografia. (si allontana con Filippo verso l’interno)

COSTANZA: (si abbandona su una sedia, con il quadro che aveva portato per mostrarlo al marito, lo libera dall’involucro cartaceo che lo custodiva e lo guarda)

MATILDA: Signò, ho disfatto tutte le valigie e sistemato ogni cosa al suo posto. Come stanno le cose, la vacanza è sfumata.

COSTANZA: Già, proprio così! Del resto mi sarebbe proprio dispiaciuto lasciarlo a casa, o peggio ancora in qualche pensione. Non sai mai come li trattano, e soprattutto che cosa gli danno da mangiare. Portarlo con noi non era possibile. L’agenzia di viaggi aveva chiesto disponibilità in tutti gli alberghi, ma purtroppo non li accettano. Ma come si fa ad essere così disumani.

MATILDA: Signò, quelli non lo fanno per cattiveria, ma giustamente quando sentono che don Filippo è in quelle condizioni, non si può muovere, per trasportarlo ci vuole l’ascensore, può mangiare solo determinati alimenti…

COSTANZA: Filippo?! Ma è Ciro che si sono rifiutati di accettare. Farò ricorso a tutte le associazioni animaliste. Quanta cattiveria che c’è in giro.

MATILDA: Dite bene, cattiveria e ignoranza sono sentimenti odierni. (alludendo)

COSTANZA: A proposito d’ignoranza. (mostra il quadro) Ti piace? L’ho comprato ieri, volevo fare una sorpresa a Giulio, ma credo che per il momento non è il caso di farglielo vedere. È troppo impegnato con il padre.

MATILDA: E mi sembra giusto signò, quello don Filippo in questo momento ha bisogno di tutto l’affetto dei suoi cari. Anche del vostro.

COSTANZA: Del mio?! Che cosa c’entro io!

MATILDA: Signò, scusate, ma se riuscite a dare tanto affetto ad un cane, con tutto il rispetto per Ciro, non vi dovrebbe essere difficile offrire un po’ di calore a don Filippo. 

COSTANZA: Sì è vero hai ragione. Stavo pensando, che una buona soluzione potrebbe essere quella di farlo socializzare di più con Ciro. Ho sentito dire che gli animali e soprattutto i cani possono essere una valida terapia per il recupero degli ammalati.

MATILDA: Don Filippo, ha bisogno del calore umano, non di quello animale.

COSTANZA: Forse hai ragione, a volte non ci rendiamo conto che basterebbe guardare dentro casa per scoprire che c’è qualcuno che ha bisogno del nostro affetto. Anche io ho ne ho bisogno. È per questo che a volte mi lascio andare in spese un tantino esagerate e quindi acquisto oggetti che possono momentaneamente prendere il posto di una carezza, di un bacio, di un gesto affettuoso. La Maja (mostrando il quadro) è l’augurio per l’anniversario del mio matrimonio. Giulio non se ne ricorda mai. Che cosa ne pensi Matilda, ti piace?

MATILDA: Un altro Morandi?

COSTANZA: Ma no, questa è la Maja Desnuda di Goya. Il più grande pittore Spagnolo. Sono rimasta affascinata. Pare che il Goya fosse talmente innamorato della Duchessa d’Alba da dipingerla in ogni suo ritratto. Naturalmente questa è solo una litografia, ma in serie numerata e limitata. È un pezzo da collezione. 

MATILDA: (osserva il quadro) Vi devo essere sincera, preferisco le nature morte di Morandi. Quello Morandi dipingeva troppo veritiero, lo dice pure il professore: (riprendendo a modo suo i pensieri espressi da Giulio su Morandi) “Morandi sapeva usare così bene il pennello, che quando lo bagnava nella tinozza dei colori erano loro stessi che si ammiscavano, perché si sentivano come attratti dal fascino del pennello dell’artista.” Anche i colori signò, hanno un’anima e la trasmettono agli oggetti che vanno a colorare.

COSTANZA: E tutte queste cose le ha dette proprio mio marito?

MATILDA: Sì, tutte il Professore. (si sente il citofono) Questo deve essere don Mimì che porta le medicine per vostro suocero. (risponde) Pronto... Come? Con voi c’è un giovane che dice di essere il figlio di Don Filippo? È uno forestiero? Parlate direttamente con la signora, io non voglio responsabilità. Signò venite a citofono, c’è vostro cognato che vuole sapere se può salire. (ovviamente Matilda sa che è tutta una montatura).

COSTANZA: Mio cognato?! (tra se) Siii, pronto! Come? Ma don Mimì, io non ho cognati... ma non lo so io, lo dovremmo chiedere a mio suocero. Non so cosa dirvi. Beh, comunque prima di farlo salire, devo parlare con mio marito. Vi richiamo io, abbiate pazienza. (si avvia all’interno, da Giulio).

MATILDA: (rimasta da sola, ride) Ha, ha, ha. Lo scherzo si fa interessante. 

GIULIO: (dalla sinistra lungo il corridoio, mentre spinge la carrozzella del padre) Papà, non ci posso credere. Mi stai dicendo che hai adottato un Albanese a distanza e che adesso lo hai autorizzato a trasferirsi a casa nostra!

COSTANZA: Mio Dio, è inaudito! Come reagirà Ciro a questa notizia. Che cosa dirà quando saprà che in casa nostra verrà ad abitare un estraneo. 

MATILDA: Signò, ma come estraneo, si tratta del fratello del professore.

COSTANZA: Vorrei proprio sapere dove lo metteremo.

FILIPPO: Nella stanza di Ciro.

COSTANZA: Ciro non è attrezzato per ricevere ospiti, poverino. Ecco, questa poteva essere l’occasione buona per comperargli un letto a due piazze, oppure un divano letto...o una poltrona letto…un letto ad una piazza e mezzo…

GIULIO: Bastaaa!!! Costanza basta! Ho bisogno di ragionare, di riflettere, di vederci chiaro...Chiaro?

COSTANZA: Va bene, ma non ti arrabbiare. È solo che se tu mi avessi permesso di comperargli un’altra rete...

GIULIO: E la miseria no! Ho bisogno di parlare un mo..men..to con mio padre senza essere interrotto. Va bene? (al padre) Fammi capire: da cinque anni hai adottato a distanza, un ragazzo Albanese. Hai mandato dei soldi, affinché potesse studiare e laurearsi, si è laureato, ed ora è qui perché gli devi trovare una sistemazione. Papà, ma dico ti rendi conto? 

FILIPPO: I suoi genitori sono morti, i fratelli pure, gli sono rimasto solo io. Ho deciso di farlo vivere in casa nostra.

GIULIO: In casa nostra?! In casa nostra? (compare l’immagine del dr. Barba proiettata su una parete, come ad ammonire Giulio) Già in casa nostra, tra i suoi cari. Del resto il dottore è stato chiaro: mai contraddirlo. Papà dimmi, come intendi sistemarlo, voglio dire per il lavoro, come farà, con la crisi che c’è, chi vuoi che gli dia lavoro.

FILIPPO: Tu, ti preoccuperai tu di trovare lavoro a tuo fratello, con tutte le amicizie che hai, non ti sarà difficile. Quando i tuoi amici sapranno che hai un fratello in difficoltà, saranno felici di darti una mano.

GIULIO: Fratello?! In difficoltà? Ma se manco lo conosco!

MATILDA: Professò da voi non me lo aspettavo, lasciare vostro fratello in mezzo ai guai. 

GIULIO: Ma che fratello e fratello, insomma lo volete capire che sono figlio unico, io non ho nessun fratello, e quindi non posso sentirmi in colpa per i guai di un fratello che non ho. Chiaro?

FILIPPO: Anche se non è un fratello di sangue, voglio che tu lo accolga come tale. Matilda, fallo salire!

MATILDA: Agli ordini! (accennando alle note di Carramba che sorpresa, parte la musica) Perché dopo cinque anni tuo fratello è qui. Carramba che sorpresa! (al citofono) Don Mimì, portate sopra il fratello del professore.

COSTANZA: Scusate, vado a dare la notizia a Ciro. (avviandosi nella stanza di Ciro) Cirooo, presto avrai compagnia.

GIULIO: Presto dovrò portare in clinica anche mia moglie, credo che ultimamente l’esaurimento sia peggiorato.

FILIPPO: Vi state trascurando. State trascurando i sentimenti. Dovreste riprenderli, prima che finiscano in qualche stanza buia.

GIULIO: Che c’è, adesso mi sei diventato addirittura un poeta? Ma tu guarda, quante cose sto scoprendo di te solo ora, cose che mai avrei immaginato. Mio padre che adotta un figlio a distanza, non ci posso credere.

FILIPPO: Ho speso tutti i miei risparmi per farlo studiare. Lui per me è come un figlio, quindi tu lo dovrai trattare come se fosse davvero tuo fratello.

GIULIO: (ancora una volta vorrebbe arrabbiarsi con il padre, ma la solita immagine del dr. Barba, mitiga i suoi propositi) Bene, forse hai ragione, è arrivato il momento di pensare ai sentimenti, ai tuoi sentimenti. Papà, voglio solo che tu stia bene. Se accogliere in casa questa persona ti può rendere felice, allora per me va bene, sono felice anche io.

COSTANZA: (rientra dalla stanza di Ciro) Giulio, ho parlato con Ciro, per una notte è disposto a cedere il suo lettino a tuo fratello.

GIULIO: (vorrebbe esplodere, ma si trattiene) Tesoro non preoccuparti, ringrazia Ciro da parte mia, ma mio fratello vedremo di sistemarlo diversamente.

MATILDA: Professò, che dite aggiungo un coperto pure per vostro fratello? Che faccio, la metto la tovaglia per le occasioni, con le posate d’argento?

GIULIO: (tra se) Credo che la follia si stia impossessando di questa casa. (bussano alla porta)

MATILDA: Vado io, questo deve essere il vostro fratellino. (va ad aprire)

MIMI: Venite, trasite signor Karim, vi stanno aspettando!

KARIM: (si dirige direttamente ad abbracciare Giulio) Oh Papa, Papa mio! (lo abbraccia e lo bacia) Come tu stare? Io tanto aspettato momento di vedere te! Finalmente potere abbracciare mio Papa! Bello, tu piccolino, ma bello!

GIULIO: (un tantino disturbato dalla eccessiva confidenza) Si, si ho capito, ho capito. (allontana le braccia di Karim, che nel frattempo gli cingevano il collo) Io non sono tuo padre, tuo padre è...tuo padre è...

FILIPPO: Sono io tuo padre, lui è tuo fratello.

KARIM: Fratello, mio fratello, mio grande fratello! (di nuovo abbracci e baci)

FILIPPO: E lei è tua cognata.

KARIM: Mia cognatina, (la osserva un secondo) mia grande cognatina, tu bella come Madonna.

COSTANZA: (lusingata) Madonna la cantante?

KARIM: No, Madonna di Durazzo. 

COSTANZA: Allora caro, come è andato il viaggio?

GIULIO: Insomma basta! Smettetela! Tu non sei mio fratello, chiaro? Senti...com’è che ti chiami?

KARIM: Karim!

COSTANZA: Che nome originale. 

GIULIO: Allora senti Karim, sia chiara una cosa: tu non sei mio fratello. Mio padre mi ha chiesto di accoglierti in casa ed io lo farò. Tenterò di aiutarti, di trovarti una sistemazione adeguata. Non permetterò che tu sia rispedito in Albania a bordo di uno di quei fatiscenti gommoni...

KARIM: ...Gommone? No gommone, io venuto con grande nave lusso...

GIULIO: Clandestino, eri nella stiva.

KARIM: Ma no clandestino, io fatto viaggio prima classe in camera superlusso, con vasca idromassaggi e televisore satellitare. Mangiato, bevuto e dormuto come re. Tutto pagato.

GIULIO: Pagato da chi?

KARIM: Papa, mio papa fatto grande regalo. Lui detto me, spendi pure, non ti preoccupare, perché quando venire in Italia, pagare tutto tuo grande fratello.

GIULIO: Ma che regalo! Che grande fratello! Insomma la vogliamo smettere? Andiamo da quella parte, questa storia deve essere chiarita a quattr’occhi. (si avvia seguito da Karim che spinge la carrozzella con a bordo Filippo, e si allontanano dalla scena).

FILIPPO: E’ vero, i panni sporchi si lavano in famiglia. Andiamo figlioli.

COSTANZA: Vengo con voi, dopotutto sono pur sempre la cognata, e poi vi occorre un arbitro imparziale.

MATILDA: (si accorge che don Mimì è in lacrime) Don Mimì che avete? Perché piangete?

MIMI: Non ci posso fare niente. È come quando guardo “Carramba che sorpresa”. Genitori e figli, fratelli e fratelli, si rincontrano dopo tanti anni, li guardo, e mi viene la commozione.

MATILDA: Ma che c’entra, lo sapete che questa non è una cosa vera. È tutto per finta.

MIMI: E pure a Carramba è tutto per finta, ma io mi commuovo lo stesso. Sono troppo sensibile. (tutto questo lo dice avvicinandosi al nuovo quadro appeso alla parete) E cos’è questo quadro?

MATILDA: (finalmente può prendersi la rivincita sulla presunta cultura di Mimì) Questa è una tipografia in copia limitata e numerata, della “Maiala Nuda di Soia”. Il Soia, era un grande pittore Spagnuolo. Questa è una duchessa. È bello vero?

MIMI: Scommetto che anche questa duchessa se la faceva con il dinosauro. (guarda Matilda con soddisfazione. Ancora una volta ha la possibilità di dimostrarle la sua superiorità culturale) E tu mica puoi sapere chi era il dinosauro? Non ti mortificare, te lo spiego io. Dunque, devi sapere che tanti anni fa una certa Pasifa, moglie del re di Creta... una cretina...le venne il gulio di accoppiarsi con un toro. Da questa aunione nacque il dinosauro, che per soddisfare il proprio appetito voleva a colazione sette spose e sette fratelli. Quando finirono le spose e i fratelli, il giovane Perseo decise di uccidere il mostro; allora entrò nel labirinto e si perse. Per il paese tutti lo andavano cercando “Perseo, Perseo...dove seooo”. Se non fosse stato per la giovane Arianna che ci buttò un capo di lana, quel poverino a quest’ora stava ancora cercando l’uscita. Vedi cara Matilda, questa è solo una storiella biologica con il suo significato. Che cosa ci vuole dire?

MATILDA: E che ne saccio!

MIMI: Ci vuole dire che l’uomo e solo l’uomo deve scavare nelle prigioni, perché sono scure e profonde, e non deve mai dimenticare di andare ai santuari. I santuari sono importanti, solo là possiamo chiedere perdono. E capito allora?

(Chiara ritorna dalla palestra, accompagnata da Arturo)

CHIARA: Buonasera Don Mimì, abbiamo lasciato le chiavi della macchina a vostro nipote. Ha detto che poi la sistemava lui in garage.

MIMI: Ma come vi è venuto? Quello è pericoloso! È capace di buttare a terra i palazzi.

(si sente parlare dall’interno delle stanze in cui prima si sono diretti Filippo e gli altri. Ricompaiono tutti in scena, questa volta Filippo è in piedi e la carrozzella è spinta da Giulio)

MATILDA: (nel vedere Filippo in piedi, si porta la mano alla bocca ed esclama) Uh Gesù!

MIMI: Uh Maronn’! Uh S.Antonio! (si inginocchia) Miracolo, miracolo don Filippo è guarito!

GIULIO: Don Mimì vi potete alzare, la farsa è finita. Mio padre mi ha raccontato tutto. Devo dire però che c’ero quasi cascato, era tutto così verosimile, l’ictus, l’ospedale, il medico, l’albanese. 

CHIARA: Scusate volete spiegare anche a noi che cosa succede?

COSTANZA: Certo tesoro. Vedi, questo signore qui, era tuo zio fino a pochi minuti fa, poi si è scoperto che in realtà non lo è, e non è nemmeno Albanese ma Napoletano, un medico napoletano, anzi no, fingeva di essere un medico, attore, un attore medico, un finto medico che fa l’attore...insomma... 

GIULIO: Insomma, quella della malattia di vostro nonno è stata tutta una montatura, la malattia, il medico e tutto il resto, lui è un attore e si è prestato al gioco.

CHIARA: Allora nonno sta bene? È guarito? (corre ad abbracciare il nonno). 

FILIPPO: Non mi sono mai ammalato, e posso dire di non essermi mai sentito meglio.

ARTURO: Stai dicendo, che tutte le volte che ti ho accompagnato al bagno e ti ho aiutato a fare la pipì...

FILIPPO: Era tutto uno scherzo!

CHIARA: Nonno, ma per quale motivo hai voluto farci questo scherzo, siamo rimasti con il fiato sospeso per tanti giorni. 

FILIPPO: Hai ragione. Quando si diventa vecchi come me, s’iniziano a fare cattivi pensieri. Credevo di essere diventato oramai di peso per tutti voi. Ecco perché ho finto di essere gravemente malato, costretto su una sedia a rotelle. Il mio impedimento poteva essere il vostro impedimento. Volevo mettervi alla prova. Devo riconoscere però, che tutti si sono sacrificati per me. Mi sembra giusto dividere con voi i quarantamiliardi vinti al super enalotto...

MIMI: Quarantamiliardi...quarantamiliardi (si accascia sul divano)

MATILDA: Novecentosessantacinquemilioni.

FILIPPO: (si accorge che i nipoti sono senza parole) Si, è proprio così, cari nipotini, sono diventato miliardario e questi soldi ora sono anche vostri.

GIULIO: Papà, la lezione è servita a tutti, soprattutto a me. Ho pensato troppo al lavoro e poco a voi altri. Recupereremo, dobbiamo recuperare. Sai cosa faremo Papà? Tutti insieme, dedicheremo un mese intero alla parola. Esatto, avete capito perfettamente: “alla parola”. Insomma tutto quello che abbiamo sempre avuto timore di raccontarci, lo dovremo dire senza nessun freno. 

ARTURO: Che bell’idea Pa’! Sarà come andare in ritiro spirituale. Lo chiameremo il mese della SS. Parola.

MIMI: Poiché c’è di mezzo la parola, io ne approfitterei per i miei cruciverba. Professò, questo mese di ritiro me lo vengo a fare pure io.

GIULIO: Dobbiamo festeggiare. Matilda, tira fuori la migliore bottiglia di spumante che abbiamo. 

MATILDA: Agli ordini! (si dirige in cucina).

COSTANZA: Ci vuole un brindisi alla memoria!

(Tutti guardano Costanza con aria interrogativa)

COSTANZA: ...In memoria? Per commemorare? Insomma volevo dire...

FILIPPO: Lo so mia cara, quello che volevi dire è: facciamo un brindisi alla memoria di tutto ciò che è stato, buono o cattivo che sia. 

(Matilda arriva con bottiglia e bicchieri ed inizia a versare)


TUTTI: Alla salute di Nonno Filippo. Evviva! Evviva!

FILIPPO: Ah! Ah! Mio Dio! (porta la mano al cuore e cade a terra. Nonno Filippo ha avuto un infarto).

Gli attori sgombrano la scena. Calano le luci. L’unico oggetto tenuemente illuminato è la sedia a rotelle. Rumore di chiavi nella toppa. La famiglia rientra dal funerale. Costanza ha una veletta nera sul capo, Giulio indossa una giacca scura. Costanza e Chiara vanno a sedere alla sinistra sul divano. Giulio si avvia in cucina. Arturo si siede sulla sedia a rotelle e la fa muovere lungo la scena.

COSTANZA: (ad Arturo) Come fai a scherzare in un momento simile.

ARTURO: Scusa mamma, ho visto la sedia e mi è tornato in mente nonno. Fingeva talmente bene che ero proprio convinto che non potesse farne a meno.

CHIARA: Già, (alzando lo sguardo al cielo) chissà dove sarà, e che cosa starà facendo in questo momento.

ARTURO: Beh! Dove si trova ora non avrà certo bisogno di quella sedia.

COSTANZA: Come faremo a rassegnarci alla sua perdita. Ha lasciato un vuoto incolmabile.

CHIARA: Certo, la sua mancanza si sentirà! (abbraccia la madre per consolarla)

ARTURO: Dopotutto se ne è andato senza fare rumore, voglio dire, in silenzio senza soffrire.

GIULIO: (mentre morde un biscotto, si dirige verso la stanza di Ciro, la osserva, apre la porta e guarda rapidamente all’interno). Va a sedersi. 

COSTANZA: Giulio… il biscotto!

GIULIO: Di Matilda!

COSTANZA: Ma no di Ciro…Ciro, oh Ciro, perché! (piangendo, si porta le mani al volto)

fine